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Il concetto di complessità nell’organizzazione, nell’assistenza,
nell’intensità di cure: una diversa lettura del modo di “stare” in sanità
Sandra Scalorbi*, Marco Marseglia**
*Relatore
Infermiera DDSI – ASV,
Coordinatore Didattico del Corso di Laurea in Infermieristica
Scuola per Infermieri “Principessa di
Piemonte” della Croce Rossa Italiana,
Bologna
**Infermiere AFD,
Coordinatore Anestesia e
Rianimazione Cardiochirurgica
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna
Policlinico S.Orsola - Malpighi
Componente del Comitato Direttivo Aniarti
Per sviluppare questo
tema la scelta è partire dalla riflessione su alcuni termini chiave contenuti
nel titolo, rappresentati da “complessità” e “diversa lettura del modo di stare
in sanità”.
Ci si soffermerà
quindi su quegli aspetti che si ritiene contribuiscano a rendere “complesso” il nostro essere
infermieri nelle odierne organizzazioni sanitarie, con particolare riferimento
all’ambito di cui l’Aniarti si fa portavoce, cioè l’area critica.
Nel fare questo si
intende dare risalto agli aspetti di “diversità”, nel suo significato di “
essere volti o procedere in un’ altra direzione”, intesa quindi come
discontinuità rispetto all’oggi e al passato riferita agli atteggiamenti, alle
conoscenze, ai comportamenti che ci possono consentire di stare là dove la
complessità esiste.
La parola stare,
in questo caso, non significa solo essere collocati, ma essere consapevolmente
protagonisti dei processi che si
realizzano nelle organizzazioni, esprimere competenza in un ambito di
professionalità ben definito e distinto da tutti gli altri, in modo tale che la
propria specificità sia riconosciuta sia dai vari professionisti che dagli
utenti.
Stare significa essere
valore aggiunto, essere visibili, “durare” nel tempo, consistere, cioè avere il
proprio fondamento in qualcosa ed essere costituiti da qualcosa: i valori
propri della professione, la sua storia interna ed esterna, i contenuti
disciplinari infermieristici e quelli mutuati da altre discipline e declinati
in un agire professionale integrato nell’organizzazione.
Uno dei punti
critici su cui il convegno porta ad interrogarsi è “Gli infermieri non sono:
fanno.” L’intento è di aiutare la riflessione in tal senso.
Ripartiamo
quindi dal concetto di complessità.
Complesso può
essere definito “ciò che risulta dall’unione di varie parti o di diversi
elementi, che si manifesta sotto molteplici e contrastanti aspetti, difficile
da comprendere”.
Il campo materiale
e l’oggetto di studio dell’infermieristica è l’essere umano, complesso in
quanto tale.
Le varie
discipline che fanno parte del nostro patrimonio culturale professionale si sono occupate di ciò che è complesso, ma si
intende partire da qualcosa che è proprio dell’infermieristica ed usarlo come guida
per tutto l’intervento.
Osservando
quindi il modello per la lettura della complessità assistenziale, aderente al
valore della centralità della persona nell’assistenza infermieristica, abbiamo
più volte osservato come l’asse salute/ malattia richieda elevata capacità di
integrazione, soprattutto con il personale medico anche se più in generale è
fondamentale l’integrazione socio –sanitaria.
Se integrazione,
seguendo la definizione qui proposta, è “virtualizzazione del rapporto fra
uguaglianze e differenze, equilibrio fra bisogni individuali e del gruppo….” e
se è vero che ciascuno porta nel gruppo il proprio esclusivo contributo, allora
affinché si abbia sviluppo, cioè crescita del sistema di competenze sia
individuale che del gruppo, apprendimento e trasformazione, l’integrazione deve
andare di pari passo con la differenziazione. Questo significa per noi infermieri
non abdicare a modelli e linguaggi non propri, bensì rendere disponibili il
nostro patrimonio e la nostra ricchezza culturale per raggiungere un risultato
che è diverso dalla somma di quelli raggiunti dall’agire delle singole
professionalità.
In caso
contrario più che di integrazione si tratterebbe di colonizzazione, subita,
ovviamente, dagli infermieri, che crea confusione nell’utente e all’interno
dell’organizzazione nell’individuazione delle responsabilità.
E’ necessario
vigilare attentamente, anche nell’ambito della formazione, affinché nessuno si
appropri di quanto è nostro.
Per potersi
integrare è necessario essere in primo luogo consapevoli rispetto al “profilo di
competenze professionali posseduto”.
Su questo
aspetto ci si soffermerà più avanti,ma voglio solo sottolineare quanto la
nostra consapevolezza debba essere forte rispetto a chi siamo ed a quale
esclusivo servizio offriamo, anche a fronte della nascita di “nuove
professioni”, che a volte possono sembrarci quasi l’ampliamento e lo sviluppo
di funzioni un tempo proprie dell’infermiere.
Quando ci saremo
spogliati di tutto il superfluo, dovrà rimanere qualcosa che nessun’altro sa e
può fare, e rispetto a quello dovremo essere forti e inattaccabili dal punto di
vista culturale, tecnico e relazionale.
La società
odierna può dirsi complessa per una serie di ragioni, tra le quali quella di
risultare costituita da una “rete” di organizzazioni.
A loro
volta le organizzazioni sanitarie
rappresentano sistemi organizzativi complessi,anche in ragione della loro
origine a partire da una serie eterogenea di strutture ed enti.
All’integrazione
fra professionisti non può allora non accompagnarsi l’integrazione fra i Servizi,
nei dipartimenti, e ancora fra ospedale e territorio, al fine di garantire la
continuità delle cure e dell’assistenza tanto più necessaria tanto più le
tecnologie e le cure intensive consentono la sopravvivenza delle persone ma non
sempre la guarigione o l’autosufficienza.
Dobbiamo ricordare
che la persona assistita appartiene alla propria famiglia, al proprio contesto
sociale, in cui noi infermieri, dobbiamo aiutarla a ritornare utilizzando tutti
gli strumenti che abbiamo a disposizione (ad esempio i fogli di dimissione
infermieristica e la consulenza che può essere prestata da infermieri esperti
anche a domicilio)
Il fatto che la
persona abbia superato la fase critica, quando residuano importanti bisogni
sanitari e sociali, esprime che l’obiettivo dell’equipe assistenziale è stato
raggiunto solo parzialmente ed è perciò necessario proseguire secondo la logica
della continuità socio – assistenziale..
L’altro elemento
che richiama l’asse salute/malattia è l’applicazione di tecnologie complesse
per il sostegno delle funzioni vitali.
Sicuramente
questo è un aspetto di complessità dell’assistenza intensiva; ma esiste il
pericolo che gli strumenti si trasformino da mezzi a fini, “all’agire, …….,
subentra il fare come mera produzione di risultati che procedono dalla corretta
esecuzione di operazioni tecniche” (P. Androni 2005), che è un altro modo di
dire “gli infermieri non sono, fanno”.
Le cure
intensive, molto onerose sul piano economico e psicologico, possono avere (es.
anziani, terminali) un effetto scarso sul prolungamento della vita ed un
effetto addirittura negativo sulla qualità di vita.
La sanità
rischia di seguire l’andamento generale legato al rapporto produzione/consumo.
Non si produce
per rispondere ad un bisogno,ma si deve consumare tutto ciò che è possibile
produrre (con la tecnica si deve fare
tutto ciò che si può fare ) ed i cittadini sono consapevoli dello sviluppo
tecnologico ma non sempre dei suoi limiti.
Credo che pian
piano dovremo imparare a svolgere una funzione regolatrice in tal senso, sia
nei confronti degli utenti che degli altri professionisti, anche medici.
Un breve accenno
all’argomento spesa sanitaria: dobbiamo ricordare che ognuno di noi, ogni
giorno, consuma un’elevata quantità di risorse, per realizzare interventi
prescritti dagli infermieri stessi o da altri professionisti.
Oltre a “quanto”
spendiamo per queste risorse, chiediamoci “come” le spendiamo, “per che cosa”,
e quanto noi infermieri siamo coinvolti nelle decisioni che riguardano questi
aspetti, nelle scelte e nella gestione delle risorse che vengono messe in campo
per tutelare la salute dei cittadini.
Pensiamo anche a
come impieghiamo il nostro tempo/lavoro, risorsa preziosa che va dedicata a
quanto di esclusiva pertinenza infermieristica, allo scopo di non lasciare un bisogno
insoddisfatto come affermava già V. Henderson.
L’asse
comprensione/scelta richiama l’elevata competenza relazionale ed educativa che
l’infermiere esprime sia nei confronti della persona che della famiglia, ed
anche la dimensione etica dell’infermiere, che, in situazioni quali quella
critica, assume su di sé le scelte della persona e realizza l’assistenza
facendosi garante dei valori e dei desideri della stessa.
Per quanto la
tecnica sia indispensabile, essa non può sostituire l’uomo nel prendersi cura,
nella relazione.
Prendiamo in
esame ora altri elementi di complessità.
L’asimmetria
informativa che caratterizza il mercato sanitario dovrebbe essere compensata
dal rapporto di fiducia che si instaura con il professionista, es.
l’infermiere, ma anche quest’ultimo, inevitabilmente, non possiede tutte le
informazioni per agire tenendo conto esclusivamente dell’interesse del proprio
assistito.
A volte la
mancata erogazione di alcune prestazioni da parte del Servizio Sanitario
Nazionale può essere interpretata dagli utenti come necessità di risparmiare
risorse e non di utilizzare le stesse secondo criteri di efficacia ed
appropriatezza.
Altro aspetto
riguarda il ruolo della comunità, formata dai singoli e dalle famiglie, nel
mantenimento della salute. L’infermieristica deve sapersi porre come partner
delle famiglie e delle comunità per aumentare la loro abilità di gestire e
mantenere la salute; ciò si ricollega al concetto di promozione della salute.
Il prolungamento
della durata della vita non dipende affatto solo dal risultato degli interventi
sanitari, anzi, la salute si conquista e si mantiene in un ambiente idoneo,
attraverso comportamenti sani.
Va mantenuta
alta l’attenzione sulla prevenzione e sulla possibilità che ognuno possa
controllare i determinanti della salute.
Inoltre va garantita
l’assistenza di lungo periodo per cronici e non autosufficienti, la cui domanda
sarà sempre maggiore in futuro.
Attraverso la promozione
della salute i cittadini godono di uguali diritti ma si devono assumere una
responsabilità diretta nei confronti del loro benessere, per aumentarlo.
Per questo è
necessario sviluppare le proprie abilità di negoziazione,non solo nel gruppo di
lavoro, quindi, ma anche con la persona, in una situazione di partnership e non di subordinazione o paternalismo correlato
al potere dato dalle conoscenze.
Questi concetti richiamano
quello di responsabilità sociale (accountability), ricoperto dalle aziende
sanitarie in base al loro fine ultimo, il cosiddetto core business, cioè la
tutela della salute (come interesse sia individuale che collettivo).
Da un lato le
organizzazioni sanitarie sono responsabili delle modalità con cui impiegano le
risorse pubbliche e dei risultati che raggiungono; dall’altro, i cittadini sono
sempre più consapevoli rispetto al tipo
di servizi che il SSN deve erogare, alla loro qualità ed all’utilizzo delle
risorse a tal scopo, soprattutto in relazione al sistema del federalismo
fiscale (Vagnoni, 2004).
Due dovrebbero
essere, quindi, le leve di fondo che guidano il comportamento organizzativo
degli operatori sanitari: la responsabilità dei singoli nei confronti dei
risultati ottenuti rispetto agli obiettivi definiti e l’accountability, cioè la
responsabilità degli stessi nei confronti della collettività e degli
stakeholders (coloro che sono portatori di interessi nei confronti
dell’azienda) sull’utilizzo delle risorse e sui risultati conseguiti.
Non si intende
un processo formale (formal accountability) ma un coinvolgimento profondo della
responsabilità degli operatori ed è evidente il legame con quanto affermato a
partire dall’asse salute/malattia.
Le aziende
sanitarie sono perciò tenute a rendere conto dei risultati ottenuti e dei
criteri in base ai quali vengono operate le scelte sulla base delle priorità, ma
questo vale anche per i professionisti e quindi anche per gli infermieri.
Per concludere
questa seconda parte, il concetto di responsabilità sociale si ricollega a
quello di equità.
Il concetto di
equità o giustizia distributiva non è definito in modo univoco,lo dimostra il
fatto che esistono diverse teorie che mirano a descriverlo e spiegarlo.
Alcune teorie,
ad esempio, si concentrano sul reddito o sulla distribuzione delle risorse
materiali.
Secondo Sen
l’obiettivo di una società giusta dovrebbe essere l’uguaglianza delle capacità
dei suoi membri, intese come l’insieme di azioni e condizioni che una persona
ritiene importanti per la propria vita, es. essere in buona salute, sapere
leggere e scrivere, ecc. tra le quali deve poter scegliere, anche se la
responsabilità individuale ha un ruolo forte nell’effettiva realizzazione delle
stesse.
Chi ha problemi
di salute vede ridotto l’insieme di tali capacità, lo stato di salute
rappresenta perciò uno degli elementi di valutazione multidimensionale
dell’equità secondo questo modello.
Una società equa
non dovrebbe quindi concentrarsi sulla distribuzione delle risorse ma sul fatto
che quelle risorse permettano ad ognuno di fare o essere in un certo modo.
Soprattutto
rispetto all’asse autonomia/dipendenza, ma in realtà anche rispetto agli altri,
si mette in luce l’esclusiva competenza infermieristica nell’effettuazione del
processo diagnostico infermieristico, nella pianificazione dell’assistenza,
nella sua attuazione diretta o demandata, nella supervisione di quanto da altri effettuato, nella valutazione del
raggiungimento degli obiettivi assistenziali e del processo.
Gli elementi di
complessità relativi a questi aspetti sono molteplici, ad es. spesso non siamo
in grado di attribuire un nome, che abbia significato univoco per tutti noi
infermieri, ai problemi assistenziali che trattiamo.
Se non ci
impegniamo per fare questo, allora sarà sempre difficile spiegare perché noi
siamo indispensabili, perché facciamo determinate cose e a quale scopo.
Se poi adottiamo
modelli che non sono nostri, la confusione e la dipendenza aumentano anziché
diminuire. Non siamo più ausiliari, siamo autonomi, ma nel fare che cosa?
E nel farlo
come? La mancanza di uniformità nell’erogazione delle prestazioni può essere
una ricchezza, ma ciascuno dovrebbe effettuare interventi di provata efficacia,
secondo le modalità che si sono dimostrate più appropriate e sicure.
E’ importante
valutare la pratica clinica assistenziale; diversità nelle pratiche
assistenziali possono infatti portare ad esiti diversi.
Va riconosciuta
l’importanza dell’efficacia clinica, della qualità e dell’appropriatezza delle
prestazioni erogate ai cittadini; a volte le prestazioni sono addirittura
inutili, anche nel campo assistenziale, pensiamo a tutte quelle che si erogano
di routine a tutti i soggetti, anche in assenza dell’identificazione di un bisogno
o forse proprio a causa di ciò.
E’ evidente
allora l’importanza della ricerca infermieristica purché possa essere libera
dai condizionamenti che attanagliano altri ambiti.
Inoltre i cambiamenti
imposti dalla finanza pubblica possono trasformarsi in occasioni per orientarsi
verso trattamenti più efficaci e di qualità.
Va però riconosciuto
come sia difficile valutare l’efficacia degli interventi infermieristici quando
gli indicatori sono qualitativi e quando è forte la ricaduta della componente
relazionale, comunicativa ed educativa, soprattutto nel lungo periodo.
La difesa
dell’ambito di esclusività si deve necessariamente accompagnare alla cessione di
quelle attività non proprie, sia per utilizzare al meglio la risorsa umana
infermieristica, sia per aiutare tutta la professione a rendere più netti i
confini fra noi e gli altri, noi che veniamo confusi con gli operatori di
supporto, i volontari, le aiutanti familiari - badanti, ecc.
Rispetto alla
risorsa infermieristica, E. Vagnoni afferma in un recentissimo testo:
“Dall’analisi dei costi per assistenza ospedaliera emerge che il 51,8% (dati
riferiti al 2002) è da considerarsi costi del personale. Tra questi, il 45,1% è
da ascrivere al personale infermieristico e il 46,2% al personale medico. La
componente di costo riferita al personale infermieristico è molto consistente
seppure scarsa sia l’attenzione dedicata ai processi di impiego e ai modelli di
misurazione dei risultati di tale risorsa”.
Usare bene la
risorsa infermieristica significa allora andare oltre la logica dell’infermiere
unico - apparentemente semplice - che
ancora ci blocca, rispettare le competenze specifiche dei colleghi, utilizzare
e valorizzare la funzione di consulenza in ambito infermieristico- logica apparentemente
complessa.
L’infermiere di
area critica, come si è detto, è un consulente prezioso, ed al suo interno
troviamo tipi di competenze diverse (dialisi, analgesia, ecc.).
Oggi anche la
formazione infatti è finalmente più articolata e consente uno sviluppo di
competenze sia a livello orizzontale che verticale (master, laurea
specialistica, ecc.).
Possono essere
delineate due conclusioni, la prima di tipo più manageriale e l’altra di natura
più propriamente assistenziale.
Un’organizzazione
che non cambia è destinata a morire.
Poiché
un’azienda è sempre e fondamentalmente il derivato di interazioni fra persone,
l’obiettivo è rendere le persone capaci di “performare congiuntamente”, far sì
che le loro forze siano efficaci e le loro debolezze irrilevanti.
Non si possono però
svolgere le proprie funzioni senza potere ed autonomia decisionale sufficiente (U.
Montaguti, 2005).
Le
organizzazioni traggono quindi vantaggio dall’avere professionisti autonomi e
”potenti”; tutti devono sapere di essere “padroni”del loro lavoro; a volte però
qualcuno preferisce pensare che la responsabilità è di altri, e non vedere che
le proprie attività portano comunque ad un risultato, e non sono semplicemente
delle azioni fini a se stesse.
L’indifferenza,
la mancanza di coinvolgimento, le lacune di competenze rappresentano barriere
all’eccellenza.
Gli aspetti che
abbiamo esaminato possono apparire complessi, però “non sono le cose in sé ad
essere semplici o complesse. Sono chi le osserva ed il suo sistema di
interpretazione a redigerle come tali. La complessità mette, positivamente, l’uomo
in rapporto con sé stesso, con la sua finitezza in un approccio di continua
investigazione, nel gioco continuo fra chiarezza ed oscurità, fra certezza ed
incertezza”. (P. Androni, 2005)
Cosa ci può
aiutare? Ci può aiutare mettere davvero al centro la persona assistita,
sforzandoci di soddisfare i suoi bisogni e non quelli dell’organizzazione e
cercando di liberarci per primi dall’immagine negativa della professione che a
volte noi stessi portiamo dentro le organizzazioni, mettendo al centro, insieme
alla persona, la professione.
Forse, “essere
volti o procedere in un’ altra direzione”, essere diversi, può voler dire
tornare alle radici più profonde del nostro essere infermieri
Soffermiamoci su
cosa significhino per noi, oggi, le parole infermiere ed assistenza, e ricominciamo
da questo, per potere attribuire a questi termini un significato sempre
congruente con quanto ci richiedono gli utenti e con quanto noi sentiamo di
potere offrire loro in modo esclusivo.
“Molte persone,
oggi, anche nelle professioni scientifiche o di più alto livello, hanno paura
delle proprie radici,del significato profondo delle parole, della loro
filologia, della loro ontogenesi” (P. Androni, 2005)
Bibliografia
· Pierenrico Andreoni Tempo e lavoro Storia, psicologia e nuove
problematiche Bruno Mondadori, Milano, 2005
· Massimo Baldini e Stefano Toso I fondamenti etici della redistribuzione,
Materiali per il corso di Economia Pubblica, A.A. 2004 -05
· Nicole Bizier Dal pensiero al gesto Un modello concettuale di assistenza
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· M.Brandoli, S.Scalorbi, “Esame
di un caso di dolore da cancro: Analisi clinica ed assistenziale utilizzando la
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· P.Capodiferro,
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· Ubaldo Montaguti Memoria didattica delle lezioni di
Sociologia dei processi culturali e comunicativi A.A. 2004/2005 Corso di
Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche ed ostetriche, Università
degli studi di Ferrara
· Gian Piero Quaglino, Sandra Casagrande, Anna Maria
Castellano Gruppo di lavoro Lavoro di
gruppo Un modello di lettura della dinamica di gruppo Una proposta di
intervento nelle organizzazioni Raffaello Cortina Editore, Milano, 1992
· Emidia Vagnoni La direzione delle aziende sanitarie
Criticità di contesto, economicità e tutela della salute Franco Angeli,
Milano, 2004
· Paolo Vineis, Nerina Dirindin In buona salute Dieci argomenti per
difendere la sanità pubblica Einaudi, Torino, 2004