Congresso Nazionale Aniarti 2007
Per l'attivita' quotidiana, per l'assunzione di responsabilita', per l'etica della decisione.
Rimini (RN), 15 Novembre - November 2004 / 17 Novembre - November 2004
» Indice degli atti del programma
Dalla sanita' alla salute: quale il futuro degli infermieri? Tiziano
Vecchiato
15 Novembre - November 2001: 10:40 / 11:20
Audio
Foto
- Dalla Sanità alla
Salute : quale il futuro degli infermieri
-
- Tiziano Vecchiato
- Direttore scientifico
Fondazione Zancan
- Presidente della 1°
Sessione del Consiglio Superiore della Sanità.
-
-
- Trascrizione come da registrazione audio -
-
-
Sono qui con voi per riflettere sui temi che fanno da guida
al vostro incontro di questi giorni e anche al vostro approfondimento.
-
Io spero che dal lavoro di così tante persone, possono
emergere anche nuove indicazioni legate agli obiettivi che vi siete
prefissi con questo Convegno e in particolare tutti gli obiettivi che
entrano nel merito del processo assistenziale che vi vede parte attiva e
responsabile.
-
A me è
stato chiesto di riflettere su due questioni : il passaggio dalla sanità
alla salute e quale futuro dell’infermiere; vediamo la prime e poi da qui
ricavare una agenda di investimenti sia sul piano culturale che sul piano
tecnico operativo.
-
Anzitutto il passaggio dalla sanità alla salute.
-
È un passaggio che purtroppo è avvenuto solo qualche anno
fa , è da tanti anni che si parla di investire in obiettivi di salute, di
trasformare il sistema, il servizio sanitario italiano in un sistema che
produce salute.
-
Ma solo con il PSN 1998-2000, c’è stato un vero e proprio
cambio di rotta deciso e chiaro.
-
Il PSN 1998-2000, si è proprio caratterizzato per questa
idea guida, dalla sanità alla salute ed il patto con i cittadini, con le
persone, con le comunità locali per la salute.
-
Tra il
dire ed il fare, c’è di mezzo molto lavoro, quindi è ovvio che i risultati
di quell’investimento si vedono via via per gradi, si possono già
riconoscere in alcuni PSR in una migliore capacità sia programmatoria che
operativa, che caratterizza alcune aree del nostro paese, non solo aree
regionali ma addirittura bisogna cercarlo all’interno delle regioni, in
alcune aree dove ci sono persone che credono in questo ed hanno investito
con molta determinazione.
-
Oltre al PSN 1998-2000, che ha fatto questo salto si
qualità e contiene una nuova visione della programmazione, che ragiona per
risultati di salute e non soltanto per risultati di assestamento o di
miglioramento di sistema, noi abbiamo degli altri riferimenti che
testimoniano questo cambiamento.
-
Le relazioni sulla salute nel nostro paese, quella del 1999
e del 2000, che fanno questo sforzo, di rileggere il grosso investimento
che quest’anno sono più di 130 mila miliardi, oltre a questo uno sforzo
direi considerevole è stato fatto dal progetto obiettivo anziani, non
ancora approvato perché è stato parcheggiato, ma le ultime notizie dicono
che era stato predisposto prima dell’attuale governo e che questo governo
lo presenterà alla Conferenza Stato-Regioni per l’approvazione definitiva
e quindi io spero che anche questo strumento possa rendere più efficace e
più produttivo, sia in termini di efficacia e anche in termini di
efficienza il lavoro di chi si occupa di questa area di bisogno.
-
Però
questo passaggio non si porta a casa solo con i cambi di etichette, è vero
che c’è stato un cambiamento nella dizione, non esiste più il Ministero
della Sanità, adesso è un Ministero della Salute.
-
Il problema è capire in che misura questa nuova rotta che è
stata aperta nel 1998 proseguirà in futuro.
-
Io proprio nella veste di presidente della 1^ sessione del
Consiglio Superiore della Sanità, ho fatto presente questi problemi al
ministro, proprio perchè ho avuto la sensazione che ci sia stato un calo
di tensione, un calo di investimenti, egli sottoponevo questo problema non
solo per la nostra salute, ma anche per il posizionamento che l’Italia
vuole o può avere nel dibattito sui sistemi di welfare europei.
-
Sistemi di welfare solidaristi come noi siamo abituati ad
avere o sistemi di welfare che vanno verso altre direzioni.
-
In
questo scenario dove andare a cercare i determinanti del cambiamento, e
quindi da qui ricavare qualche ipotesi di lavoro, qualche risposta
rispetto al futuro della vostra professione, ma dire non solo della
vostra, ma delle professioni che si occupano di servizio alle persone.
-
La prima questione è questa, noi abbiamo purtroppo, una
illusione ottica che si accompagna da molti anni e che assimila
specializzazione a chiusura specialistica all’interno di microcompetenze
che perdono di vista l’insieme dei problemi e dei bisogni.
-
C’è
quindi una grande esigenza di affermare e di evidenziare che come
specializzazione vuol dire capacità di concentrarsi sul micro, ma vuol
dire anche grande capacità di governare unitariamente i diversi fattori
che incidono sui problemi e sulla loro soluzione.
-
Avremo quindi degli specialisti del segmento, ma abbiamo un
grande bisogno di avere degli specialisti della globalità, e su questo io
credo che gli infermieri abbiano molto da insegnare ai loro colleghi di
altre professioni, e auspico che avranno ancora più da insegnare se
investiranno nel superamento di questa contraddizione, cioè di una visione
della specializzazione che porta a chiudere invece che ad aprire.
-
Un secondo problema che può aprire anche degli scenari di
sviluppo e quindi di crescita professionale: le funzioni autonome e
complementari di ogni professione.
-
Cosa vuol dire funzioni autonome, vuol dire le funzioni che
uno è chiamato a svolgere autonomamente assumendosi responsabilità
proprie indipendentemente da altre responsabilità.
-
Funzioni complementari cosa vuol dire, che sono funzioni che per essere
agite efficacemente, devono essere realizzate condividendo responsabilità
con altri centri di responsabilità, professionali e di altra natura.
-
Quando dico professionali ovviamente intendo altre
professioni, mediche o di altra natura, quando dico invece non
professionali intendo condivisione di responsabilità con la famiglia, con
chi si fa carico dei problemi, a carico del volontariato, ovviamente con
la persona quando può condividere responsabilità nel processo
assistenziale e nel conseguimento dei risultati attesi di salute.
-
Quindi è molto importante sviluppare una riflessione sul
ruolo e sulle potenzialità di queste funzioni complementari.
-
Provo ad elencare alcuni punti, alcune aree tematiche che
caratterizzano poi queste funzioni, e nel farlo ho cercato di interpretare
spero meglio possibile anche quelli che sono i fondamenti della vostra
professione.
-
La prima area tematica che porterebbe a sviluppi
interessanti sulla crescita professionale delle funzioni complementari è
quella della risposta modulata sull’intensità del bisogno, ogni situazione
di bisogno ha un suo ciclo di vita, quindi bisogna modulare la risposta
per essere efficace, rispetto al ciclo di vita del bisogno.
-
Non
sempre in sanità c’è questa capacità, anzi spesso e volentieri c’è una
capacità tecnico specifica che porta a non riconoscere che molto
dell’efficacia dipende dalla capacità di modulare l’intervento
sull’intensità del bisogno.
-
Seconda questione: la continuità assistenziale.
-
Per fortuna su questa questione si è aperto un dibattito
negli ultimi anni ed è una continuità che va vista all’interno del
contenitore operativo in cui uno lavora, può essere l’ospedale, può essere
altri ambiti operativi, ma anche vista fra contenitori operativi, fra
ospedale, domicilio, servizi territoriali etc.etc., cioè nel passaggio
dalla fase acuta intensiva e via via ad altre fasi.
-
Mi è
molto piaciuta la declinazione che avete individuato come guida dei lavori
del pomeriggio rispetto alle diverse aree che descrivono il percorso
assistenziale nei diversi contesti operativi.
-
L’altro problema è la funzione di orientamento.
-
Se uno ha a che fare con persone, è ovvio che questa
persona ha bisogno di comunicare quello che fa, ha bisogno di condividere
responsabilità su quello che fa e ha bisogno di orientarle, perché se le
orienta, queste persone sono più in grado di essere collaborativi rispetto
al programma assistenziale.
-
Ecco
questa funzione di orientamento è una funzione che va gestita in modo
complementare, ma spesso e volentieri poi le persone sperimentano questa
capacità nel rapporto con l’infermiere piuttosto che con altri
professionisti.
-
Sono da
gestire i rapporti non solo con la persona, ,ma con i mondi vitali della
persona, quindi la sua famiglia o chi si occupa di quella persona.
-
Anche
questo afferisce alle funzioni dell’area complementare, cioè stiamo
parlando di una relazione che non è soltanto una relazione tecnico
professionale, ma è una relazione di aiuto, quindi comprende la componente
tecnico professionale operativa e deve comprendere ovviamente anche altre
componenti che vanno sul fronte dell’educazione, dell’orientamento, della
condivisione e delle responsabilità nelle decisioni.
-
Questo
significa capacità di presa in carico, del bisogno, del problema, del
progetto personalizzato. Questa è una partita molto impegnativa, la
proposta di progetto obiettivo anziani dice che sarebbe opportuno in molti
casi superare il consenso informato e di arrivare a formulare un
contratto informato con le persone, perché molto spesso il consenso è
proprio l’esatto contrario di quello che dovrebbe essere, quindi l’idea
del contratto evidenzia di più questa necessità di fare incontrare
responsabilità diverse rispetto ad una buona gestione del processo
assistenziale.
-
E
arriviamo poi ad un’altra area di riflessione che riguarda le funzioni
complementari che è quella dell’integrazione professionale ed
organizzativa di servizio.
-
Non a
caso il piano nazionale linee guida, parla di linee guida a contenuto
misto, cioè dice storicamente noi ci siamo allenati, ci hanno allattato a
pensare che le uniche linee guida possibili fossero quelle cliniche, ma
quelle cliniche spesso e volentieri assumono spesso solo il punto di vista
di una specialità clinica, non assumono un punto di vista del problema e
come quel problema deve essere affrontato efficacemente.
-
Allora
è necessario che spesso e volentieri le linee guida non siano soltanto
cliniche, ma siano a contenuto misto, clinico ed organizzativo, cioè
descrivono come prendere della buone decisioni professionali e descrivono
come i professionisti possono condividere le responsabilità in attuazione
di quelle decisioni.
-
Quindi
vedete che c’è bisogno di un grande apporto da parte della vostra
professione nella costruzione di linee guida a contenuto misto che
specificano quelle che sono i contenuti dell’integrazione professionale
operativa, e quelli che sono i contenuti dell’integrazione invece
organizzativa e di servizio.
-
Ecco se
noi guardiamo dai primi esempi che ho fatto, risposta modulata sulla
complessità, intensità del bisogno fino all’ultimo esempio che riguarda le
linee guida a contenuto misto quindi inerenti l’integrazione ai diversi
livelli, noi vediamo che le funzioni complementari possono essere poi
descritte se avessimo tempo di farlo in una tabella rispetto a due
capitoli:
-
- le funzioni complementari più
propriamente connesse al processo assistenziale, quindi
-
assistenziali
-
- e le funzioni complementari
invece di tipo organizzativo che vedono credo parecchi di voi anche
esercitare nel proprio ambito di lavoro delle responsabilità
organizzative.
-
-
Questo implica sia nella formazione di base, sia nella
formazione successiva, sia soprattutto nella pratica quotidiana una
capacità di visione strategica dove coniugare tre dimensioni:
-
-
Ø l’approccio
alla salute
-
Ø l’approccio
al processo assistenziale
-
Ø l’approccio
alle dinamiche organizzative
-
-
Solo rendendo compresenti queste dimensioni abbiamo una
nuova professionalità che quindi assume anche le sfide del passaggio dalla
sanità alla salute.
-
Però oggi tutto questo deve misurarsi con un nuovo
problema, cioè come posizionare questa strategia professionale e di
sviluppo professionale nel nostro/nostri sistemi di welfare, perché fino
all’altro ieri noi eravamo convinti e probabilmente lo siamo tutt’ora di
vivere all’interno di un sistema di welfare solidarista, impegnato a
ridurre le diseguaglianze nell’accesso, impegnato a garantire prestazioni
eque e solidali con il bisogno rilevato.
-
Dopo la riforma federalista questo non esiste più,
esisteranno sempre di più dei sistemi regionali di welfare, dove non è
detto che ad ogni sistema regionale corrisponda lo stesso tasso di
solidarietà.
-
E anche su questo io vorrei in qualche modo evidenziare una
contraddizione che alimenta il dibattito attuale sui sitemi di welfare.
-
Spesso si simila e si pensa che siano sinonimi la
sussidarietà con la solidarietà, non è assolutamente vero, non sono
sinonimi, perché se noi guardiamo nei paesi dove c’è un altissimo tasso di
sussidarietà, quindi di responsabilizzazione dal basso, pensiamo agli
Stati Uniti, c’è un bassissimo tasso di solidarietà, proprio perché questo
si realizza in un sistema di tipo assicurativo.
-
In un
sistema europeo, come il nostro in cui la logica non è di tipo
assicurativo ma è di diritti di cittadinanza e quindi di solidarietà, non
è detto che una spinta alla sussidarietà sia coerente con la garanzia dei
diritti dei cittadini e quindi con la garanzia della tutela del diritto
alla salute.
-
Non a
caso sul tavolo delle regioni è in corso di discussione la nuova
definizione dei livelli essenziali di assistenza, questa nuova definizione
per chi ha visto le bozze che sono circolate elenca una serie di
prestazioni che sono da garantire all’interno dei livelli di assistenza,
quindi chiamiamoli dei diritti di cittadinanza , del diritto alla salute,
ma non dice quanto e come le regioni devono garantirle.
-
Quindi
è probabile che le regioni assumono decisioni anche diversificate rispetto
a questo, con problemi notevoli, rispetto alla mobilità interregionale,
problemi nella misura in cui le regioni riconosceranno alcune tipologie di
prestazioni dentro i livelli, altre invece le inseriranno nell’elenco
delle prestazioni che possono essere acquistate o a livello di libero
mercato o con i fondi integrativi.
-
Quindi dobbiamo prepararci a questi nuovi scenari di
welfare dove è probabile che nel giro di alcuni anni si creerà una
divaricazione abbastanza evidente fra regioni e che porterà a rendere
visibile quello che invece io sto ponendo come ipotesi di lavoro, cioè
che avremo diversi sistemi di welfare regionale e a quel punto vinca il
migliore, e chi sarà il migliore, quello che garantirà maggiori risultati
di salute, non maggiori e migliori risultati di sistema, cioè di pareggio
di bilancio o di cose di questo tipo, perché dopo che le regioni non sono
vincolate o non lo saranno, in termini di finalizzazione della spesa al
finanziamento dei servizi sanitari regionali, il vero parametro di
comparazione, i veri indicatori sanitari potremmo dire per il nostro paese
saranno i risultati di salute riconoscibili nei tassi di mortalità, ed i
tutti gli altri indicatori che voi conoscete molto bene e che appartengono
ormai alla cultura del dibattito ed anche delle riflessioni di chi ha a
cuore la tutela e la promozione della salute delle persone.
-
Rispetto ai sistemi di welfare regionali io vi sottopongo
una questione che sperimentate, essendo di area critica, cioè c’è un
problema di equità nell’accesso e non a caso il PSN 1998-2000 faceva della
riduzione delle disuguaglianze dell’accesso, una delle strategie
prioritarie, cioè ragionava così:
-
non è
sufficiente che noi lottiamo contro le disuguaglianze di salute perché
spesso e volentieri, se noi diamo le stesse opportunità a tutti, chi le
prenderà, le prenderà chi ha più probabilità sociali, chi ha più
informazioni, chi ha più capacità di accedere alle opportunità che sono a
disposizione del mercato dei diritti.
-
Chi
invece non arriverà a prendere le opportunità di cui avrebbe diritto, chi
non è informato, chi è un soggetto debole, chi non ha nessuno che lo
accompagna e lo tutela e lo sostiene.
-
Ecco
quindi direi che l’equità e la riduzione delle disuguaglianze nell’accesso
non sarà solo più un obiettivo strategico da piano 1998-2000, ma io
immagino diventerà una delle questioni nodali proprio del federalismo
sanitario per misurare quali sistemi saranno più equi, più efficaci, più
giusti nel tutelare le persone che hanno più bisogno.
-
E allora qui vengo a una questione che è anche la
conclusione del mio intervento che riguarda le implicazioni etiche di
tutto questo.
-
Nell’introduzione del Presidente l’etica è stata l’anima
dell’intervento, l’anima che ha visto trasformare l’idea dei confini in
un’area in cui bisogna confrontarsi e mescolare le diversità per trarne
valori aggiunti.
-
Come vengono immaginate le questioni etiche?
-
Sono
state immaginate intanto su piano individuale, per cui c’è un etica
professionale che va approfondita e che attiene alle scelte e alla bontà
delle scelte che la persona professionista fa.
-
Questo
è fondamentale, è importantissimo ma non possiamo presumere immaginare che
noi viviamo sottovuoto o relazionale, organizzativo e sociale, quindi
quello che io decido sotto anche l’ottica di una scelta etica devo
misurarlo rispetto alle decisioni che non devo prendere da solo ma che
sono chiamato a prendere con altri, quindi andrà molto sviluppata la
riflessione di quella che è l’etica inter professionale, cioè le
responsabilità etiche, i quesiti etici che interpellano diverse
professioni nella misura in cui insieme su quel bisogno, su quella
persona, debbono prendere una decisione.
-
E
allora qui le gerarchie saltano o devono saltare perché ogni persona vale
in quanto persona e non in quanto posizione organizzativa o in quanto
quantità di stipendio percepisce all’interno dell’organizzazione.
-
Però non basta, perché in un sistema che andrà
divaricandosi, quindi con diversi modelli di welfare regionali più
solidaristi, più universalisti e più “ assicurativi “, con l’introduzione
più o meno forzata dei fondi integrativi che faranno le regioni, ecco io
qui credo che bisognerà rispolverare quella che è anche una etica sociale,
cioè del professionista, dell’operatore che nel momento in cui opera deve
anche chiedersi se il contenitore operativo in cui sta agendo è abbastanza
altruista, equo, solidale etc., altrimenti avremo tanti vuoti a perdere
fuori di un contesto di solidarietà, altrimenti ad esempio non ci
preoccuperemmo dei vostri colleghi che abbiamo ricordato poco fa e
potremmo fare degli altri esempi, cioè di una realtà in cui il
professionista chiude le serrande finchè lavora e poi uscito dal lavoro
riprende a pensare in quanto persona, mentre bisogna che la dimensione
etica attraversi l’esperienza professionale sia quando uno è chiamato a
decidere da solo, sia quando deve decidere con altri, sia quando si rende
conto che il proprio operato in quanto categoria professionale, in quanto
gruppo professionale può incidere nel miglioramento o può in qualche modo
assecondare dei cambiamenti che non vanno nella direzione della equità e
della giustizia sociale.
» Torna all'indice degli atti del programma