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Intraossea in emergenza: valutazione del consenso da parte degli infermieri

 

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Congresso Nazionale Aniarti 2002

Emergenza, cure intensive e Livelli Minimi di Assitenza

Sorrento (NA), 07 Novembre - November 2002 / 09 Novembre - November 2002

» Indice degli atti del programma

Sessioni Parallele: Sala principale Maria Benetton, Isabella Zennaro, Edna Biase, Tonia De Crescenzo,

Angelina DI Nuccio, Maura Lusignani, Martin Langer, Anna Maria Toffano



08 Novembre - November 2002: 14:00 / 17:00

Audio

Diretta 2002

Dibattito con esperti  sulle problematiche legate al bisogno di alimentazione ed elminazione.  
 
 
Maura Lusignani Milano, IID, Vice Direttore della Scuola Universitaria di discipline Infermieristiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Milano. 
 
 
Insisto, siete veramente bravi, ho visto anche oggi pomeriggio dei lavori che denotano una grande preparazione, una grande competenza, quindi permettetemi ancora di farvi i complimenti
Vorrei dire tre cose.
La prima riguarda la competenza dell'infermiere
Mi è venuto un dubbio atroce, mi sono chiesta se tutti gli infermieri qui presenti, tutti gli infermieri che lavorano in aria critica, tutti gli infermieri italiani, europei, del mondo devono essere in grado di fare questi studi, ad esempio quelli che voi avete portato, che sono abbastanza complessi.
Quali sono le competenze che bisogna avere?
Giustamente mi ricordate che si deve andar al pratico, soprattutto noi che ci occupiamo di etica rischiamo sempre di rimanere ad un livello dei problemi troppo alto.
Quali sono i livelli formativi che occorre suggerire per poter parlare di competenza anche in termini etici?
Il CDC di Atlanta suggeriva, ad esempio, di organizzare degli staff di infermieri, anche integrati da altri professionisti, dei gruppi di infermieri dedicati solo a questo.
Io credo che, parlando di competenza,  una delle cose che potremmo insegnarci a fare, anche dal punto di vista etico, è quello di dire ai pazienti, alle persone assistite, che cercheremo di organizzare nell'ambito di ogni istituzione, cercheremo di richiedere che si organizzino gruppi di infermieri con altri professionisti che si dedichino esclusivamente a questi studi, quindi che acquisiscano una formazione su come si fa una ricerca bibliografica, su come si fa una revisione della letteratura, su come si fa una meta-analisi, su come si valutano questi dati, in modo da poter avere all'interno di ogni struttura la possibilità, per tutti gli infermieri, di utilizzare questi dati e di non ritornare a fare lavori che altri colleghi magari hanno già fatto.
E' una soluzione, credo abbastanza semplice ma non so quanto praticabile, che mi sentirei di suggerire proprio perché l'avete presentata anche voi ed è suggerita anche dal CDC di Atlanta.
Potremmo eventualmente richiedere questo tipo di organizzazione direttamente alla direzione dei servizi infermieristici, che assolutamente e responsabilmente dev'essere chiamata in causa nel far sì che gli infermieri possano mantenere la competenza nei confronti delle persone assistite.
Credo che il problema non si possa risolvere qui, non è soltanto nell'ambito di ogni singola azienda o ospedale che noi possiamo risolvere il problema, il problema va rilanciato anche alle associazioni professionali quali questa e la Federazione, perché anche i diversi organismi rappresentativi della professione, a seconda ovviamente dei livelli ai quali operano, possano esserci d'aiuto nel fare questi studi, nel presentare le pubblicazioni e man mano poi nel permetterci di utilizzarli.
La seconda cosa riguardante la competenza dell'infermiere: torniamo all'ipotesi che tutti siamo in grado comunque di fare questi studi e quindi di confrontarci con questi dati.
Allora ci troveremo di nuovo eticamente di fronte a diversi tipi di comportamento: allora, conoscendo questi dati, ci sarà chi di noi fa, cioè applica, ci sarà chi non fa, non applica, e chi di noi si astiene dal fare.
Abbiamo detto che uno dei valori di cui è portatore il codice è "primum non nocere".
Credo che il non recare danno alle persone sia il livello minimo di comportamento sul quale dobbiamo attestarci.
Dobbiamo però anche preoccuparci, perché è emerso, di quanti colleghi non fanno, di quanti colleghi non sono nelle condizioni, scelgono di non fare per tutta una serie di ragioni, dobbiamo porci anche il problema di chi non fa nonostante le evidenze.
Vorrei concludere questa parte insistendo e richiamando in causa una parte dell'intervento che ho fatto stamattina, quando ho detto che il fondamento del dovere morale di assicurare la qualità e l'efficacia delle azioni professionali sta nel rapporto con la persona.
Volevo mostrarvi questa tabella, che tra l'altro è una tabella conosciutissima perché è estrapolata da un'indagine che fece la Federazione nazionale dei collegi nel 1995, laddove fu chiesto a tutti gli infermieri italiani di fare alcune valutazioni, di esprimersi rispetto all'immagine che essi avevano del paziente ideale ed anche ai  pazienti fu chiesto che cosa pensavano dell'infermiere ideale.
Si evidenzia che i pazienti pensano che gli  infermieri siano comunque preparati e capaci; gli infermieri hanno una concezione del paziente ideale come un individuo fiducioso e collaborativo al quale si chiede di rimettersi docilmente alle cure infermieristiche, senza opporre resistenza ed ostacolare il processo di cura e di porsi come individuo consapevole ed informato, non del trattamento e delle azioni che stiamo facendo, ma dei problemi logistici ed organizzativi che il processo di cura comporta per gli operatori.

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