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Congresso Nazionale Aniarti 2002

Emergenza, cure intensive e Livelli Minimi di Assitenza

Sorrento (NA), 07 Novembre - November 2002 / 09 Novembre - November 2002

» Indice degli atti del programma

2° Intervento Gianpaolo Paudice

07 Novembre - November 2002: 10:00 / 10:30

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“ La legislazione italiana e la regionalizzazione della sanità: cosa cambia per il cittadino ? “

 

Dott. Giampaolo  Paudice

Direttore Agenzia Regionale Sanitaria

Regione Campania

 

In materia di sanità pubblica in Italia, il nuovo secolo si è aperto con una specifica necessità di decentramento imperniato sulla partecipazione del cittadino non solo teorica, ma concreta, responsabile, perfino potenzialmente “restrittiva” di conquiste che potevano apparire definitivamente consolidate nel secolo precedente. Siamo tutti oramai ben consapevoli dell’imminente possibilità di fondi pensionistici ed assistenziali integrativi, del ricomparire di una politica dei “ ticket”, di una improrogabilità della riconversione della rete ospedaliera a più efficaci rapporti costi / benefici e domanda / offerta. Alla base di questa necessità, peraltro, non vi è una scelta, bensì una contingenza: la recessione economica che, legata al calo della produzione industriale, ha generato i suoi effetti restrittivi sul mondo dei servizi. Infatti, l’aumento ( o l’adeguamento ) del costo delle materie prime, dell’energia, del personale nel limitare i consumi e – di conseguenza – lo sviluppo dell’impresa e dell’occupazione, ha comportato la riduzione del gettito fiscale e, perciò, spinge i governi a proporre fonti di finanziamento alternative e/o integrative anche allo scopo di conservare i diversi ammortizzatori sociali, peraltro indispensabili alla convivenza civile. Ancora peggio in altre parti del globo: i gravi squilibri e fermenti sociali osservabili nell’est europeo come nel sud america, i focolai di guerra sempre più estesi nel continente africano e in medio oriente per la gestione delle risorse naturali  sono una evidente testimonianza di dove possa condurre il malgoverno nella gestione di un popolo. Il degrado umano e sociale che ne deriva è, purtroppo, nelle cronache quotidiane. Non siamo, fortunatamente, nelle gravissime condizioni economiche e sociali di altre parti del mondo ma ciò non ci deve impedire di sentire sempre più “ nostra “ e meno delegabile la responsabilità della gestione dei servizi pubblici, in particolare alla persona, e quindi la gestione del servizio sanitario. Proprio allo scopo di conservare quella solidarietà e giustizia sociale per cui tanto si è lavorato e, molti , lottato nei due secoli precedenti, occorre che ora maturi  in noi la consapevolezza dei rapporti esistenti tra costi e benefici delle singole prestazioni, della loro appropriatezza, della loro complessiva sostenibilità. In altri termini, è saggio rinunciare a ciò che è meno utile o, addirittura dannoso, per conservare ciò che è utile o, addirittura indispensabile. In questa necessaria evoluzione concettuale non ci aiuta, certamente, la assai limitata attenzione posta in precedenza su di una responsabilizzazione “positiva”, tanto dei cittadini quanto degli operatori e degli amministratori, rispetto ai consumi sanitari. Non si tratta, infatti, tanto di ridurre la spesa sanitaria con semplici “tagli”, quanto di ottimizzarne l’efficacia, la qualità degli esiti. D’altronde, i tagli per nulla o scarsamente motivati hanno sempre e solo generato dissenso, scontenti sgraditi a qualsiasi governo: generare la coscienza di ciò che serve rispetto a ciò che è superfluo è politica certamente più faticosa, ma anche più premiante quando motivazioni, metodi e consuntivi sono ben chiari e comprensibili per tutti. Dal varo del D.L.gs.502/92, ad oggi, i diversi governi succedutesi sono intervenuti sul contenimento della spesa con vari sistemi: inasprendo il sistema dei controlli; introducendo tetti di spesa; operando una “ regressione “ dei rimborsi relativi a quantità di prestazioni eccedenti certi limiti prestabiliti o imponendo dei budget economici predeterminati entro i quali comunque garantire l’erogazione di tutte le prestazioni richieste. In sintesi, dal 1992 ad oggi il contenimento della spesa è  stato operato con azioni diverse ma   convergenti sugli operatori o gli amministratori. Raramente il SSN  ha coinvolto in maniera convincente chi, peraltro, pagava il servizio stesso ed,infatti, alla “ partecipazione alla spesa “, o  ticket, si è sempre attribuito, da parte della gente comune, un valore negativo, di dubbio, come se servissero solo a nascondere verità inconfessabili su costi ed efficacia. Il cittadino, in sintesi, era ed è disorientato, ora anche sconfortato. E l’operatore, gli amministratori ? Senza entrare in un’analisi dettagliata dei singoli provvedimenti , né la visione  aziendalistico – liberista  del 502, né la visione  aziendalistico – statalista  del 229 sono riuscite ad invertire il vettore di crescita della spesa sanitaria, che è rimasta in continua crescita. Unica variabile evidenziabile nel tempo è che, a seconda della cultura politica dominante al momento dell’analisi economica utilizzata, ad origine dello “ sfondamento “ è stata invocata come causa principale o il consumo spropositato di farmaci e prestazioni diagnostiche o  l’esubero di personale  e posti letto. Non è un quadro, appunto, confortante , mentre sarebbe più realistico sostenere che ambo i fenomeni sono possibili e  causati anche da un “cattivo uso” del SSR da parte di noi tutti, cittadini ed operatori sempre più “lontani e, quindi, indifferenti “ . Questa sostanziale leggerezza con cui noi tutti abbiamo ignorato l’affastellarsi di dinamiche sempre più complesse in sanità, ha persino fatto avvertire agli organi di gestione e controllo la necessità di un “governo della domanda” stessa. Questa opzione strategica può avere – come tante cose – un uso buono ed uno cattivo. Ovviamente, ne è preoccupante l’uso “ cattivo “: accade, ad esempio, nel marketing industriale. In determinate grandi Aziende ( o multinazionali )  il “ governo della domanda “ si ottiene con la pubblicità, l’orientamento dei consumi che ha lo scopo di rendere gradevole anche l’auto con gli inserti di radica finta, di plastica. Malgrado l’aumento dei materiali pregiati, il prezzo dell’auto resta uguale, il ricavo pure. L’acquirente è contento, l’industria lo stesso. La qualità reale del cruscotto, in fondo, è un’opinione, una moda: in un simile contesto, il cliente più resta “ passivo “ meglio è.

 

Nel nostro caso è, invece, auspicabile  il contrario e la auspicata “ centralità “ di noi cittadini potrebbe essere rimessa in gioco da quelle novità contributive in precedenza accennate e con cui,  tra breve, ogni regione si pagherà le sue diseconomie. Cioè, ogni cittadino che paga le tasse ( e, tra disoccupati ed “evasori “, non tanti in determinate regioni italiane ) concorrerà ad integrare il Fondo Sanitario Regionale, al di là degli stanziamenti previsti “ a monte “ dal Governo centrale. Per questo Budget vissuto in “ prima persona “,  molti cittadini - di fronte a maggiori tasse da pagare -  vorranno giustamente conoscere a cosa e come avevano davvero diritto; chi era tenuto a garantirlo; a quali costi di mercato. E’, certamente, prevedibile qualche disagio, negli stessi cittadini come negli operatori e negli amministratori. Così come è prevedibile che l’equilibrio tra domanda di salute ed offerta di prestazioni non potrà essere controllato da un soggetto che è anche produttore ( il SSN ) ed a sua volta gravato da un immeritato compito di ammortizzatore sociale. Entrano in gioco troppi fattori che rendono possibili pesanti manipolazioni: specie per gli esiti perniciosi che esse avrebbero sulla salute. Diventa, quindi, fondamentale educare il cittadino a “ben gestire” il suo vero Budget: la salute. Ed in questa accezione sta l’uso “ buono “ del termine “ governo della domanda “: bisogna intenderla come promozione di salute, andando oltre i semplici “controlli dei mercati” e del “ managering “ che non è non può essere un toccasana, restituendo la salute al suo naturale responsabile e sostenitore:  l’uomo stesso. Ma se questa è la prospettiva di cosa cambia per il cittadino e di cosa sarà necessario fare per conservare le utili conquiste raggiunte, meno definito è ancora il ruolo che dovranno avere gli operatori sanitari – ai diversi livelli – in un simile scenario. In realtà, il Legislatore si è dedicato ripetutamente a definire il diverso compito richiesto agli operatori : per le loro stesse scelte e per il conseguente rapporto da avere con l’utenza. Il concetto di Azienda voluto dall’ultima legge di riforma si è via, via definito come un concetto in cui la Dirigenza ( e, quindi, i medici tutti ) è complessivamente responsabile del raggiungimento della missione aziendale stessa: promuovere salute, evitare le malattie o riconoscerle il prima e meglio possibile per restituire benessere prima e meglio possibile. Già in questo principio è evidente il “ perché” di alcuni indispensabili strumenti : la competenza da ottenersi con la formazione specifica e l’aggiornamento continuo; l’utilizzo di mezzi diagnostici e terapeutici certamente efficaci ed appropriati; l’uso corretto di questi mezzi, affinché siano sicuri per l’operatore quanto per il cittadino; la revisione continua della qualità dell’intero sistema, tanto in termini strutturali, che organizzativi, di approccio e di esito; il coinvolgimento attivo della persona malata e dei suoi familiari, ove necessario, siano quelle che  siano le previsioni prognostiche o le capacità culturali e di comprensione. Non a caso si pone sempre più l’accento su come il vero “ consenso informato “ non possa ridursi ad un mero scarico di responsabilità, ma debba riuscire ad informare il cittadino sulla / e prestazioni ritenute utili per il suo caso, sui loro limiti, sulla loro praticabilità in tempi e termini utili nella propria azienda, sulle alternative possibili in sede od altrove. Un cittadino – paziente ( od un parente ) ben informato da un operatore ben preparato riesce ad esprimere così, con libertà, il suo consenso e dà ragione di gesti e documenti che, altrimenti, sembrano solo “ scartoffie “ per burocrati : dai profili assistenziali alla carta dei servizi, dall’implementazione di linee di guida alle liste d’attesa od agli atti aziendali.

Si è fin qui data una lettura fondamentalmente positiva del “ federalismo in sanità “, in quanto possibile occasione catalizzante di quella migliore presa di coscienza, necessaria e troppo spesso inutilmente invocata, tanto nel sistema ( operatori ed amministratori ) che nei cittadini. Che il paese Italia sia stretto e lungo, con realtà economiche e socio culturali diverse è fattispecie nota da tempo: non tantissimi anni fa eravamo divisi in stati diversi, già da oggi apparteniamo ad un paese più grande ancora, quell’Unione Europea ove le premesse di stabilità economica sono chiaramente state poste alla base di qualsiasi, possibile intesa politica. Ne è nata un’ Europa anche essa di taglio “ federale”, con specifiche autonomie di scelta nazionali ma anche necessarie uniformità tra gli stati membri. Stranamente,  mentre tutti siamo a conoscenza dei sacrifici imposti dall’adesione al trattato di Maastricht, cogente sul piano dei conti pubblici,  siamo forse meno consapevoli di quanto il percorso per una Europa unita stia da oltre un decennio movendosi intorno alla emanazione di Direttive che sono divenute leggi dei singoli stati. Una fra tutte, il tanto noto Decreto Legislativo 626 del 1994: la normativa che in Italia ha rivisitato la maniera di dare sicurezza sui luoghi di lavoro e prevenire le malattie professionali: il Decreto viene adottato in Italia per applicare nel nostro paese una Direttiva dell’UE. Analoghe normative, cioè, le troviamo – solo diversamente adattate ai sistemi politici locali – in tutti gli stati membri dell’Unione. Forse sappiamo pure che c’è libera circolazione dei medici tra i vari stati e che gli indirizzi di specializzazione sono oramai uniformi tra tutti i paesi. Insomma, l’Unione non si regge solo su rigidi accordi di rigore economico, anzi, già ne è palese la ricchezza culturale ( e stiamo parlando solo di alcune faccende del pianeta sanità ) che sta derivando dall’incontro di culture simili ma diverse nelle radici e nelle tradizioni. Il problema delicato, però, resta proprio questo: come conservare culture simili ma diverse, far convivere artigianato ed industria pesante, paesi a  prevalente connotazione agricola e paesi a massiccia cultura tecnologica ed investimenti nel terziario, grandezze assai diverse ed imparagonabili se non misurate in maniera diversa. Dall’Unione all’Italia : possiamo, nel nostro paese, trovare una sola formula che, ad esempio, garantisca equità vera e non solo formale nel definire l’entità del fabbisogno di finanziamento di una regione rispetto ad un’altra?  Di più: ma l’occasione dataci dal federalismo, europeo e nazionale, può essere ridotta ad un’occasione a matrice economica ? Ogni operatore accorto ha imparato – nell’esercizio della sua professione – quanto sia vero l’aforisma che recita “ esiste il malato, non la malattia “. L’orientamento individuale può attribuire questa osservazione a squisiti fenomeni causali biochimici, dalla compliance tra genotipo / biotipo e sostanza terapeutica, alle implicazioni di natura psicosomatica e sociopatica. Quale che sia l’ordine e la misura data ai fattori, il risultato resta costante: ogni malato ha esigenza di un approccio individualizzato, anche allo scopo di esaltare l’utilità di terapie certamente efficaci in sé, ma anche spesso capaci di diversi esiti sul singolo malato. Se trasferiamo questa osservazione all’attuale contesto politico ed alle inferenze che sta avendo sulla organizzazione del nostro Servizio Sanitario, possiamo evidentemente distinguere due livelli di competenze: un livello nazionale ( o transnazionale), eguale per tutti, ove siano determinati gli standard e gli obiettivi del servizio stesso, ed un livello locale, regionale, ove siano definiti i percorsi e le procedure più adeguati a raggiungere e garantire - al meglio e con le diverse risorse localmente possedute – gli scopi prefissati. In altri termini, il vero federalismo, quello positivo ed immaginato già da Carlo Cattaneo,  è rispettoso del pluralismo, delle singolarità, delle diverse vie possibili per arrivare alla unità che conta, che fa crescere e non massifica i comportamenti rispetto a regole rigide, tutte coniate “ a priori “. Come spesso sottolinea Ivan Cavicchi, la vera contrapposizione al federalismo non è il solidarismo, bensì il centralismo,  modello in cui un governo centrale si sente tanto responsabile e sicuro ( od insicuro ? ) da conoscere cosa è  bene e poter pensare per tutti. Opzione che nelle politiche del novecento ha prodotto diversi disastri e certamente rallentato la crescita in responsabilità dei cittadini. Il federalismo in sanità, quindi, non può essere attuato con il semplice decentramento: l’atteggiamento “ centralista “ resterebbe, infatti, costante se ci si limitasse a trasferire la sede fisica delle decisioni. Occorre sostenere una sfida più complessa, ma anche più coinvolgente, cioè credere  che le novità introdotte dal “ federalismo “ nel sistema complessivo ( operatori ed amministratori ) e nel ruolo del cittadino ( utente, contribuente ed elettore ) possano contribuire a creare un legame concreto tra solidarietà e consapevolezza dell’impiego delle risorse. Le difficoltà di una simile sfida sono intuibili : interessi di diversa natura, ma comunque consolidati intorno all’atteggiamento “ centralista “, certamente si frappongono al diffondersi  di una visione critica e cosciente, rispettosa della missione del Servizio Sanitario e realizzata attraverso i percorsi localmente più efficaci. Il “ boom “ economico degli anni 60 / 90 ha attirato investimenti cospicui in sanità e l’attuale recessione può irrigidire notevolmente i comportamenti degli investitori delusi. Per altro verso, l’eccesso incontrollato di autonomie “ selvagge” può manipolare e deformare la qualità ed i costi del Servizio, sino a ripetere – sia pur per altra strada - gli errori commessi  nella applicazione della L.833/78, ma con un problema in più, quello di lasciare – ancora una volta - i ricchi più ricchi ed i poveri più poveri. La strategia da mettere in campo appare, si ripete, è certamente quella del massiccio impegno in termini di formazione ed informazione: puntando a creare una dirigenza complessivamente colta, senza forzose quanto datate distinzioni tra sanitari ed amministrativi nella conoscenza, ma solo in specifiche competenze operative, ed aprendo il sistema agli utenti, condividendone la consapevolezza delle offerte esistenti, delle limitazioni imposte dalle risorse sostenibili, delle correzioni da promuovere circa comportamenti non virtuosi. In sintesi, per realizzare un federalismo sanitario utile a tutti occorre una dirigenza preparata a questa nuova modalità di gestione ed un attento controllo da parte di cittadini ben informati : ai dirigenti la responsabilità di offrire un servizio sanitario appropriato ed efficace con le risorse sostenibili, ai cittadini il compito di valutare l’adeguatezza del servizio reso, tanto in termini di salute che di costi pagati. A tutti la possibilità di cercare percorsi integrativi e di scegliere se volerne pagare i  costi aggiuntivi.      

 

L’evoluzione delle politiche sanitarie  nei diversi paesi dell’Unione sta seguendo un percorso sostanzialmente simile sia pure con tempi di maturazione diversi, in assonanza alle mutazioni sociali, politiche ed economiche che si vanno realizzando. Si è prima fatto cenno su come sia stata l’Inghilterra a promuovere le opportunità di un “welfare”:  questo stesso paese è ora intento a rivedere logiche di garantismo immotivato od insostenibile. In Germania è da tempo applicato un modello federalista, con notevoli autonomie decisionali e programmatiche affidate ai Land. La necessità di adeguare l’esperienza sino ad ora vissuta come parte solo occidentale del paese alla nazione  ben più grande scaturita dal crollo del muro di Berlino, con tutte le diversità economiche e sociali da dover fondere e rispettare, sta ora suggerendo ai governanti tedeschi la ricerca di nuovi equilibri tra tendenze centraliste e federaliste nel suo sistema sanitario. La Francia tradizionalmente pingue ed accogliente verso i cittadini delle sue ex colonie, capaci di offrire la manodopera che i francesi mal si adeguavano a fornire, attraversa – come tanti -  tensioni di intolleranza razziale in un momento in cui la disoccupazione diffusa mal si sposa con l’immigrazione: il “diritto alle cure per tutti e comunque” è principio sottoposto a verifiche severe. La Spagna è in un momento economicamente florido: partita dopo gli altri paesi europei lungo le vie dello sviluppo moderno, ha cercato,con saggezza tipica dei popoli antichi,  di prendere il meglio delle altrui esperienze senza rinnegare tradizioni e vocazioni naturali. In diversi settori, dalla produzione ai servizi, dal turismo alla sanità, si è trovata sempre più spesso a sorpassare i paesi vicini ed a crescere in benessere diffuso. Poi c’è l’Italia, paese che resta il cuore antico dell’intera Unione: le nostre attuali vicissitudini economiche, sociali e politiche sono note, ma cosa hanno comportato – oltre la già trattata opzione federalista – sulle nostre scelte di politica sanitaria ? Dalla lettura dell’ultimo Piano Sanitario Nazionale si ricavano alcune indicazioni innovative che certamente meritano qualche approfondimento. Innanzitutto, il concetto di “ promozione della salute “, che riecheggia il più storico principio della “prevenzione primaria” ma che se ne distingue nettamente per l’obiettivo e per i percorsi. Lo scopo della promozione di salute è conservare il benessere, anzi accrescerlo, non solo impedire il sopraggiungere di malattie. La tanto invocata attenzione agli “ stili di vita “ non è solo un percorso teso  a limitare le “abitudini viziose”, siano esse collegate ad abusi di determinati cibi o bevande o droghe, è innanzitutto promozione di “comportamenti virtuosi” che privilegino l’equilibrio e la integrazione tra corpo e mente, di più salutari approcci alle tensioni quotidiane, alla loro limitazione od eliminazione, ad una soddisfacente vivibilità complessiva, non solo ad un non ammalarsi. A parte le valutazioni di carattere etico e filosofico, appare evidente come – in base ad una simile priorità di politica sanitaria in Italia -  divenga immotivata ogni tipo di barriera tra un Servizio Sanitario del “ sistema “, proprietà dei politici e/o dei burocrati e/o degli operatori, ed un Servizio sanitario degli “ utenti “, cittadini talora malati, talaltra valutatori ed elettori, sempre contribuenti / reali proprietari. Anche per le stesse finalità di ottimizzazione delle risorse, si può definire “ spesa sostenibile “ il giusto prezzo da pagare, a determinate condizioni di ricchezza posseduta, per una prestazione sicura, efficace ed appropriata;   è, invece, “ spesa evitabile “ quella spesa verificata come sostenibile ma che si rivela non più necessaria, semplicemente perché la prestazione stessa non serve più, essendosi ridotta la domanda di prestazioni per “malattie” a vantaggio di comportamenti per “salute”.

Questo percorso, tutto italiano, alla ricerca di una medicina del benessere reale, diffuso e condiviso, certamente pretende una serie di conseguenze, sopratutto  in termini di allocazione delle risorse del Servizio Sanitario Nazionale del nostro paese. Attenzione, però: il senso delle scelte non può ridursi a semplici operazioni contabili. Infatti, se da qualche anno si osserva la tendenza a diversificare l’entità dei finanziamenti disponibili, passando da un Servizio polarizzato sull’Ospedale ad un Servizio incentrato sul Territorio, non appare più neanche adeguata una semplice operazione di riequilibrio tra i capitoli di  bilancio e giustificata  dal  rilievo epidemiologico dell’incremento delle patologie diagnosticabili in ambulatorio e trattabili al domicilio. La criticità da affrontare nei fatti ( cioè, nelle culture, nelle programmazioni  e nei mezzi) è la tanto invocata integrazione tra ospedale e territorio, non riducibile alla semplice apertura al territorio degli ambulatori ospedalieri od alla possibilità per il medico di medicina generale di seguire i suoi pazienti in corsia: queste due azioni sono in sé giuste, ma non certo risolutive nella visione di un Servizio attento alle persone, tutte le persone, cittadini, operatori sanitari od amministratori che siano. La architettura del Servizio  da costruire, in ossequio alle aspettative del Piano Sanitario ( e della stessa legislazione vigente ) , è una architettura che trova il suo fondamento nella lettura dei bisogni delle persone, in un determinato luogo, a certe condizioni. Non v’è dubbio che, spesso, la domanda della persona – utente è quella di un Servizio fisicamente vicino, umanamente accogliente, con percorsi di accesso chiari e semplificati, disponibile – in determinati casi – alla domiciliarizzazione degli interventi. Una domanda certamente riconducibile alla tradizionale attività “ territoriale “ del nostro SSN. In altri casi, però, la domanda della persona – utente ha contenuto più drammatico, nelle urgenze come nell’elezione: tecnologie sofisticate, professionalità di rilievo ed apertura h.24  sono indispensabili per offrire la risposta necessaria. Siamo nei casi in cui la domanda è francamente riferibile alla esperienza “ ospedaliera “ della sanità italiana. L’integrazione vera tra ospedale e territorio sarà realizzata solo quando riusciremo a far sì che le due esperienze – appunto -  si integrino, superando la vecchia immagine di ospedali circondati da un muro di cinta, ove si coltiverebbe la “ medicina che conta “, e di un territorio in perenne atteggiamento da trincea, ove ci si scontrerebbe con la “ gente che pretende”. Proviamo, con l’immaginazione, a rincominciare da capo tutto: probabilmente saremmo d’accordo a disegnare un sistema ove in ciascun distretto sorgano presidi sanitari intermedi, strutture – cioè – ove si pratichi la professione medica nella sua interezza, fatta di diagnosi e terapia, medica e chirurgica, con professionalità adeguate ad agire con tempestività anche nelle piccole e medie emergenze ( pronti soccorsi territoriali ) ed elezioni ( ospedali di giorno ) e disponibili e preparate alle cure domiciliari per casi in cui la difficoltà alla deambulazione o la gravità delle condizioni sconsiglino lo spostamento dell’utente. Non dimentichiamo, nel nostro disegno, alcuni Ospedali d’eccellenza  per grandi emergenze ed altri per impegnativi casi d’elezione: comunque Ospedali “ gestibili “, di dimensioni contenute , accoglienti ed organizzati per ospitare i parenti anche la notte così come gli elicotteri della rete del 118; realizziamo questi Ospedali ( ex novo o modificando quelli pubblici o privati esistenti ) in numero adeguato alla sempre più decrescente domanda di posti letto per acuti e distribuiamoli in siti ben raggiungibili con i mezzi pubblici. Aggiungiamo, nel nostro disegno fantastico, quelle tecnologie più innovative che stanno consentendo diagnosi e terapie con apparecchiature sempre meno costose ed ingombranti e quelle connessioni informatiche che ci offrano reti di consulti a distanza con professionalità specializzate per casi rari e difficili. Mettiamo in rete banche dati, professionalità ed esperienze delle strutture sanitarie intermedie e degli ospedali, facendo sì che ambo agiscano secondo protocolli condivisi. Facciamo circolare su questa rete ogni aggiornamento clinico sulla storia di un paziente così come ogni utile contributo di aggiornamento degli operatori, ovunque sviluppino la propria azione, tanto da renderli capaci e veramente flessibili ad una mobilità legata a variazioni quali - quantitative della domanda. Completiamo il disegno con la creazione, in queste strutture, di veri “sportelli unici “, competenti a dare risposte tanto di carattere sanitario quanto di stampo assistenziale - sociale: dalla copia della cartella clinica al certificato di morte, dalla prenotazione di una visita ostetrica all’avvio di una pratica di adozione, dalla domanda di invalidità all’output delle visite da fare, dove farle e quando con gli esiti già ricollocati nell’ordine logico a dare la percentuale di menomazione: lo realizziamo con ben poca spesa, semplicemente raccordando la rete informatica sanitaria attualmente frammentata tra le diverse Aziende con quella altrettanto parcellizzata degli enti locali e dei tribunali. Non è neanche fantascienza: avremmo soltanto, con l’immaginazione, finalmente applicato una dozzina di leggi del nostro paese e ricreato in Italia il Servizio Sanitario canadese, di matrice tipicamente federalista, che non ha mai concepito né provato, stanti anche le specifiche condizioni storiche, climatiche e geografiche,  una dicotomia tra ospedale e territorio, tra sanitario e sociale, tra persone e sistema. In sintesi, la promozione di salute e l’integrazione tra ospedale e territorio, così come espressi dai nostri organi di governo e programmazione, costituiscono  strategie indispensabili per materializzare davvero regionalizzazione / federalismo, secondo un nuovo ruolo  da affidare al cittadino: il suo protagonismo. Altrimenti, ancora una volta non cambierà nulla e la maniera di fare oggi sanità pubblica non sarà molto diversa da quella della fine dell’800.

 

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