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Congresso Nazionale Aniarti 2005

L'infermiere in Area Critica: pensare, essere, fare.

Sorrento (NA), 26 Ottobre - October 2005 / 28 Ottobre - October 2005

» Indice degli atti del programma

L’esperto. - Riccardo Tartaglia

28 Ottobre - October 2005: 09:25 / 09:40

Audio Presentazione

Verso un sistema sanitario più sicuro. La necessità di imparare dagli errori.

 

Riccardo Tartaglia, Firenze

Medico Specialista in Igiene e Medicina Preventiva e in Medicina del Lavoro. Direttore del Centro Regionale per la gestione del rischio clinico e la sicurezza del paziente - struttura di governo clinico della Regione Toscana

 

 

Desidero ringraziare Aniarti per l’invito e per la qualifica di esperto, datami, in questa tavola rotonda. Per ridimensionarne il significato vorrei dire che l’esperienza “è la somma degli errori che compiamo nella nostra vita”.

Vorrei cominciare questo mio intervento citando “To err is human”, il rapporto pubblicato nel 2000 dall’autorevole ”Institute of Medicine”, che dava una nuova impostazione allo studio delle malpractice. Partendo dal presupposto che la rischiosità è insita in tutte le pratiche mediche e che sbagliare è umano, è per questo necessario introdurre nei sistemi sanitari dei meccanismi e delle barriere per intercettare gli errori prima che arrivino alla loro conseguenza finale, l’evento avverso.

“To err is human” faceva conoscere la parte sommersa dell’iceberg degli incidenti in medicina, quella che è generalmente sconosciuta ai cittadini, fornendo dei dati sconvolgenti sul numero di morti conseguenti a errori dei medici.

Sulla base di due importanti ricerche svolte nello stato di New York, Utha e Colorado, il rapporto stimava da 44 mila a 90 mila il numero di pazienti che muoiono ogni anno negli Stati Uniti per errori dei medici.

Altro contenuto importante di questo rapporto era proporre l’aeronautica civile come un modello di riferimento per quanto riguarda la sicurezza del paziente. In questi ultimi 30 anni infatti la notevole riduzione degli incidenti aerei è stata conseguente non solo al progresso tecnologico ma soprattutto alla considerazione del fattore umano nell’organizzazione del lavoro e progettazione delle macchine.

E’ opportuno però sottolineare che il sistema sanitario, è un sistema complesso molto diverso da quello dei trasporti, fosse solo per il fatto che, quando il pilota sbaglia, le conseguenze le subisce lui in prima persona e per la variabilità biologica dell’essere umano, difficilmente paragonabile ad una macchina.

 

Va però detto che non sono stati gli americani i primi ad affrontare il problema della rischiosità delle cure.

Nel 1863, Florence Nightngale aveva già notato la differenza di mortalità per la stessa classe di malattie negli ospedali rispetto ai pazienti trattati fuori.

Le osservazioni di Florence Nightngale hanno evidentemente preceduto nel tempo quello che successivamente studi più complessi hanno dimostrato. Le ricerche che sono state condotte fino ad oggi, (le ultime si riferiscono agli anni 2000) hanno più o meno quantificato dal 4 al 10%, il tasso di eventi avversi negli ospedali per acuti.

Si tratta di studi che hanno notevoli limiti dal punto di vista epidemiologico. Ne saranno necessari altri, preferibilmente di tipo prospettico per avere delle informazioni più precise ed attendibili sul fenomeno.

Se vogliamo rendere più sicure le cure è però necessario iniziare a costruire dei sistemi sanitari che si adattino ai lavoratori e non viceversa. In altre parole degli ospedali “ergonomici”.

 

Questa dell’ergonomia dei sistemi complessi, è una condizione imprescindibile per quanto riguarda la sicurezza. Ne abbiamo discusso alcuni mesi fa ad un convegno internazionale organizzato a Firenze su “Healthcare ergonomics and patient safety”. 

Oltre 400 ricercatori da tutto il mondo concordarono sulla necessità di introdurre l’ergonomia (o fattore umano), nelle pratiche cliniche per adeguare il lavoro alle caratteristiche dell’uomo-donna, al fine di costruire un ponte fra la qualità e la sicurezza.

E’ però necessario incrementare i livelli di sicurezza nelle nostre strutture anche attraverso un maggior collegamento fra la presa in carico, l’accoglienza del paziente con gli aspetti più strettamente tecnologici legati alla cura e alla terapia. Da qui l’importanza di una maggiore umanizzazione del nostro lavoro.

In sanità inoltre esiste una ulteriore variabile che può favorire gli errori: la passione. Il coinvolgimento nel nostro lavoro, l’andare oltre i limiti di quello consentito, talvolta anche come orario di lavoro, come possibilità fisiche e cognitive per far fronte a determinate situazioni. Ma anche la passione intesa come sofferenza, dolore con tutto il suo carico di emozioni.

La complessità, la variabilità biologica, la passione sono solo alcune delle peculiarità del nostro lavoro che lo rendono unico, estremamente affascinante e bello, ma anche pericoloso proprio perché lavoriamo in condizioni di elevata emotività e sappiamo bene come questo stato psicologico abbia delle forti influenze sulla razionalità e sulle nostre capacità di scelta e decisioni nei momenti critici.

Altra questione di estrema importanza che volevo porre, è la comunicazione. La Joint Commission on Accreditation and Healthcare Quality la mette al primo posto come causa di eventi sentinella.

La carenza di personale, il lavoro in sovraccarico sono sicuramente all’origine di molti errori ma sicuramente esiste nelle nostre strutture un problema di comunicazione.

Nel corso di laurea in medicina, rispetto ad una attività come quella sanitaria che ci porta a dialogare per oltre il 70% del tempo con i pazienti o con i colleghi, non abbiamo mai ricevuto una ora di docenza in scienza della comunicazione in modo da avere qualche conoscenza di tipo tecnico su come comunicare.

La comunicazione sappiamo bene essere alla base di numerosi errori, per varie ragioni: omissioni della comunicazione per dimenticanza, per eccessiva deferenza gerarchica, per ambiguità semantica, per ambiguità fonetica, nomi di farmaci o di patologie simili. 

Conosciamo nomi di farmaci sui quali è facile equivocare eppure l’attenzione delle industrie alla etichettatura ed al confezionamento dei farmaci è molto bassa. Bisogna per questo costruire dei sistemi sanitari basati sui limiti cognitivi, fisici, sulla razionalità limitata e bisogna tenere in considerazione la possibilità di sbagliare. Dobbiamo imparare a convivere con la possibilità di commettere degli errori.

E’ necessario per questo creare degli ambienti per la diffusione dell’informazione e spazi per la libera discussione tra operatori, medici e infermieri. I meeting di mortalità e morbilità, svolti oggi nel 90% degli ospedali americani, rappresentano uno degli strumenti più utilizzati per imparare dagli errori.

Bisogna creare anche dei sistemi informativi per raccogliere, analizzare e diffondere i dati sugli eventi avversi più importanti e significativi. Ma soprattutto bisogna cercare di imparare dalle informazioni raccolte, soprattutto dai mancati incidenti ed azioni insicure, che rappresentano la base della piramide ed una grande occasione di apprendimento senza dover attendere l’evento avverso.

La Regione Toscana si è molto impegnata in quest’ultimo anno sulla gestione del rischio clinico e la sicurezza del paziente. In ogni azienda sanitaria abbiamo oggi un clinical risk manager (un clinico o un dirigente infermieristico), un gruppo aziendale di clinici che lo supportano nella sua azione, un comitato aziendale per la sicurezza che annualmente redige un programma di attività. Le funzioni di prevenzione del clinical risk manager si integrano con quelle medico legali che sono estremamente importanti nell’analisi del contenzioso.

Il modello toscano per la gestione del rischio clinico prevede l’introduzione e l’uso in ogni struttura di due strumenti di analisi degli eventi avversi: la rassegna di mortalità e morbilità e l’audit clinico.

La rassegna di mortalità e morbilità è stata resa obbligatoria almeno una volta al mese nelle nostre strutture semplici e complesse; l’audit clinico almeno 3 volte l’anno.

Questi incontri dovranno prevedere ovviamente la partecipazione di medici, infermieri e tecnici.

Sono state inoltre lanciate alcune campagne di informazione su strumenti e modalità operative:

- l’uso della scheda terapeutica unica per evitare errori di trascrizione;

- l’adozione di una card traccia farmaci per i pazienti che assumono medicinali che possono, interagendo con altri, causare gravi effetti collaterali (terapia anticoagulante);

- l’igiene delle mani negli operatori ed utenti, mediante l’introduzione di ausili come i dispenser di gel alcolico per facilitare e favorire la pratica el lavaggio.

E’ altresì importante anche che ogni azienda disponga di un suo sistema di gestione degli eventi avversi e di

indicatori specifici per la sicurezza del paziente.

Recentemente ne sono stati messi a punto alcuni, basati sulle schede di dimissione ospedaliera, da organismi internazionali come la Agency for Healthcare Research and Quality e l’OCSE.

Bisogna sicuramente conoscere di più i rischi e introdurre le buone pratiche esistenti per la sicurezza del paziente. E’ estremamente importante dare a tutti la possibilità di migliorare gli standard di sicurezza anche per dare maggiori garanzie di assicurabilità alle nostre aziende sanitarie.

Quello che non bisogna fare è invece appaltare a strutture ad hoc la gestione del rischio. La sicurezza non è delegabile.

Oggi è evidente, sia tra gli infermieri che i medici, il bisogno di un cambiamento. La gestione del rischio clinico va vissuta come una responsabilità di tutti e quindi deve essere partecipativa, bisogna rinforzare la fiducia fra pazienti, professionisti e l’azienda.

Iniziamo a diffondere le rassegne di mortalità e morbilità, ormai routine negli ospedali più moderni e avanzati e la pratica del clinical audit.

Vorrei concludere, con una citazione di Proust, che, attraverso l’autocritica a cui dobbiamo costantemente sottoporci, da un estremo significato al nostro lavoro:

“credere alla medicina sarebbe la suprema follia se il non crederci non ne costituisse una più grande, giacché da questo accumulo di errori, alla lunga, sono venute fuori alcune verità”.

 

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