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Congresso Nazionale Aniarti 2005

L'infermiere in Area Critica: pensare, essere, fare.

Sorrento (NA), 26 Ottobre - October 2005 / 28 Ottobre - October 2005

» Indice degli atti del programma

Evento collaterale: Infermieri e tecnologie in area critica Angelina Di Nuccio, Andrea Mezzetti, Walter Aronni, Antonella D’Errico, Alessandro Grandi, Marcello Scardino, Brigitte Hochegger, Rita Megliorin

28 Ottobre - October 2005: 14:05 / 17:00

Presentazione

Relazione:

INFERMIERI E SPERIMENTAZIONI E/O RICERCHE SULLE TECNOLOGIE IN AREA CRITICA.
 ANALISI DELLA BIBLIOGRAFIA ED INDICAZIONI PER UNA INDIVIDUAZIONE DELLE PRIORITÀ PER GLI INFERMIERI

 

Antonella D’Errico, Parma
Infermiera
TI Cardiochirurgia Azienda Ospedaliera di Parma
Componente del Consiglio nazionale Aniarti

 

Presentare i dati di analisi della bibliografia sulle sperimentazioni e/o ricerche infermieristiche. In particolare, relativamente alla dimensione del fenomeno, alle caratteristiche di significatività scientifica ed alla pertinenza diretta con aspetti dell’assistenza infermieristica.

Presentare alcune considerazioni conclusive dell’indagine bibliografica, che favoriscano la l’individuazione dei campi in cui sarebbe prioritario istituire indagini, ricerche e sperimentazioni nell’uso delle tecnologie per l’assistenza infermieristica in area critica.

 

Mi piace iniziare questo viaggio attraverso un argomento cosi vasto, complesso e articolato, partendo proprio dalle promesse che ci siamo, e abbiamo fatto al cittadino.

Nel “Patto infermiere/cittadino” vengono citati una serie di impegni che gli infermieri si prendono ogni qual volta si apprestano a erogare la propria opera:

 Presentarmi, Sapere chi sei, Darti risposte chiare, Fornirti informazioni utili, Garantirti le migliori condizioni, Individuare i tuoi bisogni di assistenza, Condividerli con te, Garantirti competenza, abilità, Ascoltarti con attenzione, e in particolare:

Promuovere e partecipare ad iniziative atte a migliorare le risposte assistenziali infermieristiche  all’ interno dell’organizzazione.

Ancora, nel codice deontologico Art. 3 Norme Generali, viene citato:

3.1. L’infermiere aggiorna le proprie conoscenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull’esperienza e la ricerca, al fine di migliorare la sua competenza. L’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiornate, così da garantire alla persona le cure e l’assistenza più efficaci. L’infermiere partecipa alla formazione professionale, promuove ed attiva la ricerca, cura la diffusione dei risultati, al fine di migliorare l’assistenza infermieristica.

 Partendo da questi presupposti ci si aspetterebbe che, nel variegato contesto delle attività infermieristiche, la ricerca e la sperimentazione siano come dire “il piatto forte” del nostro “Sapere” “Saper essere” “Saper agire”; purtroppo nella realtà siamo ancora un po’ lontani da ciò che il concetto “ricerca, sperimentazione” vuole esprimere. Alcuni passi importanti si sono fatti, e altri si stanno facendo per garantire alla nostra professione quello spessore culturale, quel salto di qualità generato da una formazione base e post-base caratterizzata da un percorso universitario, ciò contribuirà a costruire e consolidare la base di conoscenze della disciplina infermieristica e a produrre professionisti in grado di usare queste conoscenze nella pratica professionale.

Questi cambiamenti infatti in modo particolare avranno la loro influenza sullo sviluppo della ricerca infermieristica in Italia, in quanto la cultura della ricerca nasce e si sviluppa realmente soltanto in ambienti accademici, luoghi deputati per eccellenza allo sviluppo delle conoscenze, al confronto e al dibattito culturale. Fondamentale in questo processo è creare una “cultura della ricerca”, infatti secondo

 l’ American  Association of Colleges of Nursing (AACN) la ricerca nell’ambito di una disciplina può prosperare soltanto se sono presenti 4 prerequisiti:

1. Una cultura di ricerca;

2. Programmi educativi di qualità che assicurino la formazione di un pool di scienziati;

3. Una solida infrastruttura dedicata alla ricerca;

4. Sistemi di finanziamento per il supporto della ricerca.

Per generare le basi scientifiche della pratica infermieristica ed educare le future generazioni di scienziati infermieri sono necessari oltre ai precedenti requisiti anche una adeguata infrastruttura, cioè la disponibilità di un complesso di risorse umane e materiali e di servizi che costituiscono la premessa indispensabile per la realizzazione di progetti di ricerca sia a livello delle singole scuole universitarie sia a livello nazionale.

La produzione di ricerche da parte dei docenti, comprese le borse di ricerca ottenute e i gli articoli pubblicati, il numero di docenti preparati a livello dottorale e il successo dei ricercatori formati agli studi dottorali sono indicatori di un ambiente orientato realmente alla ricerca.

Fondamentale è anche l’infrastruttura esistente a livello nazionale.

I giornali scientifici permettono le revisioni tra pari dei manoscritti e le conferenze regionali e nazionali, in cui sono presentate relazioni di ricerca, forniscono agli scienziati infermieri l’opportunità di presentare i loro lavori di ricerca per un confronto con i colleghi. Sono necessarie inoltre istituzioni che mettano a disposizione fondi per la ricerca infermieristica.

Negli Stati Uniti ad esempio il  National Institute for Nursing Research (NINR) e il National Institute of Health dispongono di fondi federali da investire nella ricerca in campo infermieristico e nella formazione pre e post-dottorale. Anche altre agenzie come l’AHCPR (Agency for Health Care Policy and Research), agenzia leader per la ricerca sugli esiti, efficacia e qualità dell’assistenza sanitaria negli Stati Uniti, organizzazioni professionali, pubbliche e private forniscono ulteriori finanziamenti per la ricerca e per il training di supporto. La ricerca si sviluppa fortemente anche al contatto con altre discipline,oltre a quella infermieristica, biomedica, salute pubblica e politica sanitaria, sociale e psicologico; ed è proprio l’integrazione tra le varie discipline che offre l’opportunità e costituisce una sfida per la costruzione del sapere infermieristico nella comunità scientifica.

Sono state gettate le basi,  tra breve la disponibilità di ricercatori e scienziati infermieri che contribuiranno anche in Italia alla nascita e sviluppo della cultura della ricerca infermieristica potranno essere rilevanti.

Allo stato attuale è possibile fare una breve ricognizione su ciò che è presente sul territorio nazionale, da pochi anni sono stati istituiti i corsi di Master, solo da quest anno sono partite in vari atenei i corsi di laurea specialistica, i presupposti, i prerequisiti,  su cui fonda le proprie basi l’ American  Association of Colleges of Nursing (AACN) in merito al creare “una cultura” al  “fare cultura” quindi sono ancora abbastanza carenti, il panorama è anche incupito dalla carenza ormai cronica di personale dedicato all’attività clinica che è  cosi difficilmente dedicabile ad attività di ricerca pura.  Il movimento culturale più significativo è Evidence Based Nursing, o EBN;

"L'EBN è un processo per mezzo del quale le infermiere e gli infermieri assumono le decisioni cliniche utilizzando le migliori ricerche disponibili, la loro esperienza clinica e le preferenze del paziente ..." (DiCenso A, Cullum N, Ciliska D. Implementing evidence based nursing: some misconceptions [Editorial]. Evidence Based Nursing 1998; 1:38-40).

 Quindi, come si caratterizza il processo dell’infermieristica basata sulle conoscenze scientifiche?Il punto chiave del  movimento EBN  consiste nell’inserire i risultati della ricerca all’interno della pratica professionale, quindi all’interno dell’esercizio professionale. Varie sono le tappe fondamentali che caratterizzano questo processo. La prima fase è quella di una review, o revisione, della pratica, espressione del quesito, analisi della letteratura ecc. chiarire, sulla base dell’esperienza clinica, i quesiti che io intendo pormi, a cui non riesco a dare delle risposte sulla base delle mie attuali conoscenze, e di quello che ho studiato. Devo però avere degli strumenti di conoscenza che mi consentano un approccio critico a ciò che trovo in letteratura, perché non tutto quello che si trova va necessariamente bene; e con questa affermazione tendo a rimarcare la necessità assoluta all’adesione ad un metodo strutturato per fare ricerca, in Italia le  difficoltà sono maggiori. La conoscenza dell’inglese è fondamentale, perché la letteratura è pubblicata in inglese, così com’è importante la conoscenza di strumenti informatici, quindi l’adeguamento “al sistema” dovrà avvenire non solo perché lo sento come un dovere nei confronti del cittadino a cui ho fatto delle promesse, ricordate?!? Il patto…, ma anche per la necessità di essere in grado di poter utilizzare degli strumenti indispensabili per la mia crescita non solo culturale , ma anche professionale. La formazione che la maggior parte di noi ha ricevuto non aiuta, siamo stati da sempre abituati ad aspettare la nozione più che a cercarla…..non si stà facendo certo il processo al passato, ma credo che i tempi siano giusti per intraprendere un cambiamento radicale. Parlavamo di infrastrutture, le biblioteche: nella maggioranza dei casi nelle nostre strutture sanitarie è difficile trovare abbonamenti a riviste italiane, riviste in lingua inglese e  biblioteche di tipo informatico, letamente ci sarà un adeguamento, magari non omogeneo, ma è importante che vengano forniti tutti gli strumenti per creare il “clima”. Un esempio  valido potrebbe essere “Il centro Studi EBN”

 Accident and Emergency Nursing
Advances in Nursing Science
American Journal of Nursing
Applied Nursing Research
Archives of Psychiatric Nursing
Australian and New Zealand Journal of Mental Health Nursing
Cancer Nursing(TM)
CIN: Computers, Informatics, Nursing
Clinical Effectiveness in Nursing
Complementary Therapies in Nursing and Midwifery
Critical Care Nursing Quarterly
Dimensions of Critical Care Nursing
European Journal of Cardiovascular Nursing
European Journal of Oncology Nursing
Gastroenterology Nursing
Geriatric Nursing
Holistic Nursing Practice
Intensive and Critical Care Nursing
Intensive Care Nursing
International Journal of Mental Health Nursing
International Journal of Nursing Practice
International Journal of Nursing Studies
International Journal of Trauma Nursing
International Nursing Review
Journal of Advanced Nursing
Journal of Cardiovascular Nursing,The
Journal of Clinical Nursing
Journal of Emergency Nursing
Journal of Hospice and Palliative Nursing
Journal of Infusion Nursing
Journal of Nursing Administration (JONA),The
Journal of Nursing Care Quality
Journal of Nursing Management
Journal of Nursing Scholarship
Journal of Orthopaedic Nursing
Journal of Pediatric Nursing
Journal of PeriAnesthesia Nursing
Journal of Perinatal and Neonatal Nursing,The
Journal of Professional Nursing
Journal of Psychiatric & Mental Health Nursing
Journal of Radiology Nursing
Journal of Vascular Nursing
MCN, The American Journal of Maternal/Child Nursing
Newborn and Infant Nursing Reviews
Nursing Administration Quarterly
Nursing and Health Sciences
Nursing in Critical Care
Nursing Inquiry
Nursing Made Incredibly Easy!
Nursing Management
Nursing Outlook
Nursing Philosophy
Nursing Research
Nursing2003
Orthopaedic Nursing
Pain Management Nursing
Public Health Nursing
Seminars in Oncology Nursing
Worldviews on Evidence-Based Nursing
 

E fuori dall’Italia cosa succede? Diciamo subito che la realtà più solida è rappresentata dall’America che vanta una struttura dedicata di tutto rispetto. È stato creato il clima ci sono gli strumenti, il personale conosce ed utilizza gli strumenti, ci sono persone dedicate, e ci sono i fondi, ma allora cosa manca??

Mancano i lavori di ricerca interamente ideati, guidati, ed elaborati da infermieri.

La maggior parte dei lavori che ho analizzato per costruire questa mia breve relazione, sono revisioni sistematiche; pochi i lavori di ricerca pura. In America certo compaiono molti più ricercatori infermieristici o dottorati, ma è anche la conseguenza di una coscienza della ricerca nata molto prima della nostra; anche altre realtà, però stanno facendo il loro ingresso nel mondo della ricerca:Inghilterra, Canada, Nuova Zelanda, Australia, ma anche paesi dell’Europa come la Spagna l’Olanda, e del Nord Europa come Svezia e Norvegia, insomma segnali di fumo all’orizzonte ci sono: la forza e il motore di questo cambiamento nasce anche da una direzione strategica che deve essere illuminata in materia, illuminata grazie anche a delle direzioni infermieristiche che non devono interpretare il proprio ruolo in maniera burocratica, ma in maniera strategica.

Fin qui abbiamo fatto una piccola carrellata di ciò che dovrebbe essere e di ciò che è presente nelle varie realtà, ma come traduciamo ciò che teoricamente abbiamo affermato fin’ora, nella pratica quotidiana,  come calerò il mio quesito teorico alla pratica? E più specificamente “INFERMIERI E SPERIMENTAZIONI E/O RICERCHE SULLE TECNOLOGIE IN AREA CRITICA”?

 

 “Può la tecnologia, la sperimentazione e la ricerca scientifica, migliorare la qualità dell’assistenza infermieristica”?

 

Posso dire che non è stato facile, in quanto è un ambito molto specifico, e dove purtroppo gli infermieri sono ancora abbastanza “comparse” nella struttura del processo di ricerca. Che lavori sono quelli analizzati? Sono stati presi in considerazione 22 articoli e come ho già detto la maggior parte sono review, alcuni articoli riguardano la metodologia della ricerca e l’utilizzo della tecnologia inteso come strumento pratico, altri nello specifico analizzano l’uso della tecnologia in area critica, il miglioramento della pratica clinica, il grado di soddisfazione del personale che opera nelle pubbliche amministrazioni e a contatto con ambienti molto tecnologici. Il ruolo dell’infermiere è analizzato in una review Australiana,  un studio di Delphi nazionale fu intrapreso per determinare che tipo di conoscenza, che abilità, ed atteggiamenti sono richiesti  ad infermieri dell’area cardiologica e quali competenze in relazione alla tecnologia negli ambienti di cura cardiaci, analizzando sia le conoscenze pratiche che teoriche e ciò che nella realtà viene applicato. Due pannel separati di 28 educatori cardiaci e 42  infermieri d’area cardiaca, fu consegnato  un questionario contente  107 articoli e fu chiesto loro ad indicare, su una scala, l'importanza di ogni articolo in base ai ruoli infermieristici e in base all’applicazione concreta delle metodiche. I clinici accettarono tutti i 107 articoli come importanti per il loro ruolo, e la maggioranza di questi furono anche giudicati come  praticamente applicabili alla realtà delle situazioni. In Australia, come nel resto del mondo scientifico infermieristico, l’argomento è, usando la loro parafrasi, “sotto il microscopio”, in quanto di rilevanza significativa: , il nostro ruolo è in  continua  evoluzione e sviluppo; come la professione stessa  stabilisce, la base deve essere la ricerca, perché definisce le conoscenze del nursing, ed è un  continuo  sviluppare pratica clinica e specializzazione.    L’evoluzione è drammaticamente veloce anche a causa del massiccio inserimento di alta tecnologia in ambito clinico, che certamente è utile nella cura del paziente, non ultimo il dato dei ricoveri più brevi, ma di pari passo è aumentata la gravità dei pazienti che afferiscono ai reparti, è chiara conseguenza quindi che il personale deve essere in grado di dimostrare accreditate abilità sia sul piano formativo, che clinico, ma anche adeguate competenze nell’utilizzo efficace della tecnologia a disposizione. Nell'area cardiaca, l'uso in aumento di studi  elettrofisiologici, terapie mediche con devices impiantabili, l'ablazione chirurgica per la disfunzione elettrica, e stents coronarici invece di procedure  angioplastiche  tradizionali, è in forte aumento. E’  in aumentato la chirurgia breve che in  giornata esegue piccoli interventi come cambi di batteria ecc.,  tutto ciò cambia il modello di cura cardiaca e riduce il bisogno di chirurgia cardiaca o endo-toracica, che, nonostante si cerchi di intraprendere tecniche meno invasive (ministernotomia) rimane sempre un intervento sia ad alto rischio, che molto invasivo.

Cambi così profondi e legati alla  tecnologia che intervengono nel modello di cura “colpiscono” l’anima del lavoro e il  ruolo degli infermieri, ed  è sotto osservazione  particolarmente la loro abilità, la fiducia, le necessità istruttive. In questo articolo vengono quindi rimarcati il valore dell’inserimento di alta tecnologia nei reparti di cure intensive perché come si diceva è cambiato notevolmente la tipologia di pazienti che afferiscono a questi reparti ed il supporto tecnologico si rivela spesso indispensabile, ma anche la necessità forte di veder crescere di pari passo anche la formazione specifica del personale infermieristico che opera in questi settori al fine di garantire sempre il miglior uso degli apparecchi, ed il dominio del personale sulla macchina e non il contrario. La tecnologia potrebbe favorire frammentazione di cura e  sensibilità ridotte alle necessità umane? Anche questo negli articoli visionati è preso in esame. Alle  macchine  e agli aspetti misurabili di malattia è inesorabilmente diretta l'attenzione dei sanitari, ed il paziente viene estromesso dal piano di cure come  fattore umano. La nostra abilità nel gestire la tecnologia deve essere “la sostanza” del nostro lavoro o piuttosto un mezzo, un attrezzo utile al perfezionamento del piano di cure?

  Deumanizzazione e depersonalizzazione: ecco due termini che allarmano il mondo culturale infermieristico, per il potenziale pericolo di influenza negativa che si intravede in un uso non etico della tecnologia, sia nei confronti del nostro lavoro, dei nostri colleghi, che dei pazienti. Certamente i vantaggi tratti dall’incremento di tecnologia e tecniche innovative e poco invasive, come quelle fin’ora citate, sono innegabili, soprattutto se penso alle “preferenze dei pazienti”, che vorrebbero avere sempre meno bisogno di lunghi ricoveri, di interventi dolorosi e di limitazioni nella propria vita. L’ingegneria robotica, ad esempio ha ridato le gambe ad un famoso pilota di F1, sempre la sofisticata tecnologia e tecnica chirurgica a permesso di staccare i gemelli siamesi…ma il confine tra ciò che è utile ed indispensabile e ciò che è ridondante è veramente troppo sottile! Non possiamo qui affermare che tutto ciò che di tecnologico viene proposto sia veramente utile per quel caso, ma neanche il contrario, ma secondo alcuni studi il punto non è questo: la figura dell’infermiere competente, nell’indirizzare la scelta dell’acquisto degli “attrezzi del mestiere” è al momento scarsamente contemplata. Il personale infermieristico è coinvolto nelle fasi di “prova” , ma se in un’azienda viene acquistato un presidio che si rivela essere, poi non conforme alle aspettative in senso di efficacia, appropriatezza, ed affidabilità, quel presidio viene utilizzato fino all’esaurimento scorte. La qualità della salute e delle cure è definita in molti modi da molte persone diverse. È un processo complesso, multi-sfaccettato e multi-dimensionale, spesso in tema di cure e salute si cerca di far coincidere qualità e spesa, e spesso le ricerche per definire la qualità sono indotte, appunto, anche dalle preoccupazioni che le spese infliggono. La qualità è stata definita lungo un numero di dimensioni diverse, per esempio, l’accesso, l'equità, l'efficacia, l'accettabilità, appropriatezza ed efficienza (Maxwell 1984) ) mentre Larsson e Larsson (1999) ed O'Connell. (1999)  asserisce che le percezioni di pazienti dovrebbero essere viste come un aspetto legittimo di qualità.

Ma cosa vuol’dire l’aggettivo “qualità” applicato ad una macchina? Certamente che funzioni, che svolga i compiti per il quale è stata creata, che ci supporti nel nostro lavoro, e non che ci sostituisca, che sia affidabile, ma non ci astragga dalla nostra percezione del paziente, che non aumenti le sofferenze dei pazienti, ma che anzi, le diminuisca, e che abbia dei costi contenuti….in pratica che sia quasi una creatura intelligente. Potrebbe anche essere che la sofisticatezza di alcune moderne tecnologie si avvicini, anche perché  i progetti vengono sviluppati basandosi su scienze esatte come la fisica e la matematica, ma c’è una variabile che deve essere considerata: il fattore umano.   La tecnologia e la tecnica devono essere degli strumenti per raggiungere un obiettivo:  migliorare la qualità dell’assistenza, ottimizzare le terapie, migliorare la qualità della vita dei nostri pazienti, mi sembra implicito che la regia di tutto ciò è, e deve rimanere nelle nostre mani. Certamente non la dobbiamo temere, ma non dobbiamo neanche lasciarci sopraffare, e cito un articolo “Concerning technology: thinking with Heidegger”  “Nursing Philosophy” Vol.5 Oct 2004, in cui vengono esternati alcuni dubbi, paure circa la capacita di mantenere una visione critica del paziente e la relazione con l’utilizzo di tecnologia. Il modo ordinato della tecnologia di rilevare segni ha oscurato la nostra capacità di osservazione? Si è indotta come una specie di letargia intercomunicativa tra il personale ed il paziente e ciò toglie dignità al nostro lavoro. Anche in questo lavoro viene rafforzato, anche se da un aspetto squisitamente filosofico, come sia importante la tecnologia, ma che allo stesso tempo ne dobbiamo saper fare buon uso per non perdere quel legame empatico che si instaura tra malato e curante. Ricordandoci che  non sono solo gli “attrezzi” che fanno bene il mestiere, ma è anche come noi siamo in grado di usarli, un insieme di tanti fattori che venivano paragonati ad una poesia che perde gran parte del proprio messaggio se chi l’interpreta non è capace trasmettere le emozioni del poeta. Noi possiamo esprimerci con la forza delle linee guida e dei protocolli, che danno risalto al nostro operato. Ma cosa ci viene chiesto in più o di diverso in questo scenario di forti modifiche? Sicuramente di essere più preparati teoricamente, ma anche praticamente e cioè di mettere in campo l’expertise, la capacità di mettere in relazione la teoria con la pratica che certamente non si guadagna “leggendo le istruzioni per l’uso” ma con programmi finalizzati e condotti da esperti di settore.  Più preparati,  più attenti, più in grado di saper utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione: risorse, risorse umane, tecnologie, marketing, budget, ecc.

Ma anche più contenti di ciò che stiamo facendo? Più soddisfatti?

O molto più stressati?

 

 

 

 

 

“The relationship of job satisfaction whit organizational variables in Public Healt Nursing”.

 E’ uno studio che ha esaminato la relazione tra le variabili organizzative strutturali, la tecnologia, l’ambiente e la  soddisfazione del lavoro fra il personale infermieristico di un’azienda pubblica americana.

Sfondo: E’stata fatta  una piccola indagine sulle caratteristiche dell'ambiente di lavoro che potevano  influenzare gli  infermieri a rimanere nell’ambiente di lavoro di quell’azienda pubblica.

Metodo: I ricercatori distribuirono un questionario ad ogni infermiere di ruolo assunto ed autorizzato all’esercizio della professione dell’azienda pubblica. Raccolta di dati consistè in quattro momenti d’analisi: 1) strumento di valutazione per la struttura; 2) strumento di valutazione per la tecnologia; 3) strumento di  valutazione per l’instabilità ambientale; e 4) Scala di Soddisfazione del Lavoro secondo McCloskey-Mueller (MMSS). Hanno risposto 838 infermieri (percentuale di risposta di 50.6%) che è la rappresentazione di tutti i 13 distretti e l'ufficio centrale del reparto di salute pubblica.

Risultati: Relazioni significative furono trovate tra la soddisfazione di lavoro ed le variabili demografico di categoria infermieristica (infermiera di ruolo  e a tempo determinato) . La variabile critica per predire la soddisfazione di lavoro in questo gruppo di infermiere di Aziende di Salute pubbliche era la struttura organizzativa (partecipazione verticale, partecipazione orizzontale, e formalization). Incisero per 41% della variazione in soddisfazione al lavoro. Rimase la struttura il punto critico della soddisfazione al lavoro, anche se le scoperte non suggeriscono un modello conclusivo. Le tre dimensioni della tecnologia (l'instabilità, la variabilità, e l'incertezza) vennero classificati con un significato inferiore rispetto al dato precedente.

Conclusioni: Questo studio offre una chiave di lettura molto importante e  secondo me centra perfettamente l’obiettivo: “sono contento, motivato, coinvolto se mi sento parte in causa nelle decisioni che vengono prese, se la mia competenza, acquisita con anni di esperienza clinica è considerata ai fini della crescita del gruppo, nella presa di decisioni, nell’acquisto di materiale che userò nella pratica quotidiana”. Devono essere stimolate su questi argomenti anche le dirigenze infermieristiche che devono creare ambienti di lavoro più flessibili coinvolgendo il  personale anche facilitando momenti di creazione di decisione. Non è più auspicabile che le decisioni vengano prese verticalmente, magari da chi non opera nel settore di area critica.

Il miglioramento dell’assistenza infermieristica deve avvenire sulla base di un utilizzo mirato e di efficacia comprovata di strumenti tecnologici, informatici, ma non solo, strumenti che devono essere intesi anche come  Linee Guida, protocolli,  risorse umane ecc.,ma non ultima va considerata la capacità di fare ricerca bibliografica sulle migliori evidenze applicabili poi alla pratica quotidiana, e la ricerca stessa. Stimolare la ricerca nell’ambito delle incertezze; le incertezze che ciascuno di noi ha nell’ambito della propria pratica professionale.

 Identificare le aree grigie indica dove deve essere sviluppata la ricerca, perché la ricerca è il motore che produce delle conoscenze, le quali forniscono gli

elementi di riferimento che guideranno la nostra pratica professionale. Molto spesso nella nostra vita quotidiana di reparto ci affanniamo a scrivere linee guida o protocolli, mentre sarebbe forse meglio sapere dove attingere queste conoscenze per poi tradurle ed applicarle alla nostra realtà operativa. Va peraltro tenuto presente che ricercare delle conoscenze aggiornate richiede del tempo, perché la gestione delle informazioni scientifiche non è un processo semplice, è un processo strutturato.

.

Nel frattempo cosa possono fare le singole persone che sentono la spinta a riconoscere i propri limiti? La risposta è implicita nella premessa: nel momen-to in cui riconosco i miei limiti, mi metto anche in movimento per approfondire le mie conoscenze, superando resistenze che nella professione sono ancora forti. L’essenziale è non assumere atteggiamenti  rinunciatari del tipo: “non mi compete, la ricerca la fanno solo gli scienziati…” Bisogna spingere in maniera forte per avere gli strumenti necessari, non dimenticando tra l’altro che il tema della formazione permanente è un vincolo per le aziende, alla luce del decreto legislativo 229/99. La formazione permanente è divenuto elemento vincolante per le aziende. Considerando anche il contratto di lavoro, c’è una serie di strumenti normativi che ci proteggono consentendoci di avanzare delle richieste legittime per avere ciò che ci spetta (per esempio, un computer con connessione a internet) allo scopo di garantire risultati di un certo livello al cittadino.

Francis Bacon (1561^1626), definisce tre ruoli distinti della medicina: preservare la  salute, guarire le malattie e prolungare la vita;

prolungare la vita è il capitolo più nuovo il più nobile dei principi, sul quale si sono diretti i maggiori sforzi per approfondire gli studi, le sperimentazioni, le ricerche. Questo nuovo “dovere” che la medicina ha abbracciato ha fatto si che ci si concentrasse più sulla scienza tecnologica piuttosto che sul paziente, ciò ha cambiato profondamente la morale, ma Francis Bacon era uno scienziato e non un medico ed il suo amico e medico  Harvey lo defini’ molto ignorante in materia medica, egli era in netta contrapposizione con la linea di Hippocratica nei confronti della vita: il buon curante aveva anch’egli tre doveri: togliere la sofferenza ai malati, diminuire l’incidenza delle malattie, astenersi dal trattare chi è travolto dalla malattia, perché in tali casi la medicina non è in grado di fare nulla. Anche Platone riflettè su questa importante distinzione fra quelli che potevano essere guariti e quelli che non potevano in quanto la medicina :

. . .

 provvede agli uomini, sani nel corpo nella natura e nelle abitudini, che hanno avuto malattie locali; . . . Ma i corpi che erano malati interiormente interamente non si tenti di curare. .

E ancore si discute nel “Summa moralis” della medicina monastica: “Il dottore doveva essere bene informato ed applicare i migliori trattamenti, e quando esso stesso a da  confrontarsi con casi seri e dubbiosi lasci il paziente alle cure di Dio  piuttosto di infliggere trattamenti di valore equivoco”….

“…il valore equivoco dei trattamenti”

chi può stabilirlo, è un confine molto etereo, certamente nel corso dei secoli la medicina e le teorie, ma soprattutto la tecnologia si sono fortemente evolute, e forse il “prolungare la vita” che auspicava Francis Bacon è un po’ più vicino, ma una enorme differenza ci distingue da allora: il paziente acquisisce una posizione centrale, gli operatori sanitari attuano una attenta e costante valutazione dei bisogni fisici, emotivi, cognitivi e relazionali del paziente. In questa etica operativa è l’incontro di due persone: il paziente, che è in uno stato di bisogno e di "mal-essere", e che necessita e richiede aiuto, e l’operatore sanitario, che ha la conoscenza e la competenza anche tecnologica per assisterlo.

 

 

“Non è possibile volare dove volano le acquile con ali da tacchino”

Norman Schumway Stanford University cardiovascular Dept. Palo Alto. California

 

 

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