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Congresso Nazionale Aniarti 2002

Emergenza, cure intensive e Livelli Minimi di Assitenza

Sorrento (NA), 07 Novembre - November 2002 / 09 Novembre - November 2002

» Indice degli atti del programma

2° Intervento Luca Peressoni , Maria Benetton

08 Novembre - November 2002: 10:00 / 10:30

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Maria Benetton* Luca Peressoni *
Grazia Miconi**
*relatori
      ** coautore
 
Abstract
 
Il supporto ventilatorio meccanico rappresenta una metodica di frequente utilizzo nell’assistenza ai pazienti critici. Considerata strategia salvavita, la ventilazione artificiale (VAM) è altresì invasiva, costosa e gravata da una varietà di potenziali complicanze. Il rischio di contrarre un’infezione polmonare legata a ventilazione (VAP) è direttamente correlata alla durata della VAM (es.> 48h), con incidenze variabili in rapporto alla patologia (es. 28-40% nei traumi cranici). La diagnosi è spesso problematica per l’aspecificità e la variabilità dei segni clinici e radiologici.
Obiettivo dell’elaborato è declinare interventi appropriati nell’approccio alla VAP attraverso revisione bibliografica internazionale. L’applicazione di strategie preventive di comprovata efficacia, associate ad interventi terapeutici precoci, rappresenta l’indicatore di qualità per un’assistenza infermieristica di eccellenza nell’ambito dei livelli essenziali definiti (LEA).
Un presidio infermieristico multifocale, che muove da azioni semplici ma efficaci sino a comprendere indicazioni ad alta variabilità e complessità.
  •  
    Gestione efficace dei presidi per il supporto ventilatorio (filtri, circuiti, sistemi di umidificazione ed aspirazione, …);
  •  
    Profilassi dell’inalazione, aspirazione o “leakage” di secreti;
  •  
    Incremento della capacità difensiva dell’organismo attraverso un’apporto nutrizionale precoce;
  •  
    Impiego di protocolli di svezzamento (weaning) per l’approccio multidisciplinare;
  •  
    Status dei pazienti, dalla posizione laterale sino alla pronazione.
Pratica basata sull’evidenza scientifica, qualità di risultato, accessibilità ed appropriatezza delle risorse rappresentano gli item d’analisi e chiave di lettura applicativa al processo. 
 
 
 
Background
 
Le infezioni batteriche rappresentano uno dei principali problemi nelle Unità di Terapia Intensiva (UTI), sia riguardo alla mortalità che al costo economico dei pazienti acuti. Questi possono essere ammessi con un’infezione o rischiare di esserne colpiti durante la loro permanenza nell’UTI. Data la gravità delle condizioni generali, è spesso indispensabile ricorrere a misure invasive, che possono, quindi, elevare il rischio d’infezione.
Negli Stati Uniti d’America la polmonite nosocomiale è la seconda più comune infezione.
In uno studio sull’efficacia del controllo delle infezioni nosocomiali condotto negli anni ‘70, il 75% delle infezioni respiratorie colpiva i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico; il rischio era 38 volte maggiore nel caso di chirurgia  toraco-addominale.
Analisi recenti hanno identificato ulteriori soggetti ad alto rischio di contrarre infezioni respiratorie nosocomiali:
(a) età superiore a 70 anni;                                                                
(b)  portatori di tubo endotracheale e sottoposti a Ventilazione Artificiale Meccanica (VAM);
(c)  sedati o con Glasgow coma score (GCS) basso;
(d)  sottoposti a rianimazione cardiopolmonare o procedure d’urgenza;                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  
(e)  affetti da patologie polmonari croniche.
Con il termine “polmoniti ospedaliere” sono definite quelle malattie dell’albero respiratorio d’origine infettiva contratte dai pazienti all’interno della struttura ospedaliera; esse non sono evidenti al momento del ricovero,  ma insorgono durante la degenza in un tempo pari o maggiore alle 48 ore dopo l’ammissione. Rappresentano la principale complicanza infettiva nei pazienti sottoposti a ventilazione artificiale, con un tasso d’incidenza variabile tra il 6 ed il 28% (alcuni studi riportano percentuali del 52%, ndr.). Oltre all’elevata frequenza, queste infezioni sono gravate da un alto indice di mortalità “attribuibile”, che nei reparti di cure intensive è di circa il 30%. Altri fattori quali patologie concomitanti ed insufficienza multiorgano (MOF) sono cattivi predittori.
                        Ogni giorno di intubazione e ventilazione artificiale aumenta il rischio di VAP da 1 a 3%, e ne raddoppia la mortalità. In ogni caso le infezioni polmonari sono strettamente correlate ad incrementi dei tassi di degenza media e costi totali. (1)(2)(4)(5)(10)(11)
 
 
Obiettivo
 
Presentare con logica multiprofessionale, utilizzando come indicatore di efficacia assistenziale il contenimento delle infezioni nosocomiali in area critica, le modalità di gestione di alcune problematiche legate al bisogno di “respirazione meccanica”.
 
 
Le VAP vanno distinte dalle altre forme di polmoniti nosocomiali, poiché trattamento, prognosi e risultati possono differire significativamente.
Eziologicamente possono essere classificate secondo la sorgente d’infezione in due tipi:
¨ Esogena: l’infezione polmonare è causata da microrganismi non riscontrati precedentemente nei campioni di sorveglianza, bensì portati al paziente dall’esterno senza una precedente colonizzazione. Possono essere  contratte in qualsiasi periodo durante la degenza e la loro frequenza è pari al 15%.
¨ Endogena: l’infezione è causata da germi già presenti, residenti nel paziente prima che si manifesti la polmonite.
 
Valutando le infezioni polmonari in base al tempo d’insorgenza, le polmoniti ospedaliere precoci (early-onset), quelle che si manifestano entro le prime 72 ore, sono le forme endogene più numerose. Sono più spesso provocate da agenti Gram+, in primo luogo dallo Staphylococco  aureus; solo il 25% è sostenuto da Gram-.
Tali microrganismi, normalmente presenti nel paziente, possono essere dotati di bassa patogenicità (v. Veionella, Bacteroides, Clostridium) oppure potenzialmente patogeni (Streptococco pneumoniae, Haemophilus, Staphylococco aureus, Candida). (16)(17)
 
 
 
 
 
 
Endogene precoci
 
GRAM +          71%
GRAM -          25%
Streptococco pneumoniae
Haemophilus influenzae  
Staphilococco aureus     
Moraxella catarrhalis       
Altri aerobi  
Escherichia coli
 
Candida
 
Altri aerobi  
 
Altri anaerobi 
POLIMICROBICHE        4%
 
 
Le polmoniti ospedaliere tardive (late-onset), comparse cioè dopo 72-96 ore dal ricovero, sono eziologicamente riconducibili, nella maggior parte dei casi, a batteri Gram-, classificabili come microrganismi ospedalieri dotati di potenziale patogenicità.
 Il tipo di germe in causa dipende anche dal tipo di misure preventive che vengono adottate: nelle UTI che impiegano come prevenzione delle polmoniti la profilassi con l’uso delle Decontaminazioni Selettive del tratto digestivo (SDD), si segnala in generale un aumento dell’isolamento dello Staphylococco aureus, contrariamente ad una prevalenza di Gram- nelle UTI che non ne fanno uso. (16)(28)(29)(30)
 
Endogene tardive
 
GRAM +          33%
GRAM -          59%
Staphilococco aureus     
Pseudomonas aeruginosa    
Altri aerobi  
Acinetobacter spp.  
 
Serratia, Proteus, Klebsiella
 
Altri aerobi  
POLIMICROBICHE        8%
 
 
Le patologie causali il ricovero in UTI possono predisporre il degente all’infezione da specifici agenti. Affezioni polmonari cronico-ostruttive (COPD), ad esempio, elevano il rischio per Haemophilus influenzae, Moraxella catarrhalis e Streptococco pneumoniae; traumi ed insulti neurologici possono facilitare polmoniti sostenute da Staphilococco aureus. (3)(5)(10)(11)(13)
 
PATOGENESI
La VAP è strettamente correlata a due importanti meccanismi patogenetici: la colonizzazione batterica del tratto aereo-digestivo e l’aspirazione di secreti contaminati nelle basse vie respiratorie.
I batteri possono invadere le vie respiratorie attraverso:
1.  Aspirazione dall’orofaringe;
2.  Traslocazione dalla via gastrointestinale;
3.  Inalazione attraverso aerosol (soprattutto esogeni);
4. Per via ematogena (v. batteriemie).
Di queste la via dell’orofaringe e la gastroenterica sono quelle principali. E’ dimostrato che fisiologicamente il 45% dei soggetti adulti in salute, durante il sonno, aspira secreti dall’orofaringe. Per quanto riguarda l’inalazione, le principali vie d’ingresso dei batteri comprendono i presidi artificiali di supporto ventilatorio ed i sondini nasogastrici. Esistono poi dei fattori ambientali che possono provocare un aumento dell’incidenza di polmonite da Aspergillus (v. lavori di muratura) e Legionella (v. impianti di condizionamento). (3)(13)(17)
 
 
DIAGNOSI
 
      Non è facile. Il frequente utilizzo della ventilazione artificiale meccanica nelle UTI rende aspecifica la semplice analisi dei segni clinici quali il numero dei globuli bianchi, la febbre, la tosse, l’espettorato purulento, o l’impiego di metodi diagnostici come la radiografia del torace positiva per infiltrato.
Per l’analisi microbiologica si utilizza l’esame colturale. L’esecuzione di procedure invasive quali il lavaggio broncoalveolare (BAL) con o senza broncoscopia, ha portato ad un aumento della sensibilità e specificità diagnostica, sebbene tali procedure siano legate a complicanze quali ipossia e sanguinamento. (4)(5)(6)
In molti centri ci si riferisce alla definizione espressa in Am. J. Resp. Crit. Care Medicine (1999;159:188-198).
 
La diagnosi clinica di polmonite deve comprendere i seguenti tre criteri:
1.  Nuovo e/o pregresso infiltrato polmonare alla radiografia del torace;
2.  Almeno 2 dei seguenti segni e sintomi:
Ø  Temperatura ³ 38°C o < 36°C;
Ø Leucocitosi ³ 12000/ml o leucopenia < 3500/ml;
Ø Secrezioni tracheali purulente.
 
La diagnosi microbiologica di conferma richiede la soddisfazione di almeno 1 dei seguenti punti:
1.  Coltura dell’aspirato tracheale, PBS (protected specimen brush) o BAL (bronco alveolar lavage) positiva per patogeni;
2.  Emocoltura positiva per un patogeno in assenza di un focolaio infettivo extra-polmonare;
3.  Risposta alla terapia antibiotica.
 
 
FATTORI DI RISCHIO
 
1.  Fattori legati all’ospite (età, immunodepressione, etc.);
2.  Fattori che aumentano la colonizzazione orofaringea o gastrica (uso d’antibiotici, farmaci alcalinizzanti lo stomaco, etc.);
3.  Condizioni che richiedono l’uso prolungato della VAM, di presidi respiratori esterni, procedure invasive, etc.;
4.  Esecuzione d’interventi chirurgici;
5. Condizioni che favoriscono l’inalazione e l’aspirazione, quali l’intubazione endotracheale, l’uso di sonde nasogastriche (SNG) o  loro riposizionamento. (1)(5)(8)(10)(11)
 
 
 
MORBILITA’ E COSTI
 
      Diretta conseguenza della VAP è il prolungarsi della VAM (variabile da 10 a 32 giorni) e della degenza media, aspetti validati da numerose evidenze. In alcuni studi la durata della degenza in Terapia Intensiva correlata alla  VAP era di 21 giornate contro una media di 15 giorni dei pazienti caso-controllo. Riassumendo i dati disponibili, con molta probabilità la VAP prolunga la degenza in Terapia Intensiva di almeno 4 giorni.
La prolungata ospedalizzazione sottolinea l’onere economico derivato dallo svilupparsi di una infezione respiratoria. La stima è influenzata da vari e differenti fattori: il sistema sanitario esistente, l’organizzazione dell’ospedale e della Terapia Intensiva, costi degli antibiotici, costi del materiale sanitario, ecc. A titolo puramente esemplificativo e considerata l’alta variabilità dei reports, la media dei costi eccedenti dovuti ad un singolo episodio di infezione polmonare nosocomiale è calcolata tra i 3.000 ed i 6.000 dollari americani.
I tassi di mortalità attribuibile alla VAP ed espressi in numerosi studi oscillano fra 24 e 76%, con significative differenze rispetto al patogeno responsabile. I decessi correlati a Pseudomonas o Acinetobacter possono raggiungere anche l’80-87%, contro il 55% di altri microrganismi. Va sottolineata la maggior sensibilità dei Gram- verso la terapia antibiotica, ad eccezione dello Staphilococco aureus Meticillino-resistente (MRSA). (1)(3)(5)(16)
 
 
 
STRATEGIE PREVENTIVE
 
Metodologie operative farmacologiche e non sono ad oggi adottabili dallo staff assistenziale per ridurre l’incidenza di VAP. L’impostazione di un programma di prevenzione da utilizzarsi all’interno dell’UTI, trova sostegno su forti razionali scientifici; concettualmente deve contestualizzarsi rispetto a specifici fattori, essere sviluppato, valorizzato ed implementato. Per selezionare gli interventi è raccomandabile considerare la quantità di risorse umane (infermieri, medici, fisioterapisti, farmacisti, ecc.), amministrative e materiali disponibili, oltrechè le capacità dell’equipé a monitorare nel tempo l’evoluzione del programma. Numerosi studi hanno dimostrato l’importanza dello staff per migliorare le performance delle prestazioni, dalla cura nel lavaggio delle mani allo svezzamento dalla VAM (weaning), e ridurre l’incidenza d’infezioni nosocomiali.  In Strutture Operative con risorse limitate o insufficienti, risulta consigliabile attuare strategie semplici, rapide e che richiedono minimi allontanamenti dall’unità-letto quali postura semiseduta del paziente, utilizzo di schiume e gel alcolici per la disinfezione delle mani, drenaggio delle secrezioni sottoglottiche. Conseguentemente, le ricadute sull’“outcome” dei degenti vanno considerate secondo una logica temporale, per eseguire analisi di risultati e costi, con l’obiettivo di identificare le attività efficaci, ricercare strategie alternative ed implementare le competenze dei professionisti. Non sempre è possibile prevenire la colonizzazione del tratto aereo-digestivo e l’aspirazione con semplicità e costi limitati. L’intervento riconosciuto come più favorevole è la ventilazione non invasiva a pressione positiva attraverso maschera facciale, quale alternativa all’intubazione endotracheale. Numerosi studi clinici hanno dimostrato la sua efficacia nel ridurre le infezioni nosocomiali, VAP inclusa, rispetto alla VAM convenzionale.  Sfortunatamente, l’utilizzo della ventilazione non invasiva è applicabile solo ad una parte di pazienti e richiede il supporto costante di specifiche figure professionali, quali ad esempio i fisioterapisti, e questo può limitarne la diffusione.
La formazione di biofilm nel tubo endotracheale è considerato un importante fattore nello sviluppo della VAP; ad oggi non sono applicabili interventi che abbiano la capacità di prevenirla. Aggressioni genetiche sui batteri, ricerca di nuovi presidi e materiali antiaderenti sono i punti di sviluppo futuri, tuttavia nell’attesa l’equipé deve adottare misure d’intervento sicure ed efficienti per tutti i pazienti sottoposti a ventilazione invasiva. (2)(3)(5)(7)
 
 
 
 
 
ASSISTENZIALI
 
· Lavaggio delle mani. E’ considerata una misura primaria, in altre parole d’indiscussa dimostrazione. Le evidenze bibliografiche non raccomandano in assoluto un tipo di sostanza detergente e/o disinfettante, ma sono categoriche nel sostenere l’efficacia della manovra in quanto tale. Uno studio monocentrico pubblicato su New England Journal comparava il lavaggio con il semplice sapone a quello con Clorexidina, a vantaggio di questa ultima. Tuttavia la maggioranza dei ricercatori è concorde nell’affermare che non è il tipo di soluzione utilizzata quanto la frequenza dei lavaggi che riduce significativamente il rischio di colonizzazione. (2)(17)
 
· Misure di barriera.
L’uso dei guanti è importantissimo per prevenire la contaminazione crociata, ma non deve esentare dal lavaggio delle mani. Non è definito se tali presidi debbano essere sterili o meno. I camici e le maschere trovano un razionale utilizzo nelle rianimazioni neonatali e pediatriche; genericamente nelle UTI polivalenti non necessitano d’uso routinario ma solo in presenza di pazienti già contaminati o immunodepressi. L’uso dei guanti è stato associato ad una diminuzione dell’incidenza d’infezioni nosocomiali. Tuttavia i patogeni possono colonizzare i guanti se non ben conservati e sono state descritte epidemie dovute al personale che non cambiava i guanti dopo contatto con i pazienti. (2)(17)
 
· Misure igieniche
Sebbene sia considerata una pratica infermieristica standardizzata, l’importanza dell’igiene del cavo orale è spesso sottostimata nell’assistenza al paziente in VAM. Il difficile accesso alla cavità per la presenza del tubo endotracheale può indurre a scegliere la semplice irrigazione quale metodica preferenziale. L’approccio ottimale deve considerare lo sfregamento dentale, l’uso di soluzioni e colluttori per la detersione delle mucose, la rimozione dei secreti. La presenza di tubi nasotracheali, nasogastrici o nasoenterici provoca l’accumulo di secreti nelle narici e coane con conseguente aggravio del rischio di VAP.
L’utilizzo di meccanismi operativi che favoriscano l’igiene e la cura delle cavità orale e nasale dovrebbe essere implementato e valutate razionalmente le ricadute. Evidenze sembrano supportare l’uso di composti a base di clorexidina in presenza di soggetti ad alto rischio, sottoposti a chirurgia cardiaca o colonizzati da Staphylococco. In quest’ultimo caso ed in presenza di batteri antibiotico-resistenti, l’antisettico può essere esteso anche al letto cutaneo. (3)(14)(17)
 
· Intubazione endotracheale.
La presenza di supporti invasivi  rappresenta un fattore importante nella patogenesi e sviluppo della VAP. Il tubo endotracheale facilita la colonizzazione batterica dell’albero tracheobronchiale e l’aspirazione nelle basse vie di secrezioni contaminate, inibendo significativamente il riflesso tossivo. La presenza o la comparsa di sinusite aumenta significativamente il rischio e l’incidenza di polmonite, come evidenziato da studi comparativi e randomizzati. Ad oggi, nessuna evidenza ha definitivamente dimostrato l’efficacia dell’intubazione orotracheale nel ridurre le sinusiti rispetto alla rinotracheale. Tuttavia l’approccio routinario da preferirsi è quello orale, soprattutto nell’ipotesi di ventilazione prolungata (> 48 ore). Le reintubazioni, per quanto possibile, vanno evitate, rappresentando un importante fattore di rischio.
Il ruolo della tracheotomia precoce nella prevenzione della VAP rimane controverso, sebbene numerosi studi randomizzati, prospettici e multicentrici non dimostrino una sua correlazione nel ridurre pneumonia, tempi di degenza e mortalità. (1)(3)(5)(9)(14)(15)(17) 
 
 
 
· Weaning
La rimozione precoce del tubo endotracheale rappresenta una delle strategie più efficaci e raccomandate nella prevenzione non-farmacologica della polmonite. Tuttavia, la prematura sospensione del supporto ventilatorio può aumentare l’incidenza di errate estubazioni, VAP e mortalità.
Linee guida cliniche raccomandano l’uso di strategie d’intervento basate su forte razionale scientifico, che non devono rappresentare una rigida standardizzazione della pratica, quanto piuttosto una guida implementabile, evolvibile e contestualizzabile. Queste comprendono:
1.  multidisciplinarietà dell’approccio;
2.  utilizzo di meccanismi operativi;
3.  valutazione quotidiana dei livelli di autonomia respiratoria dei pazienti;
4.  identificazione e trattamento precoce dei fattori sfavorenti lo svezzamento (squilibri sierici, broncospasmo, malnutrizione, eccessive secrezioni, posture errate, cambi frequenti di supporto ventilatorio);
5.  corretto utilizzo della sedazione farmacologica;
6.  “timing” dell’estubazione (circa il 50% dei pazienti che si autoestubano non richiedono reintubazione, ndr.);
7.  aggiornamento delle evidenze e manutenzione delle abilità;
Trials randomizzati hanno dimostrato che l’utilizzo di protocolli di svezzamento multidisciplinari da parte di professionisti non-medici può garantire una ripresa sicura ed efficiente della respirazione spontanea, riducendo significativamente la durata del supporto artificiale.
La complessità del processo deve considerare sia l’aspetto fisiologico sia psicologico del paziente, sebbene non esistano standard e metodologie assoluti. Recentemente l’American Association of Critical-Care Nurses’ ha prodotto un modello concettuale di svezzamento che include tre fasi e che fonda il suo principio sull’approccio coordinato e multidisciplinare. La prima fase (preweaning) considera la valutazione di parametri respiratori e non, per stabilire se il paziente è nelle condizioni di poter affrontare il processo.
 
 
PARAMETRI RESPIRATORI
PARAMETRI NON RESPIRATORI
Ossigenazione
Stato neurologico
Ventilazione
Stato emodinamico
Meccanica polmonare
Crasi ematica
 
Stato idro-elettrolitico ed acido-base
 
Stato nutrizionale
 
Fattori psicosociali
 
Nella gestione di tali indicatori il team infermieristico e medico deve essere supportato da fisioterapisti respiratori, dietiste, farmacisti ed assistenti sociali, attraverso meeting preliminari ed utilizzo di meccanismi operativi.
Il processo di weaning rappresenta la seconda e più complessa fase. La scelta del metodo di svezzamento è fondamentale, così come la definizione dei criteri di sospensione e delle strategie terapeutiche di supporto. Esistono diverse tecniche, delle quali le più utilizzate sono: T-Piece, Sincronicity Intermittent Mandatory Ventilation (SIMV), Pressure Support Ventilation (PS). La fase finale comprende il periodo in cui il supporto meccanico viene completamente sospeso per la completa autonomia del paziente. Allo stato attuale non vi è evidenza circa la maggior efficacia di una metodica rispetto ad altre. (3)(7)(8)(9)(26)(27)(28)(29)
 
 
 
· Nutrizione enterale
Nella pratica quotidiana, alla maggior parte dei pazienti che richiedono VAM è associato il posizionamento di un sondino nasogastrico, con lo scopo di drenare le secrezioni, prevenire la distensione gastrica e permettere la somministrazione d’alimenti. La sonda non è generalmente considerata come fattore di rischio diretto ma piuttosto indipendente, poiché può elevare la colonizzazione orofaringea, provocare la stasi di secreti, aumentare il rischio di reflusso e conseguente aspirazione. La stessa nutrizione enterale, il cui beneficio nei pazienti critici risulta di comprovata efficacia, si è dimostrata fattore causale nello sviluppo della polmonite, sebbene non sempre in maniera incontrovertibile. La colonizzazione dello stomaco è favorita dall’uso di antiacidi sistemici o locali e dall’alimentazione enterale, poiché alcalinizzano le secrezioni gastriche e quindi facilitano la crescita batterica. In assenza di terapia con antiacidi o H2 antagonisti (alcuni studi randomizzati suggeriscono l’uso del sucralfato) è stato riscontrato un incremento di batteri Gram-negativi dopo l’inizio della somministrazione di preparati nutrizionali. Il reale beneficio nell’uso generalizzato di sondini di piccolo calibro o sonde digiunali appare non chiaro. Questi risultati concorrono a definire l’importanza di una corretta gestione infermieristica del supporto nutrizionale per minimizzare i rischi di colonizzazione batterica del tratto aereodigestivo e la conseguente aspirazione. La distensione gastrica dovrebbe essere evitata riducendo l’uso di narcotici e anticolinergici, monitorando il residuo gastrico dopo alimentazione gastrica ed utilizzando, se necessario, farmaci che aumentino la motilità gastrica. (1)(3)(5)(8)(31)(32)
 
· Posizione del paziente
Mantenere il paziente in posizione supina, in VAM e con sondino nasogastrico rappresenta un ulteriore fattore di rischio d’aspirazione. Studi multicentrici, randomizzati e revisioni sistematiche hanno dimostrato una frequenza ed un rischio di VAP significativamente inferiori nei pazienti con tronco sollevato di 30-45 gradi, che appare tra gli interventi più efficaci, poco costosi e facilmente attuabili. In uno studio randomizzato si è analizzato l’impatto della posizione prona nella prevenzione della VAP in pazienti in coma da danno cerebrale. Tale postura ha evitato il degrado dell’ossigenazione polmonare, sebbene gli effetti benefici non siano ben definiti e rimangano notevoli dubbi circa la possibilità di espandere tale metodica nella pratica quotidiana.
Per favorire il drenaggio delle secrezioni polmonari e ridurre il rischio infettivo, è stato valutato l’utilizzo di letti ad azione cinetica. Applicazioni prospettiche e randomizzate ne hanno dimostrato la validità nell’incrementare l’ematosi e ridurre il rischio attelettasico, ma non nella prevenzione della VAP. (14)(15)(17)(18)(19)(20)(21)(22)(23)(24)(25)
 
· Profilassi antibiotica attraverso decontaminazione selettiva del tratto digestivo
La SDD è una strategia di profilassi delle infezioni in UTI, in particolar modo delle polmoniti in pazienti che si supponga siano sottoposti a ventilazione meccanica per almeno 2-4 giorni. I farmaci antimicrobici non assorbibili applicati topicamente al tratto digestivo (bocca e stomaco) hanno lo scopo di prevenire la colonizzazione con microrganismi potenzialmente patogeni (enterobatteri, Pseudomonas sp., Stafhylococco Aureus) dell’orofaringe e dell’intestino oppure la loro eradicazione prima che possano diventare causa d’infezione. La decontaminazione dell’orofaringe dovrebbe avvenire in circa 4 giorni, quella dell’intestino mediamente in 15 gg.
Alcuni schemi d’intervento prevedono l’associazione di un breve ciclo di terapia antibiotica sistemica, che ha lo scopo di “coprire” il periodo iniziale fino alla decontaminazione avvenuta e d’eradicare eventuali inoculi avvenuti prima dell’inizio della decontaminazione stessa (infezione precoce). Il farmaco maggiormente utilizzato in studi randomizzati risulta il Cefotaxime. Recenti metanalisi e revisioni sistematiche hanno dimostrato un calo di mortalità oltre che di VAP nella popolazione di pazienti trattati con tale profilassi, sebbene a tutt’oggi l’argomento rimanga controverso (v. metodiche “non antibiotiche”, effetti sfavorevoli sulle resistenze batteriche) e sotteso all’utilizzo di protocolli standardizzati, come raccomandato da un’autorevole revisione Cochrane.
Un punto fondamentale dello schema applicativo per la SDD riguarda la sorveglianza microbiologica, finalizzata mediante campionamenti su orofaringe/retto e diagnosi microbiologica in caso d’infezione, a mettere in evidenza la colonizzazione/infezione con altri microrganismi (Gram +), siano esse dovute ad uno sviluppo di resistenza ai farmaci impiegati o alla contaminazione del paziente con germi esogeni. Le colture di sorveglianza, oltre a valutare l’efficacia della SDD, risultano utili nell’individuare il livello d’igiene, monitorare l’emergenza di resistenze e gestire l’ecologia di reparto. (2)(3)(17)(33)(34)(35)
 
 
 
 
MATERIALI
 
 
· Circuito ventilatore.
I pazienti sottoposti a ventilazione artificiale meccanica hanno un rischio intrinseco 6-12 volte maggiore di sviluppare una polmonite ospedaliera; ogni giorno di VAM aumenta del 1% tale possibilità. I batteri possono colonizzare i circuiti in maniera esogena attraverso la manipolazione con le mani contaminate degli operatori durante l’utilizzo, oppure per precedente colonizzazione degli stessi. La stessa intubazione tracheale o soluzioni di continuo attorno alla cuffia endotracheale possono altresì favorire la discesa dei batteri nelle basse vie. I circuiti esterni dei ventilatori colonizzano dopo 24 ore dall’inizio del loro impiego, mentre la condensa formata dai sistemi d’umidificazione dopo appena due. L’argomento è stato oggetto di numerosi studi, sia di tipo prospettico sia randomizzati, condotti con l’obiettivo di valutare l’impatto di diverse strategie d’utilizzo dei circuiti nel ridurre l’insorgenza di VAP. I risultati hanno confermato che aumentando le manipolazioni si eleva esponenzialmente il rischio di inoculare in trachea condensa colonizzata. Da qui l’evidenza che non sostituire routinariamente i circuiti concorre a ridurre il rischio infettivo sino al 25%, i carichi di lavoro ed i costi nella gestione della VAM. Vi è indicazione a sostituire i circuiti esterni solo se macroscopicamente sporchi, malfunzionanti, rotti. Definito che un alto numero di patogeni si ritrova nei liquidi di condensa, che divengono causa di VAP se non rimossi o, peggio, aspirati, è  fondamentale che i circuiti esterni siano mantenuti in posizione di “scarico”, per impedire che l’acqua di condensa sia inalata dal paziente.
Il circuito interno non deve essere disinfettato o sterilizzato di routine. Tali procedure sono necessarie solo dopo che l’attrezzatura è stata contaminata con agenti quali virus (Epatite C, HIV, etc.), e ciò non dovrebbe mai avvenire. (36)(37)(38)(39)
 
· Filtri.
I filtri antibatterici ad elevata efficienza (in grado di trattenere particelle fino a 0,2 micron) posizionati fra il respiratore ed il circuito esterno possono prevenire la contaminazione retrograda. Soprattutto se utilizzati alla fine della branca espiratoria possono ridurre il rischio di contaminare l’ambiente contiguo. Tuttavia al momento non è dimostrata la loro efficacia nella prevenzione della polmonite nosocomiale. Quando utilizzati, se non bagnati o contaminati macroscopicamente, possono essere sostituiti secondo gli intervalli suggeriti dai costruttori, sebbene la sostituzione non sia strettamente necessaria ogni 24 ore; risultano, infatti, sicuri intervalli di 48 h.. Va considerato che un filtro antibatterico aumenta lo spazio morto di circa 90-100 ml. Non risulta altresì efficace collegare filtri antibatterici tra umidificatore e branca inspiratoria del circuito di un ventilatore automatico. (2)(7)(17)
 
· Umidificatori.
Esistono sul mercato diversi tipi di sistemi d’umidificazione. Gli umidificatori con gorgogliatore utilizzano il calore ed il passaggio dei gas attraverso una massa d’acqua per aumentare l’umidità. La differenza di temperatura tra il gas inspirato e l’aria ambiente da luogo alla formazione di condensa, che diviene causa primaria di rischio per una potenziale polmonite. La condensa e quindi il circuito possono contaminarsi rapidamente con batteri provenienti dall’orofaringe del paziente. Semplici manovre infermieristiche, quali rotazione del paziente o movimentazione delle sponde del letto, possono provocare la discesa accidentale di liquido contaminato nell’albero bronchiale. Drenare periodicamente la condensa utilizzando dispositivi di raccolta con valvola unidirezionale, gestire correttamente i circuiti e lavarsi le mani dopo manipolazione divengono strategie assistenziali d’assoluta efficacia. La formazione di condensa sulla branca inspiratoria può essere significativamente ridotta utilizzando speciali circuiti che attraverso la presenza di un filo metallico riscaldato, aumentano la temperatura del gas. Al momento non sono tuttavia disponibili dati sufficientemente precisi che consentano di definirne con chiarezza i vantaggi nell’utilizzo routinario in rapporto al costo/beneficio. Per ridurre la formazione di condensa e l’accumulo d’umidità nei circuiti, numerosi studi hanno valutato l’uso dei filtri antibatterici scambiatori di calore ed umidità igroscopici (HMEs) in alternativa ai sistemi a cascata. Riciclando il calore e l’umidità espirata del paziente, riducono la formazione di condensa. Diversi studi comparativi hanno dimostrato vantaggi in termini d’utilità (minor manutenzione infermieristica e manipolazioni), efficacia (performance sovrapponibili) e minor costo, soprattutto nel medio periodo. Tuttavia, essendo stati documentati aumenti delle resistenze respiratorie e dello spazio morto, il loro utilizzo è sconsigliato nei pazienti con Sindrome da Distress Respiratorio Acuto (ARDS) ventilati a bassi volumi e broncopneumopatici cronici (COPD) in svezzamento. L’aumento del rischio d’occlusione delle vie aeree, confermato da metanalisi, scoraggia l’uso dei sistemi passivi nella VAM di lunga durata. Intervalli di sostituzione superiori alle 24 ore (48 vs 96) non hanno dimostrato ricadute in termini di maggior colonizzazione o complicanze tecniche. Il filtro è sterile, pertanto va gestito e manipolato asetticamente, in particolare durante l’intervento di sostituzione. Il cambio deve prevedere anche quella del catetere Mounth. Si può concludere sottolineando che allo stato attuale sarebbe opportuno utilizzare nelle prime giornate di VAM filtri igroscopici, riservando gli umidificatori con gorgogliatore ai pazienti broncorroici, ipotermici ed in quelli in cui s’ipotizza una VAM prolungata. (5)(17)(40)(41)(42)(43)(44)(45)(46)(47)
 
· Altri presidi.
I palloni per ventilazione manuale autoespansibili (Ambu) e non (Va e vieni) sono particolarmente difficili da pulire e disinfettare, sebbene rappresentino una potenziale fonte di colonizzazione batterica. Lo stesso dicasi per gli analizzatori dei gas (es.: ETCO2) e gli spirometri. Tali presidi devono perciò essere sempre sottoposti a sterilizzazione o quantomeno a disinfezione prima di essere utilizzati per un nuovo paziente. (2)(17)
 
· Aspirazione delle secrezioni.
L’aspirazione endotracheale rappresenta una tecnica comune ed essenziale nell’assistenza ai pazienti che necessitano di VAM. Essa induce la riduzione della stasi delle secrezioni tracheo-bronchiali e l’incidenza d’infezioni ospedaliere delle basse vie respiratorie, ma i cateteri rappresentano una delle vie primarie per l’introduzione di batteri nell’albero polmonare del paziente. Tecnicamente esistono due diverse modalità d’approccio: sistema aperto con catetere monouso e sistema chiuso multiuso. In entrambi i casi non è raccomandato effettuare la broncospirazione come manovra di routine, utilizzando sistemi sterili, atraumatici e con più fori d’aspirazione. Resta al momento da valutare l’impatto diretto del sistema chiuso sulla prevenzione e sviluppo della VAP. Tuttavia la metodica “in-line” presenta alcuni vantaggi rispetto alla tecnica aperta convenzionale:
  1.  
    limita la contaminazione ambientale, del paziente e del personale;
  2.  
    evita la perdita del volume polmonare;
  3.  
    previene il dereclutamento alveolare nei pazienti gravemente ipossici.
La sostituzione routinaria e/o giornaliera di tali circuiti non trova fondata specificità in letteratura, neppure qualora siano esposti all’ambiente senza contaminazione. Nessuna differenza significativa in termini di mortalità, giornate di degenza ed alterazioni patologiche è stata riscontrata dopo estensione degli intervalli di sostituzione, e questo rappresenta un beneficio (sicurezza e minor costo) soprattutto per i pazienti che richiedono una VAM prolungata. Vanno altresì sostituiti se macroscopicamente contaminati da sostanze oppure malfunzionanti. (3)(7)(17)(52)(53)(54)(55)
 
· CASS
In corso di VAM alcuni autori hanno evidenziato una correlazione tra la pressione della cuffia e l’incidenza di polmonite. Una pressione d’ancoraggio tracheale troppo bassa (< 20cm H2O) permetterebbe la discesa di secrezioni (leakage) nelle vie bronchiali. Nella fase d’estubazione, prima di sgonfiare la cuffia, è consigliato mobilizzare i secreti a valle e possibilmente mantenere l’aspirazione durante la rimozione del tubo. L’evacuazione continua o intermittente delle secrezioni orofaringee per mezzo di tubi con lume dorsale separato (CASS), è stata proposta quale metodica per prevenire l’aspirazione attraverso la cuffia tracheale. Questi tubi possono rappresentare parte di un approccio organizzato nella prevenzione della polmonite, ma non devono essere utilizzati in maniera enfatica: studi clinici hanno dimostrato la loro specificità in gruppi selezionati (es. pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca o che richiedono posizione supina obbligata) e nella prevenzione della polmonite precoce (early-onset VAP) in assenza di terapia antibiotica preventiva. Valutando l’impatto dell’uso di CASS, trial randomizzati non hanno dimostrato significative ricadute nell’incidenza di VAP da Pseudomonas aeruginosa ed Enterobatteri fra gruppi studio e controllo, mentre alcuni indicatori clinici ed economici quali mortalità e tempi di degenza, non ne supportano l’uso routinario. (5)(17)(48)(49)(50)(51)
 
 
 CONCLUSIONI
 
I LIMITI DELLA RICERCA
 
Questa relazione presenta limiti legati all’incapacità di dare risposte concrete ad interrogativi  sorti durante la sua stesura.
Ad esempio:
(a) “la pulizia del cavo orale diminuisce l’incidenza di VAP?. Qual è il prodotto più efficace da utilizzare?. Con quale frequenza andrebbe fatta?. E’ stato dimostrato che previene l’insorgenza di polmonite nosocomiale nei pazienti sottoposti a chirurgia a torace aperto, ma per le altre tipologie di pazienti?.”;
(b) “se il paziente è tracheostomizzato, quanto ed in che modo variano i risultati delle ricerche?.”;
(c) “l’igiene del corpo può influire sulla prevenzione o riduzione della VAP?.”;
(d) “se il paziente è ventilato meccanicamente a domicilio, come prevenire la VAP?.”.
A queste domande non abbiamo risposta: il supporto bibliografico è insufficiente, le evidenze carenti da un punto di vista qualitativo o statisticamente poco significative.
La riflessione che vorremmo proporvi investe la qualità della ricerca bibliografica. In generale, la letteratura tradizionale e, soprattutto, i formati mediali digitali, ci permettono di accedere a numerosissimi editoriali di qualità assai diversa. Si pone quindi il problema di definire criteri di scelta per l’accesso a dati affidabili, spendibili e scientificamente validati.
Oggi, afferire alle fonti di consultazione con competenza e sistematicità, significa:
a) conoscere le banche dati e le riviste più autorevoli;
b) orientarsi nella metodologia della ricerca;
c) saper confrontare e valutare la qualità delle pubblicazioni.
Non sempre è necessario eseguire ricerche approfondite per implementare la nostra pratica  quotidiana: spesso può essere sufficiente utilizzare linee guida internazionali o condivise dalle società scientifiche, già  strutturate e ragionevolmente supportate, contestualizzandole al proprio ambito operativo.
In fondo, non facciamo altro che applicare l’art. 3 del Codice deontologico: “ …l’infermiere aggiorna le proprie conoscenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull’esperienza e la ricerca al fine di migliorare la sua competenza …partecipa alla formazione professionale ed attiva la ricerca, cura la diffusione dei risultati al fine di migliorare l’assistenza infermieristica”.
 
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