banner di sinistra banner di sinistra
Login
Ricerca
...oppure prova
la ricerca avanzata
Scenario
Organo ufficiale aniarti

Motore di ricerca

Aniarti Survey

Nuova survey su

Intraossea in emergenza: valutazione del consenso da parte degli infermieri

 

Indicizzati

Scenario e' indicizzato su CINAHL

(Cumulative Index to Nursing and Allied Health Literature) in EBSCO HOST.

Un nuovo traguardo per la diffusione della cultura infermieristica.

EfCCNa
Eurpean Federation of Critical Care Nursing Association

www.efccna.org

Connect
Journal of wfccna

Connect

IPASVI
Fed. Naz.Collegi IPASVI

www.ipasvi.it

HON
Health on the Net


Noi aderiamo ai principi HONcode.
verify here.

Congresso Nazionale Aniarti 2005

L'infermiere in Area Critica: pensare, essere, fare.

Sorrento (NA), 26 Ottobre - October 2005 / 28 Ottobre - October 2005

» Indice degli atti del programma

Il concetto di complessità nell’organizzazione, nell’assistenza, nell’intensità di cure: una diversa lettura del modo di “stare” in sanità - Sandra Scalorbi

26 Ottobre - October 2005: 14:10 / 14:20

Audio - Presentazione -

 

Il concetto di complessità nell’organizzazione, nell’assistenza, nell’intensità di cure: una diversa lettura del modo di “stare” in sanità

 

Sandra Scalorbi*, Marco Marseglia**

 

*Relatore

 Infermiera DDSI – ASV,

 Coordinatore Didattico del Corso di Laurea in Infermieristica

 Scuola per Infermieri “Principessa di Piemonte” della Croce Rossa Italiana, Bologna

 

**Infermiere AFD,

 Coordinatore Anestesia e Rianimazione Cardiochirurgica 

 Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna

 Policlinico S.Orsola - Malpighi

 Componente del Comitato Direttivo Aniarti

 

Per sviluppare questo tema la scelta è partire dalla riflessione su alcuni termini chiave contenuti nel titolo, rappresentati da “complessità” e “diversa lettura del modo di stare in sanità”.

Ci si soffermerà quindi su quegli aspetti che si ritiene contribuiscano  a rendere “complesso” il nostro essere infermieri nelle odierne organizzazioni sanitarie, con particolare riferimento all’ambito di cui l’Aniarti si fa portavoce, cioè l’area critica.

Nel fare questo si intende dare risalto agli aspetti di “diversità”, nel suo significato di “ essere volti o procedere in un’ altra direzione”, intesa quindi come discontinuità rispetto all’oggi e al passato riferita agli atteggiamenti, alle conoscenze, ai comportamenti che ci possono consentire di stare là dove la complessità esiste.

La parola stare, in questo caso, non significa solo essere collocati, ma essere consapevolmente protagonisti  dei processi che si realizzano nelle organizzazioni, esprimere competenza in un ambito di professionalità ben definito e distinto da tutti gli altri, in modo tale che la propria specificità sia riconosciuta sia dai vari professionisti che dagli utenti.

Stare significa essere valore aggiunto, essere visibili, “durare” nel tempo, consistere, cioè avere il proprio fondamento in qualcosa ed essere costituiti da qualcosa: i valori propri della professione, la sua storia interna ed esterna, i contenuti disciplinari infermieristici e quelli mutuati da altre discipline e declinati in un agire professionale integrato nell’organizzazione.

Uno dei punti critici su cui il convegno porta ad interrogarsi è “Gli infermieri non sono: fanno.” L’intento è di aiutare la riflessione in tal senso.

Ripartiamo quindi dal concetto di complessità.

Complesso può essere definito “ciò che risulta dall’unione di varie parti o di diversi elementi, che si manifesta sotto molteplici e contrastanti aspetti, difficile da comprendere”.

Il campo materiale e l’oggetto di studio dell’infermieristica è l’essere umano, complesso in quanto tale.

Le varie discipline che fanno parte del nostro patrimonio culturale professionale  si sono occupate di ciò che è complesso, ma si intende partire da qualcosa che è proprio dell’infermieristica ed usarlo come guida per tutto l’intervento.

Osservando quindi il modello per la lettura della complessità assistenziale, aderente al valore della centralità della persona nell’assistenza infermieristica, abbiamo più volte osservato come l’asse salute/ malattia richieda elevata capacità di integrazione, soprattutto con il personale medico anche se più in generale è fondamentale l’integrazione socio –sanitaria.

Se integrazione, seguendo la definizione qui proposta, è “virtualizzazione del rapporto fra uguaglianze e differenze, equilibrio fra bisogni individuali e del gruppo….” e se è vero che ciascuno porta nel gruppo il proprio esclusivo contributo, allora affinché si abbia sviluppo, cioè crescita del sistema di competenze sia individuale che del gruppo, apprendimento e trasformazione, l’integrazione deve andare di pari passo con la differenziazione. Questo significa per noi infermieri non abdicare a modelli e linguaggi non propri, bensì rendere disponibili il nostro patrimonio e la nostra ricchezza culturale per raggiungere un risultato che è diverso dalla somma di quelli raggiunti dall’agire delle singole professionalità.

In caso contrario più che di integrazione si tratterebbe di colonizzazione, subita, ovviamente, dagli infermieri, che crea confusione nell’utente e all’interno dell’organizzazione nell’individuazione delle responsabilità.

E’ necessario vigilare attentamente, anche nell’ambito della formazione, affinché nessuno si appropri di quanto è nostro.

Per potersi integrare è necessario essere in primo luogo consapevoli rispetto al “profilo di competenze professionali posseduto”.

Su questo aspetto ci si soffermerà più avanti,ma voglio solo sottolineare quanto la nostra consapevolezza debba essere forte rispetto a chi siamo ed a quale esclusivo servizio offriamo, anche a fronte della nascita di “nuove professioni”, che a volte possono sembrarci quasi l’ampliamento e lo sviluppo di funzioni un tempo proprie dell’infermiere.

Quando ci saremo spogliati di tutto il superfluo, dovrà rimanere qualcosa che nessun’altro sa e può fare, e rispetto a quello dovremo essere forti e inattaccabili dal punto di vista culturale, tecnico e relazionale.

La società odierna può dirsi complessa per una serie di ragioni, tra le quali quella di risultare costituita da una “rete” di organizzazioni.

A loro volta le organizzazioni sanitarie rappresentano sistemi organizzativi complessi,anche in ragione della loro origine a partire da una serie eterogenea di strutture ed enti.

All’integrazione fra professionisti non può allora non accompagnarsi l’integrazione fra i Servizi, nei dipartimenti, e ancora fra ospedale e territorio, al fine di garantire la continuità delle cure e dell’assistenza tanto più necessaria tanto più le tecnologie e le cure intensive consentono la sopravvivenza delle persone ma non sempre la guarigione o l’autosufficienza.

Dobbiamo ricordare che la persona assistita appartiene alla propria famiglia, al proprio contesto sociale, in cui noi infermieri, dobbiamo aiutarla a ritornare utilizzando tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione (ad esempio i fogli di dimissione infermieristica e la consulenza che può essere prestata da infermieri esperti anche a domicilio)

Il fatto che la persona abbia superato la fase critica, quando residuano importanti bisogni sanitari e sociali, esprime che l’obiettivo dell’equipe assistenziale è stato raggiunto solo parzialmente ed è perciò necessario proseguire secondo la logica della continuità socio – assistenziale..

L’altro elemento che richiama l’asse salute/malattia è l’applicazione di tecnologie complesse per il sostegno delle funzioni vitali.

Sicuramente questo è un aspetto di complessità dell’assistenza intensiva; ma esiste il pericolo che gli strumenti si trasformino da mezzi a fini, “all’agire, ……., subentra il fare come mera produzione di risultati che procedono dalla corretta esecuzione di operazioni tecniche” (P. Androni 2005), che è un altro modo di dire “gli infermieri non sono, fanno”.

Le cure intensive, molto onerose sul piano economico e psicologico, possono avere (es. anziani, terminali) un effetto scarso sul prolungamento della vita ed un effetto addirittura negativo sulla qualità di vita.

La sanità rischia di seguire l’andamento generale legato al rapporto produzione/consumo.

Non si produce per rispondere ad un bisogno,ma si deve consumare tutto ciò che è possibile produrre  (con la tecnica si deve fare tutto ciò che si può fare ) ed i cittadini sono consapevoli dello sviluppo tecnologico ma non sempre dei suoi limiti.

Credo che pian piano dovremo imparare a svolgere una funzione regolatrice in tal senso, sia nei confronti degli utenti che degli altri professionisti, anche medici.

Un breve accenno all’argomento spesa sanitaria: dobbiamo ricordare che ognuno di noi, ogni giorno, consuma un’elevata quantità di risorse, per realizzare interventi prescritti dagli infermieri stessi o da altri professionisti.

Oltre a “quanto” spendiamo per queste risorse, chiediamoci “come” le spendiamo, “per che cosa”, e quanto noi infermieri siamo coinvolti nelle decisioni che riguardano questi aspetti, nelle scelte e nella gestione delle risorse che vengono messe in campo per tutelare la salute dei cittadini.

Pensiamo anche a come impieghiamo il nostro tempo/lavoro, risorsa preziosa che va dedicata a quanto di esclusiva pertinenza infermieristica, allo scopo di non lasciare un bisogno insoddisfatto come affermava già V. Henderson.

L’asse comprensione/scelta richiama l’elevata competenza relazionale ed educativa che l’infermiere esprime sia nei confronti della persona che della famiglia, ed anche la dimensione etica dell’infermiere, che, in situazioni quali quella critica, assume su di sé le scelte della persona e realizza l’assistenza facendosi garante dei valori e dei desideri della stessa.

Per quanto la tecnica sia indispensabile, essa non può sostituire l’uomo nel prendersi cura, nella relazione.

Prendiamo in esame ora altri elementi di complessità.

L’asimmetria informativa che caratterizza il mercato sanitario dovrebbe essere compensata dal rapporto di fiducia che si instaura con il professionista, es. l’infermiere, ma anche quest’ultimo, inevitabilmente, non possiede tutte le informazioni per agire tenendo conto esclusivamente dell’interesse del proprio assistito.

A volte la mancata erogazione di alcune prestazioni da parte del Servizio Sanitario Nazionale può essere interpretata dagli utenti come necessità di risparmiare risorse e non di utilizzare le stesse secondo criteri di efficacia ed appropriatezza.

Altro aspetto riguarda il ruolo della comunità, formata dai singoli e dalle famiglie, nel mantenimento della salute. L’infermieristica deve sapersi porre come partner delle famiglie e delle comunità per aumentare la loro abilità di gestire e mantenere la salute; ciò si ricollega al concetto di promozione della salute.

Il prolungamento della durata della vita non dipende affatto solo dal risultato degli interventi sanitari, anzi, la salute si conquista e si mantiene in un ambiente idoneo, attraverso comportamenti sani.

Va mantenuta alta l’attenzione sulla prevenzione e sulla possibilità che ognuno possa controllare i determinanti della salute.

Inoltre va garantita l’assistenza di lungo periodo per cronici e non autosufficienti, la cui domanda sarà sempre maggiore in futuro.

Attraverso la promozione della salute i cittadini godono di uguali diritti ma si devono assumere una responsabilità diretta nei confronti del loro benessere, per aumentarlo.

Per questo è necessario sviluppare le proprie abilità di negoziazione,non solo nel gruppo di lavoro, quindi, ma anche con la persona, in una situazione di partnership e non di subordinazione o paternalismo correlato al potere dato dalle conoscenze.

Questi concetti richiamano quello di responsabilità sociale (accountability), ricoperto dalle aziende sanitarie in base al loro fine ultimo, il cosiddetto core business, cioè la tutela della salute (come interesse sia individuale che collettivo).

Da un lato le organizzazioni sanitarie sono responsabili delle modalità con cui impiegano le risorse pubbliche e dei risultati che raggiungono; dall’altro, i cittadini sono sempre più consapevoli rispetto al tipo di servizi che il SSN deve erogare, alla loro qualità ed all’utilizzo delle risorse a tal scopo, soprattutto in relazione al sistema del federalismo fiscale (Vagnoni, 2004).

Due dovrebbero essere, quindi, le leve di fondo che guidano il comportamento organizzativo degli operatori sanitari: la responsabilità dei singoli nei confronti dei risultati ottenuti rispetto agli obiettivi definiti e l’accountability, cioè la responsabilità degli stessi nei confronti della collettività e degli stakeholders (coloro che sono portatori di interessi nei confronti dell’azienda) sull’utilizzo delle risorse e sui risultati conseguiti.

Non si intende un processo formale (formal accountability) ma un coinvolgimento profondo della responsabilità degli operatori ed è evidente il legame con quanto affermato a partire dall’asse salute/malattia.

Le aziende sanitarie sono perciò tenute a rendere conto dei risultati ottenuti e dei criteri in base ai quali vengono operate le scelte sulla base delle priorità, ma questo vale anche per i professionisti e quindi anche per gli infermieri.

Per concludere questa seconda parte, il concetto di responsabilità sociale si ricollega a quello di equità.

Il concetto di equità o giustizia distributiva non è definito in modo univoco,lo dimostra il fatto che esistono diverse teorie che mirano a descriverlo e spiegarlo.

Alcune teorie, ad esempio, si concentrano sul reddito o sulla distribuzione delle risorse materiali.

Secondo Sen l’obiettivo di una società giusta dovrebbe essere l’uguaglianza delle capacità dei suoi membri, intese come l’insieme di azioni e condizioni che una persona ritiene importanti per la propria vita, es. essere in buona salute, sapere leggere e scrivere, ecc. tra le quali deve poter scegliere, anche se la responsabilità individuale ha un ruolo forte nell’effettiva realizzazione delle stesse.

Chi ha problemi di salute vede ridotto l’insieme di tali capacità, lo stato di salute rappresenta perciò uno degli elementi di valutazione multidimensionale dell’equità secondo questo modello.

Una società equa non dovrebbe quindi concentrarsi sulla distribuzione delle risorse ma sul fatto che quelle risorse permettano ad ognuno di fare o essere in un certo modo.

Soprattutto rispetto all’asse autonomia/dipendenza, ma in realtà anche rispetto agli altri, si mette in luce l’esclusiva competenza infermieristica nell’effettuazione del processo diagnostico infermieristico, nella pianificazione dell’assistenza, nella sua attuazione diretta o demandata, nella supervisione di quanto da altri effettuato, nella valutazione del raggiungimento degli obiettivi assistenziali e del processo.

Gli elementi di complessità relativi a questi aspetti sono molteplici, ad es. spesso non siamo in grado di attribuire un nome, che abbia significato univoco per tutti noi infermieri, ai problemi assistenziali che trattiamo.

Se non ci impegniamo per fare questo, allora sarà sempre difficile spiegare perché noi siamo indispensabili, perché facciamo determinate cose e a quale scopo.

Se poi adottiamo modelli che non sono nostri, la confusione e la dipendenza aumentano anziché diminuire. Non siamo più ausiliari, siamo autonomi, ma nel fare che cosa?

E nel farlo come? La mancanza di uniformità nell’erogazione delle prestazioni può essere una ricchezza, ma ciascuno dovrebbe effettuare interventi di provata efficacia, secondo le modalità che si sono dimostrate più appropriate e sicure.

E’ importante valutare la pratica clinica assistenziale; diversità nelle pratiche assistenziali possono infatti portare ad esiti diversi.

Va riconosciuta l’importanza dell’efficacia clinica, della qualità e dell’appropriatezza delle prestazioni erogate ai cittadini; a volte le prestazioni sono addirittura inutili, anche nel campo assistenziale, pensiamo a tutte quelle che si erogano di routine a tutti i soggetti, anche in assenza dell’identificazione di un bisogno o forse proprio a causa di ciò.

E’ evidente allora l’importanza della ricerca infermieristica purché possa essere libera dai condizionamenti che attanagliano altri ambiti.

Inoltre i cambiamenti imposti dalla finanza pubblica possono trasformarsi in occasioni per orientarsi verso trattamenti più efficaci e di qualità.

Va però riconosciuto come sia difficile valutare l’efficacia degli interventi infermieristici quando gli indicatori sono qualitativi e quando è forte la ricaduta della componente relazionale, comunicativa ed educativa, soprattutto nel lungo periodo.

La difesa dell’ambito di esclusività si deve necessariamente accompagnare alla cessione di quelle attività non proprie, sia per utilizzare al meglio la risorsa umana infermieristica, sia per aiutare tutta la professione a rendere più netti i confini fra noi e gli altri, noi che veniamo confusi con gli operatori di supporto, i volontari, le aiutanti familiari - badanti, ecc.

Rispetto alla risorsa infermieristica, E. Vagnoni afferma in un recentissimo testo: “Dall’analisi dei costi per assistenza ospedaliera emerge che il 51,8% (dati riferiti al 2002) è da considerarsi costi del personale. Tra questi, il 45,1% è da ascrivere al personale infermieristico e il 46,2% al personale medico. La componente di costo riferita al personale infermieristico è molto consistente seppure scarsa sia l’attenzione dedicata ai processi di impiego e ai modelli di misurazione dei risultati di tale risorsa”.

Usare bene la risorsa infermieristica significa allora andare oltre la logica dell’infermiere unico - apparentemente semplice - che ancora ci blocca, rispettare le competenze specifiche dei colleghi, utilizzare e valorizzare la funzione di consulenza in ambito infermieristico- logica apparentemente complessa.

L’infermiere di area critica, come si è detto, è un consulente prezioso, ed al suo interno troviamo tipi di competenze diverse (dialisi, analgesia, ecc.).

Oggi anche la formazione infatti è finalmente più articolata e consente uno sviluppo di competenze sia a livello orizzontale che verticale (master, laurea specialistica, ecc.).

Possono essere delineate due conclusioni, la prima di tipo più manageriale e l’altra di natura più propriamente assistenziale.

 

Un’organizzazione che non cambia è destinata a morire.

Poiché un’azienda è sempre e fondamentalmente il derivato di interazioni fra persone, l’obiettivo è rendere le persone capaci di “performare congiuntamente”, far sì che le loro forze siano efficaci e le loro debolezze irrilevanti.

Non si possono però svolgere le proprie funzioni senza potere ed autonomia decisionale sufficiente (U. Montaguti, 2005).

Le organizzazioni traggono quindi vantaggio dall’avere professionisti autonomi e ”potenti”; tutti devono sapere di essere “padroni”del loro lavoro; a volte però qualcuno preferisce pensare che la responsabilità è di altri, e non vedere che le proprie attività portano comunque ad un risultato, e non sono semplicemente delle azioni fini a se stesse.

L’indifferenza, la mancanza di coinvolgimento, le lacune di competenze rappresentano barriere all’eccellenza.

 

Gli aspetti che abbiamo esaminato possono apparire complessi, però “non sono le cose in sé ad essere semplici o complesse. Sono chi le osserva ed il suo sistema di interpretazione a redigerle come tali. La complessità mette, positivamente, l’uomo in rapporto con sé stesso, con la sua finitezza in un approccio di continua investigazione, nel gioco continuo fra chiarezza ed oscurità, fra certezza ed incertezza”. (P. Androni, 2005)

Cosa ci può aiutare? Ci può aiutare mettere davvero al centro la persona assistita, sforzandoci di soddisfare i suoi bisogni e non quelli dell’organizzazione e cercando di liberarci per primi dall’immagine negativa della professione che a volte noi stessi portiamo dentro le organizzazioni, mettendo al centro, insieme alla persona, la professione.

Forse, “essere volti o procedere in un’ altra direzione”, essere diversi, può voler dire tornare alle radici più profonde del nostro essere infermieri

Soffermiamoci su cosa significhino per noi, oggi, le parole infermiere ed assistenza, e ricominciamo da questo, per potere attribuire a questi termini un significato sempre congruente con quanto ci richiedono gli utenti e con quanto noi sentiamo di potere offrire loro in modo esclusivo.

 

“Molte persone, oggi, anche nelle professioni scientifiche o di più alto livello, hanno paura delle proprie radici,del significato profondo delle parole, della loro filologia, della loro ontogenesi” (P. Androni, 2005)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

· Pierenrico Andreoni Tempo e lavoro Storia, psicologia e nuove problematiche Bruno Mondadori, Milano, 2005

· Massimo Baldini e Stefano Toso I fondamenti etici della redistribuzione, Materiali per il corso di Economia Pubblica, A.A. 2004 -05

· Nicole Bizier Dal pensiero al gesto Un modello concettuale di assistenza infermieristica Sorbona, Milano, 1990

· M.Brandoli, S.Scalorbi, “Esame di un caso di dolore da cancro: Analisi clinica ed assistenziale utilizzando la variabile della complessità, Scenario 2004;21(3):7-12

· P.Capodiferro, S.Scalorbi “ Intensività assistenziale alla persona instabile” Scenario 2003;20 (4):23-28

 

· Ubaldo Montaguti Memoria didattica delle lezioni di Sociologia dei processi culturali e comunicativi A.A. 2004/2005 Corso di Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche ed ostetriche, Università degli studi di Ferrara

· Gian Piero Quaglino, Sandra Casagrande, Anna Maria Castellano Gruppo di lavoro Lavoro di gruppo Un modello di lettura della dinamica di gruppo Una proposta di intervento nelle organizzazioni Raffaello Cortina Editore, Milano, 1992

· Emidia Vagnoni La direzione delle aziende sanitarie Criticità di contesto, economicità e tutela della salute Franco Angeli, Milano, 2004

· Paolo Vineis, Nerina Dirindin In buona salute Dieci argomenti per difendere la sanità pubblica Einaudi, Torino, 2004

 

 







» Torna all'indice degli atti del programma