CONGRESSO NAZIONALE 2003

XXII Congresso Nazionale Aniarti

Bologna, 12 - 13 - 14 novembre 2003

Diretta 2003

Le riforme del sistema sanitario e le innovazioni nell’erogazione dell’assistenza

Nerina Dirindin

Università degli Studi di Torino

Dipartimento di Scienze Economiche e Finanziarie “G. Prato” 

 

Il settore sanitario è in continua trasformazione. Il mondo sviluppato è alla ricerca di un modello di funzionamento e di erogazione dell’assistenza sanitaria in grado di conciliare le esigenze di recupero dei valori di fondo dei sistemi di tutela della salute con gli obiettivi di responsabilizzazione e di razionalizzazione nell’impiego delle risorse. Le politiche degli inizi degli anni ’90, modellate sulle esigenze di risanamento della finanza pubblica e di contenimento della spesa sanitaria pubblica, si sono infatti dimostrate in larga parte incapaci di innescare un processo di riforma orientato prioritariamente al miglioramento dei livelli di efficacia e di equità dell’intero sistema.

Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, i paesi sviluppati non possono limitarsi ad intervenire attraverso i programmi tradizionali di contenimento della spesa pubblica (inevitabilmente destinati a produrre il semplice trasferimento degli oneri sui gruppi più deboli della popolazione), ma devono procedere in un’ottica globale, individuando risposte politiche nel contesto democratico nel quale operano i servizi, preservando l’integrità dei sistemi nazionali e favorendo l’adozione di politiche di tutela della salute che vadano oltre la semplice produzione di servizi sanitari (Oecd, 1996).

Nell’ambito di tale processo riformatore, l’esigenza di verificare i percorsi compiuti e di perfezionare i cambiamenti avviati è comune a tutti i paesi. Il quesito riguarda la capacità degli interventi relativi all’organizzazione e al finanziamento dei sistemi sanitari di migliorare i livelli di efficacia con cui i sistemi rispondono ai bisogni di salute della popolazione. Secondo una corrente di pensiero, la risposta è solo in parte confortante, perché le disfunzioni di cui soffre la sanità sono in qualche modo addebitabili alla medicina moderna, che ha favorito aspirazioni individuali e pratiche mediche destinate a mettere a dura prova il sistema sanitario e a condannarlo al collasso (Callahan). Ne discende un forte richiamo al sistema dei valori, particolarmente significativo in questo specifico momento storico e specificamente per la realtà italiana.

La crisi dei sistemi sanitari è da ricondurre alla diffusa confusione fra obiettivi da massimizzare e vincoli da rispettare (l'obiettivo degli ospedali è la cura delle malattie o il rispetto dei tetti di spesa?), alla crescente attenzione alla produttività degli input anziché all'efficacia degli output (fino a inseguire - acriticamente - l'eccellenza dei processi, a prescindere dalla loro reale utilità pratica), all'adozione di meccanismi di razionamento senza aver preliminarmente esplorato le strade della razionalizzazione degli interventi.

Benché l'attenzione al rispetto dei vincoli di bilancio, obiettivo cruciale per il mantenimento di un sistema solidaristico in un contesto di scarsità di risorse, abbia contribuito ad una crescita di attenzione nei confronti dell'efficienza, il vero problema della sanità italiana (ma, per la verità, di tutti i paesi sviluppati) è l'efficacia degli interventi sanitari. Ciò che appare insoddisfacente non è tanto la produttività delle risorse impiegate nei singoli processi produttivi, quanto la consapevolezza che troppo spesso esse sono utilizzate per produrre prestazioni poco efficaci, per alimentare aspettative non sostenibili, per rispondere a bisogni particolari e non generali. In altri termini, e nonostante il contenuto del dibattito corrente, il principale male di cui soffre la sanità pubblica non è tanto legato alla micro-efficienza produttiva, ovvero al non ottimale utilizzo delle risorse disponibili per la produzione di dati servizi e prestazioni, quanto alla macro-efficienza allocativa, ovvero all'inadeguatezza delle scelte allocative fra programmi alternativi di intervento.

Anche in Italia, gli obiettivi di risanamento della finanza pubblica hanno imposto, a partire dal 1992, una crescente attenzione al rispetto dei vincoli di bilancio. Ma, nella gran parte dei casi, tale orientamento - assolutamente condivisibile, stante la decennale disinvoltura dal lato della spesa - è stato rapidamente interpretato come un'indicazione strategica dell'obiettivo cui tendere. Il pareggio di bilancio è sempre più percepito come un obiettivo (anzi, come l'unico obiettivo da raggiungere) e non più semplicemente come un vincolo da tener presente nel momento in cui si opera per realizzare l'obiettivo primo del servizio sanitario ovvero la tutela della salute.

All’interno di un tale quadro, la preoccupazione è che la crescente attenzione ai problemi dell'efficienza dell'industria della salute (e al contenimento della spesa) possa far apparire meno urgente una serie di riflessioni sul contributo del sistema al miglioramento dei livelli di salute della collettività e sulla sua capacità di rispondere ai mutevoli bisogni della popolazione. Un eccesso di attenzione ai problemi dell'efficienza produttiva può infatti risultare funzionale al continuo rinvio della valutazione dell'efficacia complessiva del servizio. Peraltro, la centralità dei problemi di efficacia non deve costituire un alibi per il rinvio di azioni di contenimento della spesa e di riduzione degli sprechi; al contrario il rispetto dei vincoli di bilancio deve essere considerato - in positivo - una straordinaria opportunità di cambiamento.

Ma quali fattori possono contribuire a spiegare tali equivoci? Quali forze operano a favore del mito della micro-efficienza produttiva e a danno della macro-efficienza allocativa? 

I sistemi sanitari possono avere il loro obiettivo non solo nella salute, ma anche nel conseguimento di scopi che poco hanno a che vedere con la salute. Uno dei problemi fondamentali della sanità dei paesi sviluppati sta nella difficoltà crescente a tenere distinte le esigenze di tutela della salute dalle ambizioni di espansione dell'industria di prestazioni e servizi. In un mercato imperfetto, in cui l'offerta è in grado di indurre la propria domanda, la progressiva crescita dell'assistenza sanitaria produce effetti a favore dei produttori di prestazioni sanitarie che vanno al di là delle reali esigenze di salute della collettività. Il settore sanitario si trova infatti in una situazione ideale per l’industria della salute: una domanda illimitata, una continua innovazione tecnologica e un importante finanziamento pubblico. E la medicina moderna ha spesso tratto vantaggio da tale situazione: "il potere sociale della medicina" non sarebbe così ampio se "il mondo degli affari non avesse scoperto che essa poteva garantire profitti enormi e diventare fonte di arricchimento" (Callahan, p. 59). 

Soffermiamoci rapidamente sulla dinamica della spesa sanitaria. Con riferimento al livello complessivo della spesa sanitaria, il grafico n. 1 indica la relazione esistente fra l’ammontare delle risorse destinate alla salute e il livello di sviluppo economico. Risulta evidente che la spesa sanitaria cresce con il Pil: i paesi poveri non possono che riservare alla sanità una piccola quota delle risorse disponibili; i paesi ricchi destinano alla sanità quote crescenti di risorse. Da notare che la relazione prescinde dal tipo di sistema sanitario operante nel singolo paese. Si noti inoltre la collocazione dell’Italia, la quale occupa una posizione assolutamente in linea con quella dei paesi a livello di sviluppo simile al nostro. Ne discende che la spesa sanitaria italiana (pubblica più privata) non può assolutamente essere giudicata eccessiva. I ripetuti allarmi sulla sostenibilità della sanità paiono del tutto ingiustificati. A maggior ragione, se si tiene conto che la quota di spesa pubblica è, in Italia, inferiore alla media europea.

 

 


Graf. n. 1 - Spesa sanitaria totale (pubblica + privata) e Pil pro capite nei paesi sviluppati - 2000

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: elaborazione dati Oecd 2002

 

 

In tale contesto, la riforma del 1999 costituisce, per il nostro Paese, una tappa fondamentale di verifica, alla fine degli anni ’90, della coerenza dei numerosi interventi di attuazione delle riforme introdotte all’inizio del decennio e delle soluzioni adottate nelle diverse realtà regionali. Il decreto legislativo 229/1999 presenta i contenuti di maggior rilievo; esso si propone due finalità fondamentali: 1) rendere pienamente perseguibili gli obiettivi di tutela della salute contenuti nella legge 833 del 1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale  e ii) completare il processo di riforma del sistema sanitario avviato agli inizi degli anni ’90 con il d.lgs. 502/1992.

Sul piano dei contenuti, il decreto 229/1999 si caratterizza per un salto di qualità rispetto ai precedenti interventi normativi; esso introduce innovazioni che, in armonia con le tendenze di riforma dell’assistenza sanitaria in Europa, si propongono di definire un insieme di regole in grado di conciliare il recupero dei principi ispiratori dei sistemi sanitari di tipo universalistico con le esigenze di razionalizzazione nell’impiego delle risorse. Punto centrale è la conferma dell’importanza del Servizio sanitario nazionale quale strumento primario di garanzia del diritto fondamentale alla tutela della salute. Al Ssn spetta il compito di assicurare, attraverso risorse pubbliche reperite nel rispetto del principio della solidarietà fra classi sociali, i livelli essenziali ed uniformi di assistenza, i quali rappresentano le garanzie che il sistema si impegna ad assicurare in condizioni di uniformità su tutto il territorio nazionale e all’intera collettività di individui.

Nell’ottica della valorizzazione e del completamento del decreto 502/92, costituiscono punti qualificanti del riordino del d. lgs. 229/99:

-                 il potenziamento dell’attività territoriale, attraverso l’attivazione dei distretti e lo sviluppo dell’integrazione socio-sanitaria, da cui il venir meno della centralità dell’ospedale,

-                 la valorizzazione delle risorse umane, la formazione e l’aggiornamento professionale,

-                 la definizione di un puntuale processo di accreditamento delle strutture che operano per conto del Ssn;

-                 il potenziamento del ruolo dei comuni, nella fase di indirizzo e di valutazione (e non in quella di gestione dei servizi);

-                 l’introduzione della esclusività del rapporto di lavoro.

Le riforme della fine degli anni ‘90 non hanno peraltro potuto produrre se non parzialmente gli effetti che si proponevano di realizzare. In questa sede si segnala, fra tutti, un importante risultato: il forte impulso impresso alla programmazione regionale. Dopo un periodo contraddistinto da molte carenze, soprattutto in alcune regioni tradizionalmente restie a programmare la rete dei servizi, si è recentemente assistito a un rinnovato vigore della programmazione regionale. Il fenomeno è da ricondurre alle nuove responsabilità attribuite alle regioni con il federalismo fiscale, e alla conseguente maggiore consapevolezza della necessità della programmazione sanitaria.

Oltre alla riforma del modello di organizzazione e funzionamento del Ssn, la fine del decennio vede l’avvio di un’altra innovazione: la riforma del sistema di finanziamento del Ssn, contenuta nel decreto legislativo n. 56 del 2000 che introduce il "federalismo fiscale". Analizziamo sinteticamente i maggiori elementi di novità.

In primo luogo, il provvedimento prevede la soppressione degli attuali trasferimenti statali alle Regioni (compresi quelli del fondo sanitario) e la loro sostituzione con una compartecipazione delle Regioni al gettito dell'Iva (nonché con altre voci minori). Il meccanismo garantisce a ciascuna regione entrate invariate rispetto ai precedenti trasferimenti statali. Ma ciò vale solo per il primo anno, il 2001. Successivamente, le entrate si discosteranno gradualmente dal dato storico fino a restarne completamente svincolate; ciò avverrà a partire dal 2013, quando le regioni potranno contare su un ammontare di risorse commisurate alle funzioni che devono svolgere, calcolate tenuto conto della popolazione residente, della capacità fiscale, dei fabbisogni sanitari e della dimensione geografica.

In secondo luogo, il decreto sancisce la nascita di un "fondo perequativo nazionale" destinato alla realizzazione degli obiettivi di solidarietà interregionale. Esso è alimentato dalle quote di compartecipazione all'Iva che le regioni ricche mettono a disposizione delle regioni povere a titolo di concorso alla solidarietà. Il fondo perequativo (stimabile in poco meno del 10% della spesa complessiva per il Ssn) consentirà alle regioni con minore capacità fiscale di ridurre (peraltro solo del 90%) le differenze fra il proprio gettito pro capite e quello medio delle regioni a statuto ordinario.

In terzo luogo, il decreto stabilisce che le entrate delle regioni a statuto ordinario non siano più soggette ad alcun vincolo di destinazione, ma servano complessivamente a finanziare la totalità delle funzioni trasferite. Più precisamente, il decreto legislativo 56/2000 prevede che i fondi destinati al Ssn (circa i tre quarti dei bilanci delle regioni a statuto ordinario) non siano più riservati alla sanità, ma possano essere destinati a qualsiasi settore di intervento. In altri termini, la sanità entra in competizione con gli altri settori di competenza regionale.

E' una vera e propria rivoluzione, che - come tutte le rivoluzioni - segna un momento di rottura rispetto al passato. Ma quali le ragioni della svolta federalista?

A ben vedere, almeno tre importanti fattori hanno contribuito a tale rapida inversione di tendenza: il rigore imposto dal risanamento della finanza pubblica (che ha reso necessario un adeguamento del prelievo fiscale alle dimensioni della spesa pubblica); l'apertura alla competizione internazionale (e la conseguente ricerca di soluzioni in grado di favorire la riduzione dei costi di produzione, in particolare della pressione contributiva e tributaria); il permanere dei divari fra nord e sud del paese (segno dell'inefficacia delle politiche nazionali a sostegno dello sviluppo del mezzogiorno e causa del perdurare di consistenti flussi di trasferimenti).

Il primo ordine di fattori, il risanamento della finanza pubblica, spiega la fermezza dimostrata dal governo centrale, in primo luogo dal Ministero del Tesoro, nel perseguire il federalismo fiscale. Senza la piena responsabilizzazione delle regioni sui disavanzi da esse generati, responsabilizzazione definitivamente introdotta con la finanziaria 2001, il Paese rischierebbe infatti un pericoloso indebolimento delle politiche virtuose che gli hanno consentito di entrare in Europa.

Il secondo ordine di fattori, le aspettative connesse a una riduzione della pressione fiscale, spiega la determinazione delle regioni, e in particolare di quelle economicamente più forti, nel rivendicare una minore interferenza dello Stato nell'economia. L'obiettivo è peraltro direttamente collegato alla questione meridionale, la cui mancata risoluzione continua a generare, a carico delle regioni del nord, oneri rilevanti in termini sia di maggiore pressione fiscale sia di freno alla conquista di posizioni di primo piano nel panorama dei paesi dell'Unione Europea. Di qui la richiesta di una politica redistributiva che si differenzi da quella tradizionalmente operata dal governo centrale, quanto sia a dimensioni (ne è riprova il fatto che le regioni hanno concordato fra loro l'entità del fondo di perequazione previsto dal federalismo fiscale) sia a modalità di attuazione (a favore di una solidarietà meno paternalistica e più fraterna, che pretende maggior impegno da parte dei beneficiari ed è al contempo più visibile).

A tali fattori ne andrebbe aggiunto un altro, legato alla crisi del sistema politico. Secondo Scotto  "quanto più la classe politica è eterogenea e frazionata, tanto più numerosi e importanti sono i gruppi di essa che, per premunirsi contro eventuali dissidi con la volontà dei gruppi rimanenti, aspirano al frazionamento territoriale del potere". Ciò spiegherebbe l'attuale situazione italiana, ove "la richiesta di autonomia, lungi dal pervenire dalla cosiddetta società civile, proviene invece dai rappresentanti delle istituzioni locali: sindaci, assessori, presidenti di province e di regioni mossi dalla lotta per la conquista di un potere sempre più ampio" (Fausto, 2000). La dimensione locale sarebbe quindi funzionale a garantire la sopravvivenza di posizioni destinate a scomparire in un sistema nazionale oltre che utile a favorire gruppi specifici di interesse (si veda in proposito la bibliografia riportata in Dirindin e Pagano 2001).

La domanda di federalismo sembra quindi nascere e crescere in un terreno in cui convergono una pluralità di interessi, tutti favorevoli allo spostamento del potere decisionale verso livelli di governo subcentrali; l'interesse dell'amministrazione centrale (responsabile, anche a nome delle regioni, del rispetto degli impegni assunti con il patto di stabilità), quello del mondo della produzione (desideroso di precostituire le condizioni per una riduzione della pressione fiscale), quello delle regioni del nord (interessate a sostituirsi allo Stato nelle politiche redistributive), quello della classe politica (ansiosa di trovare spazi di potere compatibili con la propria frammentazione), quello dei presidenti delle regioni (che vedono accrescere il proprio ruolo e possono così aspirare a diventare governatori).

 

A questo punto si innesta il tema dell'autonomia delle regioni nella definizione delle politiche sanitarie. Le regioni italiane sono, come è noto, molto diverse fra loro. Le diversità dei sistemi sanitari sono marcate, nella quantità e nella qualità dell'offerta; oltre a fattori storici-strutturali, differenze si osservano nel diverso mix pubblico-privato, nelle scelte rispetto ad un processo di integrazione o separazione degli ospedali, nella presenza o meno di una tradizione di programmazione e controllo a livello regionale o aziendale, nell’attivazione delle procedure di concertazione e contrattazione regionale, nelle modalità di finanziamento delle Aziende Usl e Ospedaliere, nei ritardi e nelle inadempienze nell’applicazione delle leggi nazionali, ecc.. Tali differenze sono verosimilmente destinate ad aumentare (e forse sarebbero aumentate anche senza federalismo). Per il prossimo futuro, si può presumere che le politiche per la salute tenderanno sempre a più a differenziarsi, a seconda delle caratteristiche e delle peculiarità delle singole realtà regionali.  Alcune regioni, quelle con  a) un'offerta di prestazioni sanitarie forte e aggressiva (la capacità di pressione dell'industria della salute all'interno della regione condiziona le scelte delle amministrazioni regionali), b) un reddito medio pro capite elevato (ovvero una maggiore disponibilità a sostenere oneri per la sanità privata) e c) un orientamento politico - ideologico favorevole al libero mercato (o comunque contrario al settore pubblico), tenderanno progressivamente a incrementare il ruolo della sanità privata e le opportunità di crescita del mercato. Al contrario le regioni con minore forza di pressione dal lato dei produttori, con un orientamento a favore dell'intervento pubblico o con minore disponibilità a pagare da parte dei cittadini, si orienteranno verso il mantenimento (o il rafforzamento) del servizio sanitario nazionale.

E' possibile quindi immaginare che alcune Regioni andranno a sperimentare, formalmente (attraverso esplicite modifiche normative) o di fatto (attraverso la graduale dequalificazione del settore pubblico), soluzioni anche in parte alternative al Ssn.

In altri termini, il mix di universalismo, globalità, accessibilità e qualità potrà tendere progressivamente a differenziarsi a livello regionale, puntando di volta in volta a sistemi di offerta che privilegiano l'universalismo (effettivo, e non solo dichiarato), oppure la globalità (ovvero la completezza delle aree di intervento), o ancora l'accessibilità (in termini economici, organizzativi, sociali e psicologici) o la qualità (compresa la tempestività degli interventi).

E' quindi necessario che le Regioni si attrezzino per confrontarsi sistematicamente e per rendere riconoscibili le differenze sul piano della tutela della salute, in particolare di quella dei segmenti più deboli della popolazione.

 

 

Bibliografia

Callahan D, La medicina impossibile, Baldini & Castoldi, Milano, 2000

Dirindin N., Diritto alla salute e livelli essenziali di assistenza, in Sanità Pubblica, n. 7/8, 2000, pagg. 1013-1029

Dirindin N., “Una sfida possibile:il recupero di un sistema di valori per una assistenza sanitaria sostenibile”, in Bioetica, Zadig, n. 1, 2002, pag. 53-63

Dirindin N. e Pagano E. (a cura di), Governare il federalismo. Le sfide per la sanità, Il Pensiero Scientifico, Roma, 2001

Oecd, Health Care Reform in Light of Changing Funding, Incentives and Production Patterns, Oecd, 1996, Working Papers, 18

Oecd, Oecd Health Data 2002, Paris 2002

Oms (1996), Réforme des systèmes de santé en Europe. Analyses des strategies actuelles, Copenhague, Oms, Bureau régional de l’Europe

World Health Organization (1996), Analysis of Current Strategies, Who, Regional Office for Europe, Copenhagen

 

Per necessita' tecniche o problemi scrivete a: webmaster@aniarti.it

Aniarti: wwww.aniarti.it

 
 
 
14/12/2003