CONGRESSO NAZIONALE 2003

XXII Congresso Nazionale Aniarti

Bologna, 12 - 13 - 14 novembre 2003

Diretta 2003

La complessità e l’assistenza infermieristica: significati e modalità di analisi per la composizione dell’équipe assistenziale.
 
Premessa
 
Il modello della “Complessità assistenziale” è stato elaborato[1] sia per dare una risposta professionale alla difficoltà che l’organizzazione sanitaria ha nel reperimento di infermieri nel mercato del lavoro, sia per evitare che si possa pensare di risolvere tale difficoltà sostituendo acriticamente gli infermieri con gli operatori di supporto all’assistenza infermieristica.
 
La sfida che viene lanciata nel convegno dell’Aniarti presentando il modello e ridefinendolo rispetto alle tipicità assistenziali dell’Area Critica, è quella di verificare se si può sostenere che in tale area possono essere inseriti operatori di supporto all’assistenza infermieristica.
 
 
Giuliana Pitacco – Infermiera Dirigente, I.R.C.C.S. “Burlo Garofalo” di Trieste.
 
La base per l’elaborazione del modello è stata:
-                      la presa d’atto che la legge n. 251/2000 – dopo la legge n. 42/99 - assegna all'infermiere la responsabilità della personalizzazione dell'assistenza,
-                      la convinzione che la personalizzazione dell’assistenza risulta essere spesso solamente uno slogan,
-                      la constatazione che l'ospedale è sempre di più un luogo di cura per pazienti acuti con dimissioni precoci,
-                      l’idea che è necessario garantire una forte integrazione con il territorio mediante una capillare diffusione dei servizi territoriali,
ed infine la necessità di stimare coerentemente a quanto sopra riportato il fabbisogno di infermieri.
 
In letteratura vengono evidenziate circa una trentina di variabili che influenzano il carico di lavoro infermieristico, quali ad esempio la struttura architettonica, la distanza dei servizi diagnostici dal paziente, la disponibilità di attrezzature di risorse e di tecnologie, le caratteristiche del gruppo professionale, l'esperienza dei professionisti, lo stile di leadership, il fatto che la sede lavorativa sia anche sede di formazione clinica.
Tali elementi però, che caratterizzano le varie Unità Operative, non possono essere presi in considerazione nella elaborazione di un modello che deve necessariamente astrarsi dalle specifiche realtà.
 
Sono state di conseguenza prese in considerazione, in quanto omogeneamente estraibili, le caratteristiche delle persone assistite, lasciando che le variabili sopradescritte giochino in modo diverso nelle varie realtà.
 
Le prime riflessioni elaborative rispetto al modello della complessità, si sono basate sulle variabili che definiscono la complessità organizzativa.
Tali variabili sono state poi tradotte in variabili che definiscono la complessità assistenziale.
Le variabili considerate sono: "incertezza", "interdipendenza", "decentramento della discrezionalità decisoria".
Le variabili sono state declinate su alcuni elementi cardine:
-                     la condizione di salute malattia della persona,
-                     la "competenza" intesa come "saper agire",
-                     la capacità di soddisfare autonomamente i propri bisogni ossia di essere in grado di “fare”.
 
Tanto più la situazione assistenziale è complessa, tanto più è importante enucleare elementi generali su cui sviluppare l’analisi, piuttosto che studiare pedissequamente le singole componenti della situazione.
Sui tre assi che definiscono graficamente la logica del modello rispetto alla persona assistita, sono state messe in evidenza le variabili ricordate prima.
Sull’asse “salute – malattia” viene indicata l’instabilità e la stabilità clinica ; sull'asse “comprensione – scelta” è indicata la capacità di decidere cosa si vuole venga attuato; sull’asse “autonomia – dipendenza” è indicata la capacità della persona di soddisfare i propri bisogni.
Mano che si compie l’analisi sulle diverse assi analizzando le singole variabili si modifica e cambia il ruolo dell'infermiere.
 
L'asse della salute e malattia, ovvero l'asse verticale, rappresenta l'incertezza sulle condizioni cliniche del paziente.
L'asse della comprensione e della scelta, ovvero l’asse longitudinale, rappresenta la coniugazione della discrezionalità decisoria; l’asse dell’autonomia – dipendenza, ossia l’asse orizzontale, rappresenta la capacità di mettere in atto azioni autonome.
 
Man mano che aumenta l'instabilità del paziente, vi è una diminuzione della capacità decisoria e della discrezionalità dell'infermiere. L’asse verticale rappresenta l'area della attività collaborativa degli infermieri con altri professionisti. Questa è l’asse in cui vengono  gestiti i processi diagnostico - terapeutici che vengono prescritti da altri.
Nonostante l’alta instabilità clinica produca una bassa capacità decisoria per l’infermiere, a quest’ultimo è comunque richiesta una alta capacità di interpretare segni e sintomi.
Sull’asse della comprensione e della scelta si colloca l'area della specifica attività dell'infermiere che in questo caso ha sempre un’alta discrezionalità decisoria, in quanto in questo asse si collocano gli interventi di tipo educativo, di sostegno e di mobilizzazione delle risorse della persona assistita.
Il terzo asse è quello dell'autonomia e della dipendenza, variabile quest’ultima che viene considerata in tutte o nella maggior parte delle metodologie per la rilevazione al fabbisogno infermieristico.
Anche quest’ultima asse si connota per l’alta discrezionalità decisoria dell'infermiere rispetto la pianificazione delle attività da mettere in atto e la decisione se effettuare direttamente le diverse attività oppure demandarle agli operatori di supporto.
 
Alla luce del modello si ritiene che l'assistenza infermieristica sia un processo di presa in carico ad elevata integrazione con la persona assistita e con i care givers (parenti e figure di riferimento dell'assistito) oltre che con altri professionisti della salute (ad esempio i medici) e con il personale di supporto (in particolare per quanto riguarda l'area dell'autonomia della dipendenza).
 
 
 
Annalisa Sivestro  – Dirigente del Servizio infermieristico, Azienda per i servizi sanitari n. 4 “Medio Friuli”, Udine - Vice Presidente Aniarti
 
La presentazione precedente era impostata sulla analisi della persona di cui l'infermiere si fa carico. In questa relazione il percorso viene rifatto rispetto alla funzione che l'infermiere svolge.
 
Fino ad ora l'infermiere ha prevalentemente ragionato basandosi sul concetto di dipendenza.
Quando vi è dipendenza, sia di tipo fisico sia di tipo cognitivo, vi è altresì una completa e globale presa in carico della persona.
Dalla tale presa in carico deriva un carico di lavoro e un impegno infermieristico che è  molto più orientato alla manualità lavorativa che all’attenzione a quelli che sono i modelli cognitivi, le abilità, la capacità di analizzare problemi, di individuare priorità e di decidere cosa è meglio fare, quando farlo e come farlo.
La logica conseguenza di quanto esposto è la scarsa necessità di avere infermieri con un significativo percorso formativo.
Da cui la domanda che spesso ci è stata posta: ma a cosa serve che gli infermieri vadano all’università?
 
Un altro aspetto su cui è importante riflettere è la capacità – possibilità della persona di governarsi durante questo il continuum salute malattia.
 
L’attuale società non accetta l’approccio paternalistico nei confronti del paziente; ciò  produce il superamento dell’autoreferenzialità e la necessità di far comprendere perché servono infermieri e che cosa succede se c’è o meno assistenza infermieristica.
Ne consegue il bisogno di far comprendere qual è la diversità:
-                     tra una assistenza effettuata da un professionista Infermiere ed una assistenza effettuata da un Operatore Socio Sanitario,
-                     tra una assistenza effettuata da un medico che ha la collaborazione altamente qualificata di un infermiere,
-                     tra un’assistenza effettuata da un medico che ha la collaborazione di un Operatore Socio Sanitario, di un barelliere, di un autista soccorritore, di un volontario non professionista.
 
Ogni singolo professionista infermiere deve farsi portatore di questi messaggi e dve essere capace di fare marketing professionale.
La competenza non significa solo "fare" ma significa anche capire quando "far fare" ad altri e quando chiedere la competenza di altri.
 
Su questo punto è importante una riflessione: quante volte il gruppo professionale non ha  voluto il coadiuvo di altri (ad esempio gli OSS) perché, forse, in difficoltà nel valutare le priorità relativamente alla propria azione autonoma.
Se la competenza è intesa anche come un "sapere agire" della persona, è indispensabile traslare tale  competenza sulla professionalità infermieristica.
 
L'infermiere deve essere in grado di capire, comprendere, analizzare ciò che sta succedendo per scegliere, ovvero per definire la priorità di esecuzione di manovre in relazione alla specificità infermieristica, per definire le possibilità di demando ad altri operatori di alcune attività o per decidere la non pertinenza con l'assistenza infermieristica di alcune attività o prestazioni in quanto distoglienti dal proprio mandato principale.
 
Altra riflessione è necessaria sul coinvolgimento della persona assistita o dei suoi familiari nell'esecuzione delle manovre non propriamente sanitarie; in alcuni casi può essere utile una informazione ed educazione della persona o l’addestramento all’autocura che l'infermiere effettua.
 
Analizzando nei dettagli il modello emergono una serie di riflessioni su quanto presentato precedentemente.
Il Profilo Professionale dell'infermiere indica che lo stesso deve rendersi garante della corretta esecuzione delle procedure diagnostico - terapeutiche che vengono prescritte dal professionista medico, che ha competenza primaria in questa fase.
In tale fase l’infermiere è un collaboratore ad altissima ed elevatissima capacità e competenza professionale, ma non è l'attivatore del processo. Questa è l'area della collaborazione in quanto maggiore è la specificità e la competenza del medico, minore è la discrezionalità dell'infermiere.
Il paziente di cui ci si fa carico ha bisogno di avere buoni medici ma anche buoni infermieri; il continuo spostamento degli infermieri sulle attività tipiche del medico porta a trascurare le attività tipiche dell’assistenza infermieristica e questo pone le basi per una sottrazione dello specifico professionale mediante l’effettuazione di attività caratterizzanti altri professionisti sanitari.
 
            Il modello presentato deve permettere una ulteriore riflessione: il fatto che il professionista infermiere non abbia una discrezionalità decisoria ma lavori, assista in base alle prescrizioni e alle indicazioni del medico non significa che l'infermiere non debba avere una grande capacità e competenza tecnica, ad esempio sulla semeiotica (che in questo momento è quasi esclusivamente appannaggio dell'infermiere).
Segni, Sintomi e sensazioni caratterizzano l'attività quotidiana dell'infermiere, supportandone la capacità decisoria nell'attivazione dei processi assistenziali.
 
Relativamente all'Area Critica è ben ricordare che per certi versi può avere una maggiore capacità di utilizzare la semeiotica un infermiere che lavora in un reparto di medicina rispetto chi opera in una terapia intensiva.
Quest'ultimo infatti può usufruire di molteplici supporti tecnici, mentre il collega della medicina deve necessariamente compiere autonomamente l'analisi dei dati, in quanto se ciò non  avviene vi può essere la compromissione delle capacità vitali del paziente (momento tardivo).
 
Una bassa discrezionalità decisoria non significa necessariamente una bassa capacità di interpretare segni e sintomi; una competenza strutturata porta ad una alta capacità di prevedere eventuali problemi per il paziente o di gestirli in maniera corretta nel momento in cui si verificano anche per attivare altri professionisti, quali ad esempio il medico.
 
Proseguendo con l'analisi, possiamo dire che è possibile trovare l'asse dove è presente la massima espressività della professionalità infermieristica, ovvero l'area specifica.
 
Se la persona non è in grado di comprendere ciò che gli sta accadendo, ad esempio perché è obnubilata nel sensorio, perché presenta una demenza, perché è in coma o per altri motivi, è fondamentale il ruolo dell'infermiere; questi deve essere in grado di decodificare i bisogni che la persona può avere e definire ciò che deve essere attuato di conseguenza. L'infermiere si sostituisce alla persona nel caso in cui questa non può compiere autonomamente alcune azioni.
 
Nelle nostre Unità Operative vengono decodificati problemi o vengono attuati compiti ripetitivi (rifacimento letti, somministrazione della terapia,  manutenzione dei respiratori e degli umidificatori) ?
 
Se una persona è in grado di interloquire con l'esterno il ruolo dell'infermiere è importantissimo in quanto è necessaria la spiegazione, il coinvolgimento nei percorsi assistenziali, l'aiuto alla persona nella comprensione e nella scelta di ciò che è meglio per sé, l'addestramento a compiere autonomamente gli atti che soddisfino i suoi bisogni.
 
Questa è l'area autonoma e di eccellenza dell'infermiere, che molte volte viene trascurata e di cui non sempre gli infermieri si fanno carico.
 
Ancora una riflessione sull'area della pianificazione e supervisione: gli Infermieri hanno gestito sempre completamente quest’area, fino ad arrivare ad una "infermieristizzazione" dell'assistenza.
 
Molte volte gli infermieri hanno effettuato attività e prestazioni aspecifiche non perché fosse necessario e importante per la persona, ma perché l'organizzazione del lavoro andava in quella direzione.
 
La dipendenza fisica o mentale faceva scattare automaticamente il concetto di competenza esclusiva infermieristica.
Questo concetto deve essere rivisto.
 
Infatti, con l'avvento sul territorio di strutture alternative all'ospedale (residenze sanitarie assistite, ospedali di comunità, case di riposo) dove è presente un alto grado di dipendenza degli ospiti, non vi è una importante e rilevante presenza infermieristica.
 
E' importante pertanto la definizione di che cosa è atto sanitario infermieristico, di che cosa è atto sanitario in genere e di che cosa non lo è che di conseguenza non necessita della concretizzazione operativa dell'infermiere.
 
L'infermiere non può essere visto solo in una ottica di "professional" in senso puro, cioè di colui che esegue direttamente le prestazioni, ma deve essere anche visto come colui che coordina e gestisce altri operatori che collaborano con lui.
 
La gestione del personale di supporto all'assistenza infermieristica non è del coordinatore infermieristico, ma dell'infermiere che, essendo responsabile dell'assistenza generale infermieristica, decide cosa, quando, come demandare alcune attività ad altri, mantenendo la titolarità del processo assistenziale.
 
Da quanto detto deriva il progetto di presa in carico della persona assistita da parte dell'infermiere che ha una competenza specifica che gli derivata dal proprio Profilo Professionale (D.M. 739/94).
 
La competenza infermieristica:
-                     sull'asse salute - malattia è legata alla gestione dei percorsi diagnostico terapeutici attivati da altri professionisti sanitari (ad esempio modalità di gestione della somministrazione della terapia);
-                     sull’asse comprensione – scelta è legata alla gestione della relazione educativa e alla definizione della tipologia dei processi di assistenza (mediante la relazione con la persona assistita o la sostituzione per il tempo più breve possibile in caso di possibilità autonoma)
-                     sull’asse autonomia - dipendenza è legata al pieno governo dei processi assistenziali.
 
Da quanto detto è possibile evidenziare quali possano essere le competenze distintive anche nella formazione post base dell'infermiere, ovvero che cosa significa acquisire un Master clinico.
 
Un infermiere in possesso di Master clinico è in grado di dare risposte ulteriori e più approfondite agli stessi bisogni che vengono gestiti degli infermieri che si occupano di assistenza generale.
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L'Infermiere in possesso di Laurea Specialistica, ovvero il Dottore in Scienze Infermieristiche, può continuare ad occuparsi di assistenza (ponendo una maggiore attenzione alla specificità disciplinare), può attivare percorsi di ricerca, di riflessione sulle modalità di effettuazione e di pianificazione dell' assistenza, di concretizzazione delle prestazioni. Potrà inoltre rivedere i percorsi, concettualizzare, riempire lo zaino della disciplina infermieristica di ulteriore contenuti che potranno diventare patrimonio professionale e quindi operativo di tutto il gruppo professionale infermieristico italiano.

 

[1] “modello della complessità assistenziale” di A. Silvestro e G. Pitacco

 

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02/02/2004