Congresso Nazionale Aniarti 2007
Per l'attivita' quotidiana, per l'assunzione di responsabilita', per l'etica della decisione.
Rimini (RN), 15 Novembre - November 2004 / 17 Novembre - November 2004
» Indice degli atti del programma
L' assistenza prolungata in U.O. di "cure intensive": Luca Peressoni, Giuseppe Amore
16 Novembre - November 2001: 10:20 / 10:50
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- L’ASSISTENZA PROLUNGATA DEL
POLITRAUMATIZZATO
- IN UNITA’ OPERATIVA DI CURE INTENSIVE
-
- Peressoni Luca.* °
- Miconi G.*, Amore G.# °, Capone A.#, De
Crescenzo T.#, Furini L.#, Morelli C.#, Pasquariello A.#,
- Vitolo C.#.
-
- * Infermiere,
S.O.C. Rianimazione e Terapia Intensiva 2° Azienda Ospedaliera “S. Maria
della Misericordia”, Udine;
- # Infermiere,
S.O.C. Rianimazione Ospedale “Cardarelli”, Napoli;
- ° Relatore.
-
- Introduzione
- La patologia traumatica rappresenta la terza
causa di ricovero nei centri di Terapia Intensiva (UTI) ed è, a sua volta,
il fattore principale delle morti nell’età compresa fra 16 e 35 anni. La
mortalità durante i primi giorni dall’ammissione è legata a traumi chiusi
del capo, a danni respiratori o a stati di shock emorragici refrattari alla
terapia. Se la maggior parte di tali decessi può non essere prevedibile, i
rimanenti insorgono con il prolungarsi della degenza e sono causa della
Sindrome da Disfunzione Multiorgano (MODS), caratterizzata da un danno
progressivo a più organi fra loro interdipendenti. Nei politraumatizzati i
principali fattori scatenanti sono lo shock emorragico nei primi tre giorni
post-trauma e le infezioni nel supporto prolungato. L’incidenza di MODS
oscilla tra 8 e 25%, con un tasso di mortalità legato a patologia traumatica
del 60%.
- Appare quindi razionale come le strategie
fondamentali dell’assistenza al politraumatizzato nei centri di Rianimazione
siano il ripristino ed il mantenimento dell’ossigenazione tessutale, la
diagnosi ed il trattamento degli insulti non immediatamente riscontrabili,
la prevenzione ed il trattamento delle infezioni e della MODS.
- La prognosi di un politraumatizzato è
direttamente correlata al tempo che intercorre tra l’evento traumatico ed il
momento in cui viene prestata l’assistenza definitiva in ambiente intensivo.
E’ conseguente organizzare un efficace sistema di flusso delle informazioni
che permetta all’equipe dell’UTI di individuare in anticipo una strategia
operativa. Il “timing” del trasferimento è variabile, ma è prioritario che
le lesioni pericolose per la vita vengano trattate, se possibile, prima del
ricovero in ambiente intensivo. L’avvio delle procedure di trasferimento
deve avvenire contemporaneamente all’esecuzione-mantenimento del trattamento
rianimatorio. Fortemente raccomandato è l’utilizzo di meccanismi operativi
per il trasferimento ed accoglimento dei pazienti, che devono rendere
omogenee e strutturate informazioni diverse ma fondamentali:
-
a) dati anagrafici;
-
b) tempo e dinamica dell’insulto;
-
c) gestione e trattamento
extra-ospedaliero;
-
d) decorso clinico dal Pronto
Soccorso-DEA;
-
e) eventuale decorso operatorio;
-
f) possibili modificazioni
verificatesi durante il percorso/processo;
-
g) anamnesi patologica remota.
- L’uso di checklist/flowchart preimpostate
favorisce la trasmissione e l’univocità d’informazioni.
- Durante la fase d’accoglimento è imperativo
garantire:
-
1) monitoraggio dei parametri vitali;
-
2) supporto continuo dell’apparato
cardio-respiratorio;
-
3) ripristino dinamico della volemia;
-
4) somministrazione di farmaci come
da protocollo terapeutico;
-
5) costante comunicazione e
supervisione del team assistenziale.
- Un’attenta pianificazione e gestione di
questa fase possono minimizzare le conseguenza determinate da eventi non
voluti; altresì, l’assistenza e la cura raggiungono risultati incoraggianti
attraverso l’integrazione multidisciplinare ed il sinergismo tra le
professionalità coinvolte nelle diverse fasi del processo assistenziale.
- Il management
dei pazienti critici nelle UTI può essere suddiviso schematicamente in
quattro fasi all’interno delle quali declinare gli obiettivi assistenziali.
-
- Fase rianimatoria: comprende le prime 24
ore dall’evento traumatico e lo sforzo multidisciplinare è rivolto alla
ripresa delle funzioni vitali ed al mantenimento di un’adeguata
ossigenazione dei tessuti;
-
- Fase del supporto vitale precoce: occupa
uno spazio temporale compreso tra le 24 e le 72 ore post-trauma. Il
trattamento è focalizzato principalmente sulla gestione del danno
respiratorio, al controllo dell’ipertensione endocranica in tutti i
pazienti con trauma cranico severo ed alla completa ricerca di lesioni non
visibili. In questa fase sono rilevabili i primi segni di MODS;
-
- Fase del supporto vitale prolungato:
inizia dopo 72 ore e la durata dipende dalla severità dell’insulto e dalle
complicanze associate, spesso d’origine infettiva e responsabili di MODS.
La maggior parte dei pazienti supera la fase critica del supporto vitale e
vengono preparati ad affrontare l’ultima tappa del loro vissuto
esperienziale in UTI.
-
- Fase del ricovero e della
“de-intensificazione”, durante la quale il paziente riacquista autonomia
respiratoria dalla ventilazione artificiale (VAM) ed i supporti/presidi
invasivi sono rimossi. Contemporaneamente sono avviati programmi di
riabilitazione e educazione al paziente e familiari.
- Priorità assistenziali nella fase
rianimatoria
-
- Il primo
obiettivo assistenziale del team è finalizzato alla ricerca ed al
trattamento di un’eventuale inadeguata perfusione degli organi e di una
scarsa ossigenazione tessutale.
- Il deficit d’ossigeno trasportato ai tessuti
nei pazienti traumatizzati acuti è generalmente causato da un’insufficiente
perfusione (ipovolemia, shock) o da una severa ipossiemia da deficit
respiratorio.
- Il primo target
è riconoscere la presenza di uno stato di shock attraverso
l’apprezzamento clinico, per poi identificarne la causa. La maggior parte
dei pazienti traumatizzati è in shock ipovolemico da emorragia (87%), ma
occasionalmente possono essere affetti da shock cardiogeno, neurogeno o
anche settico. L’obiettivo primario in corso d’ipovolemia consiste
nell’identificazione delle foci emorragiche, arresto dell’emorragia e
reintegro volemico. Qualora tali strategie non siano efficaci, va
considerata la necessità d’intervento chirurgico. L’uso dei vasopressori è
controindicato, mentre il monitoraggio accurato del precarico destro (CVP)
può confermare lo stato volemico ed indirizzare la terapia infusiva.
Prioritarie appaiono strategie infermieristiche tese alla continua
sorveglianza e valutazione attraverso esame obiettivo e controllo
strumentale, corretta gestione delle linee d’accesso vascolare, management
della terapia infusionale di supporto. Vanno considerate l’importanza di
quantificare l’emorragia e l’inaffidabilità, in fase acuta, dei valori di
crasi quali segni precoci. Lo shock cardiogeno può essere conseguente ad un
trauma toracico e trova la sua causa in un trauma cardiaco chiuso,
tamponamento cardiaco, embolia gassosa. Il monitoraggio continuo
dell’elettrocardiogramma (ECG) e della CVP, associati ai dosaggi seriati
degli enzimi cardiaci (Troponina, CPK, CK massa), possono essere utili
indicatori d’alterazioni o lesioni. Considerare inoltre la necessità di
pericardiocentesi d’urgenza. La comparsa d’insufficienza respiratoria acuta,
enfisema sottocutaneo, calo della pressione arteriosa sistemica e dei suoni
respiratori indicano la comparsa di Pneumotorace iperteso (PNX) che richiede
una decompressione immediata. Estese lesioni del sistema nervoso centrale
(SNC) e/o del midollo spinale sono causa di shock neurogeno, il cui quadro è
caratterizzato da ipotensione senza tachicardia e vasocostrizione cutanea.
Lo shock settico è raro immediatamente dopo un trauma, fatta eccezione nel
caso di traumi penetranti addominali o trasferimenti secondari all’UTI. In
quest’ultimo caso o alla presenza di shock cardiogeno è consigliato il
monitoraggio della funzionalità cardiaca mediante posizionamento di un
catetere in arteria polmonare. Parametri emodinamici quali la saturazione
venosa mista d’ossigeno (SvO2), il volume ventricolare destro a
fine diastole (RVEDV), indice cardiaco (IC), trasporto e consumo d’ossigeno,
sono, infatti, considerati predittivi dell’indice di sopravvivenza. Il
monitoraggio della tonometria gastrica può rivelarsi utile giacché riflette
il trasporto d’ossigeno al tratto gastrointestinale; studi preliminari
sembrano dimostrare che se il pHi è mantenuto a valori superiori a 7.3 nelle
prime 24 ore, si ridurrebbe significativamente il rischio di MODS.
-
Il danno respiratorio post-traumatico
rappresenta il secondo fattore correlato ad un’inadeguata perfusione
tessutale. Le principali cause d’insufficienza respiratoria acuta sono
legate a traumi del torace (25% di mortalità), sovraccarico di liquidi,
shock, aspirazione, traumi del rachide, sindromi da distress respiratorio
acuto (ARDS), embolia grassosa. La funzionalità ventilatoria va presidiata e
supportata in rapporto all’entità e localizzazione del trauma, considerando
la possibilità d’aggravamento delle condizioni. E’ consigliabile un accurato
monitoraggio della pulsossimetria transcutanea, capnometria (v.
traumatizzati cranio-encefalici), stato acido-base, SvO2 (v. ARDS).
L’insorgenza di pnx ed enfisema sottocutaneo, l’aggravamento di una
contusione polmonare, vanno sempre considerati nel trauma toracico; è quindi
fondamentale effettuare ad intervalli un esame obiettivo del torace ed uno
scrupoloso controllo dei parametri cardio-respiratori. In tal caso può non
essere più sufficiente fornire ossigeno supplementare con maschera, ma può
rendersi necessario un supporto meccanico senza o con intubazione tracheale.
La conseguente ventilazione artificiale ha come obiettivi la riduzione del
lavoro respiratorio del paziente ed il miglioramento dell’ossigenazione e
della ventilazione. Le modalità maggiormente utilizzate comprendono:
- a) Pressione controllata, bilaterale
o selettiva;
- b) Sincronizzata intermittente con
pressione di supporto;
- c) Pressione di supporto;
- d) Pressione positiva continua,
bilivello o pressione di supporto con maschere facciali.
- La broncoscopia è
indicata nei pazienti con rischio attelettasico, sospetto d’ab-ingestis,
broncorroici.
- La radiografia del
torace può evidenziare l’insorgenza di complicanze meccaniche o infettive.
Mantenere la pervietà d’eventuali sistemi di drenaggio ed osservare
l’insorgenza di complicanze dopo rimozione. Sofferenza respiratoria,
barotrauma, riduzione della gittata cardiaca ed infezione polmonare sono le
più frequenti complicanze della VAM; vanno presidiati segni e sintomi che
possono manifestarne l’insorgenza, in tempo utile per un’azione correttiva.
Una tosse valida garantisce pervietà e pulizia delle vie respiratorie e come
tale va incoraggiata.
- Nei pazienti
traumatizzati l’incidenza ed il grado d’ipotermia sono direttamente
correlati all’aumento della mortalità e morbilità. Si calcola che tra il 21%
ed il 60% dei pazienti con trauma severo divenga ipotermico. L’indice di
mortalità per temperature attorno ai 32°C è pari al 100% e quindi diviene
cardine del processo assistenziale infermieristico garantire una temperatura
corporea quanto più fisiologica possibile. L’ipotermia, definita come “
temperatura corporea inferiore ai 35°C”, va distinta in lieve
(32°C-35°C), moderata (28°C-32°C) e severa (<28°C). Tali
situazioni sono causali di danni ingravescenti a carico dei sistemi
cardiovascolare, polmonare, ematologico, metabolico, neurologico e
gastrointestinale. Il miglior trattamento dell’ipotermia è la sua
prevenzione, che deve iniziare già nel decorso extraospedaliero e
continuare durante il processo assistenziale intramoenia. Pazienti con
ipotermia lieve possono essere riscaldati con sistemi passivi (es. rimozione
degli indumenti bagnati e freddi, garanzia di un microclima adeguato) oppure
attivi (es. uso di coperte e lampade termiche riscaldanti, materassi ad
aria, ...). L’utilizzo di sistemi attivi interni risulta vantaggioso per
prevenire e/o contrastare l’ipotermia moderata. L’infermiere può utilizzare
i riscaldatori per i ventilatori automatici, infondere liquidi caldi, oppure
eseguire lavaggi di cavità corporee non interessate da traumatismi (es.
stomaco, vescica, peritoneo, pleura). Il riscaldamento continuo
artero-venoso ed il by-pass cardiopolmonare rimangono l’estrema “ratio” per
ridurre la mortalità legata all’ipotermia severa.
- Nella scelta della strategia l’equipe deve
considerare che:
-
1) il lavaggio di cavità corporee
richiede l’impiego di un infermiere dedicato per diverso tempo;
-
2) l’impiego d’infusioni riscaldate
va limitato ai casi di quantitativi elevati ed infusi rapidamente con
temperature <42°C per evitare fenomeni emolitici.
- Il monitoraggio
continuo della temperatura corporea è fortemente raccomandato e può avvenire
attraverso l’utilizzo di sensori cutanei esterni o preferibilmente con il
posizionamento di sonde esofagee, rettali o vescicali.
- Coagulopatia
e trombocitopenia sono facilmente riscontrabili nei pazienti
traumatizzati; trasfusioni massive con conseguente diluizione delle
piastrine e dei fattori della coagulazione insieme all’ipotermia sono le
principali cause. Normalizzare la temperatura corporea, monitorare i valori
emocoagulativi e piastrinici, ricercare i segni di coagulopatia (petecchie,
ecchimosi, ematomi, …) divengono strategie infermieristiche fondamentali. Si
calcola che la mortalità nei pazienti che hanno ricevuto più di 25 unità di
sangue nelle 24 ore sia di circa il 50%. Appare quindi chiaro come la
gestione di pazienti che richiedono trasfusioni massive sia complessa e
richieda notevole competenza. L’utilizzo di protocolli multidisciplinari
associati a strategie di recupero di sangue autologo (intraoperatorio,
postoperatorio, sistemi di drenaggio e raccolta, …) e terapia farmacologica
con Epoietina appaiono allo stato attuale di documentata efficacia nel
ridurre i rischi intrinseci all’uso di sangue ed emoderivati.
- Gli insulti
encefalici rappresentano la più comune causa di morte nei pazienti
politraumatizzati ammessi in UTI. Fra i soggetti giunti vivi in ospedale,
solo il 40-50% recupererà senza sequele o con esiti minori. L’obiettivo
fondamentale dell’assistenza al traumatizzato cranico grave è la prevenzione
del danno secondario, causato essenzialmente ad un aumento della
pressione intracranica (PIC) e correlato ad ipossia, ipotensione
arteriosa, ipercapnia ed anemia. Il monitoraggio della PIC e della pressione
di perfusione cerebrale nei pazienti con score di Glasgow (GCS)
£
8 è ritenuto fondamentale nella fase precoce del trattamento. Un corretto
posizionamento con tronco sollevato a 30° (in assenza di trauma
vertebro-midollare, ndr.) può indurre una significativa diminuzione dei
livelli di PIC (ogni 10° dovrebbero comportare una riduzione teorica di 1
mmHg) e massimizzare la CPP, sebbene alcuni studi abbiano messo in
discussione l’assolutezza di tale principio. Il ritorno venoso cerebrale non
deve essere ostacolato da posizioni non neutre del capo e/o impedimenti
meccanici (collari cervicali, sistemi fissatubo, …). La PIC può essere
controllata attraverso il mantenimento di uno stato di normocapnia. Se
necessario, in corso di VAM può rendersi necessaria un’iperventilazione con
conseguente ipocapnia permissiva (PaCO2
< 25 mmHg) che
andrà strettamente controllata attraverso un rigoroso controllo dei
parametri ventilatori ed emodinamici. Mantenere una pressione sistemica
ottimale (media >
90 mmHg), anche attraverso l’uso di vasopressori, è cruciale per garantire
una CPP @
70 mmHg, soprattutto nella fase precoce post-trauma. Sedazione, analgesia e
blocco neuromuscolare sono utilizzati per ridurre la PIC direttamente
attraverso una diminuzione del fabbisogno metabolico cerebrale ed
indirettamente attraverso la prevenzione della tosse, riducendo al minimo
gli stimoli nocicettivi e tramite la facilitazione della VAM. L’uso di
regimi continui di sedazione può causare due problemi fondamentali durante
la gestione infermieristica: un grado variabile di depressione emodinamica e
la difficoltà a discriminare lo stato neurologico del paziente. La
valutazione della sedazione consente di regolare la posologia in base alle
esigenze del paziente, migliorando sicurezza e benessere. L’infermiere può
quantizzare il livello di sedazione attraverso:
-
a) Osservazione diretta;
-
b) Sistemi di punteggio (v. scale di
Ramsay, di Brussels, d’Addenbrooke, di Cook, …);
-
c) Sistemi di misurazione (EEG,
analisi dello spettro di corrente, concentrazione plasmatica del farmaco,
…).
- La sorveglianza clinica delle pupille resta
fondamentale, poiché i segni d’aggravamento possono manifestarsi con
midriasi quando la PIC è ancora normale. Il monitoraggio neurologico può
completarsi con l’utilizzo del Doppler transcranico, della misurazione della
saturazione venosa d’ossigeno nel bulbo giugulare (SjO2), del
controllo EEG in continuo. Tuttavia controllo e confronto seriati del GCS,
quando possibile, rimangono semplici ma importanti indicatori del livello di
coscienza. L’evacuazione chirurgica degli ematomi compressivi extra o
subdurali, ma anche intraparenchimali, è un trattamento indispensabile per
controllare l’ipertensione endocranica severa, mentre la craniectomia
decompressiva risulta a tutt’oggi una tecnica controversa. Il drenaggio
ventricolare esterno è efficace nel diminuire la PIC ma i ventricoli possono
essere difficili da pungere in caso di forte edema cerebrale. Inoltre il
rischio infettivo consiglia di limitare il cateterismo a circa 5 giorni.
- Il mantenimento di un livello costante e
fisiologico (80-120 mg/dl) di glucosio è importante per prevenire il danno
secondario; viene perciò raccomandato un controllo ogni 2-4 ore dei livelli
sierici. Il monitoraggio continuo del pre-load rappresenta il razionale
della terapia diuretica, osmotica e volemica. L’ipotermia moderata
sembrerebbe dimostrare una certa efficacia nella protezione del cervello
attraverso la riduzione del metabolismo; tuttavia allo stato attuale resta
da validare, mentre la prevenzione ed il trattamento dell’ipertermia
risultano essenziali (aumenti di 1°C comportano un aumento del 7% del
metabolismo cerebrale).
- I pazienti
traumatizzati sono a rischio d’insufficienza renale acuta, il più
delle volte riconducibile ad ipotensione o rianimazione non ottimale (circa
¼). La comparsa d’oliguria è spesso causata da ipovolemia o inadeguato
apporto di liquidi, la cui infusione andrà modulata sulla base dei parametri
emodinamici. Il monitoraggio sierico dei valori d’Azoto e CPK, associato ad
un controllo cromico delle urine, è consigliato nei soggetti a rischio di
Rabdomiolisi, mentre il monitoraggio della pressione intraddominale è
fortemente raccomandato nei sospetti di Sindrome da ipertensione addominale,
compresi i soggetti sottoposti a laparotomia nelle prime 24 ore. Durante le
prime ore di ricovero in UTI, vanno individuati e trattati gli squilibri dei
bilanci acido-base ed elettrolitici; particolarmente a rischio appaiono i
pazienti in stato di shock e/o politrasfusi. L’acidosi lattica refrattaria
nelle prime 24 ore è associata, infatti, ad elevata mortalità. I disordini
elettrolitici suscettibili di rapida correzione includono ipo ed
iperpotassiemia, ipomagnesiemia ed ipocalcemia. Un monitoraggio seriato è
fortemente raccomandato nella fase precoce.
- In concomitanza
con le misure attuate per garantire un’adeguata perfusione degli organi, il
paziente è rivalutato nella sua globalità, con l’obiettivo di ricercare
eventuali insulti non ancora visibili, implementare le notizie cliniche e
definire con relativa chiarezza il quadro clinico e le strategia
terapeutiche. Tale processo, chiamato anche valutazione terziaria,
può essere schematicamente diviso in tre fasi.
-
1) Rivalutazione primaria. Seguendo
la regola dell’ABC, sono presi in esame aspetti assistenziali legati alla
gestione delle vie artificiali, alla meccanica polmonare, al management
emodinamico e degli accessi vascolari.
-
2) Ricerca delle lesioni occulte. E’
riconosciuta un’incidenza superiore al 20% di traumi non riscontrati
all’ingresso nella struttura ed il più delle volte di natura ortopedica,
vascolare o viscerale. Necessita d’alta priorità l’esclusione di:
-
a) Traumi cranio-encefalici e
vertebro-midollari;
-
b) Traumi vascolari: aorta toracica,
intra-addominali, pelvici, cerebrali, ossa lunghe;
-
c) Lesioni cardiache;
-
d) Lesioni del tratto digestivo;
-
e) PNX occulto;
-
f) Sindrome compartimentale;
-
g) Trauma oculare.
-
3) Anamnesi patologica remota.
Attraverso il contatto con il paziente (se possibile) e/o i famigliari, la
ricerca di precedente documentazione, si raccolgono notizie riguardanti lo
stato pre-trauma.
- Un’analgesia
tempestiva ed appropriata è alla base del controllo del dolore nei
pazienti con lesioni multiple. Il raggiungimento di tale obiettivo
garantisce al paziente sollievo durante il movimento e la fisioterapia, il
sonno e la degenza in genere. Altri vantaggi sono una riduzione
dell’incidenza di complicanze polmonari, trombosi venose e sindromi da
dolore cronico. L’approccio può essere sistemico o loco-regionale. Nel primo
caso l’analgesia può essere ottenuta mediante l’uso d’oppioidi, la sedazione
con blocco neuromuscolare o la somministrazione di FANS. Dopo l’estubazione
tracheale, in genere, tutti i pazienti richiedono un’analgesia che non
comporti sedazione. Essa può essere gestita dallo staff infermieristico
mediante dosi intermittenti o endovenose continue d’oppioidi. L’utilizzo del
sistema d’analgesia controllata dal paziente (PCA) permette un’ottima
risposta ed il fatto di iniziarla all’interno di un ambiente “protetto”
quale l’UTI può ridurre al minimo il rischio di complicanze. Quando è
impiegato il blocco neuromuscolare si devono garantire un’analgesia ed una
sedazione adeguate (v. quantizzazione del livello di sedazione). L’utilizzo
di FANS nei traumatizzati è limitato ad un cauto impiego a causa degli
effetti antiaggreganti e del conseguente rischio d’emorragie. L’analgesia ed
anestesia regionali comprendono le tecniche epidurali, l’analgesia
intrapleurica ed i blocchi nervosi locali. Traumi del sistema nervoso
centrale o spinale, la presenza di coagulopatie, rappresentano una
controindicazione all’inserimento del catetere peridurale. Prevenirne le
complicanze (ipotensione e depressione respiratoria) rappresenta una
strategia primaria infermieristica.
- La valutazione dell’analgesia è fondamentale
nella pratica quotidiana. Può essere chiesto al paziente di descrivere il
dolore in termini di localizzazione ed intensità; quest’ultima può venir
valutata attraverso sistemi di punteggio soggettivi che implicano una
stretta relazione infermiere-paziente.
- Le scale per la valutazione del dolore più
utilizzate dal personale infermieristico comprendono:
-
- scala analogica visiva;
-
- scala analogica cromatica continua;
-
- scala numerica;
-
- scala verbale;
-
- scala delle espressioni facciali (utile
nei bambini).
- La definizione di un team dedicato e
l’utilizzo di consulenze infermieristiche rappresenta un’efficace strategia
per facilitare il mantenimento dei sistemi d’analgesia anche dopo dimissione
dall’UTI, garantendo comfort al paziente e raccordo assistenziale specifico.
- Alcune
complicanze correlate alla degenza in ambiente intensivo richiedono
l’attuazione di misure preventive precoci. La terapia con farmaci
anti H2 o Sucralfato risulta efficace nel ridurre l’insorgenza
d’ulcera da stress. La trombosi venosa profonda ha un incidenza di circa il
18% nei traumatizzati e, sebbene vengano attuate misure preventive, compare
nel 7-10% dei casi. La profilassi comprende l’utilizzo di gambali a
compressione graduata, sistemi di compressione sequenziale, la
somministrazione d’eparina sottocute o eparina a basso peso molecolare,
l’utilizzo d’anticoagulanti (ove possibile). Il posizionamento di un filtro
in vena cava può essere indicato nei pazienti traumatizzati ad altissimo
rischio.
- La rimozione dei cateteri posti in
emergenza, il trattamento precoce delle ferite, l’estubazione rapida, sono
fortemente raccomandati nella profilassi infettiva.
- Stabilire
contatto e supporto adeguati con i famigliari risultano fondamentali e
fortemente raccomandati, già nella fase precoce. Informazioni in merito
all’accaduto, alle condizioni cliniche, alla prognosi, sono le basi su cui
costruire una relazione tra parenti e membri dell’equipe assistenziale;
questa deve essere implementata anche attraverso l’uso di meccanismi
operativi che esplicitino indicazioni operative dell’UTI, orari di colloquio
e visita, modalità d’approccio al congiunto, servizi di supporto esterni,
aree d’attesa, identificative delle professionalità, ecc. Particolarmente
utile può risultare l’identificazione di una persona di riferimento che
svolga azione di filtro e raccordo con altri famigliari ed amici. La
presenza dell’infermiere durante le visite è d’aiuto nel gestire situazioni
emozionali e tradurre con semplicità gergo e terminologia mediche. Ministri
del culto ed assistenti sociali devono poter essere coinvolti
all’occorrenza.
-
-
-
- Priorità assistenziali nella fase di
supporto vitale precoce
-
- Mantenere
un’ossigenazione tessutale, controllare i valori della PIC, sorvegliare la
comparsa di lesioni occulte ed istituire un supporto nutrizionale idoneo,
rappresentano i target assistenziali primari nel periodo compreso tra 24 e
72 ore. Lo stato di perfusione può essere valutato dall’infermiere
attraverso l’osservazione ed il monitoraggio dei parametri emodinamici, le
stime della funzionalità renale e dell’equilibrio acido-base. Il ricorso ad
un monitoraggio altamente invasivo è raccomandato in corso d’instabilità
refrattaria alla terapia volemica ed inotropa, che può spingere alla ricerca
di lesioni non visibili attraverso esami clinici e strumentali.
Queste comprendono:
-
- Formazione di raccolte intracraniche;
-
- Lesioni intraddominali;
-
- Insulti del rachide;
-
- Fratture d’ossa.
- Pazienti che
hanno subito un trauma minore o che necessitano di sola sorveglianza
post-operatoria possono non richiedere più la VAM e generalmente
venir estubati precocemente. Le priorità infermieristiche devono
focalizzarsi al promuovere un tranquillo passaggio alla ventilazione
spontanea ed alla gestione delle complicanze (v. reintubazione immediata).
Il supporto artificiale rimane invece necessario in quei casi di
rianimazione estrema con instabilità, traumi toracici e cranici gravi e come
tale gestito efficacemente dal team infermieristico.
- Una
sorveglianza neurologica rigorosa viene consigliata in tale fase, alla
luce di una possibile incremento della PIC legato alla formazione d’ematomi
o alla comparsa d’emorragie. Utili e raccomandati appaiono anche i
monitoraggi del flusso e metabolismo cerebrali, che possono fungere da guida
ai processi assistenziali.
- I controlli
del bilancio idro-elettrolitico e dei parametri ematologici vanno
garantiti in rapporto alle entità e localizzazioni dei traumi. Sono
considerati a rischio di squilibrio i pazienti affetti da contusione
polmonare con edema, trauma cranico grave, fratture d’ossa pelviche con
ematoma retroperitoneale, stati emorragici.
- Il supporto
nutrizionale è una parte integrante dell’approccio terapeutico e gioca
un ruolo importante nell’outcome dei pazienti critici. La nutrizione
enterale, in altre parole la somministrazione di nutrienti attraverso il
tratto gastro-intestinale, rappresenta la prima scelta.
- Secondo recenti studi, rispetto a quella
parenterale (NPT), ha il vantaggio di proteggere e mantenere la struttura e
la funzione della mucosa intestinale; inoltre riduce l’incidenza infettiva
ed i rischi metabolici, nonché le note complicanze associate ad infusione
endovenosa. La nutrizione enterale è inoltre anche la meno costosa.
L’obiettivo della somministrazione precoce, almeno nelle prime 24 ore dopo
l’insulto traumatico, è quello di prevenire tutta una serie di complicanze
sistemiche legate alle modificazioni metaboliche e alla liberazione d’enzimi
proteolitici conseguenti al trauma ed evidenziabili dalle 24 alle 48 ore
successive l’evento.
- Poche sono le controindicazioni:
-
- L’instabilità emodinamica;
-
- Perforazioni intestinali multiple;
-
- Peritoniti diffuse;
-
- Fistole ed ostruzioni meccaniche.
- I casi sopra descritti impongono il ricorso
all’alimentazione parenterale.
- Possono essere individuate diverse vie di
somministrazione enterale che includono lo stomaco e tutti gli accessi al di
sotto del piloro (duodenale e digiunale). Il vantaggio è rappresentato nel
mantenimento dell’ambiente battericida naturale, nella riduzione delle
ulcere da stress e nella prevenzione d’aspirazione di materiale gastrico in
pazienti con atonia intestinale.
- Per la determinazione del fabbisogno
nutrizionale giornaliero vengono prese in considerazione alcuni parametri:
età, massa corporea, peso, sesso, altezza. L’equazione di Harris-Benedict e
l’utilizzo della calorimetria indiretta rappresentano le metodiche di
calcolo più utilizzate. L’approccio multidisciplinare con il supporto di
dietisti e farmacisti viene raccomandato nella gestione del processo.
- Nelle UTI il
rischio di contrarre infezioni è di 5-10 volte superiore rispetto ai
reparti di base, stimando che circa il 20% di tutte le infezioni nosocomiali
si verifica in Terapia Intensiva. Ciò è causato essenzialmente da:
-
a) Gravità e complessità della
patologia traumatica;
-
b) Impiego di supporti invasivi;
-
c) Caratteristiche intrinseche delle
UTI.
- Alcuni standard assistenziali di prevenzione
fanno parte della pratica quotidiana infermieristica e comprendono
l’implementazione dei sistemi di controllo e sorveglianza, appropriate
pulizia/disinfezione/sterilizzazione, il lavaggio delle mani, l’isolamento e
l’uso di dispositivi di barriera, la rimozione dei presidi invasivi non
necessari. Esistono invero raccomandazioni specifiche per singole foci
infettive, che verranno analizzate in seguito..
- Pazienti che
hanno subito lesioni cerebrali irreversibili e letali sono i potenziali
candidati per eccellenza alla donazione d’organi e tessuti e,
come tali, vanno considerati finché ragioni mediche non li escludano. Per
ottimizzare le condizioni dei traumatizzati che possono divenire donatori,
il team assistenziale deve considerare i seguenti principi:
-
- rianimazione precoce ed efficace;
-
- adeguata perfusione periferica ed
idratazione;
-
- ottimizzazione della diuresi;
-
- prevenzione delle infezioni e
dell’ipotermia.
- La morte cerebrale deve essere confermata
come da disposizioni legislative e definita come cessazione irreversibile
delle funzioni del cervello, incluso il cervelletto ed il tronco encefalico.
-
-
- Priorità assistenziali nella fase di
supporto vitale prolungato
-
- Le infezioni
rappresentano la maggior complicanza nei traumatizzati che richiedono un
trattamento prolungato in UTI; nella maggior parte dei casi si tratta
d’infezioni ospedaliere esogene. Nella loro prevenzione e cura il pool
infermieristico esplica un ruolo fondamentale, anche attraverso il supporto
e la supervisione d’infermiere addette al controllo delle infezioni. Per
ridurre la frequenza di complicanze infettive è necessario adottare misure
specifiche nelle diverse fasi assistenziali, che si siano dimostrate
efficaci a ridurre il rischio di trasmissione di microrganismi patogeni nei
confronti del paziente e degli operatori.
- Le infezioni delle basse vie respiratorie
correlate alla ventilazione meccanica (VAP) rappresentano la principale
complicanza infettiva nelle UTI per traumatizzati, seguite da sepsi
correlata a dispositivi endovascolari e infezioni delle vie urinarie.
- La VAP presenta un’incidenza variabile da 6
a 24 casi per 1000 giorni di VAM, particolarmente elevata nelle UTI
traumatologiche: 17,2. La maggior parte è causata da patogeni Gram-negativi
(Pseudomonas aeruginosa, Klebsiella pneumoniae) e Staphilococco aureus. Le
misure considerate efficaci nella prevenzione delle polmoniti batteriche
prevedono due strategie:
-
-
-
interruzione della catena di
trasmissione
|
-
|
- Disinfezione e
sterilizzazione attrezzature
|
- Interruzione della trasmissione
persona-persona
|
-
|
- Misure di carattere generale
|
- Lavaggio delle mani
|
-
|
- Attrezzature per VAM, circuiti, umidificatori,
filtri
|
- Misure di barriera
|
-
|
- Umidificatori a parete-nebulizzatori
|
- Assistenza ai pazienti tracheostomizzati
|
-
|
- Apparecchi per anestesia
|
- Aspirazione delle secrezioni
|
-
|
-
|
-
|
-
-
-
2. modifica dei fattori di rischio
ospite-dipendente
|
- Prevenzione della polmonite endogena
|
- Prevenzione della polmonite
postoperatoria
|
- Prevenzione dell’aspirazione associata a
nutrizione ent.
|
- Stimolazione della tosse
|
- Prevenzione dell’aspirazione legata ad
intubazione
|
- Controllo del dolore
|
- Prevenzione della colonizzazione gastrica
|
- Ginnastica respiratoria
|
-
-
- I devices intravascolari sono la principale
sorgente di batteriemie, il 90% delle quali legate a cateteri venosi
centrali (CVC). Nei pazienti traumatizzati l’incidenza raggiunge il 7,2 casi
´
1000 giorni. L’indice di mortalità attribuibile è di circa il 29%. Il
patogeno maggiormente isolato è lo Stafilococco coagulasi-negativo, seguito
dall’Aureus e dall’Enterococcus sp. Le principali strategie di carattere
generale per la prevenzione cui il personale infermieristico è raccomandato
riferirsi, riguardano:
-
a) Formazione ed aggiornamento;
-
b) Sorveglianza delle infezioni;
-
c) Lavaggio delle mani;
-
d) Misure di barriera durante
inserzione;
-
e) Inserzione del catetere;
-
f) Cura del sito d’inserzione;
-
g) Selezione e sostituzione dei
cateteri
-
h) Sostituzione dei sets e dei
liquidi d’infusione;
-
i) Preparazione e controllo delle
soluzioni;
-
j) Filtri.
-
- La frequenza d’infezioni delle vie urinarie
(8,3 casi ´
1000 giorni) è legata alla presenza del catetere vescicale ed alla sua
vulnerabilità alla contaminazione, riferibile prevalentemente ad Escherichia
coli e Candida albicans. Lo staff infermieristico può attuare strategie
operative volte a prevenire la batteriuria a catetere “in situ”, oppure
prevenendo le complicanze una volta verificata la contaminazione.
-
- Accanto al
trattamento infettivo, lo svezzamento dal supporto ventilatorio
rappresenta un target fondamentale per il team infermieristico.
Traumatizzati cranici gravi ed in stato comatoso, soggetti con lesione
midollare “alta” o trauma toracico importante, sono i candidati
all’esecuzione della tracheostomia precoce. Il passaggio dall’assistenza
meccanica alla respirazione spontanea (weaning) è un processo complesso che
deve considerare sia l’aspetto fisiologico sia psicologico del paziente,
sebbene non esistano standard e metodologie assoluti. Recentemente
l’American Association of Critical-Care Nurses’ ha prodotto un modello
concettuale di svezzamento che include tre fasi e che fonda il suo principio
sull’approccio coordinato e multidisciplinare. La prima fase (preweaning)
considera la valutazione di parametri respiratori e non, per stabilire se il
paziente è nelle condizioni di poter affrontare il processo.
-
- PARAMETRI RESPIRATORI
|
- PARAMETRI NON RESPIRATORI
|
- Ossigenazione
|
- Stato neurologico
|
- Ventilazione
|
- Stato emodinamico
|
- Meccanica polmonare
|
- Crasi ematica
|
-
|
- Stato idro-elettrolitico ed acido-base
|
-
|
- Stato nutrizionale
|
-
|
- Fattori psicosociali
|
-
- Nella gestione di tali indicatori il team
infermieristico e medico deve essere supportato da fisioterapisti
respiratori, dietiste, farmacisti ed assistenti sociali, attraverso meeting
preliminari ed utilizzo di meccanismi operativi.
- Il processo di weaning rappresenta la
seconda e più complessa fase. La scelta del metodo di svezzamento è
fondamentale, così come la definizione dei criteri di sospensione e delle
strategie terapeutiche di supporto. Esistono diverse tecniche, delle quali
le più utilizzate sono: T-Piece, Sincronicity Intermittent Mandatory
Ventilation (SIMV), Pressure Support Ventilation (PS). La fase finale
comprende il periodo in cui il supporto meccanico viene completamente
sospeso per la completa autonomia del paziente. Sebbene allo stato attuale
non ci sia evidenza circa l’efficacia di una metodica rispetto ad altre, è
fortemente raccomandato:
-
· promuovere l’approccio
disciplinare;
-
· definire protocolli e sistemi di
comunicazione;
-
· implementare le conoscenze del
team;
-
· impostare sistemi di controllo e
verifica.
-
- Il trauma
comporta un acuta riduzione funzionale ed una perdita dell’autosufficienza.
Il team assistenziale ha la responsabilità di garantire metodi e strumenti
operativi per il recupero all’indipendenza. L’impotenza secondaria al
trauma si può esplicare attraverso la comparsa di molteplici eventi. La
compromissione cardiovascolare, soprattutto in presenza di danno spinale,
può persistere sino a 72 giorni dopo il ritorno all’attività. L’allettamento
comporta una perdita del 10-15% della massa muscolare ogni sette giorni. La
comparsa di contratture ed ulcere da decubito è la risultante
dell’impossibilità a svolgere movimenti attivi o passivi ed è un’importante
fattore contributivo la morbilità; la prevenzione rappresenta quindi un
target fondamentale.
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