Atti dei congressi nazionali

1999

Sessione 2 - relazione 7

Tecniche di Rianimazione Cardiopolmonare

Zanoli Laila

  I.P. – U.T.I.C. - Ospedale SS.Trinità - Azienda U.S.L. N° 8 – CAGLIARI

  Ennas Corrado

I.P. – U.T.I.C. - Ospedale SS.Trinità - Azienda U.S.L. N° 8 – CAGLIARI

 

 

 

 
Introduzione

Il nostro intento, alla luce della letteratura esaminata, è stato quello di riuscire ad affermare quali siano i passi indispensabili nel soccorso pre-ospedaliero, l’attendibilità e l’affidabilità delle precise raccomandazioni fornite dalle linee-guida dell’AHA e dell’ERC. Nessuna emergenza medica è più drammatica della morte improvvisa da arresto cardiaco fuori ospedale. I fattori più importanti associati ad una sopravvivenza senza esiti neurologici dopo arresto cardiaco (AC) fuori ospedale sono:

·        La presenza di un testimone all’evento;

·        La fibrillazione ventricolare (FV) come ritmo di presentazione;

·        Il pronto avvio della RCP da parte di un soccorritore presente ( “bystander”)

·        Il tempo di intervento con mezzi di soccorso avanzato (Ruskin 1988).

Sopravvivenza e rianimazione cardiopolmonare

Weaver et al. (1986) hanno calcolato che la sopravvivenza si riduce del 3% per ogni minuto di ritardo nell’avvio della rianimazione cardiopolmonare e del 4% per ogni minuto trascorso prima del primo shock erogato dal defibrillatore. È stata verificata da Cummins ed Eisenberg (1985) la correlazione tra sopravvivenza e precoce avvio della RCP da parte di comuni cittadini addestrati in 9 comunità con differenti sistemi di intervento: in questi studi controllati il tasso di sopravvivenza è sempre più che raddoppiato dal pronto avvio della RCP ed inoltre la RCP sembra mantenere un maggior numero di vittime in fibrillazione ventricolare fino all’arrivo delle unità di intervento, evitando la tendenza della FV a convertirsi in asistolia  o in un’attività elettrica senza polso (PEA) che ha una prognosi decisamente peggiore (Fig. 1).  La RCP di base eseguita in attesa di un defibrillatore è in grado di prolungare la durata della FV e contribuisce a preservare le funzioni cerebrali rallentandone il deterioramento, poiché  l’applicazione precoce delle tecniche di BLS rallenta l’evoluzione della morte clinica a quella biologica. Anche Ritter et al. (1985) analizzando 2142 casi di intervento per arresto cardiaco in tre aree dell’Ohio e del Michigan, hanno trovato che, quando la RCP è iniziata da soccorritori presenti sul luogo, il 22,9% delle vittime vengono ammesse vive in ospedale e l’11,9% vengono dimesse vive; nei casi senza avvio di RCP le percentuali sono rispettivamente pari al 14,6% e al 4,7%. Nelle linee guida dell’AHA del 1986 si precisa che in mancanza di una RCP prontamente eseguita, la sopravvivenza delle vittime con arresto cardiaco extra-ospedaliero è improbabile, anche con unità di intervento dotate di personale addestrato e con un tempo di risposta rapido. Dati raccolti in diverse parti del mondo hanno confermato il ruolo del pronto avvio della rianimazione cardiopolmonare nell’aumentare la sopravvivenza delle vittime con arresto cardiaco fuori ospedale, in genere raddoppiando almeno la percentuale dei dimessi vivi e senza esiti neurologici (Eisenberg et al. 1979, Cummins et al. 1986, Van Hoeyweghen et al. 1993).


 


 
  Fig. 1 – Avvio precoce della RCP di base per evitare la conversione della fibrillazione           ventricolare in asistolia.

Si è calcolato che l’applicazione di RCP da parte di soccorritori presenti sulla scena dell’evento equivale ad un guadagno di 4 min. nel tempo di soccorso (Eisenberg et al.1979).  Nonostante ciò negli ultimi 10 anni nell’area suburbana di Pittsburgh è stata registrata una riduzione di circa il 50% degli interventi di RCP da parte dei comuni cittadini presenti all’evento (Mossesso 1997, Valenzuela 1992). La sopravvivenza è determinata dal complesso rapporto tra quelli che vengono definiti i “fattori legati al caso” (età, sesso, eventuale cardiopatia o patologia sottostante, presenza di testimoni) e i “fattori influenzabili da programmi” (tempo di risposta del sistema di emergenza, immediato avvio delle manovre di rianimazione cardiopolmonare, rapida disponibilità di defibrillazione elettrica). Sono state fatte diverse supposizioni nel tentativo di spiegare il motivo della scarsa sopravvivenza fuori ospedale. Klingler (1994) ritiene verosimile che la bassa sopravvivenza dipenda dalla tecnica della CTE che ha il limite di non fornire una adeguata perfusione coronarica e cerebrale (Paradis1989; Chandra 1990), ma può essere condizionata dal tipo di risposta fornito dal sistema d’emergenza territoriale (Weaver et al. 1986, AHA 1992, ERC 1992), e un altro aspetto non trascurabile è determinato dall’influenza che può avere l’addestramento e le motivazioni personali dell’équipe che opera sui mezzi di soccorso territoriale. Nonostante sia fuori discussione che uno schema per la RCP deve essere integrato in un sistema di pronto intervento efficace e con risposta rapida, dotato di personale addestrato ed autorizzato ad impiegare le relative procedure, in particolari realtà può essere utile cominciare da uno schema di RCP orientato alla comunità, in modo da favorire la realizzazione dell’anello della “catena della sopravvivenza” più significativamente importante in termini di vite salvate nell'arresto cardiaco extra-ospedaliero (Eisenberg 1979). La “catena della sopravvivenza” (Fig. 2) è una metafora con cui si evidenziano gli eventi necessari, tra loro concatenati, affinché le manovre rianimatorie possano avere esito favorevole. In questo contesto va sottolineato come la responsabilità dell’efficacia dei primi due anelli della “catena della sopravvivenza”: accertamento di una situazione di emergenza, attivazione precoce del sistema sanitario di emergenza territoriale e il supporto di base delle funzioni vitali come primo soccorso, sia di importanza fondamentale per garantire il successo degli altri due anelli è affidata a chiunque, al cittadino, al “non addetto ai lavori”, al “primo soccorritore”.

  Fig. 2 – La “catena della sopravvivenza”.     

 

Le tecniche di RCP per la popolazione

 Ciascun cittadino deve essere messo nelle condizioni di prestare correttamente un primo soccorso a chiunque ne abbia bisogno. Il programma di riferimento è quello promosso dall’AHA, aggiornato periodicamente in apposite conferenze tenute da esperti ed utilizzato universalmente per la parte relativa al primo soccorso vitale (“Basic Life Support”); garantendo così il supporto di base delle funzioni vitali,  i cui obiettivi principali sono quelli di prevenire l’evoluzione in arresto cardio-respiratorio e, in caso di arresto cardio-circolatorio, garantire la respirazione e la circolazione artificiali. Le manovre di rianimazione del BLS sono necessarie, ma possono provocare danni e vanno utilizzate solo quando realmente necessarie, dopo aver valutato con attenzione le funzioni vitali. Allo scopo di sensibilizzare i cittadini a prestare il primo soccorso, alcuni Autori hanno considerato la possibilità di semplificare l’acquisizione del BLS, con particolare riferimento alla tecnica per la ricerca del punto di compressione e posizione delle mani (Kavalieratos et al.1998) e per la valutazione del polso carotideo, importante strumento diagnostico di AC (Flesche ChW et al. 1994, Eberle et al. 1996, Bahr et al. 1997, Javier Ochoa et al. 1998). Il polso carotideo è quello più indicato per avere immediate informazioni sulla presenza od assenza di attività cardiaca. La tecnica prevede di mantenere l’iperestensione del capo (con la mano sulla fronte della vittima), con l’indice e medio dell’altra mano si ricerca il pomo d’Adamo (cartilagine tiroidea del laringe), quindi si scivola lateralmente sul collo per circa 3 cm. fino ad incontrare un piccolo infossamento immediatamente a lato della trachea, ed esercitare una lieve pressione per 5”-10” evitando di schiacciare l’arteria (Fig. 3). Nonostante le linee-guida suggeriscano la ricerca del polso entro 10 sec. (ERC entro 5 sec., AHA entro 10 sec.), alcuni studi documentano la difficoltà anche da parte degli operatori sanitari ad eseguire tale manovra nei tempi raccomandati (Flesche et al. 1994, Bahr et al. 1997).

Fig. 3 – Valutazione del polso carotideo.    

La formazione dei cittadini 

Uno studio compiuto da Morgan et al. (1996) testimonia che, dopo aver ultimato un corso di formazione solo una minoranza  delle persone (33%) potrebbe eseguire la rianimazione di base in modo appropriato e la situazione peggiora ulteriormente a distanza di 6 mesi con solo l’11%. Ciò si verifica perché la RCP di base, con l’insieme di valutazioni ed azioni conseguenti, rappresenta per le persone anziane un grande ostacolo nell’apprendimento e nell’esecuzione. Benché esista ampio consenso in letteratura nel riconoscere l’affidabilità delle linee-guida correnti per il BLS, una possibile soluzione al suddetto problema potrebbe essere quella di sintetizzare e semplificare il BLS a quattro fasi rispetto allo standard che ne prevede otto (Handley & Handley 1998), e a tale proposito sono stati allestiti diversi studi allo scopo di verificare l’efficacia della sola compressione toracica esterna (CTE) senza ventilazione durante le manovre della RCP. 

Problemi da parte dei soccorritori nell’eseguire la RCP 

La riluttanza ad eseguire la RCP sulla strada dipende essenzialmente da due fattori quali: il timore di un’eventuale contagio di malattie infettive attraverso il contatto bocca-bocca durante le manovre di BLS (Locke et al.1995), anche se ciò appare infondato poiché durante i corsi di addestramento pratico-comportamentale viene dato ampio spazio alle misure di protezione da adottare mediante adeguati dispositivi (Emergency Cardiac Care Committee and Subcommittees, American Heart Association. Guidelines for cardiopulmonary resuscitation and mergency care, II: adult basic life support,1992); circa poi la trasmissibilità di malattie contagiose al momento non esiste alcuna documentazione in letteratura (Standards and guidelines for cardiopulmonary resuscitation (CPR) and emergency cardiac care (ECC), 1986); e un altro problema è rappresentato dalla difficoltà di apprendimento per i comuni cittadini, soprattutto per gli anziani, della metodica ormai standardizzata secondo canoni precisi del BLS e validata da organismi internazionali (ERC e AHA 1992).

 Necessità della ventilazione bocca-bocca

 Negli USA, come afferma Idris in una revisione della letteratura del 1996, il dibattito verte nel capire se la ventilazione è necessaria per il trattamento dell’arresto cardiaco, se è meglio eseguire o meno la ventilazione bocca-bocca (Fig. 4) e di conseguenza se esistono altre tecniche di ventilazione che hanno più o meno lo stesso effetto della ventilazione bocca-bocca durante il BLS nella RCP (Cobb et al.1996).  Studi sperimentali su animali con arresto cardiaco hanno dimostrato che persiste un’adeguata ossigenazione ematica per i  primi 4-6 min. di fibrillazione ventricolare anche senza ventilazione attiva, e che la probabilità di successo non varia se viene effettuata una ventilazione bocca-bocca simulata nei primi 12-13 min. di arresto cardiaco con ventilazione a pressione positiva  mediante una miscela gassosa di O2 al 17% e CO2 al 4% per imitare la ventilazione bocca-bocca (Chandra et al. 1994, Wenzel et al. 1994, Noc et al. 1995, Berg et al. 1997); ma è verosimile che la durata della fibrillazione ventricolare possa essere considerato un fattore importante nella decisione di effettuare o meno la ventilazione. Nel caso di AC primario con un ritmo defibrillabile se viene eseguita una defibrillazione precoce, la RCP non è necessaria; ma non è chiaro quando si deve avviare la ventilazione e quali siano i requisiti necessari per raggiungere risultati positivi durante la RCP. (Idris 1996).

In condizione di AC prolungato non trattato la ventilazione con O2 al 100% favorisce il ripristino del circolo spontaneo (ROSC) e migliora la sopravvivenza (Idris,1996), infatti la saturazione venosa dell’O2 è correlata alla prognosi di sopravvivenza nell’AC primario e nello shock emorragico, osservando un miglioramento del pH, della PO2 e della PCO2 venosa durante la RCP nei soggetti con ripristino spontaneo del circolo (Kazarian et al. 1980; Rivers et al. 1992). Uno studio compiuto sulla composizione gassosa ottenuta dalla ventilazione bocca-bocca durante la RCP simulata a 1 e a 2 soccorritori ha evidenziato che l’aria emessa presenta una concentrazione media di CO2 del 3,5% - 4,1% e una concentrazione media di O2 del 16,6%-17,8% più bassa rispetto al tasso considerato deleterio per gli animali da laboratorio poiché l’aria contiene una concentrazione di O2 pari al 21% e di CO2 dello 0.03% (Wenzel et al. 1994). È dimostrato che l’ipossia e l’ipercapnia che può verificarsi con l’utilizzo di un otturatore esofageo posizionato nelle vie aeree ha effetti avversi sulla sopravvivenza (Ornato et al. 1985).


 

            Fig. 4 – Tecnica della ventilazione bocca-bocca.

 Rapporto ventilazione perfusione

È opinione comune da parte degli Autori che si sono occupati di RCP ACLS (Advanced Cardiac Life Support)  che un singolo soccorritore è incapace di fornire un’adeguata ventilazione utilizzando il sistema maschera-valvola-pallone, ma secondo Jesudin et al.(1985) e Wheatly et al. (1997) occorrono almeno due soccorritori: un soccorritore che mantiene la maschera collabita al viso con entrambe le mani, un secondo che comprime il pallone mentre un terzo soccorritore esegue le CTE.A questo proposito Thomas et al. (1993) hanno suggerito un diverso approccio senza l’utilizzo di un terzo soccorritore in modo che il soccorritore che pratica le CTE potrebbe anche eseguire le insufflazioni.Da ciò risulta un metodo modificato secondo cui, se da un lato con un rapporto ventilazione/compressione di 1:5 è stato dimostrato un aumento del volume corrente e della ventilazione minuto, dall’altro esiste uno svantaggio significativo della riduzione della frequenza della CTE.  Dunkley et al. (1998) in un recente studio comparativo tra RCP STD e metodo modificato con un rapporto ventilazione/compressione di 2:15 ha confermato i risultati ottenuti da Thomas et al. (1993). Sono stati inclusi 30 soggetti di sesso femminile con un’età tra i  20 e i 45 anni: 14 arruolati al gruppo RCP STD, e 16 al gruppo RCP modificato. Tutti i soggetti in studio sono stati anestetizzati secondo un protocollo standard e collegati ad un respiratore Wrights raccordato al pallone-maschera. Le manovre rianimatorie sono state eseguite sui soggetti per 4 min., garantendo una coordinazione tra ventilazione e compressione, e sottoposti in seguito a controlli clinici e strumentali. L’insieme dei dati raccolti indica che il volume corrente e la curva della pressione nella maschera facciale sono significativamente più elevate durante la RCP modificata rispetto alla RCP STD. Durante la RCP modificata è stata osservata una riduzione della frequenza respiratoria  (6 min. vs. 10 min.) ed un valore identico del volume minuto associato ad un aumento della CTE (82 min. vs. 65 min.), considerato parametro predittivo di successo nonostante le linee-guida correnti in Inghilterra (1997) suggeriscano una riduzione della CTE per il metodo modificato. 

Ruolo della sola compressione toracica esterna

La sola CTE è in grado di determinare una migliore ventilazione polmonare e scambio gassoso poiché la ventilazione potrebbe alterare l’ipercapnia intracellulare (Tenney 1974, Johnson 1991); inoltre nei primi momenti di un AC il gasping spontaneo o respiro agonico aumenterebbe l’incidenza di successo della RCP (Clark et al.1992) e la sola CTE in presenza del gasping fornirebbe un apporto di O2 sufficiente ad ottenere risultati favorevoli della prognosi (Yang et al. 1994, Tang et al. 1994, Idris et al. 1994), (Fig. 5 - 6).


 

Fig. 5 – Ricerca del punto di compressione.                         Fig. 6 – Posizione del soccorritore per il                                                                                                       massaggio cardiaco.

Nonostante il gasping, la ventilazione manuale e la ventilazione erogata dalla sola CTE possono, durante l’arresto cardiaco, determinare uno scambio gassoso, occorre ricordare l’importanza della pervietà delle vie aeree superiori (Safar 1958, Safar 1959), sebbene  alcuni Autori pur constatando un aumento del gasping e un migliorato scambio gassoso, non hanno riscontrato sostanziali differenze sulla sopravvivenza a 24 ore (Fukui et al. 1995).

I favorevoli risultati sulla sopravvivenza, ottenuti dagli studi sperimentali su animali con FV trattata con la sola CTE senza ventilazione nei primi 12-13 min. di AC, hanno portato il sottocomitato dell’AHA per il BLS e il PLS a discutere su uno statuto per i professionisti sanitari intitolata: “una rivalutazione della ventilazione bocca-bocca durante la prima fase di intervento da parte degli astanti durante la RCP”, concludendo che è prematuro modificare le attuali linee-guida di BLS dell’AHA, cioè sintetizzare a 4 fasi il protocollo di BLS: valutazione dello stato di coscienza, e quindi accesso precoce all’unità di soccorso, garantire la pervietà delle vie aeree, rilevazione del polso carotideo e la CTE escludendo la ventilazione; ma la CTE senza ventilazione bocca-bocca, in attesa dei soccorsi sanitari, diviene il trattamento di elezione rispetto al non eseguire alcuna manovra rianimatoria (Becker et al.1997).

Purtroppo, i favorevoli risultati ottenuti a livello sperimentale non sono stati confermati dagli studi clinici. Alcuni ricercatori del Safar Center  dell’Università di Pittsburgh (1998) hanno sconfessato i risultati precedenti dichiarando che la sola CTE non determina ventilazione, come rilevato da uno studio eseguito su 30 pazienti anestetizzati con polso e 12 pazienti con AC successivamente intubati, e che è praticamente impossibile una comparazione tra animali ed esseri umani per la sostanziale differenza anatomica dell’apparato respiratorio. Risulta difficile confrontare lo scambio gassoso degli animali con quello dell’uomo, e così pure si disconosce se nell’uomo il gasping è così frequente e profondo come avviene per gli animali (Idris et al.1996). Recentemente, sulla base di queste considerazioni, Kern et al. (1998) hanno pubblicato i risultati di uno studio sperimentale su 20 suini (10 animali per ciascun gruppo) confrontando il BLS standard (STD) con ventilazione bocca-bocca simulata e una via aerea pervia (il migliore scenario) ed il BLS praticato con la sola CTE in presenza di un’occlusione delle vie aeree (peggiore scenario).

Da questo studio non si sono verificate differenze sostanziali dei parametri di base: nel 2° gruppo trattato con la sola CTE è stato notato un significativo rialzo della frequenza cardiaca e dei valori pressori.

Dopo l’avvenuta riperfusione l’incidenza di sopravvivenza è risultata essere sovrapponibile in entrambi i gruppi, e lo studio dimostra ancora una volta, a sostegno di altri lavori sperimentali eseguiti precedentemente da Noc et al.(1995) e da Berg et al. (1997), che per i primi 6,5 min. di FV e quindi di AC è di fondamentale importanza, in attesa di un defibrillatore, praticare il BLS con le sole CTE provvedendo a portare un flusso ematico al miocardio e al sistema nervoso centrale. Le osservazioni di Kern et al. (1998) suggeriscono, così come aveva dimostrato precedentemente Berg in due studi (1993, 1997), che nei primi 12 min. di AC, la RCP con la sola CTE è decisamente migliore rispetto al non praticare la RCP secondo protocollo, e che la classica sequenza dell’ABC (pervietà delle vie aeree, ventilazione e circolazione) o CAB proposta precedentemente da Meursing (1983) dovrebbe essere sostituita dall’ AC-B nei soggetti con AC primario. Poiché i pazienti senza un arresto respiratorio primario hanno nei loro polmoni aria ossigenata, le due insufflazioni iniziali non risulterebbero necessarie, ma lunghi periodi di CTE prima di fermarsi per la ventilazione sarebbero più efficaci poiché durante la RCP con la sola CTE si assiste ad un aumento della pressione di perfusione coronarica.

 Tecniche alternative alla compressione toracica esterna: la compressione-decompressione attiva (ACD)

È controverso in letteratura se la compressione-decompressione attiva (ACD) possa essere  efficace nella RCP in termini di rialzo della PAS, della pressione di perfusione coronarica e cerebrale e di conseguenza della sopravvivenza nell’AC fuori ospedale.

Alcuni dati permettono di affermare l’efficacia della RCP con ACD (Fig. 7) fuori ospedale rispetto alla RCP STD (Plaisance et al. 1997) ed alcune ricerche su animali e umani hanno dimostrato che l’ACD fornisce un migliore scambio gassoso rispetto alla CTE STD (Tucker et al. 1993, Carli et al. 1994, Idris et al.1994, Shultz et al.1994).


 
Fig. 7 -  Tecnica della compressione – decompressione attiva (ACD) nella RCP  

È stato osservato che nei cani e nei suini l’aumento della pressione di perfusione coronarica è del 23-129% (Cohen et al.1992, Rivers et al. 1993, Tucker et al. 1994, Wik 1994), e si riscontra un aumento della percentuale di CO2 di fine flusso nei suini, nei cani e nell’uomo pari a 50-100% (Cohen et al. 1992, Lindner et al. 1993, Guly 1995, Orliaguet 1995, Wik et al. 1996).

Molte evidenze sperimentali convergono nel riferire che nei cani e nei suini la RCP con ACD migliora il flusso cerebrale e coronarico del 32-100% rispetto la RCP STD (Chang et al. 1994, Wik et al. 1994), e studi clinici su umani hanno dimostrato attraverso un Doppler esofageo che la RCP con ACD migliora la frazione di eiezione, la velocità sanguigna intra-mitralica e la gittata cardiaca del 82-140% (Cohen et al. 1992, Tucker et al. 1993, Pell et al. 1994, Mair et al.1994).

Le attuali linee-guida dell’ERC e dell’AHA sulla CTE non si discostano molto dalla prima descrizione fatta da Kouwenhoven et al. del 1960 (AHA 1992), e nonostante alcuni Autori abbiano proposto dei metodi alternativi per migliorare la circolazione cardiopolmonare durante la rianimazione (Chandra et al. 1980, Halperin 1993), la tecnica finora accettata è quella che prevede la compressione addominale intermittente mediante la contropulsazione aortica durante la RCP intra-ospedaliera (Sack et al. 1992). All’inizio degli anni ’90 Lurie et al. (1990) azzardano l’ipotesi che, l’impiego di un dispositivo ad aspirazione che è in grado di compiere una decompressione attiva, al contrario di quanto avviene nella CTE manuale in cui la decompressione è passiva, può migliorare la riuscita della RCP.

Successivamente Cohen (1992) ha affinato questa tecnica con l’ausilio di un dispositivo di aspirazione contenuto denominato Cardiopump, dimostrando che questo strumento non solo è in grado di eseguire la CTE ma contrariamente a quanto avviene nella RCP STD la decompressione è attiva migliorando nei suini la pressione di perfusione coronarica, la PAS, il flusso sanguigno carotideo con valori medi del 22-90% (Wik et al. 1994, 1996) e degli altri parametri respiratori (Lurie et al. 1990,Cohen et al. 1992, Orliaguet et al. 1995).

Alla luce di queste considerazioni alcuni Autori hanno ottenuto risposte incoraggianti con studi comparativi relativi all’AC in ambiente ospedaliero tra RCP con ACD   e RCP STD in cui le CTE vengono eseguite con la compressione manuale dello sterno (Cohen et al. 1993, Tucker et al. 1994), mentre altri hanno osservato risultati discordanti sull’AC fuori ospedale (Lurie et al.1994, Schwab et al. 1995, Panzer et al. 1996). Il lavoro condotto da Panzer et al. (1996) esamina una casistica di 152 pazienti adulti rianimati dopo AC documentato non secondario a trauma o a ipotermia, 70 (46%) dei quali sottoposti a RCP STD e 82 (54%) trattati mediante RCP con ACD nel periodo tra Maggio 1994 e Agosto 1995 a GØttingen dall’unità di elisoccorso e dalle unità mobili di cura intensiva previo addestramento su manichino, ed è volto a valutare l’efficacia dell’ACD (Ambu CardioPump®), ritenuto da molti  un metodo alternativo alla CTE.     Si tratta di un dispositivo di aspirazione contenuto costituito da una coppa di gomma del diametro di 13 cm. con un manico di plastica provvisto di manometro e uno stelo di raccordo. L’utilizzo del CardioPump® richiede un addestramento specifico piuttosto complesso e un aspetto non trascurabile è rappresentato dall’incremento del dispendio energetico impiegato che è superiore del 25% rispetto al protocollo standard (Shultz et al. 1995). Le linee-guida dell’AHA (1992) e dell’ERC (1992) raccomandano di posizionarlo a metà sterno con una pressione di 10-15 Kg pari a 3,8-5,1 cm. con una profondità di compressione pari a 1,5-2 cm., a una frequenza di 80-100/min. con una durata pari al 50% del ciclo secondo protocollo, mentre la decompressione attiva avviene sollevando il manico con un’aspirazione pari a 1,8-2,1 cm./0-0,5 cm. ( Ambu 1993). Gli obiettivi dello studio di Panzer (1996) sono stati il ROSC in ogni fase della RCP (Cummins et al.1991), l’ammissione in ospedale, la sopravvivenza dopo 24 ore e la dimissione ospedaliera secondo le raccomandazioni dell’Utstein Style (1991) e di altri studi (Lurie et al. 1994, Schwab et al. 1995, Solomon 1993). Lo studio retrospettivo di Panzer et al. (1996) non ha documentato significative differenze tra la RCP con ACD e la RCP STD, confermando i risultati di lavori precedenti eseguiti da Ellinger et al.(1994), da Schwab et al.(1995) e da uno studio prospettico randomizzato condotto da Mauer et al.(1996) in un sistema di intervento d’emergenza articolato in due fasi (prima fase con BLS e defibrillazione da parte di paramedici e seconda fase in cui i medici praticano ACLS) con mezzi di soccorso avanzato che ha coinvolto 220 pazienti, e rispettivamente 114 arruolati al gruppo RCP STD e 106 al gruppo RCP ACD (Plaisance et al.1995). Analizzando il sottogruppo dei pazienti con documentato ripristino spontaneo del circolo (36 pazienti con RCP STD e 49 pazienti con RCP ACD) appare evidente un risultato favorevole per la RCP con ACD, ma se si esaminano i dati sulla sopravvivenza dopo la 24^ ora ed alla dimissione, vi sarebbe un’inversione di tendenza. Solo il gruppo di pazienti con asistolia come ritmo iniziale, senza il soccorso degli astanti, ha permesso di constatare un aumento dell’incidenza della sopravvivenza, nonostante in passato l’asistolia sia stata considerata un indice predittivo di insuccesso (Eisenberg et al. 1982, Myerburg et al. 1982). Plaisance et al. (1997) hanno pubblicato risultati importanti di uno studio randomizzato con un sistema giorni dispari/pari (ACLS con ACD nei giorni dispari e ACLS STD nei giorni pari) che ha visto l’arruolamento di 512 pazienti adulti con AC fuori ospedale. Con questo lavoro sono emerse rilevanti differenze tra i 2 gruppi: il tempo impiegato per l’ACLS con ACD è stato più breve che per l’ACLS STD (26 min. vs. 29,9), i pazienti assegnati all’ACLS con ACD hanno avuto una più alta incidenza del ROSC (44,9% vs. 29,8%), la sopravvivenza a 1 ora è stata del 36,6% contro il 29,8% e dopo 24 ore del 26% contro il 13,6%, nonostante sia stato osservato un ritardo della risposta all’evento ed un’alta incidenza (81%) di asistolia rispetto ad altri studi (Cohen et al. 1993, Lurie et al. 1994, Schwab et al. 1995). 

Effetti collaterali sui pazienti trattati con ACD e sui soccorritori 

L’iniziale quadro favorevole si associa anche a una maggiore incidenza del ricovero ospedaliero pari al 33,5% nel gruppo ACLS ACD rispetto al 23,6% nel gruppo ACLS STD, la probabilità di sopravvivenza a 1 mese è stata dello 6,3% rispetto al 3,1% ed al 30° giorno il numero dei pazienti dimessi “event free” è stato del 5,5% contro l’1,9%. La comparsa di lussazioni sternali e di fratture costali nella sede di compressione toracica sono stati più frequenti nel gruppo ACLS ACD rispetto a quanto osservato da Mauer et al. con uno studio randomizzato (1996) su un campione limitato di 220 pazienti; ma in entrambi gli studi viene confermato l’elevato numero di ematomi. Recentemente Baubin et al. (1997) in un’indagine prospettica su 12 soccorritori professionisti non ha osservato differenze cliniche rilevanti in termini di performance tra la RCP con ACD eseguita in ortostatismo sopra il paziente (ACD-S) e la RCP con ACD convenzionale in cui il soccorritore si trova inginocchiato di fianco al paziente (ACD-B). Da questo studio randomizzato crociato è stato documentato che un fattore importante per la sospensione della RCP con ACD a fianco del paziente è rappresentato dal dolore agli arti superiori per il 75% dei 12 soccorritori, mentre solo il 25% ha interrotto la RCP con ACD sopra il paziente; ma il dolore a livello della colonna vertebrale è stato maggiore durante la RCP con ACD sopra il paziente rispetto al metodo di RCP con ACD di fianco al paziente (50% vs. 33%). Dai controlli clinici sui soccorritori al termine della RCP è emerso che il consumo di O2 è stato maggiore con la tecnica dell’ACD in ortostatismo sopra il paziente rispetto alla tecnica convenzionale, mentre per la frequenza cardiaca ed il livello dell’acido lattico capillare non è stata riscontrata alcuna differenza tra le due tecniche.  Alla luce di quanto esposto molto resta da definire in termini pratici su alcuni parametri come la pressione di decompressione, la frequenza di compressione, la profondità e la durata della CTE (Skogvoll e Lars 1996). 

Conclusioni  

Un intervento corretto e precoce associato ad un servizio dell’emergenza territoriale efficiente sono in gradi di ridurre le morti ed i danni secondari ad un arresto cardiaco in maniera altamente significativa. L’approccio con la sola CTE nei primi 6,5 min. di AC porta a risultati identici se la RCP viene eseguita con il BLS STD compreso di ventilazione bocca-bocca. Alla luce della letteratura esaminata e dei dati riportati riteniamo di poter affermare che il fattore più importante nel determinare una rianimazione di successo entro i primi 7 min. di collasso cardiaco è la perfusione e non la ventilazione. Un grande vantaggio del BLS con la sola CTE è rappresentato da una maggiore accettabilità e semplicità, di facile apprendimento per tutti. Sono però necessari ulteriori studi clinici per provare questi benefici anticipati. Gli interrogativi pertinenti da rileggere sulla base della letteratura che si sa essere in continua evoluzione riguardano l’effettivo ruolo che gioca la ventilazione durante la RCP:

1.      È necessario ventilare la vittima mediante ventilazione bocca-bocca o ventilazione manuale, oppure può essere evitata favorendo così una maggiore partecipazione nel primo soccorso da parte degli astanti?

2.      Esistono metodi alternativi che possano sostituire la ventilazione bocca-bocca? 

Attualmente sulla base delle evidenze finora disponibili, non è possibile difendere la RCP con la sola CTE se il soccorritore è in grado di fornire una ventilazione assistita. Un’altra questione si alza sul problema dell’accanimento terapeutico, cioè se dal punto di vista etico è giustificata l’applicazione della tecnica con ACD che è sì in grado di aumentare il tasso di sopravvivenza ma a volte solo di alcune ore o pochi giorni. Dovrebbero essere eseguiti ulteriori studi con un campione più ampio e soprattutto trials clinici randomizzati con una limitata dispersione delle informazioni, allo scopo di fare chiarezza su quale sia l’esatta quantità di ventilazione da erogare, quale sia rapporto ottimale tra ventilazione/compressione e sulle eventuali alternative alla ventilazione bocca-bocca. 

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18/12/2000