CONGRESSO NAZIONALE 2005

XXIV Congresso Nazionale Aniarti -- Diretta dal Congresso

 
24° Congresso nazionale
Sorrento, 26 – 27 - 28 Ottobre 2005
 L’Infermiere in Area Critica: pensare, essere, fare.
 

LA RASSICURAZIONE DEL PROFESSIONISTA

Caterina Di Viggiano, Roma
Infermiera, Dirigente del Servizio Infermieristico del Dipartimento di malattie Polmonari dell'Azienda Ospedaliera S. Camillo/Forlanini, Roma

 

Voglio portarvi le mie riflessioni sul problema che riguarda la responsabilità professionale e il rischio professionale.

Altri relatori hanno delineato un quadro sufficientemente ampio ed esaustivo della situazione in cui noi oggi andiamo ad operare.

Ho preparato poche diapositive che sono anche un riassunto e un richiamo agli argomenti trattati  in queste  in queste giornate: il risk management, la gestione, la dimensione del rischio e la probabilità che un determinato evento avverso o comunque non voluto, si realizzi e quindi determini dal punto di vista professionale una risposta, una responsabilità.

Io personalmente lavoro come infermiera da molti anni: 30 anni fa questo problema non ce lo ponevamo, perché arrivavamo in reparto, eseguivamo le nostre mansioni, e qualsiasi cosa succedesse, che non fosse di rilevanza penale, e quindi ci imponeva di rispondere personalmente di ciò che era successo, avevamo il medico che si faceva carico di tutte le nostre azioni.

Ad un certo punto è cambiata la situazione, perché è cambiata la professione, è cambiato il livello di professionalità che soprattutto nelle aree critiche è altissimo, ma soprattutto è cambiato il contesto giuridico in cui noi oggi operiamo, e molti colleghi purtroppo ancora non si rendono conto di questo enorme e profondo cambiamento che ci vede poi a rispondere in sedi più o meno giuridiche, o in tribunali o in altri posti. Però non voglio essere una giustizialista o mettere paura: quello che è stato detto oggi è il prevalentemente “prendiamo coscienza” della modificata situazione, prendiamo coscienza della situazione di prevenzione del rischio e della “gestione della chiamata a rispondere”.

Questo va detto soprattutto ai sensi della normativa che regola oggi la  figura professionale.

Sono stati presentati molti dati e numeri che possono essere cambiati o riaggregati.

Anche io mi sono presa l’impegno di cercare alcuni dati che potessero essere utili alla riflessione di oggi. Li potete trovare sul sito del ministero della salute, quindi non sono dati difficili da acquisire, e mi sono fermata a riflettere sugli errori e quindi la chiamata a rispondere.

Tra i vari dati c’era questo che mi ha colpito: l’85% sono attribuibili a responsabilità organizzative e il 15% a responsabilità individuali.

Le attività correttive che vengono a oggi messe in atto sono: per il 2% di tipo organizzativo e per il 98% di tipo individuale.

Mi sembra che ci sia una evidente discrasia fra l’errore e il relativo impegno alla correzione.

Quello su cui ho ragionato è che parlando con alcuni colleghi di impegno, quando si tratta di responsabilità organizzative, non si capisce bene per quale meccanismo, tutti pensiamo che l’organizzazione la facciano gli altri, cioè quelli che stanno in un altro posto, che stanno a dirigere, che stanno a pianificare, che stanno a fare altre cose.

Io penso che invece la responsabilità organizzativa comincia da noi: ognuno di noi deve prima di tutto organizzare se stesso, capire chi è come professionista e se possibile leggersi almeno una volta nella vita il decreto ministeriale che enuncia appunto il profilo dell’infermiere professionale. Perché a fronte di questi dati sugli errori, ci sono altri dati importanti, sempre tratti dal sito del ministero. E questi sono che il 22,5% dei sospetti errori sono riferibili a violazioni di protocolli (e qui ci riferiamo al discorso della colpa): la violazione dei protocolli e delle linee guida configura una colpa per imprudenza e quindi oggi la giurisprudenza è orientata a considerare la imprudenza professionale in ambito sanitario come colpa grave.

Altro dato è che il 43,1% degli errori riferibili alla inadeguatezza qualitativa dell’esecuzione del trattamento sanitario. Su questo punto vi invito a ragionare attentamente: chi è che oggi è responsabile del trattamento sanitario? Nell’agendina dell’Aniarti  c’è  una raccolta di normative: se la leggete c’è anche il decreto del 14 settembre 1994, articolo 1, comma 3, punto C.

All’articolo1 si dice che l’infermiere è responsabile dell’assistenza generale infermieristica, quindi la nostra responsabilità è prevista specificatamente dalla legge.

Nei commi successivi specifica questa responsabilità: al punto C dice che l’infermiere è responsabile della pianificazione, gestione e valutazione dell’intervento assistenziale infermieristico, e garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico- terapeutico.

Tutto questo potrebbe essere riassunto nella adeguatezza o meno qualitativa dell’esecuzione del trattamento sanitario.

Pertanto l’infermiere oggi si trova  a discutere, a ragionare sul rischio, si trova a discutere sulla responsabilità professionale proprio perché è chiamato in prima persona ad analizzare le proprie competenze professionali dal punto di vista dei limiti delle possibilità e degli obblighi che noi oggi abbiamo, ma anche dal punto di vista dell’attinenza o meno ad una corretta esecuzione delle prestazioni sanitarie che siamo chiamati ad erogare ai pazienti.

E’ inutile dire che condivido il discorso che veniva fatto dal Broker (che diceva giustamente non essere un assicuratore): non è possibile, ed è errato sovrapporre il lavoro di verifica della qualità della prestazione assistenziale e contemporaneamente verifica, valutazione e  prevenzione del rischio, anche se sono e devono essere gli stessi professionisti coinvolti in questi processi. Però i tempi devono essere differenziati e non possono assolutamente essere sovrapposti perché altrimenti non otterremmo i risultati che vorremmo avere.

L’operatore sanitario è responsabile di un trattamento sanitario. Risponde per quanto riguarda il nostro diritto, il nostro sistema legislativo non di un risultato ma di un operato.

Su questo punto speravo che il nostro medico legale facesse un inciso: perché molti colleghi pensano di non dover rispondere dei risultati. Rispondere del risultato non vuol dire che dobbiamo o siamo in grado per forza di guarire o di determinare un certo evento, ma che tutta la nostra attività deve essere tarata, impostata al fine di ottenere il risultato: a volte ci sono eventi che non dipendono dai nostri errori, che però non ci permettono di ottenere il risultato sperato: ciò però non va a configgere col fatto che noi abbiamo operato nella maniera più corretta possibile.

La maniera più corretta possibile è quella di adeguarci e di aggiornarci costantemente alle evidenze scientifiche, anche se non possiamo essere dei giustizialisti o comunque avere sempre la paura di andare a finire in tribunale, noi dobbiamo sempre tarare le nostre azioni in funzione di una possibile chiamata a rispondere.

Quindi se io opero e pianifico un intervento assistenziale lo devo fare secondo scienza e coscienza, sapendo che quella è la procedura o il percorso assistenziale più idoneo per quella specifica patologia nel rispetto dei bisogni del paziente.

Un altro punto su cui volevo richiamare la necessità di essere professionisti responsabili è quella del consenso informato. Quest’ultimo è sempre stato visto come una competenza specifica del medico che informa sulla patologia e sulla terapia.

Noi come professionisti siamo chiamati ad informare il paziente sul piano di trattamento che noi pensiamo essere il più idoneo per la sua patologia e per le sua condizioni di salute e in alcuni casi concordarlo anche con le aspettative del paziente, perché lui ha il diritto di autorizzarci a proseguire e andare avanti sul livello di prestazione che noi pensiamo siano le più idonee al suo stato di salute.

Nel momento in cui l’infermiere deve somministrare una terapia o un farmaco deve essere in grado anche di dare la spiegazione su quello che sta praticando e del perché lo sta praticando: è chiaro che il medico lo prescrive, ma l’infermiere lo somministra, e se il paziente ci chiede qualcosa o ci dice che non vuole essere sottoposto alla terapia noi dobbiamo conoscere esattamente il nostro comportamento più idoneo e dobbiamo sapere se nel caso in cui non rispettiamo il volere del paziente, dovremo poi rispondere di qualcosa di veramente grave.

Cosa fare? Sono state dette tante cose in queste giornate, veramente interessanti e piene di contenuti importanti.

Posso riprendere alcuni punti che sono stati già trattati: la necessità di individuare i rischi che la struttura in cui operiamo presenta e attraverso dei processi di rilevazione, registrazione, comunicazione e gestione dell’errore; la conoscenza delle questioni giuridiche, amministrative e assicurative che sono state esplicitate chiaramente, che ogni azienda dovrebbe ulteriormente approfondire, anche a livello di unità operativa. Sarebbe opportuno verificare le attività e i livelli di rischio a cui siamo sottoposti e capire che tipo di implicazioni giuridiche, amministrativo e assicurativo queste potrebbero portare al loro seguito.

Sulla necessità del risk management e quindi della necessità di organizzare una rete di protezione, gestione e prevenzione del rischio siamo tutti d’accordo.

Dovremmo elaborare dei progetti assistenziali e organizzativi finalizzati alla gestione (e non tanto alla rilevazione) nelle unità operative, senza aspettare che gli interventi di tipo organizzativo ci calino dall’alto: siamo dei professionisti preparati, competenti per ciò che compete le nostre attività professionali  e siamo noi che possiamo pensare e progettare dei modelli assistenziali che organizzativamente modificati portano ad una riduzione del rischio, perché i rischi spesso sono tipici di un reparto particolare, di una unità operativa particolare e non sempre sono generalizzabili a tutta la struttura.

Come diceva il medico legale prima di me, c’è la paura ad evidenziare, di denunciare un errore: è una paura umana e legittima che però dovrebbe essere superata dalla presa di coscienza del livello professionale che noi esprimiamo nella nostra attività lavorativa quotidiana, e cercare di analizzare il quasi errore, che è quello che tutto sommato ci permette di non sentirci accusati di qualche cosa ma anzi ci vede attivi nella rilevazione di situazioni rischiose all’interno della nostra unità operativa, e quindi ci gratifica questa capacità di individuare le situazioni o i processi che possono dare seguito ad un errore e ci permettono in questo modo di attivare parallelamente alla progettazione e all’esecuzione delle attività assistenziali anche dei progetti locali che possono intervenire a migliorare questi processi.

Tutto deve essere fatto alla luce delle evidenze scientifiche: quindi l’aggiornamento professionale  deve essere un invito ad essere anche portatori di questo messaggio ai colleghi, in modo che si attivi questo processo: la presa di coscienza di sé.

Prima di governare o cambiare o modificare o ridurre i rischi all’interno di una struttura ospedaliera dobbiamo prima di tutto prendere coscienza di noi stessi, della nostra posizione professionale e della nostra capacità di intervenire in una condizione di prevenzione di rischio e quindi di riduzione della responsabilità professionale che oggi c’è, e non si può negare, perché esiste, dobbiamo prenderne coscienza e dobbiamo tutti insieme trovare gli strumenti per poterla gestire al meglio.

 

 

Aniarti: www.aniarti.it

 
 
 
20/09/2006