Atti dei congressi nazionali

1999

Sessione 1 - dibattito
Prima  domanda
Nome e Cognome  Paola  Di Giulio
Professione            
Provenienza           
  
Rivolgo la mia domanda al dott.Grilli  perché un po’ per il mio modo di vedere ed un po’ per come la penso, non trovo che  la strada imboccata,  quella della  proceduralizzazione,  sia quella giusta.
Mi sembra che il modello di accreditamento che si va diffondendo in Italia sia  quello che fa riferimento alle norme ISO  9000, dove bisogna definire criteri, procedure, esplicitare cosa va fatto, a chi compete che cosa, i contenuti dell’assistenza, ecc. e  si producono  manuali di centinaia e centinaia di criteri in base ai quali poi accreditare i vari servizi.
Chiedevo se esistono di fatto delle evidenze che questi modelli abbiano  portato in Italia o all’estero un miglioramento effettivo della qualità assistenziale.
 
Risposta   Dott. Grilli
 
La risposta è no,  nel senso che,  almeno a mia conoscenza non esistono dimostrazioni empiriche che questo approccio si sia tradotto effettivamente in benefici  clinici direttamente sugli esiti dei pazienti o in una maggiore capacità dei servizi di erogare interventi efficaci ed  appropriati.
Direi che il rischio di approcci  di questo tipo è proprio quello che Paola Di Giulio sottolineava nel suo commento generale : quello di avere un attenzione ossessiva per standardizzare ed esplicitare ogni possibile procedura perdendo  di vista il problema del capire in che misura poi tutto quello che viene ratificato sulla carta è davvero legato alla nostra conoscenza,  è efficace sia a  livello clinico che operativo dei servizi.
Da questo punto di vista l’idea di evitare, in generale approcci che si  traducono in una burocratizzazione se volete anche estrema del lavoro,  senza avere dimostrato quanto meno una capacità  di impattare in modo positivo sulla qualità sostanziale dei servizi.
Un esempio che ho letto proprio qualche giorno fa su una rivista internazionale dimostra  come  dietro queste formalizzazioni estreme ogni singolo contatto con i pazienti, ogni singolo uso di quella procedura si producono in  formalizzazioni poco sostanziali,  che lasciano comunque facile gioco a  scappatoie che le aggirano.
In Inghilterra c’è una norma, definita anche dalla loro carta del paziente che prevede per l’utente il quale arriva in contatto con il servizio, ad esempio con un Pronto Soccorso, di essere assistito, ricevuto nel giro di cinque minuti  e pare che questa formalizzazione, questa norma  abbia provocato la nascita  di una nuova figura professionale che è quella che loro chiamano la ” Hello Nurse “, cioè quell’infermiera che si presenta  da te  nel giro di cinque minuti per dirti  bene arrivato. Poi scompare e tu aspetti altre tre ore prima che arrivi qualcuno.
Mi sembra un esempio appropriato di  come poi  dietro  questa attenzione ossessiva per ogni aspetto, non ci sia nessuna effettiva garanzia, né  per il paziente né per i professionisti,  rispetto all’effettiva qualità dei servizi.
 
 
Seconda domanda
Nome e Cognome    Isella Alessandri
Professione              Infermiera  Professionale Gruppo Accreditatori  
Provenienza             ASL  Milano  3  sede  di  Monza
 
La regione Lombardia ha elaborato una legge di riordino in cui è andata  nettamente a separare le Aziende che producono servizi sanitari, dalle Aziende ASL che acquistano, controllano, accreditano i servizi erogati.
Ho partecipato a questo convegno perché da un anno e mezzo mi interesso di accreditamento e sono stata  veramente colpita quando l’ ho visto pubblicizzato sulle varie riviste professionali.
Ho quindi chiesto alla mia Direzione di poter partecipare ai lavori congressuali, in modo da poter capire meglio come gli infermieri professionali, gli operatori sanitari ed il personale ospedaliero stia vivendo questo processo di accreditamento.
Ho condiviso totalmente la relazione di Fiamminghi,  perché  è  proprio in quell’ottica che oggi noi andiamo ad accreditare ed  è significativo l’apporto che il mondo infermieristico può dare;
per noi infermieri l’accreditamento è una grande opportunità; io credo di essere una delle poche infermiere inserita in questi gruppi di accreditatori, ho invitato a questo congresso due dirigenti infermieristici di un importante   gruppo privato  che recentemente abbiamo accreditato perché nel fare questa esperienza ho proprio visto nel concreto quanto ruolo positivo e quante opportunità oggi ha il mondo infermieristico per potersi esprimere.
Intendo potersi esprimere non tanto dentro la costruzione analisi e revisione  di procedure, imparando a guardare il contesto globale in cui stiamo lavorando.
L’accreditamento, così come io lo sto vivendo  e lo stiamo portando avanti in regione Lombardia,  siamo convinti farà fare un salto di qualità totale alle strutture nella misura in cui impareremo a partecipare globalmente ai processi organizzativi.
Allora la mia piccola procedura può avere un significato se porta ad un risultato di prodotto, di efficacia, che risponda a quel bisogno particolare del cittadino che oggi noi chiamiamo cliente, ma che per me infermiera da trent’anni era la persona che volevo e desideravo aiutare e che io posso aiutare tenendo costantemente presente che le risorse economiche non sono né infinite, né illimitate.
Grazie all’ANIARTI  per l’organizzazione di questo Convegno.
 
 
Terza domanda
Nome e Cognome       Salvatore Galisi
Professione                 Infermiere Professionale  
Provenienza                Ospedale  Grosseto
 
Io penso che nelle rianimazioni, terapie intensive e servizi ad altissima specialità  l’assistenza è globale,  la preparazione professionale e la competenza è  molto elevata,  e da  parte  infermieristica e da parte medica.
Come può   l’accreditamento  aiutare i professionisti in queste aree ad avere una visione globale nel soddisfacimento dei bisogni  del paziente  attuando  interventi  multidisciplinari, che siano sinergici e non  relativi  solo ad una particolare prestazione di questo o quel professionista?
 
Risposta    Dott. Grilli
 
Un brevissimo commento  sollecitato dalla collega della regione Lombardia,   più che altro un invito : aboliamo la parola cliente, in quanto presuppone un rapporto mercantile che non si inquadra nel nostro scenario.
Come ha detto qualcuno le parole  hanno un padrone e quella non ci appartiene.
Detto questo,  facendo riferimento, in modo davvero non polemico, all’esperienza della regione Lombardia, ancora una volta è importante sottolineare come i meccanismi dell’accreditamento non siano una neutrale applicazione di regole, di norme che vengono più o meno esplicitate;
il modello perseguito in regione Lombardia non è il modello, non ha nessuna analogia,  nessuna somiglianza con il modello che viene disegnato con la Legge di riforma, che parte dal presupposto  di rifiutare il principio di competizione fra servizi erogatori in ambito sanitario,
rifiutandolo anche sulla base di esperienze empiriche che sono emerse dai sistemi sanitari che in Europa negli scorsi anni hanno adottato questa strada.
La più o meno rigida separazione tra acquirenti ed erogatori, là dove è stata introdotta con l’idea che i  meccanismi di mercato stimolassero efficienza e operatività dei servizi, dovunque non ha portato ai risultati desiderati, ha portato in generale ad  un aumento dei costi anche amministrativi  di gestione del sistema, ad una frammentazione del sistema stesso in unità produttive che sul mercato confliggono tra di loro, anziché collaborare.
Il modello che si vuole perseguire è il modello della programmazione e della cooperazione tra servizi e la logica dell’accreditamento che prima cercavo di spiegare ha senso se vista dentro questo contesto.
 
Risposta   Meris  Fiamminghi
 
Rispondo al collega di Grosseto.
Io intanto discuterei se in rianimazione, terapie intensive, aree ad altissima specialità l’assistenza
è globale, così come l’infermieristica la intende; discuterei nel senso che mi piacerebbe confrontarmi.
Io credo che  nelle aree intensive, iperspecialistiche, sia una  necessità  incrementare la propria competenza specialistica se no non sei in grado di lavorare all’interno di questi posti.
Non so se i medici rianimatori sono più competenti degli altri, io questo non lo giudico, potrei eventualmente esprimere un giudizio su quelli della mia realtà e non sugli altri.
Questo perché non desidero che gli altri giudichino me sugli aspetti professionali, non perché io sono buona ma semplicemente perché penso che ci debba essere un rispetto fra le specificità professionali che poi si devono integrare.
In questo tipo di integrazione ci sono anche tutti gli altri reparti non intensivi, che tu non hai specificato ma che forse identificavi con tutti gli altri.
Il punto fondamentale è, torniamo al discorso che ho fatto prima, che gli infermieri  siccome avrebbero la voglia, il sogno di poter dare tutto a tutti in realtà riescono a dare veramente poco a tutti e magari pure nei tempi sbagliati.
Attenzione, non sto parlando di terapia, anche se perfino su questo dovremmo parlare molto.
E non parlo tanto dell’errore di terapia, che speriamo che ci sia poco, ma del  fatto che viene prescritto di somministrarla  4,  6 o 3 volte al giorno e allora si aspetta che arrivi l’orario per somministrarla.
Magari da voi non succede mai,  però potrebbe succedere, come il fatto di preparare le flebo di notte.
Parliamo di organizzazione,  stiamo con i piedi per terra.
Anche le persone che ci sono dentro hanno la responsabilità del modo in cui il lavoro viene condotto.
Secondo me bisogna porsi la domanda fondamentale: qual è il risultato finale che vogliamo ottenere con l’assistenza infermieristica.
Insieme ai medici ci porremo quella: qual è il risultato che si vuole ottenere con questo tipo di patologia, ecc.; loro ci aiuteranno, lavoriamo insieme per questa ragione, per convergere con buoni risultati sui malati.
 
 
Quarta  domanda
Nome  e  Cognome     Fusco(?)
Professione
Provenienza                Cardiochirurgia di Genova
 
La signora Fiamminghi dice che dobbiamo decidere che risultati dobbiamo ottenere.
Io sarei d’accordo con lei ma penso che sia importante ancora di più il modo in cui cerchiamo di ottenere questi risultati,  perché anche se non raggiungiamo il risultato che vogliamo al 100%,  se lo raggiungiamo  con una certa professionalità, rispettando la dignità del paziente, ascoltando con empatia, in un modo in cui sia contento e  soddisfatto il paziente/cliente, penso sia ugualmente importante.
 
 
Quinta   domanda
Nome  e  Cognome        Barbieri
Professione                            
Provenienza                  Policlinico di Monza
 
Il Policlinico di Monza rappresenta una struttura privata accreditata.
Prima la signora Isella citava la nostra struttura;  siamo la prima struttura in Lombardia ad essere accreditata, abbiamo subito l’ispezione, chiamiamola così,  per un anno.
Secondo me ha giovato moltissimo al personale infermieristico, devo dire che nella nostra azienda, proprio per filosofia aziendale, il gruppo infermieristico da me diretto ha un ruolo determinante e fondamentale, nel senso che noi non abbiamo una struttura gerarchica piramidale come è presente in alcuni ospedali pubblici dove io ho vissuto per anni, mi sono peraltro formata lì, ma è una scala gerarchica orizzontale dove tutti devono dare e devono rendere per un fine comune che è il bene dell’ammalato.
Quindi intorno al tavolo insieme ad architetti ed ingegneri c’era anche tutto il gruppo infermieristico, che ha lavorato molto, ha lavorato un anno, ha stilato tutti i  protocolli e le linee guida, facendo delle tavole rotonde con tutti i primari di aree omogenee, dove abbiamo discusso ampiamente di tutte le varie patologie dei pazienti, valutando anche l’aspetto psicologico, abbiamo steso questi lavori supportati anche da lavori scientifici a livello internazionale.
Per scelta nostra abbiamo reputato utile, indispensabile fare una cartella infermieristica che fosse tale  per tutte le unità operative, e non solo della nostra azienda in Lombardia ma anche delle nostre 4 aziende in Piemonte, proprio perché anche nella mobilità del personale avessero tutti lo stesso strumento di lavoro.
Un esempio: il carrello dell’emergenza è stato fatto per tutti uguali, in modo che anche nella mobilità non ci fossero problemi.
Devo dire che ha portato degli ottimi risultati.
Tenete presente che l’accreditamento non è un processo fine a se stesso e quindi una volta accreditati è tutto finito, è un processo in continua evoluzione.
Le ispezioni sono periodiche, ogni sei mesi, un anno.
Questo è stimolante per tutto il gruppo infermieristico, che deve lavorare e deve lavorare molto.
Io  sono molto d’accordo con Formigoni sulle pari opportunità, chi è bravo sta nel mercato e chi non è bravo esce dal mercato.
Solo così potremo erogare un’assistenza ad hoc per il malato.
Noi siamo anche in corso di certificazione, che è parallela all’accreditamento, ma non è la stessa cosa, quindi bisogna scindere le due cose.
Devo dire che anche noi abbiamo commesso degli errori nel percorso ma sono errori correggibili, magari suggeriti anche dalla nostra ASL 3 che ha visto altre realtà e quindi ci ha consigliato e supportato;  è un lavoro di squadra e io sono molto orgogliosa di lavorare con questo gruppo.
Abbiamo un corpo di caposala molto motivato , il personale infermieristico molto motivato e spero di perseguire questa strada negli anni per arrivare a fare sempre meglio.
Questa è la nostra realtà che abbiamo vissuto con l’accreditamento.
Grazie.
 
 
Sesta  domanda
Nome  e  Cognome       Isabella  Zennaro
Professione                   Caposala
Provenienza                  Rianimazione Azienda Ospedaliera San Luigi - Orbassano -  Torino
 
Le relazioni che ho sentito stamattina mi hanno dato una grande sensazione di coerenza e di integrazione.
Mi hanno dato la sensazione che le varie strutture aziendali ed i vari operatori debbano integrarsi e si integrino per raggiungere questo obiettivo dell’accreditamento e della certificazione.
Vorrei chiedere però ai relatori ed ai colleghi presenti in sala, perché c’è tutta l’Italia qui dentro, se conoscono molte realtà in cui questa integrazione davvero si verifica e se hanno dei suggerimenti da dare ad una come me che lavora in una realtà aziendale, nonché polo universitario ed ha la sensazione di arrivare oggi dal Burundi, con tutto il rispetto per il Burundi.
Mi è piaciuta molto l’ultima relazione che ha concluso con un frase molto ripetuta negli ambienti infermieristici ma molto reale:  non perdiamo mai di vista il motivo per cui un’azienda ospedaliera o un’azienda sanitaria regionale si muove, il paziente, la qualità dell’assistenza.
Ora, io lavoro in una realtà dove l’accreditamento significa solo e semplicemente, e non è la solita lamentela, produrre carta, produrre carta ed impedire a chi come me dovrebbe avere un ruolo di conduzione di un gruppo infermieristico, di supporto e di aiuto per creare le linee guida ed i protocolli, per fare in modo che questo gruppo lavori bene per il paziente, di fare tutto ciò, perché passo otto ore a produrre carta  perché il manager venga accreditato,  perché si raggiunga l’obiettivo  di abbattere dell’uno per cento le spese rispetto all’anno precedente, di ridurre comunque i costi.
La finalità comune non si sente, non c’è.
Gli infermieri secondo me, da noi e anche in altri luoghi, stanno cercando di capire il complessivo, ma è chi gestisce il complessivo che ha perso di vista la specificità delle realtà, delle unità operative, per lo meno da noi.
Probabilmente la mia è una realtà  singola, specifica, forse Torino è un’isola sperduta nell’Italia.
Ditemi se solo da noi succede questo,  perché devo capire.
 
 
Settima  domanda
Nome  e  Cognome              Beatrice Porpora Emma
Professione                          Caposala
Provenienza                         Ambulatori cardiologia Grosseto
 
Io sono stata molto contenta di aver sentito il professor  Martinelli, credo che sia l’unico medico presente qui a questo convegno.
Secondo me sarebbe stato importante che  fosse stato presente anche qualche medico,  proprio perché il nostro lavoro è parallelo al loro, anche se non è né superiore ne’ inferiore.
L’accreditamento è un lavoro di equipe che bisognerebbe fare insieme ai medici, noi forse sentiamo di più l’esigenza del paziente, non del cliente, anche se in ambulatorio si parla molto spesso di cliente perché porta soldi e mi fa molto male sentire questo.
Poi  c’è un altro problema, che io noto perlomeno nella mia realtà;
io non so come si possa parlare di questi protocolli da  creare insieme con gli infermieri, quando poi ci troviamo di fronte a grossissime difficoltà proprio reali o oggettive  ed in effetti in quel momento noi ci inventiamo il lavoro.
 Ad esempio può capitare che in ambulatorio mi si rompa  un apparecchio o più semplicemente  la spina, e contattando l’ufficio tecnico mi sento rispondere che non è  di  loro competenza perché c’è la tal ditta  etc. etc. o addirittura non trovo nessuno che mi risponde al telefono. E quindi  ci organizziamo noi e lo sistemiamo, magari  in maniera  artigianale pur di continuare ad usare l’apparecchio e renderlo quindi immediatamente disponibile per l’utenza.
Non è sempre così, ma siamo arrivati a questi livelli.
Quindi io spero che  nel futuro questi problemi piccoli e grossi vengano superati, proprio in virtù del fatto che noi comunque lavoriamo per cercare di alleviare le sofferenze o aiutare a morire delle persone che soffrono, non certo dei clienti.
Noi vendiamo la salute?
Mi sembra una cosa molto buffa.
Io non vendo la salute ma cerco di aiutare chi soffre e questa è la cosa più importante per me.
 
 
Ottava  domanda
Nome  e  Cognome          Giordana Slanzi
Professione                 
Provenienza                     Casa di cura Poliambulanza di Brescia - Cardiochirurgia
 
Vorrei fare una domanda a Paola Di Giulio.
Se il sistema ISO 9000 è così farraginoso e complesso, richiede una flow – chart, una descrizione delle attività nel dettaglio, richiede chi fa che cosa, quindi delle responsabilità chiare e precise, volevo sapere quale altra strada si può percorrere e, se c’è questa strada, se essa oltre che percorribile è anche accettabile, perché attualmente le ISO 9000 in effetti sono le norme che vanno di più, non voglio parlare di moda, ma sono quelle che comunque ormai anche le aziende private seguono da molto tempo.
 
 
Nona  domanda
Nome  e Cognome        Ostellato
Professione                   
Provenienza                 Cardiochirurgia  Padova
 
Vorrei fare una domanda al dottor Grilli, che si occupa di politiche regionali nel campo dell’assistenza.
Visto che i cambiamenti proposti dalla recente legislazione vanno nell’ottica della razionalizzazione degli interventi e della riduzione dei costi, oltre che della pretesa di migliorare appunto l’assistenza, che tipo di controllo viene esercitato sulla qualità ed effettiva necessità degli interventi che si fanno?  Perché la sensazione che si ha è che per cercare di raggiungere determinati obiettivi si badi molto alla quantità più che alla qualità degli interventi che si fanno dal punto di vista assistenziale.
 
 
Decima  domanda
Nome  e  Cognome          Annalisa Silvestro
Professione                      Responsabile Servizio Infermieristico ASS 4 - Medio Friuli - 
Provenienza                     Udine
 
Vorrei fare sia una domanda che una considerazione a carattere generale.
Innanzitutto ottime relazioni da parte dei nostri ospiti ed ottimi interventi da parte della sala, questo secondo me già è un elemento estremamente positivo.
Mi pare che sarebbe importante non fermarsi ai nominalismi, perché credo che nessuno pensi al termine cliente nel senso deteriore del termine ma come utilizzo purtroppo un po’ diffuso che se ne fa adesso, perché credo che altrettanto paziente possa diventare poco corretto.
Io non mi fermerei tanto su questa cosa; ragionerei molto, invece, sulle difficoltà che sono emerse anche attraverso gli interventi,  che esistono nell’integrazione fra le diverse figure professionali e mi pare di poter dire anche difficoltà che potrebbero evidenziarsi e che pavento fra le strutture organizzative sanitarie di tipo pubblico e di tipo privato.
Anche da questo punto di vista io credo vada fatta una seria riflessione nelle logiche di un servizio a favore dei nostri concittadini che hanno l’opportunità, ben venga , di poter scegliere il tipo di struttura sanitaria a cui affidarsi.
Credo sia da tenere molto in conto che il sistema pubblico difficilmente può scegliere dove orientare l’offerta sanitaria, poiché deve dare un servizio, proprio perché di carattere universalistico, a tutti i cittadini.
La compagine privata può più orientare la propria offerta sanitaria e questo chiaramente influenza anche tutte le scelte dei processi assistenziali e le modalità con cui erogarli, gli strumenti e le tipologie.
Ragionare nella logica dell’integrazione significa fare attenzione ai diversi obiettivi, che devono integrarsi di offerta ai cittadini.
Io farei riflessioni su questo, perché  se obiettivi devono essere perseguiti, e siamo tutti d’accordo, devono essere perseguiti nell’integrazione, quindi tra le diverse strutture e tra i professionisti  ma non solo, perché ci sono anche tutte le strutture di supporto e gli operatori che svolgono funzioni di tipo esecutivo che comunque hanno un ruolo importantissimo in questo tipo di percorso, nella revisione dei processi di assistenza e dei processi organizzativi.
Una cosa mi pare sia importante sottolineare; quando si va nella logica della certificazione e dell’accreditamento molte volte nell’elaborazione di protocolli piuttosto che di procedure, nell’analisi dei vincoli e dei punti di caduta strutturali dell’organizzazione sono occupati prevalentemente infermieri.
Trovo questa cosa assolutamente poco positiva.
Non vorrei si rientrasse di nuovo nella logica della manodopera qualificata che si mette lì a scrivere tutta una serie di cose che poi nella realtà gli infermieri tendono ad osservare mentre altri professionisti, mi rivolgo anche al nostro chiarissimo ospite  di cui anch’io auspico non solo la continua partecipazione ma l’allargamento ai medici, non le considerano neanche.
Per cui molte volte gli infermieri si trovano a fare fatiche immani, elaborazioni immense, scrivono le famose centinaia di pagine che qualcuno qua citava, che non solo rimangono lettera morta, che già è tragico, ma che hanno portato via una barcata  di energia che hanno dovuto togliere, a meno che non lo facciano fuori orario di servizio, al tempo  dell’assistenza.
Per cui anche questa  io credo sia una riflessione che chi dovrà poi mettere in piedi queste commissioni, verificare, orientare il lavoro, necessariamente deve tenere in conto.
Grazie.
 
Risposta             Dott. Grilli
 
C’era una domanda specifica sul problema dei meccanismi di controllo,  credo siano stati definiti nella domanda rispetto alle singole regioni.
Da questo punta di vista il meccanismo che la legge prefigura, dico prefigura perché sarà tutto da
costruire, è un meccanismo in cui le regioni  attraverso i loro percorsi di accreditamento e di accordi contrattuali interni sono in grado di rendere disponibili informazioni, dati, su diversi aspetti
di performance dei servizi sanitari regionali, che riguardino sia gli specifici aspetti economico-finanziari, quindi gli andamenti della spesa, ma che riguardino anche aspetti più di carattere clinico tecnico, e quindi la capacità di erogare determinati interventi in modo appropriato, indicatori di accesso al sistema.
A livello centrale   il ruolo della commissione Nazionale per la Qualità  e l’Accreditamento che prima citavo, sarà essenzialmente di raccogliere queste informazioni e di fare una sorta di   benchmarking tra le diverse regioni con un ipotesi, un assunzione di  rapporti tra questo momento chiamiamolo di verifica  centrale e le  regioni non di tipo punitivo, coercitivo o di controllo esterno, ma con una forte enfasi sull’aspetto collaborativo.
In particolare  gli articoli 19 della Legge di riforma disegnano un meccanismo di rapporti in cui le regioni, i cui indicatori di performance dei servizi regionali  si discostino in maniera particolare dagli standard predefiniti, sono invitate a definire programmi di miglioramento  e l’Agenzia avrà un ruolo specifico di supporto su questi dei programmi di miglioramento per riequilibrare ciò che è stato evidenziato essere squilibrato,  per ridurre eventuali scostamenti dai parametri attesi.
Quindi da una parte un meccanismo che a livello centrale consente di verificare l’andamento, attraverso una serie di indicatori da definire, dei servizi sanitari regionali rispetto alle loro specifiche capacità e funzionamenti,  dall’altra la possibilità  di instaurare  dei rapporti collaborativi per superare ostacoli e problemi  che le singole regioni si possono dovere trovare ad affrontare in ambito di programmazione e di gestione dei servizi.
 
Risposta      Paola Di Giulio
 
Slanzi mi chiedeva se c’è un’alternativa alle ISO 9000.
Vorrei rispondere alla domanda che mi è stata fatta con un esempio.
Si sta parlando di ambiente terapeutico, che è una delle caratteristiche importanti di qualità dell’assistenza e che ottiene anche risultati molto buoni sul paziente.
Questa è una delle pochissime sperimentazioni cliniche fatte da infermieri in Europa, è stata condotta in Inghilterra su un gruppo di pazienti critico per aspetti diversi dai vostri pazienti critici.
Sono pazienti con cancro del polmone operati, che avevano completato il trattamento e che avevano ancora dispnea.
Questi pazienti sono stati randomizzati a due gruppi, ( la ricerca è stata fatta in 6 ospedali diversi ), e sono stati assistiti con l’assistenza di routine oppure con un ambiente che è stato impostato in modo da modificare la filosofia che c’è di solito in Ospedale.
L’ospedale di solito è centrato sulla cura e sul trattamento e come diceva il collega di Grosseto, credo, si occupa poco della persona; un ambiente terapeutico è un ambiente che mette al centro la persona.
Questi pazienti venivano seguiti una volta alla settimana in questo ambulatorio infermieristico e l’intervento consisteva in queste variabili: veniva fatta una valutazione dettagliata della dispnea, fornita su consigli ai pazienti e alla famiglia su come gestirla, si lavorava con il paziente sul significato che il paziente dava alla dispnea, su esercizi e tecniche di controllo del respiro, sulla definizione degli obiettivi specifici sul paziente e sul  riconoscimento di problemi che richiedono interventi medici e farmacologici.
Dopo otto settimane, con una sola visita alla settimana, i pazienti assistiti nel gruppo sperimentale avevano avuto esiti migliori in 5 degli 11 items valutati tra cui la dispnea, lo stato di performance, la depressione e altri sintomi.
La mia avversione, per alcuni aspetti, rispetto alle ISO 9000 è legata al fatto che molti di questi aspetti non sono proceduralizzabili e proceduralizzando tutto si rischia di perdere di vista quelli che sono i contenuti importanti per l’assistenza.
Si può comunque migliorare l’assistenza identificando i problemi, definendo quelli che sono gli obiettivi principali, identificando alcune categorie a rischio e lavorando su queste categorie a rischio per definire quali sono i processi che vanno proceduralizzati, perché ce ne sono alcuni che vanno necessariamente proceduralizzati, ma lo sforzo fatto per produrre i manuali da ottomila criteri non è commensurato ai benefici che se ne ricavano e proceduralizzare tutto rischia di rendere burocratiche e farraginose una serie di procedure che invece richiedono una visione globale, capacità di scelta, capacità di interazione e anche a volte di bypassare alcuni meccanismi.
Era in questo senso che avevo fatto questo intervento critico sull’ISO 9000, è un problema soprattutto di logiche e di rapporti costi/benefici.
 
Risposta      Elio Drigo
 
Volevo rispondere brevemente alla collega di Orbassano che ha l’impressione di trovarsi in un altro mondo e che non esistano processi di integrazione a livello di aziende, tra professionisti ed interprofessionali.
Io posso portare una  piccola esperienza , ma credo che ce ne siano molte simili, vissute dalle persone presenti in sala  che forse non sono emerse.
All’Ospedale di Udine, ad esempio, nell’azienda sanitaria locale, è stata istituita una scheda infermieristica di dimissione del malato verso il territorio che riesce a passare le comunicazioni riguardo a quello che è stato elaborato e fatto nei confronti del malato in Ospedale in modo da creare la continuità assistenziale con il territorio e viceversa, per cui anche dal territorio la scheda del malato già seguito finisce in ospedale seguendo il malato e crea questa continuità.
Chiaramente questo è uno strumento di integrazione molto importante, anche se  l’esperienza  è appena partita, tra gli infermieri dell’ospedale e gli infermieri del territorio, ma che coinvolge direttamente anche i medici, perché anche i medici sono stati coinvolti in questo progetto.
Questo è un piccolissimo esempio.
Un altro esempio: nell’ospedale di Udine Santa Maria della Misericordia sono stati istituiti, per iniziativa degli infermieri attraverso il consiglio dei sanitari, sette gruppi di lavoro su sette linee guida ritenute prioritarie all’interno dell’ospedale e incidenti sull’organizzazione, il recupero di risorse e la razionalità dei processi: sette linee guida per definire come i processi diagnostici, terapeutici ed assistenziali devono essere fatti nei confronti di sette patologie ritenute prioritarie.
Si è partiti dalla ricerca bibliografica internazionale per l’ individuazione delle linee guida e il collegamento tra i processi diagnostico – terapeutici ed assistenziali in modo tale da mettere insieme quelli che sono i dettami scientifici con quelle che sono le risorse realmente disponibili e quindi arrivare a risultati raggiunti e non soltanto proclamati.
Sono solo due piccoli esempi ma direi che potrebbe essere interessante anche conoscere queste realtà.
Lancio un’idea che mi viene in mente adesso: utilizziamo magari lo spazio dell’ANIARTI POINT, che è abbastanza vasto, per diffondere queste informazioni, questi aspetti positivi.
 
Interviene    Prof.Martinelli 
 
Sono stato un po’ chiamato in causa, non mi sono mosso di qua perché, ve lo dico proprio con molta sincerità, ero sicuro che avrei appreso qualcosa, avrei sentito qualcosa di stimolante, avrei potuto recepire, da quelle che sono state le relazioni e gli interventi,  qualcosa di concreto e di pregnante.
Intanto questo percorso dell’accreditamento, che è un percorso estremamente delicato, non lo si realizzi, non  lo si identifichi solo con  l’area critica!
Non perdiamo di vista il mare magnum di tutto l’accreditamento di  un nosocomio, come si suol dire, e quindi incentrare l’attenzione in maniera concreta, in maniera pregnante così come è stato fatto, credo sia una cosa estremamente fatta bene.
L’accreditamento è da fare insieme, certamente da fare insieme, infermieri e medici in maniera collegiale e collettiva.
Perché credo nell’accreditamento? Perché è un metro, è una maniera oggettiva attraverso la quale si perde quella che è un po’ l’autoreferenzialità: “io mi chiamo Martinelli, ho un centro di Rianimazione molto bello”… e come fai a dirlo? Perché lo dico io? No, adesso vediamo un pochino di perdere la nostra autoreferenzialità;  credo che Fiamminghi si riferisse proprio a questo, a togliere questa patina di autoreferenzialità,  a dare in un certo qual modo, come è stato anche detto da alcuni interventi molto belli e puntuali, quello che effettivamente è uno strumento di misura che possa dire oggettivamente, criticamente, se quell’ambiente funziona o deve migliorare; certamente dovrà migliorare!
Vi dico rapidissimamente questa mia esperienza: io sono il Direttore della Scuola di Specialità di Anestesia e Rianimazione dell’Università di Bologna.
C’è stato un istante in cui io volevo chiudere la Scuola di Specialità, perché mi sembrava che qualche cosa stridesse, ma prima di chiudere mi sono anch’io rivolto all’ISO-9000, a quella certificazione attraverso la quale ho potuto vedere dove c’era la possibilità di migliorare e di realizzare un qualcosa entro cui confrontarmi, rispecchiarmi; quindi la scuola l’ho tenuta aperta.
Ora se è questo l’indirizzo, bella questa tavola rotonda, si vada avanti in questi termini, coinvolgeteci!
La mia presenza qui c’è stata proprio perché, avendo visto questo argomento, dico: facciamo insieme questa strada!
E poi chiedo a Di Giulio:  molto bello quello che lei dice, però vedo e ho avuto questa sensazione, se sbaglio correggetemi, che tutto quel po’ che si è fatto fino adesso, è stato fatto a livello personale, volontaristico,  un pochino solo alcune regioni hanno dato qualche vagito, ma con un silenzio del centro, lì dove si fanno le leggi e poi non arrivano i decreti attuativi.
Vi ringrazio veramente per la gentile ospitalità e per quello che mi avete dato oggi.
 
Risposta           Meris  Fiamminghi        
 
Rispondo alla collega e spero di avere interpretato bene l’intervento che hai fatto.
Quello che io ho detto non è decidere quali risultati vogliamo ottenere. Io ho detto decidere quale servizio vogliamo erogare, è un po’ diverso, ed in ogni caso ci è richiesto di rendere conto dei risultati che noi otteniamo, e questo è il primo aspetto.
Il secondo aspetto è che esiste un modello ideale di erogazione dell’assistenza infermieristica  che sappiamo perfettamente essere difficilmente realizzabile oggi in almeno il 95% delle realtà  organizzative nelle quali ci troviamo ad operare.
Con questo voglio dire  che non devono  essere dimenticati da parte degli infermieri né i principi, né i valori, né il modello ideale di assistenza infermieristica da erogare.
Ciò che dico è che in tutto questo movimento legato all’accreditamento, nel quale  c’è un movimento forte sulle procedure e  su una serie di cose  si deve  diventare degli attori protagonisti, senza rimanere delle comparse perché in ogni caso, collega,  o lo facciamo noi o la fa qualcun altro per noi.
E’ vero, quello che abbiamo poteva essere fatto meglio,  è vero che l’Australia, la Nuova Zelanda, l’Olanda non sono  partiti così, però è vero che l’Italia è questa.
Allora l’Italia è questa, l’Italia ci chiede questo!  Che cosa vogliamo fare di ciò che ci viene chiesto?
E’ questo ciò che io sto dicendo,  qual è il tipo di assistenza infermieristica che vogliamo erogare?
Siccome non la possiamo fare a 360° con i 14 bisogni, decidiamo e dichiariamo nelle Carte dei Servizi quello che vogliamo erogare; poi ci mettiamo lì e scriviamo :  anzi prima di scriverlo, è meglio farlo, perché una volta scritto il contratto va onorato.
Quindi prima di scrivere nelle Carte dei Servizi che tipo di assistenza vogliamo erogare, bisogna cominciare a guardare e a decidere che tipo di assistenza infermieristica  vogliamo erogare, perché se noi eroghiamo solamente quella legata all’applicazione di procedure diagnostico-terapeutiche va bene,  però lo dobbiamo dire.
Se vogliamo possiamo aggiungere ulteriori elementi, il bisogno di privacy, piuttosto che l’interazione, piuttosto che quella bella cosa che diceva Di Giulio dell’ambiente super extra,  per cui uno anche se ha un cancro al polmone sta benissimo,
Però decidiamo cosa vogliamo fare, perché non abbiamo ne il tempo, né i soldi, né più il fiato per riuscire a fare tutto.
Perché chi ha già provato  io li vedo, ci sono degli esempi lì in prima fila, chiedete quanto fiato hanno e quanta corsa  stanno facendo per fare questo, perché per fare questo vuole dire che devi cambiare le  ruote della macchina mentre la macchina va e le devi cambiare tutte e quattro.
Allora se le dobbiamo cambiare tutte e quattro, decidiamo almeno dove deve andare la macchina, che ci sia un qualche cosa di fisso. 
I risultati sono comunque una cosa che deve essere resa disponibile, evidente; i risultati li vedremo, le linee guida  ci aiutano a capire quali sono i risultati che possiamo perseguire o i risultati attesi che ci attendiamo dalle cose,  poi valuteremo lo scarto tra l’uno e l’altro e  attiveremo le necessarie azioni di miglioramento.
Questo è l’accreditamento, e comunque ti assicuro che secondo me fa prima a cambiare la cultura, che il modo di organizzare di lavoro degli infermieri.   
Questo te lo dico con un peso sullo stomaco terrificante e  dico:  ma qual è il modo?
Il modo è girarsi come i guanti e capire che cosa vogliamo dare dell’assistenza infermieristica.
Da lì partire, non da quello che si fa ,dal piano delle attività, perché il discorso è: se noi capiamo che assistenza infermieristica vogliamo fornire, poi valuteremo i risultati e comunque mentre guardiamo il piano delle attività ci renderemo conto che alcune cose son da fare ancora ma  altre non sono da fare più, e sono totalmente inutili, che si fanno solo perché si è sempre fatto così  e rappresentano il   30% della spesa, dello spreco, su 10 miliardi sono tre miliardi, un infermiere costa cinque milioni al mese, fate i vostri conti!!
E’ questo che sto dicendo, questo è il mio sgradevole ruolo su questo tavolo, io sono qui e devo anche parlare di soldi!!

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10/09/2000