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Congresso Nazionale Aniarti 2007

Per l'attivita' quotidiana, per l'assunzione di responsabilita', per l'etica della decisione.

Rimini (RN), 15 Novembre - November 2004 / 17 Novembre - November 2004

» Indice degli atti del programma

L' assistenza prolungata in U.O. di "cure intensive": Luca Peressoni,  Giuseppe Amore

16 Novembre - November 2001: 10:20 / 10:50

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L’ASSISTENZA PROLUNGATA DEL POLITRAUMATIZZATO
IN UNITA’ OPERATIVA DI CURE INTENSIVE
 
Peressoni Luca.* °
Miconi G.*, Amore G.# °, Capone A.#, De Crescenzo T.#, Furini L.#, Morelli C.#, Pasquariello A.#,
Vitolo C.#.
 
* Infermiere, S.O.C. Rianimazione e Terapia Intensiva 2° Azienda Ospedaliera “S. Maria della Misericordia”, Udine;
# Infermiere, S.O.C. Rianimazione Ospedale “Cardarelli”, Napoli;
° Relatore.
 
Introduzione
La patologia traumatica rappresenta la terza causa di ricovero nei centri di Terapia Intensiva (UTI) ed è, a sua volta, il fattore principale delle morti nell’età compresa fra 16 e 35 anni. La mortalità durante i primi giorni dall’ammissione è legata a traumi chiusi del capo, a danni respiratori o a stati di shock emorragici refrattari alla terapia. Se la maggior parte di tali decessi può non essere prevedibile, i rimanenti insorgono con il prolungarsi della degenza e sono causa della Sindrome da Disfunzione Multiorgano (MODS), caratterizzata da un danno progressivo a più organi fra loro interdipendenti. Nei politraumatizzati i principali fattori scatenanti sono lo shock emorragico nei primi tre giorni post-trauma e le infezioni nel supporto prolungato. L’incidenza di MODS oscilla tra 8 e 25%, con un tasso di mortalità legato a patologia traumatica del 60%.
Appare quindi razionale come le strategie fondamentali dell’assistenza al politraumatizzato nei centri di Rianimazione siano il ripristino ed il mantenimento dell’ossigenazione tessutale, la diagnosi ed il trattamento degli insulti non immediatamente riscontrabili, la prevenzione ed il trattamento delle infezioni e della MODS.
La prognosi di un politraumatizzato è direttamente correlata al tempo che intercorre tra l’evento traumatico ed il momento in cui viene prestata l’assistenza definitiva in ambiente intensivo. E’ conseguente organizzare un efficace sistema di flusso delle informazioni che permetta all’equipe dell’UTI di individuare in anticipo una strategia operativa. Il “timing” del trasferimento è variabile, ma è prioritario che le lesioni pericolose per la vita vengano trattate, se possibile, prima del ricovero in ambiente intensivo. L’avvio delle procedure di trasferimento deve avvenire contemporaneamente all’esecuzione-mantenimento del trattamento rianimatorio. Fortemente raccomandato è l’utilizzo di meccanismi operativi per il trasferimento ed accoglimento dei pazienti, che devono rendere omogenee e strutturate informazioni diverse ma fondamentali:
a) dati anagrafici;
b) tempo e dinamica dell’insulto;
c) gestione e trattamento extra-ospedaliero;
d) decorso clinico dal Pronto Soccorso-DEA;
e) eventuale decorso operatorio;
f) possibili modificazioni verificatesi durante il percorso/processo;
g) anamnesi patologica remota.
L’uso di checklist/flowchart preimpostate favorisce la trasmissione e l’univocità d’informazioni.
Durante la fase d’accoglimento è imperativo garantire:
1) monitoraggio dei parametri vitali;
2) supporto continuo dell’apparato cardio-respiratorio;
3) ripristino dinamico della volemia;
4) somministrazione di farmaci come da protocollo terapeutico;
5) costante comunicazione e supervisione del team assistenziale.
Un’attenta pianificazione e gestione di questa fase possono minimizzare le conseguenza determinate da eventi non voluti; altresì, l’assistenza e la cura raggiungono risultati incoraggianti attraverso l’integrazione multidisciplinare ed il sinergismo tra le professionalità coinvolte nelle diverse fasi del processo assistenziale.
Il management dei pazienti critici nelle UTI può essere suddiviso schematicamente in quattro fasi all’interno delle quali declinare gli obiettivi assistenziali.
  •  
    Fase rianimatoria: comprende le prime 24 ore dall’evento traumatico e lo sforzo multidisciplinare è rivolto alla ripresa delle funzioni vitali ed al mantenimento di un’adeguata ossigenazione dei tessuti;
  •  
    Fase del supporto vitale precoce: occupa uno spazio temporale compreso tra le 24 e le 72 ore post-trauma. Il trattamento è focalizzato principalmente sulla gestione del danno respiratorio, al controllo dell’ipertensione endocranica in tutti i pazienti con trauma cranico severo ed alla completa ricerca di lesioni non visibili. In questa fase sono rilevabili i primi segni di MODS;
  •  
    Fase del supporto vitale prolungato: inizia dopo 72 ore e la durata dipende dalla severità dell’insulto e dalle complicanze associate, spesso d’origine infettiva e responsabili di MODS. La maggior parte dei pazienti supera la fase critica del supporto vitale e vengono preparati ad affrontare l’ultima tappa del loro vissuto esperienziale in UTI.
  •  
    Fase del ricovero e della “de-intensificazione”, durante la quale il paziente riacquista autonomia respiratoria dalla ventilazione artificiale (VAM) ed i supporti/presidi invasivi sono rimossi. Contemporaneamente sono avviati programmi di riabilitazione e educazione al paziente e familiari.
Priorità assistenziali nella fase rianimatoria
 
Il primo obiettivo assistenziale del team è finalizzato alla ricerca ed al trattamento di un’eventuale inadeguata perfusione degli organi e di una scarsa ossigenazione tessutale.
Il deficit d’ossigeno trasportato ai tessuti nei pazienti traumatizzati acuti è generalmente causato da un’insufficiente perfusione (ipovolemia, shock) o da una severa ipossiemia da deficit respiratorio.
Il primo target è riconoscere la presenza di uno stato di shock attraverso l’apprezzamento clinico, per poi identificarne la causa. La maggior parte dei pazienti traumatizzati è in shock ipovolemico da emorragia (87%), ma occasionalmente possono essere affetti da shock cardiogeno, neurogeno o anche settico. L’obiettivo primario in corso d’ipovolemia consiste nell’identificazione delle foci emorragiche, arresto dell’emorragia e reintegro volemico. Qualora tali strategie non siano efficaci, va considerata la necessità d’intervento chirurgico. L’uso dei vasopressori è controindicato, mentre il monitoraggio accurato del precarico destro (CVP) può confermare lo stato volemico ed indirizzare la terapia infusiva. Prioritarie appaiono strategie infermieristiche tese alla continua sorveglianza e valutazione attraverso esame obiettivo e controllo strumentale, corretta gestione delle linee d’accesso vascolare, management della terapia infusionale di supporto. Vanno considerate l’importanza di quantificare l’emorragia e l’inaffidabilità, in fase acuta, dei valori di crasi quali segni precoci. Lo shock cardiogeno può essere conseguente ad un trauma toracico e trova la sua causa in un trauma cardiaco chiuso, tamponamento cardiaco, embolia gassosa. Il monitoraggio continuo dell’elettrocardiogramma (ECG) e della CVP, associati ai dosaggi seriati degli enzimi cardiaci (Troponina, CPK, CK massa), possono essere utili indicatori d’alterazioni o lesioni. Considerare inoltre la necessità di pericardiocentesi d’urgenza. La comparsa d’insufficienza respiratoria acuta, enfisema sottocutaneo, calo della pressione arteriosa sistemica e dei suoni respiratori indicano la comparsa di Pneumotorace iperteso (PNX) che richiede una decompressione immediata. Estese lesioni del sistema nervoso centrale (SNC) e/o del midollo spinale sono causa di shock neurogeno, il cui quadro è caratterizzato da ipotensione senza tachicardia e vasocostrizione cutanea. Lo shock settico è raro immediatamente dopo un trauma, fatta eccezione nel caso di traumi penetranti addominali o trasferimenti secondari all’UTI. In quest’ultimo caso o alla presenza di shock cardiogeno è consigliato il monitoraggio della funzionalità cardiaca mediante posizionamento di un catetere in arteria polmonare. Parametri emodinamici quali la saturazione venosa mista d’ossigeno (SvO2), il volume ventricolare destro a fine diastole (RVEDV), indice cardiaco (IC), trasporto e consumo d’ossigeno, sono, infatti, considerati predittivi dell’indice di sopravvivenza. Il monitoraggio della tonometria gastrica può rivelarsi utile giacché riflette il trasporto d’ossigeno al tratto gastrointestinale; studi preliminari sembrano dimostrare che se il pHi è mantenuto a valori superiori a 7.3 nelle prime 24 ore, si ridurrebbe significativamente il rischio di MODS.
Il danno respiratorio post-traumatico rappresenta il secondo fattore correlato ad un’inadeguata perfusione tessutale. Le principali cause d’insufficienza respiratoria acuta sono legate a traumi del torace (25% di mortalità), sovraccarico di liquidi, shock, aspirazione, traumi del rachide, sindromi da distress respiratorio acuto (ARDS), embolia grassosa. La funzionalità ventilatoria va presidiata e supportata in rapporto all’entità e localizzazione del trauma, considerando la possibilità d’aggravamento delle condizioni. E’ consigliabile un accurato monitoraggio della pulsossimetria transcutanea, capnometria (v. traumatizzati cranio-encefalici), stato acido-base, SvO2 (v. ARDS). L’insorgenza di pnx ed enfisema sottocutaneo, l’aggravamento di una contusione polmonare, vanno sempre considerati nel trauma toracico; è quindi fondamentale effettuare ad intervalli un esame obiettivo del torace ed uno scrupoloso controllo dei parametri cardio-respiratori. In tal caso può non essere più sufficiente fornire ossigeno supplementare con maschera, ma può rendersi necessario un supporto meccanico senza o con intubazione tracheale. La conseguente ventilazione artificiale ha come obiettivi la riduzione del lavoro respiratorio del paziente ed il miglioramento dell’ossigenazione e della ventilazione. Le modalità maggiormente utilizzate comprendono:
a) Pressione controllata, bilaterale o selettiva;
b) Sincronizzata intermittente con pressione di supporto;
c) Pressione di supporto;
d) Pressione positiva continua, bilivello o pressione di supporto con maschere facciali.
La broncoscopia è indicata nei pazienti con rischio attelettasico, sospetto d’ab-ingestis, broncorroici.
La radiografia del torace può evidenziare l’insorgenza di complicanze meccaniche o infettive. Mantenere la pervietà d’eventuali sistemi di drenaggio ed osservare l’insorgenza di complicanze dopo rimozione. Sofferenza respiratoria, barotrauma, riduzione della gittata cardiaca ed infezione polmonare sono le più frequenti complicanze della VAM; vanno presidiati segni e sintomi che possono manifestarne l’insorgenza, in tempo utile per un’azione correttiva. Una tosse valida garantisce pervietà e pulizia delle vie respiratorie e come tale va incoraggiata.
Nei pazienti traumatizzati l’incidenza ed il grado d’ipotermia sono direttamente correlati all’aumento della mortalità e morbilità. Si calcola che tra il 21% ed il 60% dei pazienti con trauma severo divenga ipotermico. L’indice di mortalità per temperature attorno ai 32°C è pari al 100% e quindi diviene cardine del processo assistenziale infermieristico garantire una temperatura corporea quanto più fisiologica possibile. L’ipotermia, definita come “ temperatura corporea inferiore ai 35°C”, va distinta in lieve (32°C-35°C), moderata (28°C-32°C) e severa (<28°C). Tali situazioni sono causali di danni ingravescenti a carico dei sistemi cardiovascolare, polmonare, ematologico, metabolico, neurologico e gastrointestinale. Il miglior trattamento dell’ipotermia è la sua prevenzione, che deve iniziare già nel decorso extraospedaliero e continuare durante il processo assistenziale intramoenia. Pazienti con ipotermia lieve possono essere riscaldati con sistemi passivi (es. rimozione degli indumenti bagnati e freddi, garanzia di un microclima adeguato) oppure attivi (es. uso di coperte e lampade termiche riscaldanti, materassi ad aria, ...). L’utilizzo di sistemi attivi interni risulta vantaggioso per prevenire e/o contrastare l’ipotermia moderata. L’infermiere può utilizzare i riscaldatori per i ventilatori automatici, infondere liquidi caldi, oppure eseguire lavaggi di cavità corporee non interessate da traumatismi (es. stomaco, vescica, peritoneo, pleura). Il riscaldamento continuo artero-venoso ed il by-pass cardiopolmonare rimangono l’estrema “ratio” per ridurre la mortalità legata all’ipotermia severa.
Nella scelta della strategia l’equipe deve considerare che:
1) il lavaggio di cavità corporee richiede l’impiego di un infermiere dedicato per diverso tempo;
2) l’impiego d’infusioni riscaldate va limitato ai casi di quantitativi elevati ed infusi rapidamente con temperature <42°C per evitare fenomeni emolitici.
 Il monitoraggio continuo della temperatura corporea è fortemente raccomandato e può avvenire attraverso l’utilizzo di sensori cutanei esterni o preferibilmente con il posizionamento di sonde esofagee, rettali o vescicali.
Coagulopatia e trombocitopenia sono facilmente riscontrabili nei pazienti traumatizzati; trasfusioni massive con conseguente diluizione delle piastrine e dei fattori della coagulazione insieme all’ipotermia sono le principali cause. Normalizzare la temperatura corporea, monitorare i valori emocoagulativi e piastrinici, ricercare i segni di coagulopatia (petecchie, ecchimosi, ematomi, …) divengono strategie infermieristiche fondamentali. Si calcola che la mortalità nei pazienti che hanno ricevuto più di 25 unità di sangue nelle 24 ore sia di circa il 50%. Appare quindi chiaro come la gestione di pazienti che richiedono trasfusioni massive sia complessa e richieda notevole competenza. L’utilizzo di protocolli multidisciplinari associati a strategie di recupero di sangue autologo (intraoperatorio, postoperatorio, sistemi di drenaggio e raccolta, …) e terapia farmacologica con Epoietina appaiono allo stato attuale di documentata efficacia nel ridurre i rischi intrinseci all’uso di sangue ed emoderivati.
Gli insulti encefalici rappresentano la più comune causa di morte nei pazienti politraumatizzati ammessi in UTI. Fra i soggetti giunti vivi in ospedale, solo il 40-50% recupererà senza sequele o con esiti minori. L’obiettivo fondamentale dell’assistenza al traumatizzato cranico grave è la prevenzione del danno secondario, causato essenzialmente ad un aumento della pressione intracranica (PIC) e correlato ad ipossia, ipotensione arteriosa, ipercapnia ed anemia. Il monitoraggio della PIC e della pressione di perfusione cerebrale nei pazienti con score di Glasgow (GCS) £ 8 è ritenuto fondamentale nella fase precoce del trattamento. Un corretto posizionamento con tronco sollevato a 30° (in assenza di trauma vertebro-midollare, ndr.) può indurre una significativa diminuzione dei livelli di PIC (ogni 10° dovrebbero comportare una riduzione teorica di 1 mmHg) e massimizzare la CPP, sebbene alcuni studi abbiano messo in discussione l’assolutezza di tale principio. Il ritorno venoso cerebrale non deve essere ostacolato da posizioni non neutre del capo e/o impedimenti meccanici (collari cervicali, sistemi fissatubo, …). La PIC può essere controllata attraverso il mantenimento di uno stato di normocapnia. Se necessario, in corso di VAM può rendersi necessaria un’iperventilazione con conseguente ipocapnia permissiva (PaCO2 < 25 mmHg) che andrà strettamente controllata attraverso un rigoroso controllo dei parametri ventilatori ed emodinamici. Mantenere una pressione sistemica ottimale (media > 90 mmHg), anche attraverso l’uso di vasopressori, è cruciale per garantire una CPP  @ 70 mmHg, soprattutto nella fase precoce post-trauma. Sedazione, analgesia e blocco neuromuscolare sono utilizzati per ridurre la PIC direttamente attraverso una diminuzione del fabbisogno metabolico cerebrale ed indirettamente attraverso la prevenzione della tosse, riducendo al minimo gli stimoli nocicettivi e tramite la facilitazione della VAM. L’uso di regimi continui di sedazione può causare due problemi fondamentali durante la gestione infermieristica: un grado variabile di depressione emodinamica e la difficoltà a discriminare lo stato neurologico del paziente. La valutazione della sedazione consente di regolare la posologia in base alle esigenze del paziente, migliorando sicurezza e benessere. L’infermiere può quantizzare il livello di sedazione attraverso:
a) Osservazione diretta;
b) Sistemi di punteggio (v. scale di Ramsay, di Brussels, d’Addenbrooke, di Cook, …);
c) Sistemi di misurazione (EEG, analisi dello spettro di corrente, concentrazione plasmatica del farmaco, …).
La sorveglianza clinica delle pupille resta fondamentale, poiché i segni d’aggravamento possono manifestarsi con midriasi quando la PIC è ancora normale. Il monitoraggio neurologico può completarsi con l’utilizzo del Doppler transcranico, della misurazione della saturazione venosa d’ossigeno nel bulbo giugulare (SjO2), del controllo EEG in continuo. Tuttavia controllo e confronto seriati del GCS, quando possibile, rimangono semplici ma importanti indicatori del livello di coscienza.  L’evacuazione chirurgica degli ematomi compressivi extra o subdurali, ma anche intraparenchimali, è un trattamento indispensabile per controllare l’ipertensione endocranica severa, mentre la craniectomia decompressiva risulta a tutt’oggi una tecnica controversa. Il drenaggio ventricolare esterno è efficace nel diminuire la PIC ma i ventricoli possono essere difficili da pungere in caso di forte edema cerebrale. Inoltre il rischio infettivo consiglia di limitare il cateterismo a circa 5 giorni.
Il mantenimento di un livello costante e fisiologico (80-120 mg/dl) di glucosio è importante per prevenire il danno secondario; viene perciò raccomandato un controllo ogni 2-4 ore dei livelli sierici. Il monitoraggio continuo del pre-load rappresenta il razionale della terapia diuretica, osmotica e volemica. L’ipotermia moderata sembrerebbe dimostrare una certa efficacia nella protezione del cervello attraverso la riduzione del metabolismo; tuttavia allo stato attuale resta da validare, mentre la prevenzione ed il trattamento dell’ipertermia risultano essenziali (aumenti di 1°C comportano un aumento del 7% del metabolismo cerebrale).
I pazienti traumatizzati sono a rischio d’insufficienza renale acuta, il più delle volte riconducibile ad ipotensione o rianimazione non ottimale (circa ¼). La comparsa d’oliguria è spesso causata da ipovolemia o inadeguato apporto di liquidi, la cui infusione andrà modulata sulla base dei parametri emodinamici. Il monitoraggio sierico dei valori d’Azoto e CPK, associato ad un controllo cromico delle urine, è consigliato nei soggetti a rischio di Rabdomiolisi, mentre il monitoraggio della pressione intraddominale è fortemente raccomandato nei sospetti di Sindrome da ipertensione addominale, compresi i soggetti sottoposti a laparotomia nelle prime 24 ore. Durante le prime ore di ricovero in UTI, vanno individuati e trattati gli squilibri dei bilanci acido-base ed elettrolitici; particolarmente a rischio appaiono i pazienti in stato di shock e/o politrasfusi. L’acidosi lattica refrattaria nelle prime 24 ore è associata, infatti, ad elevata mortalità. I disordini elettrolitici suscettibili di rapida correzione includono ipo ed iperpotassiemia, ipomagnesiemia ed ipocalcemia. Un monitoraggio seriato è fortemente raccomandato nella fase precoce.
In concomitanza con le misure attuate per garantire un’adeguata perfusione degli organi, il paziente è rivalutato nella sua globalità, con l’obiettivo di ricercare eventuali insulti non ancora visibili, implementare le notizie cliniche e definire con relativa chiarezza il quadro clinico e le strategia terapeutiche. Tale processo, chiamato anche valutazione terziaria, può essere schematicamente diviso in tre fasi.
1) Rivalutazione primaria. Seguendo la regola dell’ABC, sono presi in esame aspetti assistenziali legati alla gestione delle vie artificiali, alla meccanica polmonare, al management emodinamico e degli accessi vascolari.
2) Ricerca delle lesioni occulte. E’ riconosciuta un’incidenza superiore al 20% di traumi non riscontrati all’ingresso nella struttura ed il più delle volte di natura ortopedica, vascolare o viscerale. Necessita d’alta priorità l’esclusione di:
a) Traumi cranio-encefalici e vertebro-midollari;
b) Traumi vascolari: aorta toracica, intra-addominali, pelvici, cerebrali, ossa lunghe;
c) Lesioni cardiache;
d) Lesioni del tratto digestivo;
e) PNX occulto;
f) Sindrome compartimentale;
g) Trauma oculare.
3) Anamnesi patologica remota. Attraverso il contatto con il paziente (se possibile) e/o i famigliari, la ricerca di precedente documentazione, si raccolgono notizie riguardanti lo stato pre-trauma.
Un’analgesia tempestiva ed appropriata è alla base del controllo del dolore nei pazienti con lesioni multiple. Il raggiungimento di tale obiettivo garantisce al paziente sollievo durante il movimento e la fisioterapia, il sonno e la degenza in genere. Altri vantaggi sono una riduzione dell’incidenza di complicanze polmonari, trombosi venose e sindromi da dolore cronico. L’approccio può essere sistemico o loco-regionale. Nel primo caso l’analgesia può essere ottenuta mediante l’uso d’oppioidi, la sedazione con blocco neuromuscolare o la somministrazione di FANS. Dopo l’estubazione tracheale, in genere, tutti i pazienti richiedono un’analgesia che non comporti sedazione. Essa può essere gestita dallo staff infermieristico mediante dosi intermittenti o endovenose continue d’oppioidi. L’utilizzo del sistema d’analgesia controllata dal paziente (PCA) permette un’ottima risposta ed il fatto di iniziarla all’interno di un ambiente “protetto” quale l’UTI può ridurre al minimo il rischio di complicanze. Quando è impiegato il blocco neuromuscolare si devono garantire un’analgesia ed una sedazione adeguate (v. quantizzazione del livello di sedazione). L’utilizzo di FANS nei traumatizzati è limitato ad un cauto impiego a causa degli effetti antiaggreganti e del conseguente rischio d’emorragie. L’analgesia ed anestesia regionali comprendono le tecniche epidurali, l’analgesia intrapleurica ed i blocchi nervosi locali. Traumi del sistema nervoso centrale o spinale, la presenza di coagulopatie, rappresentano una controindicazione all’inserimento del catetere peridurale. Prevenirne le complicanze (ipotensione e depressione respiratoria) rappresenta una strategia primaria infermieristica.
La valutazione dell’analgesia è fondamentale nella pratica quotidiana. Può essere chiesto al paziente di descrivere il dolore in termini di localizzazione ed intensità; quest’ultima può venir valutata attraverso sistemi di punteggio soggettivi che implicano una stretta relazione infermiere-paziente.
Le scale per la valutazione del dolore più utilizzate dal personale infermieristico comprendono:
  1.  
    scala analogica visiva;
  2.  
    scala analogica cromatica continua;
  3.  
    scala numerica;
  4.  
    scala verbale;
  5.  
    scala delle espressioni facciali (utile nei bambini).
La definizione di un team dedicato e l’utilizzo di consulenze infermieristiche rappresenta un’efficace strategia per facilitare il mantenimento dei sistemi d’analgesia anche dopo dimissione dall’UTI, garantendo comfort al paziente e raccordo assistenziale specifico.
Alcune complicanze correlate alla degenza in ambiente intensivo richiedono l’attuazione di misure preventive precoci. La terapia con farmaci anti H2 o Sucralfato risulta efficace nel ridurre l’insorgenza d’ulcera da stress. La trombosi venosa profonda ha un incidenza di circa il 18% nei traumatizzati e, sebbene vengano attuate misure preventive, compare nel 7-10% dei casi. La profilassi comprende l’utilizzo di gambali a compressione graduata, sistemi di compressione sequenziale, la somministrazione d’eparina sottocute o eparina a basso peso molecolare, l’utilizzo d’anticoagulanti (ove possibile). Il posizionamento di un filtro in vena cava può essere indicato nei pazienti traumatizzati ad altissimo rischio.
La rimozione dei cateteri posti in emergenza, il trattamento precoce delle ferite, l’estubazione rapida, sono fortemente raccomandati nella profilassi infettiva.
Stabilire contatto e supporto adeguati con i famigliari risultano fondamentali e fortemente raccomandati, già nella fase precoce. Informazioni in merito all’accaduto, alle condizioni cliniche, alla prognosi, sono le basi su cui costruire una relazione tra parenti e membri dell’equipe assistenziale; questa deve essere implementata anche attraverso l’uso di meccanismi operativi che esplicitino indicazioni operative dell’UTI, orari di colloquio e visita, modalità d’approccio al congiunto, servizi di supporto esterni, aree d’attesa, identificative delle professionalità, ecc. Particolarmente utile può risultare l’identificazione di una persona di riferimento che svolga azione di filtro e raccordo con altri famigliari ed amici. La presenza dell’infermiere durante le visite è d’aiuto nel gestire situazioni emozionali e tradurre con semplicità gergo e terminologia mediche. Ministri del culto ed assistenti sociali devono poter essere coinvolti all’occorrenza.
 
 
 
Priorità assistenziali nella fase di supporto vitale precoce
 
Mantenere un’ossigenazione tessutale, controllare i valori della PIC, sorvegliare la comparsa di lesioni occulte ed istituire un supporto nutrizionale idoneo, rappresentano i target assistenziali primari nel periodo compreso tra 24 e 72 ore. Lo stato di perfusione può essere valutato dall’infermiere attraverso l’osservazione ed il monitoraggio dei parametri emodinamici, le stime della funzionalità renale e dell’equilibrio acido-base. Il ricorso ad un monitoraggio altamente invasivo è raccomandato in corso d’instabilità refrattaria alla terapia volemica ed inotropa, che può spingere alla ricerca di lesioni non visibili attraverso esami clinici e strumentali. Queste comprendono:
  •  
    Formazione di raccolte intracraniche;
  •  
    Lesioni intraddominali;
  •  
    Insulti del rachide;
  •  
    Fratture d’ossa.
Pazienti che hanno subito un trauma minore o che necessitano di sola sorveglianza post-operatoria possono non richiedere più la VAM e generalmente venir estubati precocemente. Le priorità infermieristiche devono focalizzarsi al promuovere un tranquillo passaggio alla ventilazione spontanea ed alla gestione delle complicanze (v. reintubazione immediata). Il supporto artificiale rimane invece necessario in quei casi di rianimazione estrema con instabilità, traumi toracici e cranici gravi e come tale gestito efficacemente dal team infermieristico.
Una sorveglianza neurologica rigorosa viene consigliata in tale fase, alla luce di una possibile incremento della PIC legato alla formazione d’ematomi o alla comparsa d’emorragie. Utili e raccomandati appaiono anche i monitoraggi del flusso e metabolismo cerebrali, che possono fungere da guida ai processi assistenziali.
I controlli del bilancio idro-elettrolitico e dei parametri ematologici vanno garantiti in rapporto alle entità e localizzazioni dei traumi. Sono considerati a rischio di squilibrio i pazienti affetti da contusione polmonare con edema, trauma cranico grave, fratture d’ossa pelviche con ematoma retroperitoneale, stati emorragici.
Il supporto nutrizionale è una parte integrante dell’approccio terapeutico e gioca un ruolo importante nell’outcome dei pazienti critici. La nutrizione enterale, in altre parole la somministrazione di nutrienti attraverso il tratto gastro-intestinale, rappresenta la prima scelta.
Secondo recenti studi, rispetto a quella parenterale (NPT), ha il vantaggio di proteggere e mantenere la struttura e la funzione della mucosa intestinale; inoltre riduce l’incidenza infettiva ed i rischi metabolici, nonché le note complicanze associate ad infusione endovenosa. La nutrizione enterale è inoltre anche la meno costosa. L’obiettivo della somministrazione precoce, almeno nelle prime 24 ore dopo l’insulto traumatico, è quello di prevenire tutta una serie di complicanze sistemiche legate alle modificazioni metaboliche e alla liberazione d’enzimi proteolitici conseguenti al trauma ed evidenziabili dalle 24 alle 48 ore successive l’evento.
Poche sono le controindicazioni:
  •  
    L’instabilità emodinamica;
  •  
    Perforazioni intestinali multiple;
  •  
    Peritoniti diffuse;
  •  
    Fistole ed ostruzioni meccaniche.
I casi sopra descritti impongono il ricorso all’alimentazione parenterale.
Possono essere individuate diverse vie di somministrazione enterale che includono lo stomaco e tutti gli accessi al di sotto del piloro (duodenale e digiunale). Il vantaggio è rappresentato nel mantenimento dell’ambiente battericida naturale, nella riduzione delle ulcere da stress e nella prevenzione d’aspirazione di materiale gastrico in pazienti con atonia intestinale.
Per la determinazione del fabbisogno nutrizionale giornaliero vengono prese in considerazione alcuni parametri: età, massa corporea, peso, sesso, altezza. L’equazione di Harris-Benedict e l’utilizzo della calorimetria indiretta rappresentano le metodiche di calcolo più utilizzate. L’approccio multidisciplinare con il supporto di dietisti e farmacisti viene raccomandato nella gestione del processo.
Nelle UTI il rischio di contrarre infezioni è di 5-10 volte superiore rispetto ai reparti di base, stimando che circa il 20% di tutte le infezioni nosocomiali si verifica in Terapia Intensiva. Ciò è causato essenzialmente da:
a) Gravità e complessità della patologia traumatica;
b) Impiego di supporti invasivi;
c) Caratteristiche intrinseche delle UTI.
Alcuni standard assistenziali di prevenzione fanno parte della pratica quotidiana infermieristica e comprendono l’implementazione dei sistemi di controllo e sorveglianza, appropriate pulizia/disinfezione/sterilizzazione, il lavaggio delle mani, l’isolamento e l’uso di dispositivi di barriera, la rimozione dei presidi invasivi non necessari. Esistono invero raccomandazioni specifiche per singole foci infettive, che verranno analizzate in seguito..
Pazienti che hanno subito lesioni cerebrali irreversibili e letali sono i potenziali candidati per eccellenza alla donazione d’organi e tessuti e, come tali, vanno considerati finché ragioni mediche non li escludano. Per ottimizzare le condizioni dei traumatizzati che possono divenire donatori, il team assistenziale deve considerare i seguenti principi:
  •  
    rianimazione precoce ed efficace;
  •  
    adeguata perfusione periferica ed idratazione;
  •  
    ottimizzazione della diuresi;
  •  
    prevenzione delle infezioni e dell’ipotermia.
La morte cerebrale deve essere confermata come da disposizioni legislative e definita come cessazione irreversibile delle funzioni del cervello, incluso il cervelletto ed il tronco encefalico.
 
 
Priorità assistenziali nella fase di supporto vitale prolungato
 
Le infezioni rappresentano la maggior complicanza nei traumatizzati che richiedono un trattamento prolungato in UTI; nella maggior parte dei casi si tratta d’infezioni ospedaliere esogene. Nella loro prevenzione e cura il pool infermieristico esplica un ruolo fondamentale, anche attraverso il supporto e la supervisione d’infermiere addette al controllo delle infezioni. Per ridurre la frequenza di complicanze infettive è necessario adottare misure specifiche nelle diverse fasi assistenziali, che si siano dimostrate efficaci a ridurre il rischio di trasmissione di microrganismi patogeni nei confronti del paziente e degli operatori.
Le infezioni delle basse vie respiratorie correlate alla ventilazione meccanica (VAP) rappresentano la principale complicanza infettiva nelle UTI per traumatizzati, seguite da sepsi correlata a dispositivi endovascolari e infezioni delle vie urinarie.
La VAP presenta un’incidenza variabile da 6 a 24 casi per 1000 giorni di VAM, particolarmente elevata nelle UTI traumatologiche: 17,2. La maggior parte è causata da patogeni Gram-negativi (Pseudomonas aeruginosa, Klebsiella pneumoniae) e Staphilococco aureus. Le misure considerate efficaci nella prevenzione delle polmoniti batteriche prevedono due strategie:
 
  1.  
    interruzione della catena di trasmissione
 
Disinfezione e sterilizzazione attrezzature
Interruzione della trasmissione persona-persona
 
Misure di carattere generale
Lavaggio delle mani
 
Attrezzature per VAM, circuiti, umidificatori, filtri
Misure di barriera
 
Umidificatori a parete-nebulizzatori
Assistenza ai pazienti tracheostomizzati
 
Apparecchi per anestesia
Aspirazione delle secrezioni
 
 
 
 
 
2. modifica dei fattori di rischio ospite-dipendente
Prevenzione della polmonite endogena
Prevenzione della polmonite postoperatoria
Prevenzione dell’aspirazione associata a nutrizione ent.
Stimolazione della tosse
Prevenzione dell’aspirazione legata ad intubazione
Controllo del dolore
Prevenzione della colonizzazione gastrica
Ginnastica respiratoria
 
 
I devices intravascolari sono la principale sorgente di batteriemie, il 90% delle quali legate a cateteri venosi centrali (CVC). Nei pazienti traumatizzati l’incidenza raggiunge il 7,2 casi ´ 1000 giorni. L’indice di mortalità attribuibile è di circa il 29%. Il patogeno maggiormente isolato è lo Stafilococco coagulasi-negativo, seguito dall’Aureus e dall’Enterococcus sp. Le principali strategie di carattere generale per la prevenzione cui il personale infermieristico è raccomandato riferirsi, riguardano:
a) Formazione ed aggiornamento;
b) Sorveglianza delle infezioni;
c) Lavaggio delle mani;
d) Misure di barriera durante inserzione;
e) Inserzione del catetere;
f) Cura del sito d’inserzione;
g) Selezione e sostituzione dei cateteri
h) Sostituzione dei sets e dei liquidi d’infusione;
i) Preparazione e controllo delle soluzioni;
j) Filtri.
 
La frequenza d’infezioni delle vie urinarie (8,3 casi ´ 1000 giorni) è legata alla presenza del catetere vescicale ed alla sua vulnerabilità alla contaminazione, riferibile prevalentemente ad Escherichia coli e Candida albicans. Lo staff infermieristico può attuare strategie operative volte a prevenire la batteriuria a catetere “in situ”, oppure prevenendo le complicanze una volta verificata la contaminazione.
 
Accanto al trattamento infettivo, lo svezzamento dal supporto ventilatorio rappresenta un target fondamentale per il team infermieristico. Traumatizzati cranici gravi ed in stato comatoso, soggetti con lesione midollare “alta” o trauma toracico importante, sono i candidati all’esecuzione della tracheostomia precoce. Il passaggio dall’assistenza meccanica alla respirazione spontanea (weaning) è un processo complesso che deve considerare sia l’aspetto fisiologico sia psicologico del paziente, sebbene non esistano standard e metodologie assoluti. Recentemente l’American Association of Critical-Care Nurses’ ha prodotto un modello concettuale di svezzamento che include tre fasi e che fonda il suo principio sull’approccio coordinato e multidisciplinare. La prima fase (preweaning) considera la valutazione di parametri respiratori e non, per stabilire se il paziente è nelle condizioni di poter affrontare il processo.
 
PARAMETRI RESPIRATORI
PARAMETRI NON RESPIRATORI
Ossigenazione
Stato neurologico
Ventilazione
Stato emodinamico
Meccanica polmonare
Crasi ematica
 
Stato idro-elettrolitico ed acido-base
 
Stato nutrizionale
 
Fattori psicosociali
 
Nella gestione di tali indicatori il team infermieristico e medico deve essere supportato da fisioterapisti respiratori, dietiste, farmacisti ed assistenti sociali, attraverso meeting preliminari ed utilizzo di meccanismi operativi.
Il processo di weaning rappresenta la seconda e più complessa fase. La scelta del metodo di svezzamento è fondamentale, così come la definizione dei criteri di sospensione e delle strategie terapeutiche di supporto. Esistono diverse tecniche, delle quali le più utilizzate sono: T-Piece, Sincronicity Intermittent Mandatory Ventilation (SIMV), Pressure Support Ventilation (PS). La fase finale comprende il periodo in cui il supporto meccanico viene completamente sospeso per la completa autonomia del paziente. Sebbene allo stato attuale non ci sia evidenza circa l’efficacia di una metodica rispetto ad altre, è fortemente raccomandato:
· promuovere l’approccio disciplinare;
· definire protocolli e sistemi di comunicazione;
· implementare le conoscenze del team;
· impostare sistemi di controllo e verifica.
 
Il trauma comporta un acuta riduzione funzionale ed una perdita dell’autosufficienza. Il team assistenziale ha la responsabilità di garantire metodi e strumenti operativi per il recupero all’indipendenza. L’impotenza secondaria al trauma si può esplicare attraverso la comparsa di molteplici eventi. La compromissione cardiovascolare, soprattutto in presenza di danno spinale, può persistere sino a 72 giorni dopo il ritorno all’attività. L’allettamento comporta una perdita del 10-15% della massa muscolare ogni sette giorni. La comparsa di contratture ed ulcere da decubito è la risultante dell’impossibilità a svolgere movimenti attivi o passivi ed è un’importante fattore contributivo la morbilità; la prevenzione rappresenta quindi un target fondamentale.
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