Atti dei congressi nazionali

1999

Sessione 2 - relazione 11
Valutazione del clima organizzativo e collaborativo ed effetti

sugli esiti dei pazienti.

I.P.  A.F.D.  A. Di Nuccio (1), V.I. Dr. D. Schiavo (2),

I.P. A.F.D. D.A.I. C. Alizieri (3), I.P. V. Argenziano (4), I.P.

A.F.D. E. Cocco(5), I.P. F. Perretta (6), I.P. C. Sollo (7).

(1)       U.O. di Rianimazione - Ospedale "San Rocco" Sessa Aurunca A.S.L. CE/2.

(2)       U.O. di Terapia Intensiva Neonatale - Azienda Ospedaliera Caserta.

(3)       Direzione Sanitaria - Azienda Ospedaliera Caserta.

(4)       U.O. di Rianimazione - Azienda Ospedaliera Caserta.

(5)       U.O. di Pronto Soccorso - Azienda Ospedaliera Caserta.

(6)       U.O. di Rianimazione - Azienda Ospedaliera Caserta.

(7)       U.O. di Terapia Intensiva Neonatale - Azienda Ospedaliera Caserta.

Fino a che punto, la cooperazione e l'organizzazione all'interno di una struttura come le Unità di Cura Intensive (ICU) riescono ad influenzare gli esiti di un paziente ?  Alcuni studi mettono in luce la relazione tra   questi due aspetti: 

Ø      A.    Nello studio di Aiken e al. (1994) [1] é stato evidenziato che negli  ospedali in cui c'era un buon clima organizzativo, si riduceva anche la mortalità dei pazienti, mediamente del

              4.6%,  rispetto agli ospedali di controllo.

             Le variabili che distinguevano gli ospedali con un buon clima   organizzativo, erano le  seguenti: 

* avere un infermiere caposervizio in posizione forte;

* rispetto per la figura dell'infermiere;

* buona comunicazione interpersonale tra gli infermieri e tra infermieri e   medici;

* uso di protocolli assistenziali.

 Ø      B.  Langhorn [2] nella sua meta-analisi sulle unità specialistiche di ricovero  per l'assistenza dei pazienti con ictus (Stroke Unit) che metteva a confronto l'assistenza erogata ai pazienti con ictus da un'équipe  multidisciplinare (stroke unit), rispetto a quella fornita dalla normale équipe dei reparti di medicina interna. La stroke unit non è  necessariamente un reparto di  assistenza, ma può essere un'unità di trattamento che coordina l'assistenza ai pazienti con ictus,   indipendentemente dal fatto che questi siano assistiti in un reparto di   neurologia, medicina o   terapia intensiva. I pazienti seguiti da una Stroke Unit hanno una riduzione globale  del 23%  nel rischio di decesso. Quindi, coordinamento e presa in carico del  paziente con ictus, in fase acuta, sono le variabili che hanno effetti  importanti, anche sulla mortalità ed aumentano la probabilità per questi pazienti di tornare a vivere a casa. Questa meta-analisi sottolinea l'importanza di un'équipe specialistica e   multidisciplinare, ma  anche della continuità dell'assistenza e    dell'organizzazione.

Ø      C.  Nei reparti in cui vengono adottati protocolli  per ridurre i tempi di   intubazione endotracheale,   i giorni di degenza in ICU, le infezioni   respiratorie e della ferita chirurgica, nonché i costi e la  degenza media   la riabilitazione è più veloce. In un anno furono esaminati 303  interventi  cardiochirurgia: prima della realizzazione del programma di  riabilitazione i pazienti permanevano 3.3 giorni in ICU, ed il ricovero durava 9.3 giorni dopo l'intervento; con il programma di recupero rapido dei pazienti cardiochirurgici [3], essi venivano dimessi in  quarta giornata. Elementi del programma di riabilitazione erano:

à        la presa in carico del paziente durante la fase acuta della malattia 

à              partecipazione al programma di una équipe multidisciplinare: (cardiochirurghi, anestesisti, gruppo infermieristico, coordinatori clinici  degli infermieri e il direttore della cura del paziente (the patient care  manager);

à              utilizzo di servizi di supporto quali: l’assistenza domiciliare, servizio sociale, assistenza religiosa, dietisti, farmacia, riabilitazione  cardiologica;

 à        il coinvolgimento della figura del perfusionista e dei terapisti   della respirazione nel trattamento del paziente;

à              la formazione e l'informazione degli operatori per aumentare l'entusiasmo e l'aderenza al progetto, mediante programmi per comunicare al  personale i progressi del paziente, affinché fosse da incentivo per   l'équipe impegnata nel programma.

Questo programma di recupero rapido ha comportato la riduzione   della durata dell'intubazione endotracheale (e quindi dei giorni di   permanenza in una ICU) da 2.2 giorni a 17 ore. Il 17% dei pazienti veniva estubato lo stesso giorno dell'intervento. I pazienti ed i loro familiari hanno apprezzato il programma di recupero  rapido, sia per la riduzione dei giorni di degenza, ma anche per il buon  livello informativo-formativo del paziente e della famiglia.  I rapporti con  il personale infermieristico domiciliare, risultavano ottimi: l'efficacia  del programma è attribuibile alla presa in carico del paziente, da parte  degli infermieri, dopo la dimissione. Il paziente si sentiva trattato con rispetto ed aveva fiducia dell'équipe  che lo aveva in cura, tanto che il  100% degli intervistati riteneva di  consigliare ad altre persone il Centro dove era stato trattato. Quindi l'organizzazione attenta ed il buon clima collaborativo in un team   multidisciplinare sono i presupposti indispensabili per la realizzazione di  programmi di questo tipo. 

Lo Studio EURICUS  I [4]

La Fondazione per la Ricerca sulle Cure Intensive in Europa (FRICE) ha   disegnato un progetto di ricerca, il Progetto Euricus I, per studiare l'effetto dell'organizzazione e della gestione sull'efficacia delle ICU  nei Paesi della Comunità Europea (EC) ed in particolare la relazione tra performance clinica e variabili organizzative. Nelle Unità di terapia Intensiva esiste un alto carico di lavoro in   situazione di incertezza, determinata  dalla variabilità delle condizioni  dei pazienti, dalla loro criticità, ma anche da problemi strutturali quali la mancanza di tempi e spazi per la comunicazione ed il dialogo, i ritmi  concitati di lavoro etc. Generalmente, dove esiste una alta componente tecnologica esiste anche una  maggiore suddivisione di  compiti (tipo catena di montaggio: tutti sanno  cosa fa l'altro).In terapia intensiva l'aumento della tecnologia  disponibile aumenta il carico di lavoro ed anche la complessità dei   pazienti che possono essere trattati e non è semplice definire chi fa che  cosa. Il lavoro per protocolli rigidi e la rigida suddivisione dei compiti sono  presenti dove esistono flussi di  lavoro fissi e professionalità non elevate  (il protocollo, per definizione, limita gli spazi decisionali  degli  operatori). Questa rigidità determina una maggiore efficienza perché sono  chiare le suddivisioni dei compiti e le distinzioni tra le diverse figure. In terapia intensiva il livello di professionalità di tutti gli operatori  è elevato, è necessariamente prevista una costante interazione tra le  diverse figure e non è possibile definire spazi operativi rigidi  tra medici  ed infermieri. Questo presuppone un clima organizzativo di tipo flessibile,  con un interscambio di  compiti tra i  vari membri dello staff. 

Il Sottostudio sull’Organizzazione del Progetto EURICUS I

Lo studio EURICUS I  fu diviso in 5 sottostudi: 

1)      Pazienti e risorse;

2)      Organizzazione;

3)      Personale;

4)      Cultura nelle ICU;

5)      Finanze.

Nel sottostudio Organizzazione, i risultati indicano l'importanza della standardizzazione di aspetti quali: 

*          la differenziazione del compito, cioè la presenza di job description e la suddivisione dei compiti tra medici ed infermieri;

*          il livello di qualifica del personale;

*          la centralizzazione del potere decisionale;

*          la standardizzazione dei compiti;

*          la performance clinica delle ICU, considerata l'unica variabile dipendente.

Il sottostudio organizzazione ha mostrato che la standardizzazione è stata  correlata positivamente con  il rendimento. Le variabili incluse nella  descrizione scritta, relativa alla standardizzazione dei lavori  professionali rilevati nelle ICU sono: la valutazione strutturata del   rendimento professionale dei membri dello staff  interessato. Oltre a ciò   sono stati dimostrati altri aspetti della standardizzazione nelle ICU come  gli incontri clinici formali giornalieri, protocolli clinici scritti e l'esistenza di incontri dello staff fisso, per discutere  dei risultati  dell'Organizzazione & Managment delle ICU che sono significativamente e positivamente  associati con  il rendimento clinico dell'unità. L'associazione della differenziazione dei compiti e la centralizzazione del potere decisionale, con la performance dell'ICU è forse uno dei risultati  più importanti di Euricus I. Sebbene la  standardizzazione riduca  l'incertezza relativa ai compiti ed al flusso di lavoro nell'ICU, l'incertezza è principalmente dipendente dalle condizioni cliniche dei pazienti e dalla cura richiesta, incluso l'uso delle tecnologie. E' stato  provato che una migliore performance della ICU aveva un livello di  differenziazione dei compiti più basso ed un livello più basso di  centralizzazione del potere decisionale , con un conseguente aumento  dell'autonomia professionale.Ritornando allo studio ERICUS I, su un campione di 77 ICU prese in esame è  emersa la  seguente percentuale di Infermieri con formazione specifica in  area critica: 

in 26 ICU ha la specializzazione il 5 

 in 24 tra il 5 ed il 50%

 in 24 >al 50%.

Più elevata è la qualifica del personale, migliore è la  performance.Per valutare la relazione tra organizzazione e performance sono stati  esaminati i processi di ammissione-dimissione, la prescrizione della  profilassi antibiotica e la prevenzione delle lesioni da decubito. La decisione della profilassi antibiotica viene presa dai  medici, mentre per la prevenzione delle lesioni da decubito gli infermieri vengono  coinvolti nella decisione nel 70% delle 76 ICU osservate. Nel rimanente  30% la decisione viene presa dai medici o dal solo primario.Per l'ammissione-dimissione dei pazienti gli infermieri vengono coinvolti  solo nel 22% delle ICU analizzate. La standardizzazione è stata misurata cercando di stabilire se le ICU avessero descrizioni, criteri scritti per le varie funzioni, sia mediche  che infermieristiche. La descrizioni delle funzioni (anche se queste non venivano necessariamente  rispettate) era più frequente negli ospedali universitari. In tutti i tipi di ICU, dagli ospedali più piccoli con < 300 posti letto  fino a quelli grandi con più di 500  posti letto e quelli universitari, i  protocolli assistenziali sono presenti ed utilizzati:

- in 48 ICU (circa il 63%) l'uso era frequente;

- in 18 ICU (23%) venivano  utilizzati solo qualche volta;

- nelle restanti 11 ICU (14%) raramente.

Dopo aver corretto per tipo di ICU, la grandezza, i posti letto e la  tecnologia delle apparecchiature e la gravità clinica dei pazienti trattati  emergeva che, dove c'è un margine di sovrapposizione nelle attività svolte  da medici ed infermieri, dove gli infermieri vengono più  coinvolti nelle decisioni  e dove esiste una maggiore aderenza ai protocolli assistenziali  c'è anche una migliore performance clinica.La collaborazione in un Team L'area critica si differenzia da altri ambiti, proprio per la assoluta  necessità di un lavoro di équipe. I motivi per cui questo non é un  obiettivo sempre raggiungibile sono stati brevemente elencati nel paragrafo  precedente. L'infermiere ha un ruolo fondamentale nell'assistenza diretta al paziente: costituisce il 90% del personale delle ICU e si trova spesso a svolgere  attività, sovrapponibili a quelle mediche. Nelle aree intensive può  esistere, per definizione, una certa sovrapposizione, perché gli interventi assistenziali possono richiedere tempestività e immediatezza, non  differibili. Chi lavora in reparti intensivi deve essere in grado di  identificare il deterioramento delle condizioni del  paziente ed intervenire  rapidamente. Terence English (1997) [5]  descrive come gli infermieri abbiano iniziato a  svolgere alcuni compiti che  prima erano dei medici. La sua esperienza con  il team di trapianto cardiaco di Cambridge gli ha insegnato come sia  importante per infermieri, medici ed altre figure professionali lavorare  sempre uniti.Ma gli ha fatto comprendere anche le difficoltà, infatti, egli avverte che se non c'è dialogo e fiducia tra i gruppi, uno o più di  questi è probabile si senta minacciato dal fatto che gli infermieri suggeriscano ai medici come modificare i parametri ventilatori dei pazienti  o i medici possano dire come mobilizzare il paziente.Una strada che si potrebbe percorrere per comprendersi è quella di un percorso formativo unitario, che porti ad una maggiore comprensione dei  ruoli e ad una migliore comunicazione e condivisione delle decisioni.In uno studio retrospettivo su 13 terapie intensive Knaus e altri del 1986  [6] evidenzia come dove esiste  un buon clima di comunicazione e  coinvolgimento reciproco nelle scelte si riduca anche la mortalità  dei  pazienti.Il Nazional Committee for Joint Practice (NCJP) [8]identificò gli elementi  essenziali per un buon clima collaborativo nelle ICU:

-               integrazione dei dati del paziente, quale interscambio di  informazioni medico/infermieristiche 

-          incoraggiamento alle decisioni critiche degli infermieri;

-          l'esistenza di un comitato congiunto per la collaborazione nella ICU;

-          una revisione congiunta delle cure al paziente.

La collaborazione tra infermieri e medici è stata sostenuta specificamente  per le ICU.L'American Association of Critical Care Nurses (AACN) e la Society of   Critical Care Medicine autorizzarono un gruppo di lavoro per identificare  il principale elemento per la collaborazione nelle ICU. Il NIH Consensus Conference on Critical Care raccomandò che le  ICU fossero organizzate per "promuovere e richiedere che infermieri e  medici lavorassero insieme come colleghi a tutti i livelli". La Joint   Commission on Accreditation of Hospitals ammise l'importanza della  collaborazione nelle terapie intensive richiedendo che le ICU fossero  guidate da una commissione multidisciplinare di infermieri e medici.[7] Il teorico organizzativo Thompson,[7] fornisce una descrizione di tre tipi  di interdipendenza fra le organizzazioni, ognuna più complessa della  precedente, che  coinvolgendo aspetti del tipo precedente  ed ognuna  richiedendo una coordinazione a complessità crescente. La più complessa  forma è l'interdipendenza reciproca, dove gli output di ogni lavoratore diventano input per altri in modo continuativo. L'interdipendenza reciproca  assomiglia strettamente alla collaborazione. La stessa necessità esiste per  la comunicazione, con la condivisione e le reciprocità fra i membri del gruppo di lavoro, i quali insieme cooperano. La dipendenza reciproca assomiglia strettamente alla collaborazione: gli  infermieri e medici lavorano insieme cooperando e condividendo la  responsabilità per la risoluzione dei problemi, formulando ed attuando i  piani di assistenza.[9] 

Conclusioni

Nonostante si affermi ripetutamente l'importanza della collaborazione come  aspetto fondamentale per  il lavoro nelle Terapie intensive, non è facile  dimostrare con sicurezza quali siano gli effetti sul paziente. Il concetto  di collaborazione è infatti complesso e gli esiti sono influenzati da  numerose variabili  (numero e qualifica del personale, tipologia dei pazienti  etc.).  Lewis Thomas descrive l'infermiere di oggi, come la colla che mantiene  unito il sistema ospedaliero  odierno, fortemente specializzato, anche se  molto spesso frammentato. La professione, e ancor di più i pazienti, traggono maggiori vantaggi da una collaborazione più stretta.Fagin CM [10] affermò che la collaborazione tra infermieri e medici non è  una alternativa, ma una necessità, se si ambisce ad una cura sanitaria  responsabile. Possiamo concludere dicendo che collaborare è il modo più positivo per  raggiungere un obiettivo e per risolvere i conflitti interpersonali, che  comunque si creano in seno ad un gruppo, c'è  quindi anche  bisogno di  migliorare le qualità comunicative, riconoscendo e rispettando lo specifico apporto di ogni  figura professionale all'interno dell'équipe.  Questo è importante perché, se la collaborazione è un processo di  individui o di istituzioni che lavorano insieme per la realizzazione di un  obiettivo comune, implica una messa in discussione continua e critica delle  capacità comunicative e relazionali di ognuno dei membri dell’équipe.

Bibliografia

1.         Aiken L, Smith HL, Lake ET. Lower Medicare Mortality Among a Set of  Hospitals know for Good Nursing Care.  Medical Care 1994; 32: 771-778.

 2.         Langhorne P. Asystematic review of specialist multidisciplinary team (stroke unit) care for stroke in patients. The Cochrane Database of  Systematic Reviews   1995, Issue 1.

3         Riddle M, Castanis JL, Dunstan JL. A Rapid Recovery Program For  Cardiac Surgery Patients.American Journal of Critical Care 1996; 5: 152-159.

4.       Miranda DR, Ryan DW, Fidler V, Schanfeli WB. Organization and Management of Intensive Care: a prospective study in 12 European countries. Sprinter-Verlag Berlin Heidelberg 1998. 

5        English T. Personal Paper. Medicine in the 1990s needs a team approach. BMJ 1997; 314:661-663.

6       Knaus WA, Draper EA, Zimmerman JE, Wagner DP. An evalutation of outcome from intensive care in major medical centers. Ann. Intern. Med. 1986;  104:410-418.

7      Taylor JS. Collaborative practive within the intensive care unit: a deconstruction. Intensive Critical Care Nurse 1996; 12: 64-70.

8.     Baggs JG. ICU use and nurse-physician collaboration Heart Lung 1989; 18:332-338.

9.     Casey N, Smith R. Bringing nurses and doctors closer together (Greater  cooperation  will benefit  patient). BMJ 1997; 314:617-618. 

10.    Keough V, Holm K Marshall W, Jennrich J.  A Collaborative program for advanced practice in Trauma/ Critical care nursing. Critical Care Nurse 1996; 16:120-127.

 

 

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18/12/2000