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Congresso Nazionale Aniarti 2005

L'infermiere in Area Critica: pensare, essere, fare.

Sorrento (NA), 26 Ottobre - October 2005 / 28 Ottobre - October 2005

» Indice degli atti del programma

La distinzione tra la linea clinica e la linea assistenziale e l’identificazione delle responsabilità del medico e dell’infermiere: è possibile? È utile? È efficace? Valorizza l’infermiere? - Paolo Chiari

26 Ottobre - October 2005: 16:30 / 17:00

Audio  Presentazione  -

La distinzione tra la linea clinica e la linea assistenziale e l’identificazione delle responsabilità del medico e dell’infermiere: è possibile? È utile? È efficace? Valorizza  l’infermiere?

 

Dott. Paolo Chiari 

Ricercatore - Università di Bologna

Responsabile Centro Studi EBN - Direzione del Servizio Infermieristico e Tecnico

Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna

Policlinico S.Orsola - Malpighi

 

 

In premessa devo dire che ciò a cui faccio riferimento è un’esperienza specifica, e come tale non è detto che sia riproducibile e esportabile ad altri contesti.

Parto da questa riflessione, su quello che è il percorso clinico e il percorso assistenziale: già da questa definizione ci sarebbe da discutere, perché non ho ancora capito quale è il percorso clinico che non è anche assistenziale, e il percorso assistenziale che non è anche clinico.

In realtà il riferimento diventerebbe molto più preciso se parlassimo  di quello che sono le attribuzioni dal punto di vista del medico, dell’infermiere e di altri professionisti.

Ma anche se utilizzassimo questa distinzione di tipo professionale, potremmo avere delle difficoltà a chiarire esattamente ciò che è di uno e ciò che è dell’altro.

Sicuramente uno degli strumenti che ci aiuta ad affrontare questa tematica sono quelli che vengono chiamati strumenti d’integrazione, che qualcuno avrà sentito definire come percorsi clinico-assistenziali, oppure percorsi diagnostico-terapeutico- assistenziali, profili di cura, ecc, (ci sono molte definizioni che sottendono questo strumento che è, sostanzialmente, un potente strumento d’integrazione), dove, su una matrice definita, viene costruita dagli esperti (e quindi da tutti i professionisti coinvolti) la migliore sequenza temporale e spaziale possibile, sulla base delle conoscenze tecniche, scientifiche e teoriche, e delle risorse professionali e tecnologiche, e che in qualche modo  consente di strutturare quello che è il percorso e il riferimento ideale.

Non sarà mai così vero, nella realtà, ma ci aiuta ad indirizzare questo tipo di attività.

(Nella diapositiva n. 4 vi è un esempio).

Nonostante che, parliamo di integrazione, devo chiarire un altro aspetto: nell’ambito sanitario c’è una forte integrazione di professionisti, ogni professione ha un suo mandato, e tale mandato deve essere rispettato.

Ma il mandato deriva comunque, da un problema di salute, perché, noi siamo operatori sanitari e il nostro mandato è questo: ed è il focus che caratterizza tutti i professionisti sanitari, nessuno escluso.

Dire ciò che è mio e ciò che è tuo a volte può portare delle differenze.

Il ragionamento clinico assistenziale che viene applicato per rispondere ad un problema di salute, è quello che poi va a definire i livelli di responsabilità e i livelli di autonomia dei soggetti che interagiscono con quel problema di salute.

Nel mio contesto, il ragionamento clinico-assistenziale si sviluppa su quattro dimensioni che rappresentano da una parte l’evidenza scientifica (e quindi le migliori prove di efficacia che ho a disposizione per gestire un particolare problema di salute), dall’altra la mia esperienza che mi permette di far sì che quelle conoscenze teoriche diventino agire, diventino azione, passino sul paziente che in quel momento ho di fronte.

Inoltre (nel contesto italiano è ancora poco diffuso, ma nel mondo anglosassone è molto presente), ci sono le preferenze del paziente: perché alla fine chi sceglie, chi partecipa al processo di scelta in modo determinante è il paziente, ma anche la formazione e la manutenzione continua, perché l’interazione di queste tre dimensioni non è sufficiente se non mantengo aggiornato il mio sapere, la capacità di sapere gestire queste situazioni.

Tutto questo avviene in un contesto particolarmente difficile, complesso:

è demografico, sociale, economico, finanziario, politico, istituzionale e questo complica molto le cose.

L’interazione, comunque, di queste quattro dimensioni è quello che mi porta a definire quello che sono i livelli di autonomia.

Se prendo in considerazione una professione forte, come ad esempio l’avvocato, quest’ultimo è chiaramente identificato nel suo livello di autonomia, perché nella risoluzione dei problemi la risposta è solo sua, la decisione è una scelta individuale: quindi è facilmente identificabile ciò che caratterizza l’autonomia dell’avvocato, del notaio, di queste professioni forti.

Nella sanità, in realtà, anche quella del medico, non è una professione così forte, perché non è chiaramente identificabile come si genera la  decisione per rispondere ad un problema di salute: c’è sempre un’interazione di un’equipe, di un team, in cui ciascuno porta dei contributi, a volte più rilevanti da parte di una professione rispetto ad un’altra; ma non è possibile in sanità, gestire situazioni in totale autonomia.

Perché nel modello decisionale,  la decisione che viene assunta non è mai legata ad una singola fase del processo decisionale, ma per poter assumere, effettuare una scelta c’è bisogno che qualcuno raccolga le informazioni corrette. Eventualmente queste informazioni devono essere supportate da eventuali consigli, quindi riferimenti ulteriori, che mi portano a riflettere su quella situazione, e quindi al momento in cui si sceglie una soluzione. La scelta a volte richiede l’autorizzazione: è evidente  a tutti soprattutto nell’ambito dell’emergenza, quando si parla dell’applicazione di determinati protocolli, in cui l’operatore è libero di agire, è autonomo, ma l’autorizzazione di quel protocollo, è assegnato a qualcun altro: dopo di che segue l’azione.

Questi elementi fra di loro devono esistere tutti per poter caratterizzare la decisione, ma chi controlla, anche esclusivamente, la fase di raccolta delle informazioni, condiziona l’intero processo decisionale.

Quindi indipendentemente dai soggetti che interagiscono in questo processo, (che siano esclusivamente raccoglitori d’informazioni, o erogatori di consigli o autorizzatori), hanno comunque la capacità di influenzare nettamente questo processo. La decisione che viene raggiunta nell’ambito della sanità è spesso una decisione congiunta: decisione che matura nell’integrazione fra professionisti.

Quindi da una parte ho evidenziato la sfera della diagnosi e della terapia che sicuramente è una sfera medica, ma c’è anche l’area del nursing e dell’assistenza: tenete presente che spesso queste due aree hanno dei momenti forti d’integrazione.

A tutti voi che operate nell’ambito dell’area critica, vi saranno capitate situazioni in cui voi avete dovuto effettuare interventi che potremmo definire sicuramente di tipo medico, a volte ci sono situazioni in cui il medico stesso assume degli interventi e delle funzioni che potremmo definire assistenziali, perché in quel caso la situazione d’emergenza assegna o toglie la responsabilità al professionista perché comunque la situazione và risolta. Tutti voi avete affrontato situazioni di questo tipo e quindi concorderete con me che non sempre è facile distinguere questi due aspetti. Quando facciamo riferimento a prestazioni autonome, molto spesso il limite di queste prestazioni sfuma e diventa indistinto e quindi  particolarmente complesso decidere.

Quali sono le premesse affinché possiamo ragionare in termini di integrazione, per renderla evidente e quindi gestibile?

La prima premessa che ho evidenziato è la fiducia: c’è un sociologo (Luckman) che dice una cosa bellissima: “qual è il motivo per cui al mattino ognuno di noi si alza, si lava, si veste ed esce per incontrare il mondo?” La risposta è: “perché ha fiducia del mondo”, perché se non fosse così, non si alzerebbe, non uscirebbe ad incontrare gli altri.

C’è un problema di fiducia, ma c’è anche un problema di riconoscere la diversità. Questa è un’altra grande battaglia.

Deve essere chiaro che l’infermiere, il medico, l’OTA, l’OSS, la dietista, il fisioterapista, sono soggetti diversi che, all’interno di un disegno comune (quello della difesa della salute), apportano contenuti e interessi diversi.

Per fare questo è importante che ci sia (fra questi diversi professionisti che interagiscono), fiducia e reciprocità, che si vada a costituire un capitale sociale.

Reciprocità vuol dire che ciascuno deve riconoscere quelle che sono le competenze, le capacità dell’altro, perché se non c’è riconoscimento che l’altro è diverso da me, non c’è nessuna possibilità d’integrazione.

L’integrazione è possibile solo dove c’è diversità riconosciuta.

Quali sono gli strumenti che possono facilitare i percorsi d’integrazione?

Un primo esempio può essere il sistema di accreditamento professionale. In tal proposito, nella slide n.11, ho citato la Joint Commission, (ma ci sono anche altri modelli di accreditamento), tutti si basano sostanzialmente su questo aspetto che è l’integrazione: non esiste nella definizione dei sistemi di accreditamento, l’accreditamento mono professionale, perché non porterebbe da nessuna parte.

Il secondo grande esempio di integrazione tra professionisti è il Risk Management: la gestione del rischio.

Noi viviamo in una struttura che è quella sanitaria dove non esiste nessuna prestazione che sia esente da rischi.

Il problema sarà di andare a bilanciare quelli che sono i possibili benefici che  derivano da un determinato intervento, da quelli che sono i possibili rischi, e questo è ancora una situazione in cui il ruolo dell’infermiere è determinante, ma non può essere esercitato esclusivamente da solo.

La terza grande area d’integrazione sono i protocolli, le procedure, ma in particolare le linee guide, come strumento di indirizzo del professionista.

E’ uno strumento, per definizione, multi professionale.

Fino ad alcuni anni fa si vedevano le linee guida fatte “da quattro amici al bar”, cioè fatti da alcuni soggetti che si trovavano e descrivevano dei processi, cose varie…. ma questa non è una linea guida. La linea guida deve mettere in discussione fra soggetti diversi, diversi conflitti d’interesse che comunque esistono perché ciascuno di noi è portatore di interessi particolari. Si portano interessi che derivano dal proprio esercizio professionale, dal proprio essere professionisti.

Quindi la linea guida diventa un potente strumento d’integrazione, ha le sue regole, così come i protocolli, e le procedure.

Il quarto esempio (l’ho citato all’inizio e lo riprendo), sono i percorsi clinico- assistenziali, dove è evidente che i risultati, gli esiti del percorso sono legati al contributo delle diverse professionalità. Se così non fosse, non saremmo in grado di raggiungere gli esiti previsti per quel percorso ideale. E soprattutto non saremmo in grado di trasformare quel percorso ideale in un percorso concreto che porta il soggetto al superamento del problema di salute.

Ultimo esempio, la clinical governance o governo clinico ( e non il governo dei clinici come qualcuno ha tradotto anche su documenti legislativi, che poi sono stati ritirati).

Quando faccio riferimento a questo, faccio riferimento sostanzialmente, ad una struttura che ha il compito di coordinare tutte quelle attività che devono servire per gestire i rischi, i sistemi della qualità, gli audit, la valutazione degli interventi, la tecnologia sanitaria, ecc., che richiedono un unico substrato ( che deriva dalle radici che affondano in quello che è l’evidence based nursing, l’evidence based practice, l’evidence based medicine), ma che affonda le sue radici nelle prove di efficacia rispetto al trattamento e anche nella costruzione del consenso, là dove le evidenze non esistono, e quindi con delle regole che impediscano che l’autorità abbia il sopravvento sull’autorevolezza.

Infine tutto questo potrebbe rappresentare un contributo notevole alla evoluzione del soggetto che da novizio, transitando verso la fase di esperto arriva alla funzione di avanzato, dove la capacità di gestire non esclusivamente il proprio specifico professionale, ma anche gli strumenti d’integrazione, potrebbe rappresentare un elemento molto importante.

Termino con le domande che avete visto nella slide iniziale :“La distinzione fra la linea clinica e linea assistenziale e l’identificazione della responsabilità del medico e dell’infermiere”. La sostanza era quella di chiedersi se ciò è possibile, ciò è utile, ciò è efficace.

Alla prima domanda: “E’ possibile?” Rispondo: “Non credo che sia possibile, ma credo che sia necessario, non perché è utile, ma perché l’assistenza sanitaria è fatta così, se no non parliamo di assistenza sanitaria, ma parliamo di difesa d’interessi mono - professionali”.

E’ efficace? “Aumenterei l’utilizzazione di termini, spingendomi, anche, sul versante della sicurezza, dell’appropriatezza, dell’equità, e altri elementi che potremmo prendere in considerazione.

L’ultima domanda chiedeva:” Valorizza l’infermiere? Avrei voluto interrompere la mia presentazione per lasciare a voi la risposta, ma ho incontrato molti colleghi che mi hanno stimolato a presentare il mio pensiero. Il mio pensiero è che l’infermiere deve agire, deve lavorare, deve ricercare, deve trovare evidenze, deve diffondere, ma soprattutto lo deve fare assieme ai colleghi, non deve mantenere quelle che sono le proprie conoscenze, le competenze nel cassetto, in tasca, ma le deve mettere a disposizione degli altri, perché questo porta alla valorizzazione dell’infermiere: questo porta all’affermazione di questa professione.

 







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