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31' Congresso Nazionale

Infermieri e qualità di vita in area critica

Riva del Garda (TN), 14 Novembre - November 2012 / 16 Novembre - November 2012

» Indice degli atti del programma

Alleanze sociali e qualita' di vita in ambiente sanitario Nicoletta Teodosi, Roma

16 Novembre - November 2012: 10:40 / 11:30

Alleanze sociali e qualità della vita in ambiente socio-sanitario e socio-assistenziale

XXI congresso Aniarti (Riva del Garda 14-16 novembre 2012)

di Nicoletta Teodosi[1]

Buongiorno a tutti e grazie per avermi invitata.

Come vedete dal titolo del mio intervento mi sono permessa di aggiungere il termine “socio” accanto a “sanitario” e “socio-assistenziale” perché non possiamo parlare di qualità della vita di una persona affidata alle cure del sistema sanitario pubblico se non colleghiamo questo al sistema sociale composto dai servizi sociali dei comuni, dai servizi socio-sanitari territoriali delle asl (consultorio, materno infantile, ufficio handicap, servizio tossicodipendenze, ecc)[2].

Partirei dalla definizione di chi stiamo parlando, chi è il destinatario del nostro agire: persona, senza distinzione di età, che in un certo momento della sua vita, o per lunghi periodi o per sempre, si trova in una condizione acuta di non autosufficienza o semiautosufficienza, o in una condizione di cronicità che la costringe a dipendere materialmente da qualcuno o da qualcosa o da entrambe.

Le leggi italiane sono universaliste sia per quanto riguarda le cure sia per l’accesso ai servizi sociali, ma sappiamo che avere un reddito adeguato e avere una famiglia in grado di prendersi cura della persona in caso di bisogno, fanno la differenza. Così come fa la differenza il luogo in cui si vive, in quale regione tra il Nord-Centro-Sud.

In questa sede tutti conosciamo le differenze nell’offerta dei servizi sociali e sanitari tra una regione tipo del Nord (Veneto, Emilia Romagna?) e una del Sud (Calabria?), sono solo esempi, ma anche qui ci capiamo.

Chi lavora nei servizi sociali sa quanto la famiglia sia importante, ovviamente non mi riferisco alla famiglia propriamente detta, ma a quel nucleo di persone più vicine a chi sta male indipendentemente dal legame di parentela o affinità che sia. Quel nucleo che corrisponde alla rete di primo livello. Da questo punto di vista, infatti, i servizi sociali sono avanti rispetto alle norme attuali, almeno quelle che vigono nel settore sanitario: quando una persona si rivolge ai servizi sociali non le viene richiesto il certificato di matrimonio o stato di famiglia; se una persona necessita di assistenza la segnalazione può essere fatta da chiunque, anche da un vicino di casa, un compagno/a. Queste figure sono molto importanti perché assumono il ruolo di caregiver e diventano il tratto di unione tra la persona in assistenza e i servizi stessi.

Ho inserito in questo mio intervento dei concetti che vorrei non venissero sottovalutati e che senza i quali non possiamo parlare di qualità della vita: diritto all’accesso ai servizi, qualità degli stessi, pari opportunità per tutti.

Diritto all’accesso ai servizi: questo diritto costituzionalmente riconosciuto impegna la Repubblica a garantire e riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo (art 2) e a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale perché limitano la libertà e l’eguaglianza tra i cittadini (art 3).

Nel 2000 anche l’Unione europea tra gli obiettivi di Nizza poneva il diritto all’accesso a servizi di qualità come uno degli obiettivi della Strategia di Lisbona; con la Carta dei diritti fondamentali la UE riconosce e rispetta il diritto di accesso ai servizi sociali (art 34) e il diritto ad accedere alla prevenzione sanitaria e a ottenere le cure mediche (art. 35).

Nel leggere ciò, dovremmo sentirci tutti più sicuri, certo “sta scritto”, ma sappiamo bene che i diritti non sono automaticamente esigibili; questo dipende da troppi fattori che rendono la persona debole, ancora di più rispetto al bisogno di cui è portatrice. La collocazione geografica conta molto, come dicevo, perché risiedere in una regione con uno standard economico elevato significa avere “di più” a disposizione nell’offerta di servizi: più scuole, più ospedali, più servizi territoriali, più asili, più organizzazioni di volontariato (il secondo livello rispetto al primo rappresentato dal nucleo familiare). Questo standard è garantito non solo da politiche territoriali più attente alla persona, ma da un livello produttivo che, soprattutto nelle regioni meridionali, è carente. Le attività produttive producono reddito per le persone e per le comunità attraverso le tasse. Laddove ci sono poche o scarse attività produttive, c’è poco reddito personale e poche entrate per le comunità. La differenza non è di poco conto. Si possono fare tutte le politiche in favore della persona, ma se i fondi non ci sono, perché non autoprodotti o perché i trasferimenti statali sono stati ridotti, le politiche restano sulla carta.

Ad esempio, gli attori principali della erogazione dei servizi sociali alla persona sono i Comuni. Dal 2008 ad oggi hanno visto ridurre lo stanziamento del Fondo Nazionale per le Politiche sociali di oltre il 90%!. Si è passati infatti dai 2.526,7 milioni stanziati nel 2008 ai 229,4 del 2012 (legge di Stabilità che ha validità nel 2013). Nel 2010 il Fondo per la Non autosufficienza era di 400 milioni di euro, l’anno dopo è stato azzerato e mantenuto tale ancora oggi. Cosa succede in quei Comuni dove non ci sono alberghi, fabbriche, attività commerciali, imprese? Accade che devono basarsi solo sui trasferimenti nazionali, di cui abbiamo visto le riduzioni, sulle imposte locali (IMU,Tarsu, addizionali comunali) che non vanno agli interventi sociali, se non in maniera estremamente ridotta. In questo momento non sono in grado di dire esattamente la % di finanziamenti propri che vanno al sociale, neanche so se esista un data base che riporta questi dati, ma certo è che l’investimento sociale è residuale e non prioritario rispetto ai “lavori pubblici” ad esempio.

Ci sentiamo tutti più sicuri a sapere che la carta costituzionale garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, confermati nella Carta dei diritti fondamentali e resi esigibili dalle norme nazionali tra cui la legge 328 del 2000 (Riforma del istema Integrato dei servizi socio-assistenziali”)? Certo che siamo più sicuri, ciò significa che abbiamo tutti le stesse opportunità, perché tutti siamo destinatari di quei principi. Dovremmo capire però cosa significa nascere a Trento piuttosto che a Catanzaro.

La legge di Stabilità 2012 ancora non è stata approvata in via definitiva, le notizie che arrivano dal dibattito parlamentare non consentono di essere ottimisti, sotto molti aspetti. I gruppi di pressione che si stanno muovendo a difesa delle politiche socio-assistenziali (tra cui la “Rete Cresce il welfare, cresce l’Italia” e il “Comitato per la promozione della petizione popolare nazionale sui Lea”, solo per fare alcuni esempi di grandi raggruppamenti) hanno indetto manifestazioni (Roma 31 ottobre), petizioni, incontri con gruppi parlamentari. Da questi incontri sono arrivate manifestazioni di solidarietà e impegno. Aspettiamo e vediamo. Nel frattempo, per restare sull’attualità, i malati di SLA per aver garantita la soglia minima di assistenza stanno facendo lo sciopero della fame. Ci sono parole per questo? No, non ce ne sono, abbiamo bisogno di fatti.

Qualità dei servizi. Diritto anche questo riconosciuto a livello nazionale ed europeo. La qualità è strettamente collegata alle risorse che si hanno a disposizione: umane certo, ma soprattutto economiche. Se non vengono effettuati investimenti nelle strutture - tutti conosciamo le condizioni di certi uffici pubblici. Io vengo da Roma, vedeste lo squallore di certe ASL, il solo fatto di entrare in ambulatori, mal ridotti, scarsamente accoglienti, in stato di degrado “perché mancano i fondi” rende l’accesso demoralizzante, che si aggiunge al fatto che se un cittadino si rivolge a certi servizi non è di certo per fare prevenzione, ma perché ha un problema conclamato, piccolo problema ci auguriamo sempre.

Per la prevenzione ci stiamo mettendo una pietra tombale e mettiamo mano al portafoglio, nonostante la pubblicità del Ministero della Salute, sulla prevenzione per le donne.

Nei servizi sociali la qualità è data dalla capacità di ascolto da parte degli assistenti sociali, ma anche dagli strumenti che queste figure hanno a disposizione. Spesso si devono assumere responsabilità che necessitano di coperture finanziarie: l’erogazione dell’assistenza domiciliare è ridotta al minimo perché nel frattempo i costi del personale delle cooperative cui sono affidati i servizi di prossimità, sono aumentati. Vanno seguiti i contratti nazionali di lavoro, le organizzazioni sindacali giustamente fanno il loro mestiere e controllano, ma nel frattempo diminuiscono gli stanziamenti. Ad un aumento proporzionale del costo orario, diminuisce lo stanziamento complessivo per l’assistenza e diventa un’opera di incastro garantire lo standard erogato, mantenendo alta la qualità. Finora ci si è riusciti in futuro non garantiamo.

Ancora, come si garantisce la qualità nei servizi? Bisogna guardare al ventaglio dell’offerta. I Liveas sono obbligatori in tutta Italia, ma sono veramente essenziali, standard minimi. In alcuni territori l’offerta ha una gamma di prestazioni più vasta, inclusi i servizi per l’integrazione scolastica, lavorativa, percorsi formativi per persone con bassa qualifica o titolo di studio, ma è l’ente locale che ci mette di proprio con i finanziamenti della Regione.

Senza investimenti sui servizi, e di conseguenza sulle persone, quanto potrà reggere la qualità sia pur minima che viene offerta oggi? Fino a quando?

Chi si occupa, come me, di programmazione guarda avanti, progetta oggi perché si possano avere servizi domani e risultati dopodomani. Parlo di servizi non di progetti. Purtroppo però, in questo paese sembra che la parola magica sia diventata “progetto, progettare”. Se dovessimo solo progettare potremmo andare a casa, anzi dovremmo. Un progetto è uno strumento che ha una vita temporale ben definita: solitamente un anno o anche meno e lì finisce. I servizi lavorano su periodi lunghi, perché un piano individuale possa dare dei risultati passano anche anni, a seconda del problema da affrontare. Dire “avviamo oggi il progetto di centro diurno per disabili adulti, come start up per un percorso di autonomia dalla famiglia e di inserimento in gruppo appartamento” significa avviare un lavoro che non dura meno di due-tre anni, che va messo in “programmazione” e in “integrazione” con gli attori rilevanti del territorio.

Qui arriviamo alle alleanze sociali e a quali strumenti.

Nel gergo “sociale” si parla di lavoro di rete, di programmazione integrata e partecipata, di partenariato

Qualche definizione in sintesi.

Per Rete si intende persone/organizzazioni che vogliono scambiare le proprie idee, le informazioni in loro possesso, i loro saperi, le esperienze e le risorse per ottenere un beneficio e uno sviluppo comune.

Per lavoro di rete si intende un processo, un metodo organizzativo e comunicativo che si basa sulla cooperazione, l’uguaglianza e l’assenza di gerarchie; si ha quando delle persone decidono di creare e mantenere un contatto tra loro allo scopo di aiutarsi a vicenda nelle loro attività, di scambiarsi informazioni e risorse; mettere in azione metodi diversi e più partecipati all’interno delle organizzazioni e dei sistemi. È efficace quando contribuisce alla soluzione di problemi.

Per programmazione integrata e partecipata si intende un processo di attuazione per la Governance locale che coniuga principi quali: sussidiarietà, partecipazione, consultazione, concertazione, negoziazione, integrazione e decentramento, condivisione; può essere utilizzata per i Piani di Zona sociali e in quelle circostanze in cui più attori sono chiamati a contribuire con delle proposte. Quali sono gli attori di un territorio? Comuni, la Asl, la scuola, il volontariato, il terzo settore, le organizzazioni sindacali, i cittadini utenti.

Il partenariato è la formalizzazione di una rete (protocollo di intesa, lettera di intenti, Associazione temporanea di scopo, Associazione temporanea di impresa). Senza rete non c’è partenariato, mentre la rete può essitere senza partenariato.

Questi sono gli strumenti che vengono utilizzati per costruire il sistema integrato dell’offerta dei servizi sociali e sanitari in un territorio.

Cosa significa alleanze sociali? Significa individuare obiettivi comuni, condividere percorsi e strategie nel rispetto del mandato e della mission di ciascun attore pubblico e privato, in maniera integrata e partecipata.

Certo è che le capacità e le volontà politiche e individuali, giocano un ruolo rilevante e qui ritorniamo alle risorse. Si può avere un territorio coeso, che guarda alla qualità della vita dei suoi abitanti, senza distinzioni di origini, cultura, orientamenti, posizioni economiche solo se tutti coloro che ricoprono ruoli di responsabilità sono consapevoli di quanto il loro operato possa incidere sulla vita di ciascuno, in particolare delle persone che in un certo periodo della loro vita, breve o lungo che sia, da loro dipendono.

Tutto questo ha un prezzo, non è un costo a perdere, abbiamo bisogno di risorse economiche, perché quelle umane ce l’abbiamo.

Quello che abbiamo non è sufficiente per rispondere all’oggi, né le  prospettive sembrano in grado di rassicurare, se non tutti gli italiani, almeno una piccola parte di loro. Non dimentichiamoci che le persone non autosufficienti non rappresentano la maggioranza della popolazione, né lo sono le famiglie che si occupano della loro cura ed assistenza. Un paese coeso e solidale, soprattutto se è tra le otto economie più grandi al mondo ha l’obbligo di farsi carico di queste persone e di mettere in condizioni i sistemi (sanitario e sociale) di rispondere alle loro esigenze, altrimenti che senso ha essere rappresentati tra i più grandi quando non si è in grado di soddisfare i bisogni essenziali?



[1] Assistente sociale, coordinatore Ufficio di Piano Ambito Roma G5 – Presidente del Collegamento italiano lottà alla povertà (CILAP EAP Italia).

[2] Sono indicati i servizi socio-sanitari in maniera generica, perché in ogni regione vengono utilizzati termini diversi, in questo modo tutti capiscano di quali servizi si parla)

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