CONGRESSO NAZIONALE 2005

XXIV Congresso Nazionale Aniarti -- Diretta dal Congresso

 
24° Congresso nazionale
Sorrento, 26 – 27 - 28 Ottobre 2005
 L’Infermiere in Area Critica: pensare, essere, fare.
 

LA PREVENZIONE DELL’ERRORE

Antonio Giordano, Medico
Direttore Sanitario Aziendale AORN "Monaldi", Napoli

 

Innanzi tutto vorrei ringraziare gli organizzatori di questo convegno che hanno avuto la sensibilità di invitare anche un direttore sanitario di azienda e di individuare me, per poter portare il saluto e la nostra esperienza in questo bellissimo evento, così ben organizzato, in un posto magnifico.

Il problema della presenza di un “gestionale” all’interno di questa tavola rotonda, per certi versi mi ha messo in una condizione di grande difficoltà.

Nelle tavole rotonde quando si incontrano esperienze di persone che non hanno avuto mai rapporti in precedenza, si corre sempre il rischio di dire tutti le medesime cose, o magari di porsi il problema di come affrontare la relazione, di come portare un’esperienza.

Il percorso che proprorrò è quello di mostrare quello che sta accadendo nella nostra azienda.

Abbiamo nominato da circa un anno una commissione di Risk management, presieduta dal sottoscritto ma coordinata da un collega chirurgo che ha fatto precedentemente il capo dipartimento delle chirurgie. E’ composta da un medico della direzione sanitaria oltre a me, e da ben 7 infermieri, tra cui anche un collega  di area critica.

Prima di tutto abbiamo pensato fosse necessario definire un percorso che potesse essere poi portato all’attenzione di tutti gli operatori: era necessario analizzare quello che è il problema del Risk management e poi individuare una serie di percorsi operativi, inizialmente soltanto teorici, ma che potessero rientrare in una migliore/maggiore operatività.

Gli eventi indesiderati in medicina costituiscono il problema del Risk management. Le cause sono di varia natura, e le vedremo successivamente, ma per poter andare avanti e migliorare la nostra qualità assistenziale, bisogna organizzarsi per individuare i meccanismi di prevenzione.

Il progetto di cui vi parlo è rivolto al nostro personale, quindi ha avuto la necessità di essere per certi versi organico, di far capire complessivamente qual’ è il tema di cui stiamo parlando.

La clinical governance è stata descritta per la prima volta nel libro bianco di Blair, nel momento in cui i laburisti sono tornati al potere nel Regno Unito. Blair aveva basato la sua campagna elettorale sulla riforma del sistema sanitario inglese,dopo 4 mesi di governo riuscì a promulgare la riforma in cui, tra le tante cose descritte in questo libro bianco, la cosa di maggiore interesse, la vera novità è stata la “clinical governance”, cioè il governo della struttura.

Il Risk management può essere definito secondo alcuni autori come un complesso di procedure organizzate per identificare, valutare e ridurre, dove possibile, i rischi dei pazienti, dei visitatori, dei dipendenti e di tutta l’organizzazione.

E’ una definizione che mi piace perché mette insieme tutti i vari aspetti del Risk managment.

Nella sostanza identifica un programma finalizzato a ridurre l’incidenza di eventi indesiderati, preventivabili, e la perdita economica che da essi ne deriva.

Lo strumento che si utilizza è un complesso di procedure: è un programma che è destinato ai pazienti, ai visitatori, ai dipendenti dell’azienda; e il metodo utilizzato è quello di identificare, avvalorare e ridurre i rischi. L’obiettivo finale è quello di ridurre l’incidenza di eventi indesiderati.

L’obiettivo indiretto è quello di ridurre la perdita economica che ne deriva. Perdonatemi se sottolineo l’aspetto economico, ma dal mio punto di vista, è un problema.

Dovremmo arrivare alla qualità, che è la somma del Risk management e della responsabilità professionale che si coniuga con la parola Clinical governance, che alla fine si pone il problema di offrire un prodotto di qualità, in senso di efficienza, di processi, non dimenticando mai quello che dice Donabedian (il padre della prima riforma sanitaria inglese), che amava finire i suoi testi, i suoi interventi con una frase che io ho stampato nella mente, che è: “ non vi è nessuna forma di efficienza, senza efficacia clinica”.

Tenete presente che stiamo affrontando la questione in termini di processi, ma il nostro scopo è quello di produrre un risultato finale efficace per il paziente (termine improprio, ma ancora oggi si usa) e che non faccia correre dei rischi.

Quali sono i vantaggi del risk management?

-         Maggiore efficacia della programmazione,

-         efficienza ed efficacia nell’erogazione delle prestazioni,

-         efficienza ed efficacia allocazione delle risorse,

-         standard di prestazioni orientate al cliente,

-         standard di responsabilità, ecc.

(secondo la definizione dell’Australian Michigan standard).

Che cosa è il rischio? E il rischio di perdere cosa? Gli inglesi la definiscono “Loss”= perdita, e il management si inserisce nel tentare di ridurre il rischio di perdere la “Loss”, attraverso situazioni, comportamenti e procedure.

La definizioni in italiano è la perdita di qualcosa per sempre: denaro perso dall’organizzazione, svantaggio causato dall’asportazione di qualcosa di utile; e comporta una lesione, un danno, un risarcimento.

Le potenziali occasioni di “loss” sono le perdite economiche conseguenti ad azioni legali e reclami, danni ad attrezzature ed immobili, incidenti, lesioni, malattie, morte di persone, danno dell’immagine aziendale o della reputazione professionale.

Il primo obiettivo del Risk management è il tentare di ridurre il rischio di denuncia, o meglio tendere ad assumere un comportamento che è valutato ineccepibile, perché altrimenti la denuncia porta ad un processo ed eventualmente ad un altro rischio.

Come ci si deve muovere nel Risk management? Individuando innanzitutto il Risk identification = un processo di identificazione, situazione, comportamenti e procedure che possono potenzialmente portare ad una “loss”.

Le fonti della Risk identification sono: la sicurezza dell’ambiente e delle attrezzature, percorso per il controllo delle infezioni, programmi di miglioramento della qualità delle procedure, sorveglianza del grado di soddisfazione dei reclami, eventi avversi, management e leadership.

Le criticità sono gli eventi indesiderati. Come possiamo tentare di ridurre questi ultimi? Attraverso l’identificazione dei rischi, perché se non identifichiamo i rischi non abbiamo nessuna modalità di agire.

I rischi sono quelli correlati all’utente, con le attività finalizzate alle cure del paziente, riservatezza dei dati personali e sensibili del paziente, informazione e consenso.

Per quanto riguarda il consenso, la legge dice che deve essere informato, perché non basta far firmare una persona, bisogna parlare con questa, spiegare qual è il problema, farglielo capire e accertarsi che abbia compreso, tenendo presente un fatto: il paziente il consenso lo firma perché si trova in una condizione di debolezza, sa che deve accettare quello che gli operatori in una qualche maniera gli devono somministrare, o deve andarsene. Questo non è consenso, ma una forma di ricatto psichico per cui alla fine il ruolo di tutti gli infermieri, è quello di tranquillizzare, di spiegare, di far capire, di informare.

La documentazione è uno dei problemi più grossi del risk management, sulla cartella clinica e sulla documentazione approfondirò in seguito.

I rischi correlati all’azienda sono i miglioramenti della qualità, accreditamento estensionale, livelli di assistenza e i gradi di specializzazione.

I rischi correlati ai dipendenti sono la sicurezza negli ambienti di lavoro, violazione dei diritti civili, mobbing e molestie sessuali.

Altri rischi sono i disastri naturali, ecc.

Come identifichiamo i rischi? Attraverso eventi sentinella, per formare un “incident reporting”, attraverso una formazione di una migliore informazione e consenso, con la cartella clinica e con le linee guida.

Gli eventi sentinella sono rivelatori della grave criticità del sistema. Non ne ho descritti tanti perché mi pare che dipendano anche dal tipo di attività che si fa.

In area critica troviamo: le procedure chirurgiche sbagliate eseguite su parti anatomiche, danni neurologici riconducibili ad anestesia spinale, suicidio del paziente durante la degenza, ritenzione in sede di intervento chirurgico di strumenti e materiali che richiedono il reintervento oltre le procedure chirurgiche, la morte del paziente riconducibile ad una inadeguata somministrazione di farmaci, l’embolia gassosa, reazione emolitiche da incompatibilità trasfusionale, ipossia cerebrale in corso di anestesia, la morte o danno severo nella donna gravida associata al travaglio o al parto, dimissione del neonato con l’affidamento alla famiglia sbagliata.

Questi eventi sentinella sono stati individuati dall’Australian Council.

L’incident reporting è una metodica standardizzata di segnalazione spontanea di eventi indesiderati finalizzata alla rilevazione della criticità del sistema o delle procedure. Su questo bisogna intervenire.

Il medico legale era intervenuto e ha detto molto a riguardo di questo argomento: c’è una nostra resistenza spaventosa (“i panni sporchi si lavano in famiglia”), perché le cose non si dicono, si tendono di evitare. E dall’altra parte ci si chiede:”perché dovrei segnalare un incidente?”. Infatti il minimo che possa capitare è andare di fronte ad una commissione disciplinare, ad una indagine.

Ma bisogna capire questo: fin tanto che esiste un meccanismo di tipo punitivo, sarà impossibile immaginare un “incident reporting”.

Su quest’ultimo bisogna ragionare molto e bisogna prima di tutto garantire l’impunità a chi ha la sensibilità di segnalarlo.

Questo non significa utilizzare una serie di procedure e sanzioni, ma il fatto che una persona ha individuato un incidente e lo segnala, significa che dentro di sé è molto motivata e specialmente se segnala un proprio incidente. Meno bene se segnala un incidente altrui, perché prende le caratteristiche della denuncia e non più di incident reporting.

L’incident reporting lo dobbiamo dividere in 3 grossi gruppi:

-         gli eventi avversi,

-         gli eventi che invece hanno procedure potenzialmente lesive, ma non hanno causato danno,

-         le procedure potenzialmente lesive interrotte prima che si concretizzi il danno.

Parlare di eventi avversi è già grave, perché il danno si è già verificato; lavorare sul risk managment vuol dire lavorare su procedure che non hanno causato danno e sono procedure interrotte prima che si concretizzi il danno.

Il nostro scopo è lavorare su questo per impedire che l’evento avverso accada.

Ancora di più lavorare sui near miss perché sono questi i veri problemi.

L’incident reporting deve essere effettuato con la riservatezza della segnalazione, senza sanzioni disciplinari: solo da 5-30% degli eventi che dovrebbero essere segnalati, vengono fatti.

Questo concetto del risk management viene rappresentato come la punta dell’iceberg, ma tutto quello che accade è la base, che sta sotto che è enormemente più grande.

E’ per questo che dobbiamo cercare di vincere la nostra diffidenza segnalando gli eventi avversi, in modo che si riesca ad innescare delle procedure gestionali che possano migliorare in una qualche maniera la qualità del servizio e ridurre tutti gli eventi avversi o gli eventi che non hanno ancora causato un danno.

La riservatezza è pertanto fondamentale: il report non deve essere inserito nella cartella clinica o in documenti destinati all’utente.

Per quanto riguarda la responsabilità deve essere garantita l’impunità dell’estensore.

Questi 2 concetti sono stati definiti anche dal garante della privacy e dal buon senso.

L’informazione- consenso deve essere comprensibile in relazione al livello culturale del paziente: non abbiate vergogna e non abbiate preoccupazione se il paziente è anziano, difficile, di scarso livello culturale: parlategli in dialetto, come sa capire, perché l’informazione deve essere completa, circa gli effetti collaterali indesiderati.

Su questo punto vorrei raccontare un’esperienza sulla descrizione degli effetti indesiderati, che non può essere un fatto aritmetico: non si può informare il paziente dicendogli che l’intervento che subirà gli “darà l’x percentuale di morte”, questo è atroce, perché noi dobbiamo farci capire, dobbiamo riferire anche la pericolosità dell’intervento, però dobbiamo utilizzare le strade più corrette per poter rappresentare queste cose. Perché una bella scheda che ci fa la sommatoria del rischio probabile, specialmente in taluni tipi di intervento ad elevato rischio dove già la preoccupazione del paziente è alta, abbatte ancora di più la persona che lo deve subire.

Facciamo molta attenzione. Con la logica e la completezza dell’informazione non dobbiamo diventare dei cinici segnalatori aritmetici di una serie di eventi, che devono essere descritti, ma dobbiamo utilizzare il tempo necessario: nell’informazione, la risorsa fondamentale è il tempo, altrimenti non è un’informazione.

Forse è il nostro grande errore: la medicina basata sulla quantità numerica dei processi, che la fa diventare disumana in certi momenti, completa degli effetti indesiderati, eventuali ipotesi alternative, possibili conseguenze di un rifiuto, partecipativa  cioè con gli aspetti psicologici del rapporto medico- paziente o infermiere- paziente.

Il consenso determina un atto giuridico che consente la lecita dell’intervento e necessita una comunicazione. Su quest’ultimo punto, noi stiamo proponendo di fare dei seminari specifici, in tema di informazione- consenso, perché crediamo che questo sia uno dei punti veramente importanti.

La cartella clinica. La finalità della cartella clinica ha molto in comune con l’interesse del medico e del personale infermieristico.

Il discorso va un po’ più nel dettaglio quando per le finalità bisogna valutare anche il tema della responsabilità professionalità del medico, dell’ospedale e oserei anche dire dell’infermiere.

Quindi dobbiamo vedere il controllo delle infezioni ospedaliere, le analisi dei costi, ecc.

Le anomalie più frequenti nella cartella clinica sono: scarsa leggibilità, abbreviazioni improprie, omissioni, generalizzazioni, frasi positive o negative, annotazioni postume, ecc.

La scarsa leggibilità è una delle cose che maggiormente ci rimprovera la magistratura.

Per quanto riguarda le omissioni: la cartella fa fede di vero fino a prova contraria: tutto quello che non è scritto in cartella non esiste, non è stato fatto.

Le linee guida comportano vantaggi: sono gli strumenti per ridurre il risk management, perché determinano l’omogeneità dei comportamenti da tenere in determinati momenti, e facilita la verificare dell’out come; ma comportano anche degli svantaggi: riduzione dell’autonomia decisionale del medico, descrizione del pensiero medico logico di routine, introduzione della medicina difensiva.

La linea guida ci offre una standadizzazione del processo: ci garantisce di poter offrire quello che attualmente è il pensiero dominante in medicina. La riduzione della medicina difensiva e la riduzione della creatività per il professionista sono un grosso problema, ma in nome di questa riduttività e in nome della scienza e coscienza sono state commesse tante cose.

La colpa professionale è una valutazione a cui si può arrivare sulla base delle linee guida nel momento in cui le linee guida sono state per certi versi validate all’interno della struttura e poi successivamente motivate: nel momento in cui sono state fatte (sulla base di dati certi), l’eventuale non rispetto deve essere motivato.

L’ipotesi di colpa professionale sulla base delle ipotesi di teoria accreditate, si devono valutare sulla base delle linee guida.

Qual è l’identificazione delle ipotesi percorribili ex ante: si devono tenere comportamenti coerenti con le linee guida e quindi validità dell’uso delle medesime oppure un comportamento non coerente con le linee guida.

Questo ci comporta una inadeguatezza dell’uso abusatorio di queste: in qualche caso il comportamento non coerente con le linee guida espone di più, ma se esistessero gli estremi che possono essere motivati adeguatamente non è sbagliato approfondirle.

L’analisi dei rischi. E’ prima di tutto l’analisi delle cause, che risulta indispensabile per studiare gli eventi avversi, che non hanno provocato danno e quelli che sono stati bloccati in tempo. Si focalizza non tanto sulla performance dei dipendenti, ma sul sistema e sui processi.

La mappa delle aree critiche sono le analisi dei singoli eventi indesiderati e l’analisi dell’organizzazione aziendale.

Il risk control è acquisire conoscenze sulla definizione di rischio, conoscere la classificazione degli eventi sentinella e degli eventi avversi, imparare la mappatura dei rischi, imparare a monitorare gli eventi a rischio, imparare a collaborare circa le modalità di segnalazione degli eventi avversi, imparare le cause degli eventi indesiderati.

Ma la vera soluzione è imparare a identificare i correttivi organizzativi clinici inerenti ai processi di comunicazione nell’applicare un piano di gestione del rischio nella propria realtà operativa.

Alla fine per il rischio finanziario che cosa si tende a fare? Trasferire ad altri il lavoro economico del rischio e a trasferire la gestione del rischio.

Su queste cose dovremmo in qualche modo riflettere tutti quanti insieme e probabilmente non è semplice la strada di trasferire ad altri la gestione del rischio economico e di responsabilità perché in ogni caso ci sembrerà impossibile, ma il vero problema è tentare di costruire, per ogni singolo aspetto, delle procedure che ci consentano di portare avanti una politica di riduzione del rischio.  Questo potrebbe essere un progetto su cui poter lavorare analiticamente nelle varie realtà lavorative.

 

 

Aniarti: www.aniarti.it

 
 
 
20/09/2006