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Congresso Nazionale Aniarti 2005

L'infermiere in Area Critica: pensare, essere, fare.

Sorrento (NA), 26 Ottobre - October 2005 / 28 Ottobre - October 2005

» Indice degli atti del programma

Il concetto di area critica a vent’anni dalla sua ideazione - Maria Benetton

26 Ottobre - October 2005: 10:30 / 10:45

Audio - Presentazione -

Relazione:

Il concetto di area critica a vent’anni dalla sua ideazione

Maria Benetton, Treviso
Infermiera AFD,Tutor e docente  Corso di Laurea in Infermieristica Generale dell’Università di Padova, sede di Treviso
Componente del Comitato Direttivo Aniarti

 

Elio  Drigo,Udine
Infermiere  Coordinatore
Presidente Aniarti

 

Questo intervento non intende essere solo una revisione di quanto successo da 20’anni a questa parte sul concetto di area critica, ma sarà anche un tentativo di riflessione sulla base di alcuni elementi che in questo periodo si sono modificati, a livello sociale, come anche economico, politico, scientifico, etico.

Il tentativo è di una ricomposizione dei vari elementi per contribuire a nuovi sviluppi dell’idea di area critica.

 

Idee-forza negli anni ‘80….

 

Dalla fine degli anni ’70 le strutture intensive erano in fase di tumultuosa diffusione e gli infermieri non avevano strumenti formativi efficaci per sentirsi in grado di garantire un’assistenza sicura ai malati ed un’attività complessivamente razionale. Le opportunità di scambio di esperienze erano esclusivamente al seguito dei medici, molto occupati ad appropriarsi di competenze tecniche e procedure rapidamente innovative.

La filosofia infermieristica di attenzione alla globalità della persona e non soltanto ai suoi organi o alle patologie, ha portato a superare le specializzazioni e le iperspecializzazioni tipiche della medicina, per concentrarsi sul paradigma della professione infermieristica: uomo, salute, contesto-ambiente, assistenza.

Non si intendeva più adeguare il malato all’ospedale e ai professionisti, ma rivedere i processi operativi, le strutture e l’organizzazione dei professionisti in funzione delle esigenze del malato in situazione di criticità ed instabilità vitale.

Dall’ottobre del 1981 alcuni infermieri italiani hanno iniziato un percorso di riflessione radicale, che ha portato, nel 1985, alla concezione dell’idea di area critica.  Una nuova sintesi concettuale, non tanto scontata per quei tempi, che anzi rappresentò una specie di rivoluzione culturale, anche per il fatto che era stata concepita autonomamente da infermieri.

Area critica:  l’area critica è l’insieme delle strutture ad alta intensità assistenziale e l’insieme delle situazioni caratterizzate dalla criticità/instabilità vitale del malato e dalla complessità dell’approccio e dell’intervento assistenziale medico/infermieristico

 

Due elementi emergono e con cui ci confronteremo oggi:

- il concetto di criticità/instabilità, che implica l’idea della possibilità di esito positivo ma anche negativo della situazione della vita del malato;

- il concetto di complessità riferito all’approccio sottolinea il livello di difficoltà che si incontra nel tentativo di ripristinare un esito positivo della situazione di criticità vitale.

 

La concezione di area critica richiedeva necessariamente anche una nuova definizione dell’infermiere di area critica.

L’infermiere di area critica è un professionista capace di garantire ovunque alla persona in situazione potenziale o reale di criticità vitale un’assistenza (sanitaria) completa/globale anche attraverso l’utilizzo di strumenti e presidi a rilevante componente tecnologica ed informatica. Si impegna per:

1.  il mantenimento di un elevato livello di competenza;

2.  il contenimento dei fattori di rischio;

3.  la qualità delle prestazioni e dei servizi sanitari.

 

Non più quindi, infermiere specializzato in rianimazione, cardiologia, terapia intensiva, ecc…, che sporadicamente e in modo del tutto casuale era stato formato negli anni precedenti sul modello paramedico, ma infermiere in grado di assistere le persone nella loro situazione di criticità di qualunque origine questa fosse.

 

Confronti e discordanze hanno via via rafforzato la filosofia dell’infermieristica in Area Critica.

L’idea si è consolidata e relativamente diffusa anche se in maniera disomogenea.

Sul versante professionale sono state fatte le applicazioni concrete dell’idea di area critica sia a livello organizzativo (con le prime forme di integrazione delle competenze infermieristiche) e a livello formativo (fin dal ’90 si sono tenuti alcuni corsi di formazione complementare per l’assistenza in “area critica” – non più solo anestesia, rianimazione, corsi che sono poi scomparsi.  In seguito sono stati istituiti i master universitari in assistenza in area critica, appunto, con diversi indirizzi).

 

Anche grazie all’idea infermieristica di area critica, è stata acquisita una più precisa identificazione degli infermieri di area critica. 

Si è arrivati ad una maggiore autonomia dalla professione medica, che negli anni precedenti era considerata una chimera.

 

- Area critica: integrazione applicata all’organizzazione come: 1) fattore di ottimizzazione delle relazioni e dei risultati 2) metodo che porta miglioramenti diffusi 3) metodo che esclude privilegi e chiusure.

- Area critica come innovazione culturale nell’ambito del servizio per la salute. Ha scardinato l’idea di frammentazione legata alla terapia d’organo ed ha ri-orientato la riflessione sull’uomo e sulla necessità di rivedere l’impostazione dei servizi per la salute.

 

A 20’anni

Che cosa c’è da aggiungere, da sottolineare per non dimenticare, da recuperare per non rischiare di essere fuori dalla realtà?

Quali sono i fattori nuovi o diversi con cui confrontarci rispetto a vent’anni fa?

Va necessariamente elaborata un’ulteriore riflessione sull’idea di area critica e vanno fatti altri passi.  Per procedere facciamoci alcune domande:

Cos’è successo ultimamente?

Che cosa è cambiato?

Alcuni fattori cruciali da considerare.

-  Inarrestabilità dell’offerta e della domanda di servizi sanitari anche a carattere intensivo

-  Nel contesto occidentale, ai livelli a cui sono i servizi, i risultati “di salute” in area critica richiedono elevatissimi investimenti per differenziali relativamente modesti e dimostrabili con sempre maggiore difficoltà

-  Frammentazione del servizio sanitario con rischio di disequità fra i cittadini

-  Disponibilità a destinare risorse esclusivamente a fronte di evidenza di risultati

-  Richiesta di servizi di qualità e di autodeterminazione dei singoli;

-  Esigenza di una diversa dimensione ed estensione dell’etica e delle responsabilità

 

L’area critica oggi, deve fare i conti con interrogativi impellenti. Vediamoli:

 

1. L’area critica, così come è realizzata oggi, è correttamente interpretata ed ancora completamente ragionevole? La domanda è giustificata se si osservano le sempre più frequenti disapprovazioni di alcuni modi di fare medicina intensiva;

2. Le risorse che essa assorbe rispetto al resto del servizio per la salute, sono tutte giustificate rispetto ai risultati che produce?

3. Quali conseguenze comporta necessariamente l’attività di area critica?

4. Quale il rapporto tra evoluzione scientifica e rispetto della persona e/o dell’umanità?

5. Fino a che punto è necessario, giusto o possibile stabilire dei limiti all’attività di area critica?

6. In un mondo globalizzato, interattivo ad ogni livello, che riflessi estesi comporta inevitabilmente l’attività e le risorse impiegate per l’area critica nei nostri paesi e come si giustificano con un’assistenza sanitaria quasi inesistente di altri paesi non molto distanti dal nostro?

7. Gli infermieri come si inseriscono in tutto questo? Ci facciamo travolgere dal vortice della tecnologia, dalle procedure, o riaffermiamo il valore dell’area critica esplicitamente concepita proprio per la persona?

8. Quale contributo specifico di riflessione e di azione potremmo portare? E quale contributo di fatto portiamo?

9. Come possiamo colmare eventualmente le nostre lacune o inerzie “culturali”, su tutta questa partita?... perché, a domande così complesse, non illudiamoci di rispondere con luoghi comuni…

 

Molti interrogativi e poche risposte semplicistiche all’orizzonte.

Valori e principi basilari sono rincorsi da altri interessi e rischiano di essere sopraffatti dagli eventi.

 

E’ evidente che dobbiamo ripensare l’area critica come ambiente che riesca ad incrociare con sempre maggiore puntualità questi interrogativi e queste sfide e che riesca a tentare sempre una risposta, nella consapevolezza della difficoltà o dell’impossibilità di trovare una risposta perfetta.

A volte la sola ricerca può rappresentare una soluzione ai problemi.

Dobbiamo abituarci all’idea di valorizzare il limite, perché spesso rappresenta sapienza: pensiamo alla potenza ed al valore dell’accompagnamento delle persone alla morte.

 

Di fronte alla combinazione dei fattori cruciali che abbiamo, non certo esaurientemente elencato ed agli interrogativi che emergono da una lettura dell’area critica, la reinterpretazione della dimensione dell’etica ci richiama alla responsabilità prima per tutti e particolarmente per gli operatori:  la disponibilità di un servizio, che per l’ambito dell’area critica, significa un supporto decisivo nelle situazioni di criticità vitale.

 

Gli infermieri, da sempre, sono sostenitori della necessità di garantire un servizio per la salute che sia equo, solidale, unitario, adeguato alle necessità.

E’ ormai ampiamente dimostrato che un servizio pubblico con tali caratteristiche è il più efficace ed efficiente, al di là di tutte le sirene che possono incantare in altre direzioni.

Dobbiamo portare a superare il semplice parametro di misura universalmente adottato, quello economico, per valutare adeguatamente e nella sua pienezza il servizio per la salute.

Gli effetti ed i risultati di un sistema sanitario per una popolazione sono da ricercare certo nello stato di malattia, nella salute ma anche nella qualità globale della vita delle persone e delle comunità.

 

L’area critica, i servizi d’emergenza ed intensivi sono il tipico esempio della diffusione e della capillarità dell’applicazione del diritto alla salute, la ricerca di prevenire e curare i danni della malattia, che rappresentano il frutto di una maturazione e di scelte della società.

 

Ma oggi vi sono due ambiti fortemente problematici che ripropongono l’impellenza di un ripensamento per superare una visione settoriale e puramente economica dell’area critica:

1. l’impossibilità di continuare a finanziare a piè di lista una medicina che incrementa costantemente le proprie richieste;

2. l’indisponibilità dei cittadini ad accettare un servizio sanitario non attento alla persona, ma, quando va bene, concentrato solo sulla malattia.

 

In speciale modo per la medicina e per l’assistenza dell’area critica si tratta di una sfida:

1. l’area critica utilizza moltissime risorse, economiche ma anche umane e di conoscenza in rapporto al numero di malati che assiste: c’è la necessità di valutare attentamente se il loro uso è sempre razionale;

2. l’area critica, asserendo la priorità dell’urgenza e della necessità di ridurre il rischio, troppo spesso ancora non rispetta le persone e non condivide le proprie scelte con cittadini che si sentono invece, persone e comunità e vogliono che sia rispettata la loro umanità.

Insomma, da queste considerazioni deriva la questione cruciale della sostenibilità del sistema area critica.

1. E’ urgente trovare nuovi equilibri tra le immense risorse investite e una ridefinizione dell’area dei servizi da garantire perché essenziali per l’individuo e la società;

2. inoltre, i cittadini chiedono di passare da una medicina ed un’assistenza intensiva paternalistica ad una medicina ed un’assistenza rispettose e condivise.

Dobbiamo avere il coraggio di:

1. organizzare il nostro lavoro di professionisti con una rigorosa razionalità (EBN, efficacia/efficienza…) e

2. aprire il chiuso dei nostri ambienti intensivi per condividere con i cittadini scelte terapeutiche ed assistenziali, imparando a rispettare nella sostanza le esigenze di una vita dignitosa delle persone.

Il conflitto tra urgenza degli interventi e condivisione delle scelte è meno, molto meno importante di quanto noi operatori riteniamo. Ed i cittadini sono molto più disposti a condividere le decisioni e rispettare regole fondate sulla razionalità di quanto noi possiamo sospettare.

Solo con questa impostazione e ricollocazione della nostra funzione, l’idea infermieristica di area critica, che ha spinto fortemente l’integrazione come modalità che garantisce i migliori risultati, avrà ancora il suo valore.

 

Sostenibilità quindi, anche alla luce degli interrogativi ricordati, intesa come ragionevole possibilità di ottenere una cura ed un’assistenza accettabili per le persone, mediante un giusto equilibrio nell’impiego di risorse, competenze, modalità di interventi e relazioni a tutti i livelli, derivanti da una matura e condivisa consapevolezza della realtà storica.

E la qualità della vita delle persone che entrano nell’area critica è un fattore non opzionale da considerare e da garantire come determinante, a volte anche ai fini della sopravvivenza.

 

Sostenibilità dell’area critica significa anche fare un’operazione di onestà verso i cittadini e portare a conoscenza di tutti, i limiti ed i problemi etici determinati dalla medicina ed assistenza critica, esaminarli con oggettività e riuscire a decidere assieme sui dilemmi, interrompendo l’espropriazione della gestione della salute operata da una medicina rituale ed ancora troppo chiusa sui propri privilegi.

 

Altri passi

 

Ci siamo posti molti interrogativi, ma come infermieri abbiamo anche nel nostro DNA molte risposte e molte risorse. Si tratta di reinterpretarle in questo momento, certo molto delicato, ma anche carico di grandi opportunità per noi, di trasformare radicalmente la situazione dell’area critica, che vediamo palesemente in ritardo sulle necessità sia delle persone che delle organizzazioni.

 

Noi infermieri italiani abbiamo a disposizione molti strumenti, culturali e normativi, di esperienza e di capacità di essere vicini alle persone, di organizzazione interna alla professione, che altri paesi ci invidiano.

 

Questa nostra condizione traina anche un’ulteriore considerazione in merito alla nostra specifica responsabilità derivante dalla inevitabile collocazione nel fenomeno della globalizzazione:

Così come la vecchia Europa deve misurarsi con i nuovi problemi facendo leva sulla propria capacità di innovazione, così anche le professioni dell’Europa devono essere innovative, non limitarsi a svolgere la propria attività, ma esercitare sapientemente le proprie funzioni in armonia con la nuova situazione complessiva.

Oggi l’area critica e chi vi opera con responsabilità deve percorrere, certo con fatica ma con coraggio, strade nuove al fine di indicare il vero livello della qualità dell’assistenza alle persone.

E l’esperienza deve poi essere diffusa affinché tutti possano fruirne e trarne vantaggio.

Questo significa essere e sentirsi parte nel contesto in cui si vive oggi.

La nuova dimensione dell’etica è quella che considera il mondo come contesto proprio.

Noi, infermieri di una nazione ricca, abbiamo conoscenze e risorse e dobbiamo impegnarci, anche per quei gruppi professionali che non ne hanno le possibilità, ad imparare a declinare assistenza intensiva e dignità delle persone, uso accurato delle risorse e rispetto dell’etica; e poi consentire agli altri di bruciare le tappe affinché il patrimonio di conoscenze e competenze accumulato diventi garanzia di vita per molti.

Vedremo allora se la vecchia Europa attraverso di noi dimostrerà di essere ancora saggia!

 

Obiettivi e linee di lavoro da percorrere.

Come applicare la sostenibilità ed evitare il rischio di perpetuare una struttura dispendiosa e non accettabile?

Come applicare i due concetti di razionalità e umanità su cui si fonda la sfida della sostenibilità?

 

- Competenza tecnica e professionale: indiscutibile. Strumenti e metodi di apprendimento oggi abbondano, solo che si voglia accedervi.

- Progettare il processo dell’assistenza intensiva per le persone degenti che sono sempre maggiormente consapevoli e progettare la continuità terapeutico-assistenziale con il resto dei servizi ospedalieri e territoriali e con le famiglie, che sempre più numerose assistono malati complessi anche se stabili a domicilio;

- Programmare situazioni assistenziali che garantiscano qualità di vita dei ricoverati e delle loro famiglie, affinchè sia maggiormente accettabile perché in linea con le attuali esigenze relazionali comuni a tutti;

- Rompere la segregazione ancora imposta ai malati in assistenza intensiva, in nome di una protezione fasulla, che copre invece le insicurezze, a volte una volontà di dominanza e una certa libertà d’azione degli operatori sanitari;

- Affrontare e condividere in reale integrazione (operatori, tutti, malati – quando possibile – e parenti) i dilemmi e le scelte etiche che l’assistenza intensiva inevitabilmente pone;

- Impegno a costruire una documentazione dell’assistenza che consenta la trasparenza ed anche la ricerca.  Perché la ricerca consente il miglioramento. 

- Creare e sostenere le strutture-soft, le libere aggregazioni dei professionisti e di cittadini, che consentono e favoriscono il pensiero innovativo collegato all’esercizio delle libertà.

 

Conclusioni

 

Questa potrebbe essere una traccia orientativa per la sostenibilità dell’area critica per il prossimo futuro. L’ottica dell’integrazione che sottende l’idea di area critica si lega con tutte le indicazioni a cui abbiamo accennato.

E’ ormai fin troppo dimostrato che la cooperazione e l’integrazione ben più che la concorrenza, garantiscono i migliori risultati. Un servizio equo, solidale e unitario ne è la dimostrazione.

Rompere gli isolamenti delle persone, della società come dei professionisti, delle competenze e delle istituzioni è la chiave per affrontare con coraggio e lungimiranza le prospettive future.

Il che non significa che tutti fanno qualunque cosa, ma che ciascuno si impegna a fare al meglio quello per cui si è formato.

Gli infermieri sono da sempre portatori di questa visione.

E’ ora che traduciamo questa visione, finora quasi intima e sussurrata, in decisione assistenziale e in posizione professionale all’interno del sistema e della società.

E’ chiaro che da questo derivano anche dirette responsabilità. Ma sono quelle responsabilità che, comunque già abbiamo.

Forse, non le conosciamo ed omettiamo di agirle. Dobbiamo essere però consapevoli che, se non avremo noi la forza o l’intenzione di affermare queste cose, nessuno lo farà al posto nostro, per il semplice fatto che gli infermieri siamo noi.

Anzi, potrà verificarsi il rischio a cui si accennava: che l’area critica non sia più sostenibile come tale e si torni ad una cura ed un’assistenza più preoccupata dell’organo che della persona, più interessata all’economia che all’equità.

Ma gli infermieri dell’area critica non lo permetteranno.

L’Aniarti ha pensato l’area critica e combattuto per realizzarla. Questo rimane ancora l’impegno.

Bibliografia

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