CONGRESSO NAZIONALE 2005

XXIV Congresso Nazionale Aniarti -- Diretta dal Congresso

 
24° Congresso nazionale
Sorrento, 26 – 27 - 28 Ottobre 2005
 L’Infermiere in Area Critica: pensare, essere, fare.

L’errore professionale ed il danno al cittadino. La prevenzione, gli strumenti operativi, il sistema di protezione

 

Paolo Zoppi,  Firenze
Infermiere DAI, Componente della Commissione Area Vasta Centro della Regione Toscana per la gestione del Rischio Clinico

 

Tocca a me l’onere e l’onore di affrontare un argomento così scottante, del quale mi sto occupando da quasi 5 anni, e più vado avanti più mi rendo conto che è un mondo che ha veramente 2 facce.

Una faccia estremamente sconvolgente per i dati che emergono, che sono emersi e che stanno emergendo; sconvolgenti per le situazioni paradossali alcune delle quali avremo modo di affrontare insieme a voi, l’altra faccia estremamente affascinante  ed interessante, perché pur trattandosi di un errore, è comunque un elemento che porta delle informazioni, che scopre dei margini di miglioramento.

Naturalmente la questione non è così semplice: trasformare un errore in un elemento di miglioramento concreto, necessita di regole, di strumenti, di metodo, di rigore metodologico, volontà, trasparenza, ma soprattutto di un deciso cambiamento di mentalità nell’approccio all’errore stesso.

Iniziamo questo piccolo viaggio in questo mondo dove io darò il mio supporto teorico, ma farò anche degli esempi pratici che sono sotto ai nostri occhi quasi quotidianamente, ma soprattutto appoggiandomi a quella che è stata e continua ad essere la mia esperienza personale.

Questo piccolo viaggio inizia subito nei peggiori dei modi, mi vedo obbligato a fornirvi delle informazioni, perché questo mondo ha una terminologia un po’ sua, della quale si sta tentando sempre più di abusare, quindi si utilizzano termini propri di questo ambito in situazioni dove non sarebbe opportuno.

Guardiamo cos’è il rischio. Faccio una premessa: parlare dell’errore è limitativo, dobbiamo parlare di un percorso che lega 3 elementi distinti,ma ugualmente importanti che sono il rischio, l’errore come frutto del rischio e il danno che dall’errore stesso può derivare alle persone. Quindi il rischio in senso generale è la probabilità di accadimento di un evento indesiderato e delle conseguente che l’evento stesso può avere.

Il rischio ha anche 2 ulteriori caratteristiche: la prima è che è associata a ogni attività umana. Abbiamo sentito parlare di Risk managment che vuol dire gestione cioè tentativo di contenimento del rischio. Non si può parlare come si vede nel punto 2 della slide n. 3 di eliminazione dell’errore.Perderemmo del tempo perché l’errore è legato alla nostra natura e questo è un elemento di cui dobbiamo tenere conto.

Affrontiamo l’argomento rischio- errore- danno, in un contesto particolare, che è il contesto sanitario: non siamo gli unici e non siamo i primi ad aver affrontato questo argomento: se lo sono posti prima di noi il mondo dell’aeronautica degli Stati Uniti e lo stanno affrontando tutti i settori produttivi: dall’edilizia al settore dei trasporti e delle ferrovie, ecc.

Parlare dell’errore- rischio- danno nel mondo sanitario deve costringerci a tenere in considerazione alcuni elementi di complessità. Una collega ha abbondantemente approfondito quali sono gli elementi che caratterizzano la complessità del nostro sistema. Oltre tutto a questa complessità si è aggiunto un rapido cambiamento o alcuni rapidi cambiamenti: aumento delle complessità delle strutture, uso di strumenti tecnologici sempre più avanzati, farmaci sempre più potenti, crescente numero di atti per unità di tempo, pazienti sempre più consapevoli ed esigenti, aspettative di cura sempre più elevate. Quindi gli aumenti degli errori e delle cause civili per danni ai pazienti, aumento dei costi legati al rischio medico; un po’ in tutta la letteratura se si va ad approfondire questo argomento, si parla di errore medico, di rischio medico, ma è inteso in senso lato, cioè di errore, di rischio all’interno del sistema salute, dell’organizzazione salute.

Un'altra definizione: che cos’è l’errore umano? E’ il fallimento del portare a termine, come nelle intenzioni, una azione precedentemente pianificata, cioè un errore di esecuzione, oppure l’uso di una pianificazione sbagliata per raggiungere un obiettivo: errore di pianificazione.

L’evento  avverso è un danno causato ad un paziente dalla gestione sanitaria e non dipendente dalla sua malattia, oppure un mancato infortunio, un incidente di particolare rilevanza per le conseguenze che avrebbe potuto avere sul paziente.

Un evento avverso attribuibile ad un errore è un evento prevedibile. Più che errore medico è preferibile parlare di evento avverso in medicina come fenomeno generato dall’intrecciarsi da errori individuali ed errori organizzativi. Vedremo come questa ottica oggi non faccia parte della nostra cultura: noi ci concentriamo di fronte ad un errore fondamentalmente sugli errori individuali. Non teniamo quasi mai conto ,quasi perché qualcosa sta cambiando, degli errori insiti all’interno dell’organizzazione.

L’ultima definizione è che l’evento sentinella è un indicatore sanitario la cui soglia di allarme è uno: basta che l’evento si manifesti e si verifichi una volta perché si renda necessaria un’indagine.

Guardiamo quali sono gli eventi sentinella che la Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organizations ha definito, sono le “wrong site procedure”, cioè l’errore di sito, quindi l’aver eseguito una pratica diagnostica, chirurgica, terapeutica in un distretto corporeo sbagliato. Gli esempi si sprecano si va dall’esempio più banale dell’RX alla mano sinistra piuttosto che alla mano destra, come all’amputazione della gamba sinistra rispetto alla gamba destra.

In Italia (nella slide n. 8 sono riportati dati italiani) sono stati segnalati 373 casi nel 2003, il che vuol dire più di uno al giorno. Si va dall’incidente banale, fino ad eventi più rilevanti.

Altri eventi sentinella sono l’errore di terapia, cadute, infezioni ospedaliere, suicidi, morti perinatali, lesioni da compressione, errore trasfusionale ed identificazione del paziente.

Guardiamo la piramide degli incidenti. Nella slide n. 9 c’è uno schema della Natinal Safety Council che riporta la modalità di classificazione degli incidenti in funzione delle conseguenze che questi possono avere. Alla base ci sono gli incidenti prevenuti, i mancati incidenti, quei mancati incidenti che sono mancati proprio perché spesso è l’infermiere che riesce a cogliere quel dettaglio che impedisce al percorso di arrivare fino in fondo. Per percorso mi riferisco a: rischio- errore - danno. Sono quelli che gli inglesi chiamano le “free lesson”, le lezioni gratuite.

Lezioni gratuite perché comunque c’è stato un incidente, quindi è una lezione perché è un’occasione per imparare qualcosa, o per modificare qualcosa. Gratuite perché evidentemente non hanno causato un danno.

L’agenzia americana dice che ogni migliaio di incidenti evitati, ce ne sono centinaia minori, decine seri e quindi con un certo grado di non reversibilità e c’è un morto.

Credo che gli esempi sono noti a tutti: sono sui giornali, sui telegiornali, ecc.

Diamo un po’ di numeri. Nella slide n. 10 sono riportati dei dati del 1998. Sono i morti accidentali negli Stati Uniti. Si va dagli incendi (3700), morti affogati (4100), avvelenamento (8400), cadute (16600), incidenti con autoveicoli (41200), e per errore medico 120000. Ripeto, l’errore medico va inteso con l’accezione di cui prima davo nota.

A fronte di questo fenomeno in sanità che tipo di responsabilità abbiamo? Qualche anno fa il professore Spinsanti presentò ad un convegno una slide che potete vedere alla n. 12, che diceva che esiste un minimo morale nell’ambito della medicina al di sotto del quale non è lecito andare. Al di sotto del minimo morale che accompagna la scuola della medicina da 2500 anni, ci sono 2 elementi: il primo è la giustizia, la non discriminazione; il secondo è la non maleficità, il maggior beneficio, quello che Laura D’Addio nella sua relazione ha presentato come principio di beneficità.

Inoltre, da una recente indagine, emerge che il 70% dei cittadini pensa la medicina una scienza esatta. Questo è un dato allarmante: la potenza dell’immagine della medicina e del medico ha portato l’immagine stessa molto al di là delle sue reali potenzialità innescando quindi  una rincorsa impari. Le aspettative dei cittadini sono sempre e comunque più avanti rispetto ai pur consistenti progressi che la tecnologia nella medicina sta compiendo.

Molto spesso è informato superficialmente: il cittadino ha la tendenza ad affidarsi alla persona, al professionista, “a quel medico”; e a volte è disinformato o peggio ancora: male informato.

I Media in questa diffusione delle informazioni hanno il ruolo di creare un aurea di affidabilità assoluta che non è reale, di progresso veloce e immediato che non è reale.

Visto questo tipo di numeri, la posizione del cittadino, la posizione del professionista, andiamo anche a vedere che cosa succede tradizionalmente nella nostra cultura.

E’ necessario un cambiamento culturale. La nostra cultura valorizza unicamente le capacità personali nel  bene e nel male; trascura completamente l’incidenza di altri fattori che compongono il sistema; unicamente le persone sono artefici di successi e insuccessi. Si sviluppa contestualmente anche  la cultura della colpa nei casi negativi, perché tutto è affidato alla persona. Vi faccio una domanda: il provvedimento disciplinare migliora il sistema?

La cultura della colpa sviluppa la sindrome cosiddetta del sistema vulnerabile, quindi la forte tendenza a colpevolizzare gli operatori di prima linea, negare l’esistenza di errori organizzativi causa di fallimenti del sistema, per seguire ciecamente indicatori economici di produttività.

Come si comporta un operatore di fronte ad un errore se la nostra cultura tradizionale è assolutamente incentrata sulla colpa? Quando può nasconde l’errore. Se non è possibile nascondere l’errore, attribuisce ad altri la responsabilità. Oppure ignora completamente i mancati incidenti, cioè quelle che prima avevo definito le “ free lessons”, quelle preziose opportunità per imparare e incidere sul cambiamento del nostro sistema.

Vi riporto un aforisma da un simpatico libro, che dice:”Quando le cose vanno male e qualcuno sorride, significa che ha trovato a chi dare la colpa”. C’è un altro problema: che a volte non è possibile dare la colpa a nessuno.

La colpevolizzazione e la punizione non sono una soluzione. Non servono ad abbassare i rischi, non servono a migliorare il sistema. E’ uno sfogo del sistema stesso che pensa di aver risolto quel problema allontanando o punendo qualcuno. In realtà è l’illusione di una soluzione.

Bisogna interrogarsi in maniera un po’ più seria su qual è la genesi dell’errore, come nasce l’errore.

E’ solo e soltanto responsabilità dell’essere umano?

Negli anni ’90 si è iniziato a guardare al contesto organizzativo.

Oggi, fine anni ’90, inizio del secondo millennio, la teoria di riferimento a livello internazionale, è quella che è chiamata teoria “SHEL”. E’ un acronimo, evidentemente, cioè Software, Hardware, Environment, Liveware cioè Regole, Tecnologie, Ambiente e Fattore Umano.

Questa nuova teoria che ripeto è condivisa a livello internazionale dichiara che la genesi dell’errore è il frutto della sinergia di questi 4 elementi, che hanno tutti lo stesso peso, e nella maniera in cui questi interagiscono fra loro.

Ma sarà vero che le regole, la tecnologia, l’ambiente incidono in maniera così importante nella genesi dell’errore?

Faccio degli esempi pratici: le regole.

Mi è capitato, sarà capitato anche a qualcuno di voi, di trovarsi davanti a questa situazione: protocolli errati, che contengono degli errori, manuali della qualità impossibili da consultare, procedure incomplete e lacunose, e altro

La domanda che mi farò da ora in poi è questa: tutto questo mi aiuta a non commettere errori?

La slide n. 22 non farà felici i signori agli stand, che cita  “al design scadente della strumentazione medica la FDA americana attribuisce circa 700 mila incidenti non intenzionali che ogni anno si verificano negli ospedali degli Stati Uniti”.

E ancora, l’ambiente con i rumori di fondo, il telefono, chi mi parla, strumenti, ripetute interruzioni, disposizione e funzionalità degli spazi, ecc. Faccio una riflessione sulla interruzione: sapete che gli errori di somministrazione dei farmaci rappresenta oltre la metà degli errori appartenenti alla nostra professione.

Nessuno si permette di interrompere il medico che sta auscultando col fonendoscopio,  ma tutti si permettono, per qualsiasi ragione, anche le più sciocche, di interrompere l’infermiere quando sta somministrando dei farmaci.

Tutto questo, rifaccio la domanda, mi aiuta? Evidentemente no.

Volevo approfondire l’argomento “errori di terapia”. La somministrazione dei farmaci rappresenta l’attività in cui si manifesta l’errore più frequente per noi infermieri.

Domanda: ma è sempre e solo colpa nostra? Possiamo sempre e solo parlare di negligenza, imprudenza e imperizia? Non voglio difendere nessuno per questioni di appartenenza, però voglio che vengano presi in considerazione anche altri elementi e non soltanto il fattore umano.

Guardiamo cosa succede con i farmaci. Nella slide n. 25 ho scritto nomi di farmaci e grafia. L’esempio a sinistra Daonil per Amoxil.

L’esempio a destra in cui sono stati invertiti il Plendil con l’Isordil.

I nomi dei farmaci sono assolutamente di fantasia, ma usiamola questa fantasia: Lanoxil e Laroxil: mi aiuta questo? Evidentemente no.

Le confezioni hanno la stessa forma, l’etichetta dello stesso colore, sostanze completamente diverse (come nella slide n. 26): e’ morto un neonato in Italia nel 2005.

La scadenza dei farmaci: il brusio che c’è in sala sembra dimostrare che ho toccato un elemento interessante. La slide n. 27 è una dimostrazione di questo: la foto non è sfocata, era appena stata comprata in farmacia, sono molto piccole le date, sempre su un fianco e a volte senza l’inchiostro come nel caso della fotografia. Infatti noi infermieri prendiamo un bel pennarello e nella parte frontale della confezione ci scriviamo il mese e l’anno della scadenza. Ma siccome lo facciamo tutti vogliamo cominciare a dirlo? Anche perché questi farmaci vanno anche a casa della gente, vanno anche a casa dell’ottantenne autosufficiente che avrà non poche difficoltà nel leggere la data di scadenza di quella confezione.

Sono rischi legati alla somministrazione dei farmaci.

Poi noi infermieri, inoltre, qualcuno lo sottolineava, li controlliamo… di notte.

Rifaccio la domanda: questo mi aiuta? Credo che la risposta ce la siamo già data.

Un ultimo esempio nella slide n. 28, “i gemelli diversi”. L’anexate e l’ipnovel , 2 farmaci che sono, molto semplicemente, il veleno e l’antidoto.

Dobbiamo cominciare a dirle prepotentemente queste cose.

Bisogna quindi mettere uno stop a questa cultura tradizionale della colpevolizzazione come unica soluzione; colpevolizzare  e punire un individuo: bisogna evidentemente andare incontro ad un nuovo approccio.

La slide n. 29 è abbastanza famosa: forse qualcuno l’ha già incontrata sul proprio cammino.

James Reason nel 2002 disse che alcuni buchi sono dovuti ad errori attivi: si vede come si trovano fra il rischio e l’incidente gli errori che sono rappresentati dai buchi nelle fette di formaggio. Alcuni buchi sono dovuti ad errori attivi, altri invece sono dovuti a condizioni latenti, cioè a fattori patogeni residenti, quindi una nuova tassonomia.

Errori attivi legati e compiuti da operatori di prima linea, gli errori latenti sono invece associati ad attività distanti sia in termini di tempo che di spazio dal luogo dell’incidente, come l’attività manageriale, normative, organizzative, produttive. Le conseguenze degli errori latenti possono rimanere silenti nel sistema anche per lungo tempo e diventare evidenti solo quando si combinano con altri fattori in grado di rompere le difese del sistema.

Bisognerà iniziare a concepire una organizzazione pensata sui limiti delle persone, sulla fallibilità delle persone. Quindi le persone possono sbagliare, nonostante le migliori intenzioni, competenza e buona volontà.

Porre il focus sul contesto organizzativo e culturale anziché solo e soltanto sulla performance individuale.

E’ necessario supportare le motivazioni, le abilità, le conoscenze degli operatori sanitari per identificare e gestire il rischio.

Promuovere una cultura di apprendimento e di comunicazione.

Siamo alla conclusione della illustrazione della teoria che oggi è condivisa a livello internazionale, la SHEL di cui si parlava prima.

Bisogna farsi una domanda: “qual è il metodo che ci consente di tradurre la teoria in pratica?”

Il metodo è il Risk Managment,  un processo di rafforzamento continuo delle barriere difensive del nostro sistema per diminuire le possibilità che il percorso rischio- danno, che abbiamo già visto, si inneschi.

Quindi è un processo. E’ evidentemente un approccio sistemico, e quindi riguarda non il singolo individuo perché fa riferimento alla teoria che insieme abbiamo visto, ma al contesto generale: l’organizzazione, le regole, le procedure, gli strumenti, la formazione e quant’altro.

Allo scopo di rendere difficile fare le cose sbagliate è facile fare le cose giuste tenendo in considerazione il fatto che le persone e gli uomini hanno sbagliato, sbagliano e continueranno a sbagliare. Anche perché non possiamo lavorare per cambiare la condizione umana, ma possiamo evidentemente cambiare le condizioni in cui gli uomini lavorano. Questa è la strada da seguire.

Vi offro, anche se in maniera molto rapida, una piccola panoramica su 2 strumenti che abbiamo a disposizione per contestualizzare il modello.

Il primo è quello che prevede 4 fasi, e che si può vedere nella slide n. 35, e che prevede il monitoraggio degli eventi avversi, cioè il fatto di venire a conoscenza di incidenti evitati o meno, per poter iniziare a fare tutto un percorso analitico che continua nella fase 2 e 3 ( analisi degli eventi avversi e diagnosi delle criticità, definizione delle azioni correttive), la fase 2 e 3 si realizzano in quello che viene chiamato audit.

L’audit è una revisione strutturata fra pari, cioè è un momento collegiale in cui più professionisti insieme affrontano una revisione su ciò che è accaduto e su come è possibile che si sia verificato.

La quarta fase è l’implementazione delle soluzioni. Questo è un metodo che garantisce o che prova ad andare nella direzione della protezione reale del sistema nella misura in cui il sistema stesso protegge il cittadino da questi eventi.

Un altro strumento è la Mortality and morbility review, cioè la revisione, momenti di confronto su casi che hanno evidenziato delle difficoltà particolari da parte dell’equipe. Sono incontri periodici interprofessionali che prevedono anche il miglioramento operativo, quindi anche a livello della progettazione di come si deve produrre. Sugli strumenti non vorrei parlare oltre

Riassumo e sintetizzo dicendo che il sistema della gestione del rischio clinico, poggia le basi sull’identificazione dei rischi, identificazione dei rischi attraverso i 4 elementi che ho riportato, analisi dei rischi attraverso i 2 strumenti di cui ho parlato; prevenzione e quindi miglioramento continuo della qualità.

Che cosa sta succedendo di fatto in Italia? Io vi porto la mia esperienza: in Toscana c’è un centro regionale per la gestione del rischio clinico che è nato nell’anno 2000 come frutto di un protocollo di intesa siglato a tre mani fra il collegio degli infermieri di Firenze, l’ordine dei medici e dall’azienda sanitaria di Firenze.

E’ stato il primo atto formale impegnativo alla sperimentazione e alla diffusione di questo metodo. E’ un impegno pubblico importante a cui evidentemente hanno fatto seguito tutta una serie di iniziative e di training per il percorso che si sta facendo, che è un percorso che non è arrivato a termine.

L’obiettivo è far diventare la gestione del rischio clinico una pratica, una prassi.

Considerazioni finali: i professionisti della sanità sentono il bisogno di un cambiamento.
La gestione del rischio clinico è una responsabilità di tutti.

Non esiste risk managment dell’infermiere o del medico. Esiste il risk managment in un’ottica di sistema che riguarda tutte le professioni che in quel sistema operano.

Deve essere partecipativa per rinforzare la fiducia fra azienda, professionisti e utenti.

La riduzione del rischio deve tradursi in minori costi assicurativi, perché è possibile.

Per uscire dalla nostra cultura tradizionale, quella della colpa è necessario affrontare la cultura del cambiamento e il cambiamento della cultura.

Nella slide n. 43 vi ho messo delle parole: analisi, confronto, revisione, coinvolgimento. Noi non siamo abituati a praticare queste attività, perché, come dice Luca Benci il mondo della sanità nella prima metà del secolo scorso ha mutuato un regolamento delle forze armate, che era già pronto, è stato preso e trasportato nell’ambito della sanità.

Alcune cose le ritroviamo ancora oggi: quando siamo in ferie siamo in congedo ordinario, quando ci muoviamo per conto dell’azienda siamo in missione o in comando, il medico è di guardia.

Questo non ha giovato alle relazioni interne al sistema perché quello è un mondo dove l’analisi e il confronto delle revisioni non sono una virtù: l’obbedienza, meglio se cieca è una virtù. Questo ha condizionato le nostre relazioni gerarchiche e di integrazione all’interno del nostro sistema,  questo cambiamento della cultura è un passo difficile, ma fondamentale.

Perché i problemi che abbiamo oggi non saranno mai risolti all’interno della stessa cultura che li ha generati.

Il viaggio è lungo per il cambiamento culturale: è un aspetto difficile, ma sono convinto che il tentativo di gestire il rischio, di diminuire gli errori e di contenere i danni sia una nuova sfida per tutte le professioni che fanno parte del sistema sanitario.

Posso dire che noi infermieri siamo pronti ad accogliere questa sfida, con intelligenza, competenza, metodo, trasparenza. Invitiamo tutti gli altri a fare questo viaggio con noi consapevoli che non dobbiamo scoraggiarci perché è vero che il viaggio è molto lungo, ma citando Lao Tzu, “anche il viaggio più lungo di mille miglia comincia sempre con i primi passi”.

 

Aniarti: www.aniarti.it

 
 
 
20/09/2006