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Congresso Nazionale Aniarti 2002

Emergenza, cure intensive e Livelli Minimi di Assitenza

Sorrento (NA), 07 Novembre - November 2002 / 09 Novembre - November 2002

» Indice degli atti del programma

Sessioni Parallele: Sala Ulisse Rosanna Montesano, Rita Megliorin, Alessandra Nicolini, Annalisa Costa,

Giovanna Morvillo, Nicola Pirozzi, Laura D’Addio


08 Novembre - November 2002: 14:10 / 17:10

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Presentare con logica multiprofessionale, utilizzando come indicatore d’efficacia assistenziale il contenimento delle infezioni nosocomiali in area critica, le modalità di gestione di alcune problematiche legate al bisogno di:
alimentazione parenterale nell’assistenza intensiva
 al neonato e bambino
 
Marta Costa,  Annalisa Costa, Alessandra Nicolini, Serena Stornello
 
Vigilatrici D’Infanzia, U.O. di Anestesia Rianimazione Pediatrica e Neonatale
Istituto Giannina Gaslini (Genova)
 
                                       Introduzione  
  
L’infermiere nella sua professionalità deve essere in grado di programmare e regolamentare il proprio lavoro in un contesto sanitario in continua evoluzione, deve dimostrare competenza e serietà con lo scopo di organizzare al meglio l’attività lavorativa, di fornire un servizio sempre più adeguato alle esigenze del paziente. L’assistenza infermieristica basata sull’evidenza scientifica (Evidence Based Nursing), permette di fornire delle prestazioni basate su prove di efficacia dimostrate scientificamente. Questo impegno di ottimizzare la qualità dell’assistenza deve sensibilizzare maggiormente il personale infermieristico che opera quotidianamente nell’area critica essendo il paziente ivi ricoverato esposto in maniera esponenziale al rischio infettivo.
 
In campo pediatrico e soprattutto neonatale l’impegno deve essere estremo anzitutto perché l’evoluzione di una sepsi nel neonato è molto rapida e drammatica, non di rado con conseguenze infauste. I neonati, ed in particolar modo i nati pretermine hanno difese immunitarie di base deficitarie e spesso ulteriormente compromesse da fattori esterni, quali per esempio interventi chirurgici, infezioni già presenti e che hanno portato al ricovero, ed impossibilità di alimentazione con latte materno, ricco di anticorpi. Gli anticorpi infatti non passano al feto attraverso la barriera placentare fino alla ventottesima settimana, quindi i piccoli nati prima di tale età ne sono privi. Per questi motivi i neonati sono scarsamente difesi dal sistema immunitario mucosale e presentano un deficit di immunoglobuline secretorie (IgA). In questi piccoli pazienti inoltre la traslocazione batterica dall’apparato gastroenterico è un’evenienza comune. I microorganismi, infatti, migrano più facilmente attraverso tessuti che presentano fisiologicamente giunzioni intercellulari meno efficaci rispetto all’adulto.
 
Oltre ai fattori di rischio intrinseci elencati, di notevole interesse risultano i fattori di rischio estrinseci quali le procedure assistenziali invasive (ventilazione meccanica, cateteri vascolari, nutrizione parenterale) e la profilassi antibiotica, ampiamente somministrata in Terapia Intensiva Neonatale che facilita la selezione di ceppi resistenti. E’ estremamente importante quindi identificare i fattori di rischio modificabili e, tra questi, le procedure assistenziali più a rischio.
E’ fondamentale quindi mettere a punto un programma di prevenzione che preveda il coinvolgimento del personale sanitario e che sia rivolto principalmente all’ambiente nel quale si opera e al personale che si dedica all’assistenza neonatale:
 
-         protocolli per la gestione delle procedure
-         adeguata programmazione della profilassi antibiotica
-         riduzione al minimo di tutti gli interventi non strettamente necessari
 
 
 Indicazione alla N.P.T.
 
La tecnica della Nutrizione Parenterale Totale consiste nel somministrare tutti gli elementi nutritivi di cui l’organismo necessita (carboidrati, grassi, proteine, elettroliti, minerali, oligoelementi e vitamine) attraverso un catetere venoso centrale.
 
La sua introduzione in clinica ha favorito la guarigione, con sviluppo e crescita normali, di neonati con anomalie congenite del tratto gastrointestinale, neonati con estrema prematurità, lattanti con diarrea idiopatica e bambini con altre patologie cliniche caratterizzate da insufficienza intestinale relativa o assoluta, aumentato fabbisogno metabolico (sepsi, ustioni, post operatorio).
 
Tre sono i maggiori risultati che hanno dato credibilità all’impiego di questa tecnica in pediatria.
 
1)      La tecnica ha migliorato notevolmente la prognosi delle malformazioni ed affezioni gastrointestinali di interesse chirurgico(gastroschisi, onfalocele, fistola tracheoesofagea,
atresia duodenale, digiunale o ileale, ileo da meconio, peritonite meconiale, malrotazione volvolo). Alcuni autori hanno riportato il 100% di sopravvivenza in una serie di 18 neonati con gastroschisi ed onfaloceli lacerati trattati con la N.P. con catetere centrale dopo l’intervento chirurgico. La mortalità di questa patologia prima dell’introduzione della tecnica era del 60-80 %.
 
 
2)      La diarrea protratta idiopatica dell’infanzia ha trovato oggi reale possibilità di cure e guarigione attraverso la nutrizione clinica. Nella diarrea protratta dell’infanzia determinare la causa della diarrea è spesso difficile, a volte impossibile per gli effetti secondari di malassorbimento e malnutrizione. L’ipotesi proposta è che tali pazienti si possano giovare di un periodo di riposo intestinale assoluto durante il quale deve essere utilizzata la N.P. con catetere centrale. La mortalità di questa patologia prima dell’introduzione della N.P. con catetere centrale era del 75%.
 
3)      Sono stati ottenuti notevoli risultati nella cura del neonato di basso e bassissimo peso.
 
Nella cura intensiva del neonato di basso e bassissimo peso una corretta nutrizione è fattore spesso determinante nella buona riuscita della cura medica globale.
L’80% dei neonati con peso uguale o inferiore a 1000 gr. richiede nutrizione esclusivamente parenterale; il 69% dei neonati con peso compreso fra 1001 e 1500 gr. richiede  nutrizione clinica mista (nutrizione parenterale ed entrale).
 
Nel “Respiratory Distress Sindrome” RDS, patologia che è molto frequente in questo gruppo di neonati, alcuni autori avevano riscontrato in uno studio controllato che in neonati affetti da RDS con peso uguale o inferiore a 1500 gr. sottoposti a N.P., la percentuale di sopravvivenza era del 71% contro il 37% del gruppo non trattato.
 
 La N.P. in questa situazione permette di evitare i danni di inalazione da alimento nelle vie aeree e di fenomeni di replezione gastrica che ostacolano negativamente la meccanica respiratoria. Inoltre lo sforzo respiratorio aumenta le richieste energetiche di un organismo che di base ha scarse scorte, elevate esigenze e un apparato digerente spesso impreparato ad essere alimentato per l’immaturità funzionale cui si associa lo stato di stress legato alla malattia.
 
La N.P. con catetere venoso centrale è stata utilizzata con beneficio in numerose altre branche pediatriche (nefrologia, oncoematologia, epatologia) oltre alla chirurgia e alla neonatologia.
L’importanza dell’introduzione di questa tecnica è stata paragonata solo a quella dell’introduzione degli antibiotici; ciò nonostante i risultati conseguiti sembrano essere invalidati da un altissimo prezzo rappresentato dalla sepsi; infatti negli anni 1969-70 alcuni centri hanno riportato per la prima volta la sepsi come complicanza in corso di N.P. con catetere centrale. Nel 1972, con l’aumento delle casistiche, si mise in evidenza, e fu concordamente ammesso, che la sepsi era da considerarsi la complicanza più frequente e più temibile in corso di N.P.T..
In una vasta casistica di pazienti adulti è riportato il 27% di sepsi ed un 37% nella popolazione pediatrica.
 
Questi eventi hanno determinato da un lato un rinnovato interesse sia per la N.P. periferica che per la nutrizione entrale a flusso continuo e dall’altro una maggior determinazione a definire presupposti e requisiti nell’espletamento della tecnica della N.P. con catetere centrale onde evitare o quantomeno contenere le complicanze, soprattutto quelle settiche.
 
Questi aspetti possono essere completamente affrontati solo con una adeguata impostazione organizzativa, articolata in tre momenti considerati come requisiti basilari della N.P. con catetere venoso centrale.
 
Essi sono:
 
-         presenza ed efficienza di una equipe dedicata;
-         istruzione attiva del personale medico ed infermieristico;
-          stesura di un protocollo di lavoro prestabilito.
 
                         Supporto nutrizionale e durata della N.P.T. 
 
La N.P.T. è il metodo impiegato per la nutrizione artificiale dei pazienti nei quali l’alimentazione orale o la nutrizione enterale sono impossibili, sconsigliate o pericolose.
      La nutrizione parenterale può essere totale o parziale e si può effettuare attraverso due vie di
Infusione:
·        Catetere venoso centrale (diretto o con accesso periferico)
·        via venosa periferica.
 
La nutrizione parenterale totale in quantità sufficiente a sopperire ai fabbisogni per periodi prolungati di tempo, si può effettuare esclusivamente attraverso un catetere venoso centrale, cioè posizionato con l’estemità in vena cava. L’inserzione del catetere può avvenire attraverso una vena di grosso calibro (succlavia, giugulare), oppure attraverso una vena periferica (basilica, cefalica).  Ciò è necessario per somministrare le soluzioni nutritive iperosmolari ad elevato contenuto calorico (< 900 mOsm/l, a base di glucosio al 20-50%) che sono lesive dell’endotelio vasale; per rendere tollerabili tali soluzioni è necessario infondere in una vena ad alto flusso, che ne consenta la rapida diluizione nel sangue.
Con l’impiego delle soluzioni glucosate iperosmolari è possibile fornire un apporto calorico adeguato (variabile tra 25 e 50 kcal/die) in un volume di soluzione infuso relativamente modesto e quindi ben tollerato (2000-3000 ml/die). I principi nutritivi vengono miscelati in una sacca in materiale plastico biocompatibile, in modo asettico, e vengono somministrati utilizzando una pompa infusionale.
 
Dal punto di vista metabolico, tre periodi possono essere individuati durante l’esecuzione della N.P.T.; in queste tre fasi le modalità di somministrazione dei principi nutritivi, nonché la composizione delle sostanze infuse sono diverse, ciò per consentire all’organismo di utilizzare al meglio i substrati nutritivi e per evitare complicanze di ordine metabolico e circolatorio.
 
1)      Fase di induzione o di adattamento; la durata di questa fase nel paziente pediatrico va in genere da tre giorni nel paziente più grande a otto giorni nel neonato pretermine. Le miscele in questa fase sono composte da soluzioni glucosate di concentrazioni progressivamente crescenti, mescolate a soluzioni di aminoacidi in quantità tali da rispettare un rapporto ottimale per l’utilizzazione delle calorie.
 
2)      Fase di stabilità o di stato; essa viene raggiunta quando vi è un’ottima tolleranza ai compo-
nenti nutritivi (soprattutto al glucosio) ed un buon equilibrio idro-elettrolitico. Anche in questa fase si può aumentare o diminuire la quantità totale di soluzioni quotidianamente infuse per adeguarsi alle esigenze metaboliche del paziente.
 
 
3)      Fase dello svezzamento; quando si prevede la sospensione definitiva ed elettiva della N.P.
con catetere centrale, è indispensabile procedere ad una riduzione graduale e progressiva dell’apporto glucidico. Ciò viene generalmente effettuato nelle 24 ore con una riduzione graduale dell’infusione della soluzione ipertonica  in atto, oppure con soluzioni ipertoniche in concentrazione progressivamente decrescenti.
 
La nutrizione parenterale parziale si effettua solitamente mediante infusione delle miscele nutritive in una vena superficiale del braccio o sul dorso della mano; non permette l’impiego di soluzioni ipertoniche. Tuttavia utilizzando soluzioni glucosate al 10% (quale fonte concentrata di energia), è possibile somministrare fino a 1000-1500 kcal/die attraverso una vena periferica, cambiando accesso venoso ogni 3-4 giorni.
La nutrizione parenterale parziale è frequentemente utilizzata nel periodo perioperatorio, per la grande facilità e la sicurezza di impiego; ciò consente di effettuare un supporto nutrizionale
artificiale pari a circa 2/3 del fabbisogno calorico, anche per 1-2 settimane. Per la nutrizione parenterale di durata prolungata si deve invece obbligatoriamente utilizzare un catetere venoso centrale.
 
Se si pianifica una N.P.T. a lungo termine (oltre 2-3 mesi), è opportuno posizionare un catetere venoso centrale a permanenza, adottando particolari precauzioni per diminuire il rischio di infezione del catetere; in tal caso si utilizza un catetere tipo Broviac, tunnellizzato nel sottocutaneo.
 
 
L’applicazione corretta della N.P. con catetere centrale presuppone:
 
ü      Conoscenza delle indicazioni dei problemi inerenti all’inserimento e al mantenimento asettico del catetere;
ü      Conoscenza della formulazione o prescrizione, preparazione sterile e somministrazione monitorizzata delle soluzioni;
ü      Conoscenza dei problemi inerenti al controllo clinico e metabolico del paziente e delle possibili complicanze;
ü      Conoscenza dei vari protocolli di lavoro prestabiliti e del coordinamento dell’equipe richiesta per lo svolgimento del programma terapeutico.
 
3)    L’utilizzo di cateteri venosi centrali impregnati di antibiotico, è consigliato per pazienti adulti   
     che necessitano di cateterizzazione venosa centrale a breve termine(inferiore a10 giorni) e che
       sono ad alto rischio di CR-BSI. Sebbene la maggior parte degli studi siano stati condotti su    
       pazienti adulti, questi dispositivi sono stati approvati dall’FDA per l’utilizzo in piccoli pazienti
       con peso superiore o uguale a 3 Kg. Non sono invece utilizzabili in pazienti neonati di peso in-
       feriore ai 3 Kg.
 
 
4)      La tecnica della tunnellizzazione sottocutanea del tratto extravascolare del catetere inserito nelle vene centrali, può essere utilizzata soprattutto se si prevede un lungo periodo di impiego.
Questa scelta viene attuata allo scopo di impedire la migrazione all’interno del vaso dei microrganismi che eventualmente contaminano il sito di inserzione. Questo metodo consiste nel far uscire il catetere dalla cute in un punto lontano dal suo ingresso vascolare. Sono cateteri posizionati tramite un piccolo intervento chirurgico, con il quale si isola la vena(solitamente giugulare interna) e si crea un tunnel sottocutaneo, piuttosto lungo, all’interno del quale si posiziona la cuffia in materiale non assorbibile fissata al catetere. Ultimamente sono entrati in commercio anche cateteri di questo tipo inseribili con puntura diretta della cute e successivamente tunnellizzati, che hanno due vantaggi: si elimina il traumatismo chirurgico e si evita la legatura della vena utilizzata. La cuffia dopo qualche giorno crea nel sottocutaneo una reazione di granulazione ed il catetere rimane così fissato creando una ulteriore barriera difensiva in caso di risalita di germi colonizzanti il punto di fuoriuscita sulla cute.
Vengono utilizzati per la somministrazione di nutrizioni parenterali diversi tipi di dispositivi a permanenza che possiamo distinguere in due gruppi :
 
-         dispositivi parzialmente impiantabili (tipo BROVIAC)
-         dispositivi totalmente impiantabili(tipo “PORT”)
 
I primi, hanno un tragitto in parte sottocutaneo ed in parte esterno.
 
 Verso la metà del tragitto sottocutaneo il catetere possiede una sorta di rigonfiamento (detto “cuffia”) in dacron, che, reagendo con i tessuti sottocutanei dell’ospite, si oppone a possibili dislocazioni accidentali. I secondi sono totalmente sottocutanei.
 
Nei soggetti portatori di cateteri parzialmente inpiantabili complicanze sistematiche (infezioni) risultano relativamente frequenti, probabilmente in rapporto a maggior numero di manipolazioni necessarie per la loro gestione quando non in uso.
 
L’infezione del decorso sottocutaneo del catetere può essere causata da una ferita aperta vicino al luogo di inserzione o più frequentemente dalle manovre non perfettamente asettiche durante l’inserzione e/o la manutenzione del catetere.
 
L’infezione può essere localizzata inoltre al foro di inserzione o nel punto della tunnellizzazione del catetere.
 
 Questo tipo di infezione si verifica sia nei cateteri parzialmente impiantabili sia in quelli totalmente impiantabili.
 
 
Si tenga infine presente che:
 
·            Le infezioni del caterere tipo port, specie se localizzate al tunnel o alla tasca richiedono la rimozione del dispositivo.
·            Le infezioni micotiche e quelle da micobatteri richiedono sempre la rimozione del catetere.
 
                 -   apporre medicazione sterile per prevenire la contaminazione del sito oppure    
                            utilizzare medicazione con membrana semipermeabile trasparente che permette
                   con facilità l’ispezione del sito d’ingresso del catetere
      -   registrare la data della procedura in cartella o scheda infermieristica.
 
 
Sede di inserzione del catetere venoso centrale.
 
 
Così come la scelta del tipo di catetere deve essere attentamente valutata in base al suo successivo utilizzo ed alle condizioni cliniche del paziente, così anche la scelta della sede di inserzione, considerando anche le possibili complicanze infettive e meccaniche.
Nell’ambito pediatrico e neonatale le sedi di inserzione variano rispetto a quelle dell’adulto soprattutto a causa di una maggiore difficoltà a reperire accessi venosi sia  centrali che periferici.
.
Specificatamente nel neonato o piccolo pretermine, le vie di accesso venoso più utilizzate sono:
1)      la via ombelicale
2)      giugulare
3)      basilica e cefalica.
 
1)      Nel neonato è possibile utilizzare, inizialmente e per un breve periodo di tempo, la via ombelicale, facilmente reperibile ma non priva di difficoltà di  incannulamento e gestione. Il tempo di permanenza di un catetere ombelicale in poliuretano è di 10-15 giorni, molto di più per uno al silicone, tuttavia è sconsigliabile mantenere questa via per molto tempo, essenzialmente per il rischio di sepsi, più elevato rispetto a quello rilevato dall’uso di altri tipi di accessi venosi.
I fattori che comportano questo rischio, indipendentemente dalla gestione, sono     essenzialmente due: L’insorgenza della vena ombelicale è in pratica all’esterno del corpo, non vi è nessuna struttura cutanea o sottocutanea che separi l’ambiente dalla parete della vena e del catetere inserito, e questa particolare condizione anatomica consente una facile risalita di batteri nel caso di contaminazione; inoltre la parte restante, seppur minima del moncone ombelicale, è un ottimo terreno di coltura per i microrganismi eventualmente colonizzanti.
Una complicanza infettiva e/o reattiva molto grave, che può insorgere con l’uso di questi cateteri, è la trombosi della vena cava inferiore. Anche in ambiente protetto, è possibile utilizzare questa via solo se si ha la possibilità di eseguire un controllo radiografico che confermi la corretta posizione in vena cava inferiore del catetere, o come alternativa, comunque meno sicura, un cardiomonitor che possa evidenziare eventuali extrasistolie scatenate dalla punta del catetere sulla parete del cuore, e che possa rilevare l’onda ed il valore della pressione venosa centrale.
                                                                                 
Rischio infettivo
 
La via ombelicale è quindi ad alto rischio di infezioni; è di estrema importanza quindi tentare di mantenerla il più possibile pulita, eventualmente ricorrendo alla cateterizzazione vescicale e mantenendo la medicazione con pellicole impermeabili trasparenti da sostituire spesso soprattutto i primi giorni, quando è maggiore la possibilità che la medicazione si sporchi con sangue o sia molto umida a causa del moncone ombelicale residuo in via di decomposizione.
Ogni situazione anomala rilevata (arrossamenti circostanti, secrezioni di aspetto corpuscolato) deve essere tempestivamente segnalata, ed eseguito un monitoraggio microbiologico inviando subito ed ogni 3/4giorni un tampone ombelicale.
 
 
2)      Non vi sono differenze di tecnica per quanto riguarda l’incannulamento delle  vene giugulari rispetto all’adulto, ma l’eterogeneità dei pazienti pediatrici comporta diverse misure e lunghezze dei cateteri. Questi tipi di cateteri possono rimanere in sede, qualora non vengano rilevati problemi infettivi o irritativi a livello del foro di inserzione, non più di 20 giorni.
Vi sono alcuni problemi legati alla gestione delle vie giugulari, derivanti dal fatto che il collo molto corto dei neonati e dei lattanti causa spesso angolazioni del catetere  a livello della farfalla o del cono esterni creando iniziali problemi di occlusione, risolvibili con medicazioni compressive ed iperestensione del collo, e causando nel tempo fissurazioni del catetere stesso, evenienza non infrequente. E’ molto importante quindi, controllare periodicamente che la medicazione non sia bagnata, segnale di rottura del catetere: in questo caso infatti non vi è quasi mai fuoriuscita di sangue dalla lesione; le pompe infusionali non danno nessun avvertimento in quanto continuano a funzionare con regolarità. Una disattenzione in questo senso può portare sia ad una mancata somministrazione di liquidi e  soprattutto di farmaci, spesso essenziali per la stabilità emodinamica del bambino, sia all’ occlusione del catetere, che non potrà più essere sostituito con la semplice manovra di introduzione di una guida metallica.
 
 
                                                Rischio infettivo
 
Il rischio infettivo di questi cateteri è discretamente elevato, il catetere infatti attraversa le strutture anatomiche per un breve tratto prima di immettersi in una vena di grosso calibro e già in prossimità del cuore.
 
   3)      Nei neonati o piccoli prematuri, altra sede scelta come sito di inserzione del catetere venoso centrale è quella della vena basilica o cefalica che si trovano a livello della piega del gomito. E’ sicuramente la via di accesso meno traumatizzante per il bambino ed esente da complicanze immediate, comunque non priva di difficoltà di posizionamento e gestione L’incannulamento venoso prevede l’inserzione della cannula per via per cutanea o mediante incisione chirurgica.
La via percutanea costituisce il metodo di incannulamento venoso(centrale e periferico) più utilizzato. Essa prevede la puntura della vena prescelta per mezzo di un ago che attraversa la cute ed i piani sottostanti sulla guida di reperi cutanei ed osteomuscolari (puntura a cielo coperto). Il catetere può entrare nel sistema vascolare in vari modi:
 
-         direttamente all’interno dell’ago
-         Direttamente all’esterno dell’ago
-         all’interno della cannula plastica precedentemente inserita
-         lungo la guida metallica introdotta nell’ago che ha punto la vena(tecnica di            Seldinger); questa tecnica, utilizzando aghi di piccolo calibro viene proposta   
                        per ridurre il trauma ed il rischio di complicanze.
 
          La tecnica chirurgica che prevede l’incisione, esposizione ed incannulamento
          è associata ad un più elevato rischio di infezione.
 
Rischio infettivo
   
Dal un punto di vista di contaminazioni batteriche, questa sede è piuttosto sicura in quanto una eventuale infezione del punto di ingresso incontra, nella progressione, prima uno stato sottocutaneo,seppur breve, poi una vena periferica molto distante dai grossi vasi: è quindi relativamente facile accorgersi della iniziale infezione, che si presenta come una flebite, prima che questa crei gravi problemi di sepsi.     
 
Preparazione della N.P.T.
 
L’infermiere è coinvolto in tutte le fasi della nutrizione clinica.
 
La preparazione della N.P.T. viene svolta in Farmacia, in una camera sterile, sotto cappa a flusso laminare. I vantaggi sono: un prodotto sterile privo di errori, di cui la formulazione è personalizzata e l’esenzione del personale di reparto dalla preparazione.
 
 Un’impostazione corretta del servizio di preparazione della N.P.T. prevede le seguenti fasi a cui l’infermiere deve porre estrema attenzione:
 
-         Raccolta dati. Viene effettuata principalmente al mattino. Gli infermieri addetti a tale servizio si recano nei reparti dove il medico avrà fatto le richieste di N.P.T., verranno riportati su apposito registro tutti i dati del paziente: nome, cognome, età, peso, altezza, patologia, motivo della richiesta, via di accesso vascolare, tipo di catetere. Tutte queste informazioni consentiranno al Farmacista di formulare una N.P.T. personalizzata.
 
-         Preparazione camera sterile. Il preparatore di farmacia si occupa della pulizia e disinfezione della camera sterile. La cappa a flusso laminare e tutti i ripiani vengono passati con alcool 70°, come tutto il materiale (flaconi, fiale, ecc) che viene utilizzato. Si occuperà inoltre della sterilizzazione di: camici, garze, spazzolini, elastici, forbici, pinze, klammer, buste per contenere le sacche pronte.
 
-         Preparazione delle sacche per N.P.T. Solo il personale addetto può entrare in camera sterile, munito di cappellino e mascherina. Si procede al lavaggio delle mani con tecnica asettica, si segue la vestizione con camice e guanti sterili. Ha inizio la preparazione. La scelta della sacca è fatta in base al volume totale della soluzione da infondere. Per il riempimento, che avviene utilizzando una riempitrice automatica, si segue uno schema prestabilito: 1) glucidi, 2) aminoacidi, 3) acqua, 4) sali, 5) oligoelementi, 6) farmaci, 7) vitamine, 8) lipidi. Alle sacche viene inserito il deflussore idoneo alla pompa d’infusione usata per il reparto. La sacca così completa verrà protetta dalla luce con la carta stagnola ed etichettata con il nome del paziente, data, volume totale e millilitri orari da infondere. La sacca viene inserita in una busta sterile, ed inviata in reparto.
 
 
Se le soluzioni devono essere approntate in reparto occorre osservare alcune regole fondamentali:
 
·        Materiali occorrenti:
 
-   Sacche in materiale plastico inerte provviste di tre punti di introduzione per i nutrienti
     di maggiore volume(glucosio, aminoacidi, acqua) e di una ulteriore
     via di ingresso per quelli di minor volume(elettroliti, minerali, vitamine, eventualmente lipi-
     di, che in alcuni centri vengono ancora somministrati in seconda via).
 
 
-         Burette graduate che si raccordano alla sacca per il calcolo dei volumi introdotti. In tale modo si possono costituire soluzioni utilizzando un sistema chiuso o semichiuso con aria filtrata, che riduce in pratica a zero il rischio di contaminazione batterica (è consigliabile eseguire periodicamente controlli microbiologici sulle soluzioni parenterali, in particolare nei primi periodi di utilizzo di tale pratica).
 
·        Il luogo di preparazione delle miscele parenterali deve essere all’interno del reparto, in un ambiente apposito e pulito. Deve essere una stanza di piccole dimensioni, con il minimo indispensabile di suppellettili, una sola entrata ed elusivamente adibita alla preparazione di soluzioni per N.P.T. e farmaci. Indispensabile nella stanza, o ancor meglio all’ingresso, un lavandino.
 
·        Il materiale posto in questa stanza deve essere il minimo necessario:
 
-         Fiale delle varie componenti elettrolitiche.
-         Siringhe monouso.
-         Infusori.
-         Disinfettanti, garze sterili, mascherine, guanti, cappe e telini sterili.
 
·        Chi si appresta a questa manualità deve eseguire con massimo senso di responsabilità un protocollo: successione precisa di gesti da compiere.
 
·        Le mani sono un importante veicolo di trasmissione e quindi devono essere accuratamente lavate prima di preparare le soluzioni.
 
·        La preparazione delle sacche per N.P.T. prevede l’impiego di due operatori di cui uno vestito sterilmente, che prepara materialmente la sacca, mentre il secondo coadiuva il lavoro del primo, manipolando il materiale non sterile.
 
  •  
    È altresì importante che nella stanza non entrino persone durante la fase di allestimento.
 
  •  
    Nella preparazione di una soluzione per N.P.T. è necessario controllare che tutti i flaconi presentino le caratteristiche di idoneità all’uso (la data di scadenza, assenza di precipitati, limpidezza, ecc).
 
Per gli additivi e i farmaci impiegati per la preparazione delle soluzioni è preferibile utilizzare confezioni monodose; quando si utilizzano flaconi multidose è necessario che questi siano correttamente utilizzati e conservati, seguendo le principali norme di asepsi e le istruzioni fornite dalla casa farmaceutica.
 
Gestione della linea venosa centrale
 
Le infezioni associate a dispositivi intravascolari sono correlate a due principali fonti: la contaminazione del lume del CVC da parte di microorganismi presenti nel fluido infusionale e la contaminazione della superficie esterna del catetere con conseguente passaggio del germe dal sito di infezione al torrente circolatorio.
 
La contaminazione dei fluidi infusionali oggi è piuttosto rara.
 
Il corretto mantenimento di un CVC e la cura scrupolosa del sito di inserzione sono componenti essenziali per una strategia di prevenzione delle infezioni CVC correlate. Questo include la corretta gestione di tutta la linea infusionale (prolunghe, raccordi, rubinetti), l’uso di una appropriata medicazione del sito di inserzione e di soluzioni di lavaggio per il mantenimento della pervietà del CVC.
 
Le mani vanno accuratamente lavate prima di inserire o manipolare ogni dispositivo intravascolare.
 
 La durata ottimale del lavaggio delle mani è ancora in fase di studio.
I componenti sterili della linea infusionale vanno assemblati sterilmente (uso di guanti sterili, mascherina e copricapo) al momento dell’inizio della somministrazione, riducendo al minimo il numero di ports, connessioni e colonne cieche di fluido infusionale (CAT A GR II).
 
La contaminazione della linea venosa fornisce un importante contributo alla colonizzazione batterica intraluminale del catetere, soprattutto in quelli a lunga permanenza.
 
La manipolazione frequente della linea aumenta il rischio di contaminazione.
È quindi dimostrato che prima di accedere al sistema è necessaria la disinfezione delle superfici esterne di raccordi e connettori con soluzioni acquose di clorexidina o iodopovidone (salvo diversa indicazione del produttore per incompatibilità dei materiali).
 
Tutto il sistema infusionale deve essere sostituito alla sostituzione del CVC, e comunque ad intervalli di 72 ore, salvo diversa prescrizione medica.
L’uso del biopatch (impregnato di clorexidina), per la medicazione nella sede di inserzione del catetere sembra ridurre in modo significativo la colonizzazione della punta del catetere nei pazienti pediatrici.
 
In caso di infusione di sangue, e suoi derivati o emulsioni lipidiche tutto il sistema va sostituito alla fine della somministrazione e comunque entro le 24 ore dall’inizio della stessa (CAT C; CAT B GR III).
La scelta della corretta medicazione del sito di inserzione riduce il rischio di infezione. La caratteristica fondamentale di una medicazione deve essere la permeabilità al vapore acqueo. Infatti l’ambiente umido favorisce il rapido sviluppo della microflora cutanea. I due tipi più comuni di medicazione usati sono la “medicazione trasparente” in poliuretano sterile, semipermeabile (Opsite, Tegaderm) e la garza sterile con cerotto.
 La medicazione trasparente assicura una stabile adesione alla cute, una immediata ispezione del sito di inserzione, la possibilità di assicurare al paziente una adeguata igiene personale (può infatti essere bagnata) e richiede sostituzioni meno frequenti, con notevole risparmio di tempo del personale in assistenza.
Se dal punto di vista del rischio di contaminazione non esistono studi in grado di dimostrare l’efficacia di una rispetto all’altra, valutato il rapporto costo/beneficio, ne è sconsigliato l’uso routinario. Entrambe le medicazioni vanno sostituite ogni 48 ore o all’occorrenza, quando bagnate, staccate o sporche e ogni qual volta sia necessaria l’ispezione del sito.
 
La sorveglianza include l’ispezione del sito frequente, sia per diretta osservazione, sia tramite delicata palpazione attraverso la medicazione intatta. Alcuni studi sull’uso di unguenti antimicrobici da applicare sotto la medicazione allo scopo di prevenire infezioni non ne hanno dimostrato l’efficacia.
 
Il mantenimento della pervietà del lume del CVC e la prevenzione della formazione di trombosi riduce il rischio infettivo. L’infusione di soluzione salina eparinata o semplice soluzione salina ha lo scopo di prevenire trombosi e la conseguente “adesione” microbica al catetere, prolungandone la pervietà.
 In particolare alcuni studi hanno dimostrato che l’uso dell’eparina riduce significatamene la colonizzazione batterica e mostra una forte ma non significativa riduzione delle batteriemie CVC correlate.
 Nonostante alcuni studi abbiano dimostrato che la somministrazione routinaria di eparina, anche se a basso dosaggio, in alcuni pazienti abbia portato a disordini coagulativi e complicanze, dato il rapporto rischio/beneficio nella prevenzione delle infezioni, il suo uso è raccomandato.
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Va inoltre segnalato che: i campioni ematici non vanno prelevati da un catetere destinato alla N.P.T., tranne quando sia indispensabile o quando si sospetta una batteriemia CVC correlata. È preferibile l’uso di un catetere multilume, uno dei quali dedicato esclusivamente al prelievo ematico (CAT A GR III).
Tutto il sistema intravascolare, compreso il CVC, va sostituito in caso di infezione accertata o fortemente sospettata.
 
Se si tratta di CVC a lunga permanenza si fa un tentativo con la terapia antibiotica, evitando la rimozione del catetere, sempre che lo permettano le condizioni del paziente (CAT A GR III).
 
 
 
 
Complicanze infettive
 
Le infezioni catetere correlate sono classificate nei seguenti modi:
 
Colonizzazione del catetere
 
Si verifica quando un microrganismo è isolato dal segmento intravascolare del catetere (punta del catetere) ma si tratta di un organismo saprofito, oppure la sua crescita è considerata insufficiente come causa di infezione. Non si ha setticemia, né evidenza di infiammazione locale o sistemica.
 
Infezione correlata al catetere
 
In questo caso un patogeno è isolato dalla punta del catetere e la sua crescita è sufficiente a causare un’infezione. Questa condizione non è accompagnata da sepsi, ma può costituire un preludio. Segni di infiammazione locale (per esempio eritema o purulenza nel punto di inserzione) o sistemica (febbre o leucocitosi) possono essere presenti come assenti. (una possibilità, quest’ultima, che rende in parte insoddisfacente la descrizione di questa condizione, poiché è possibile che si verifichi un’infezione correlata al catetere senza che siano osservabili segni clinici di infiammazione o infezione).           
 
Sepsi correlata al catetere
 
In questo caso lo stesso organismo patogeno viene individuato sulla punta del catetere e nella circolazione sistemica. La crescita dell’organismo sul catetere  è sufficiente a indicare nel catetere la causa primaria della sepsi.
 
Vie di infezione
 
 La figura 1 mostra le vie più comuni di setticemia correlata a catetere. Vediamola ora, facendo riferimento ai corrispondenti numeri.
 
1)      Gli agenti infettivi possono penetrare nel lume interno dei cateteri vascolari attraverso punti di discontinuità del sistema di infusione. Le infezioni per questa via possono essere limitate mantenendo un sistema di infusione chiuso ed evitando collegamenti non necessari nel sistema.
 
2)      Gli agenti infettivi sulla superficie della pelle migrano lungo il tratto sottocutaneo creato dai cateteri in sede. Questa è considerata la via principale delle infezioni correlate al catetere; la sua evidenza, tuttavia, non è convincente.
 
3)       I microorganismi del sangue circolante possono rimanere intrappolati nella rete che circonda i segmenti intravascolari dei cateteri in sede. In questo modo, la guaina di fibrina funziona da filtro per il sangue circolante, così come i filtri impiegati nelle emotrasfusioni. Questa via di infezione viene generalmente ignorata, ma può diventare rilevante nei pazienti critici
 
figura 1. 
 
 
Considerazioni speciali per le infezioni da catetere nei pazienti pediatrici.
Come negli adulti, anche nei bambini la maggior parte delle BSI è correlata con l’uso di catetere
La prevenzione delle suddette infezioni, richiede ulteriori considerazioni, sebbene solo alcuni studi siano stati specificatamente condotti nei bambini. I dati pediatrici sono stati ricavati principalmente da studi in unità di terapia intensiva neonatale e pediatrica e in pazienti pediatrici oncologici.
 
Epidemiologia
 
. Dal 1995 al 2000, il numero di infezioni correlate a catetere nelle ICU pediatriche è stato di 7,7 per mille cateteri/die. La frequenza di infezioni in bimbi di peso < 1 kg per cateteri venosi centrali o cateteri ombelicali è stata di 11,3 per mille/die, mentre al di sopra di questo peso è stata di 4 per mille cateteri/die. Non c’è stata differenza per CRBSI o BSI senza una sorgente di contagio ben determinata.
 
L’incidenza > di infezioni da CVC o ombelicale nel paziente neonato fortemente immaturo, è correlato anche allo stato di immaturità della cute e dei tessuti sottostanti.
Il biopatch è stato associato a dermatite da contatto localizzata in bambini di bassissimo peso. Di 58 neonati di basso peso, 15 (circa il 15%) hanno sviluppato dermatite da contatto; solo 4 (1,5%) di 357 neonati di peso > 1 kg hanno sviluppato una dermatite (p < 0,0001).
 
I neonati di età gestazionale < a 26 settimane in cui era stato messo un catetere venoso centrale a meno di 8 giorni di vita extrauterina erano a maggior rischio di sviluppare dermatite da contatto, mentre nessuno dei neonati normali, a termine, di un gruppo di controllo, ha sviluppato la stessa reazione.
 
Indicazione di prestazione
 
Gli indicatori di prestazione per ridurre le CRBSI sono:
 
-         L’implementazione di programmi didattici che richiedono componenti didattiche e interattive per coloro che posizionano e gestiscono i cateteri.
 
-         Uso delle massime barriere sterili cautelative durante il posizionamento dei cateteri.
 
-         Uso della clorexidina per l’antisepsi cutanea.
 
-         Tempestività nell’ablazione del catetere quando questo non sia più essenziale per il trattamento medico del paziente.
 
L’impatto di queste raccomandazioni dovrebbe essere valutato per ogni istituzione usando specifici indicatori di prestazione.
 
Educazione degli operatori sanitari e training
 
-         Educare gli operatori sanitari riguardo l’uso e l’indicazione dei cateteri intravascolari (procedure adeguate per l’introduzione dei cateteri e mantenimento degli stessi, prevenzione delle infezioni da catetere). CAT I A.
 
-         Verificare la conoscenza e il rispetto delle linee guida periodicamente per tutto il personale che introduce e gestisce i cateteri endovascolari. CAT I A.
 
-         Assicurare un appropriato livello assistenziale del personale infermieristico in ICU per minimizzare l’incidenza di CRBSI. CAT I B.
 
Microbiologia
 
La maggior parte delle CRBSI nei bambini è dovuta a stafilococco coagulasi negativa. Nel periodo tra il1992 e il 1999 questi germi erano responsabili del 37,7% delle BSI nelle ICU pediatriche. I batteri gram negativi erano responsabili del 25% delle BSI nelle ICU pediatriche, mentre gli enterococchi e le Candida Species erano responsabili rispettivamente del 10% e 9%.
  
 Studio delle infezioni nosocomiali nella U.O. di Anestesia e Rianimazione Neonatale e Pediatrica dell’Istituto Giannina Gaslini: incidenza, aspetti eziologici, fattori di rischio e proposte operative per misure di controllo.
 
Le sepsi gravi in età neonatale possono essere a trasmissione verticale o nosocomiale, mentre in altre età pediatriche sono a trasmissione comunitaria o nosocomiale. (diapositiva a)
 

 
Sepsi gravi in età pediatrica.
 
·          Età neonatale:                         trasmissione verticale
                                                                  trasmissione nosocomiale
 
·          Altre età pediatriche:             trasmissione comunitaria
                                                                  trasmissione nosocomiale
                                      diapositiva a 
 

                                                                      
Le sepsi neonatali possono essere ad insorgenza precoce (entro le prime 72 ore di vita) (diapositiva b)
 
 

Sepsi neonatali.
 
·          Insorgenza precoce:                < 72 ore
 
·          Insorgenza tardiva:                 > 72 ore
                           
                                        diapositiva b
                    

 
Le sepsi neonatali ad insorgenza tardiva hanno generalmente origine nosocomiale, i principali agenti eziologici sono CNS  con mortalità fino all’11%, ed i gram positivi che possono causare il 70% di queste infezioni. (diapositiva c)
 

Sepsi neonatali ad insorgenza tardiva ( > 72 ore)
 
·          Origine nosocomiale nella maggior parte dei casi
 
·          Principali agenti eziologici: CNS. Mortalità fino all’11%
 
·          Fino ad oltre il 70% di queste infezioni possono essere causate da Gram-positivi
 
Stall. J Pediatrics, 2002; Mahr. J Ped Child Health, 2002
 
                                        diapositiva c 

 
La conseguenza è un aumento quantificabile della durata del ricovero, dei costi e della mortalità. (diapositiva d)
 

Sepsi nosocomiali
 
·          Aumento quantificabile della durata del
ricovero in ospedale, dei costi diretti e
della mortalità, nelle sepsi nosocomiali
confermate dai dati colturali.
 
(Orsi, Infect Control Hosp Epidemiol, 2002)
 
                              diapositiva d
 

 
Nel periodo compreso tra il 15 gennaio 2000 e il 15 luglio 2000 sono stati ricoverati nella U.O. di Anestesia e Rianimazione Neonatale e Pediatrica dell’istituto Giannina Gaslini 225 pazienti.
Tra questi 83 erano neonati (51 maschi e 32 femmine) e 144 non neonati (90 maschi e 54 femmine). (diapositiva 1 e 2)
 

           Sepsi nosocomiali in età neonatale
U.O. Anestesia e Rianimazione Neonatale e Pediatrica
                        Ist. G. Gaslini
 
·          Periodo 15 Gennaio-15 Luglio 2000
·          83 pazienti (51 maschi, 32 femmine)
·          incidenza delle infezioni: 33,3%
·          incidenza delle sepsi: 57% delle infezioni
·          mortalità: 3,7%
 
                     diapositiva 1
 

 

 
            Sepsi nosocomiali in età pediatrica
U.O. Anestesia e Rianimazione Neonatale e Pediatrica
                       Ist. G. Gaslini.
 
·          Periodo 15 Gennaio-15 Luglio 2000
·          144 pazienti (90 maschi, 54 femmine)
·          incidenza delle infezioni: 13,8%
·          incidenza delle sepsi: 40% delle infezioni
 
                        diapositiva 1

 
 
Tra 225 pazienti osservati 158 hanno subito un intervento chirurgico (44 neonati e 144 non neonati), nel 63,3% dei casi si è trattato di interventi cardiochirurgici per la correzione di malformazioni cardiache congenite; negli altri casi si è trattato prevalentemente di interventi di neurochirurgia, chirurgia addominale od ortopedica.
 
Incidenza delle infezioni nosocomiali.
 
Durante questo periodo di osservazione si sono verificate 47 infezioni nosocomiali, corrispondenti ad una incidenza globale del 20,9%.
La distribuzione delle infezioni è stata poi esaminata considerando la sede: le infezioni più frequenti sono state le sepsi (27 casi, pari al 57%), seguite dalle polmoniti (14 casi, pari al 29,8%) e dalle infezioni delle vie urinarie (6 casi, pari al 12,8%).
L’incidenza di infezioni nosocomiali risulta molto diversa tra il gruppo di pazienti neonati ed il gruppo di pazienti di età superiore ad un mese;tra gli 81 neonati infatti si sono verificati 27 episodi infettivi, corrispondenti ad una incidenza del 33,3%, mentre tra i pazienti non neonati i casi di infezione registrati sono stati 20, pari ad una incidenza del 13,8%.Le sepsi sono state le infezioni più frequenti in entrambi i gruppi di pazienti.
 
                                                                                                                 distribuzione delle infezioni nosocomiali per sede.
 
 
 
distribuzione delle infezioni nosocomiali per sede nei pazienti neonatali.
 
      
Notazioni clinico-epidemiologiche.
 
-         Importanza eziologia degli stafilococchi coagulasi-negativi, impatto emergente degli stafilococchi NANE, con particolare concentrazione per le sepsi. Tali ceppi hanno un grado estremo di resistenza a oxacillina e gentamicina, mentre si rilevano minori livelli medi di sensibilità ai glicopeptidi. Bassa incidenza di MRSA, tale effetto sembra legato a fattori di rischio altamente significativi come N.P.T. e CVC prolungati, unitamente alla progressione antibiotica con antibiotici ad ampio spettro, esercitata in particolare sui glicopeptidi.
-         Tra i fattori di rischio, sembrano degni di misure di controllo quelli legati alle manovre invasive vascolari ed ai batteri più frequentemente causa di sepsi, quali gli stafilococchi coagulasi negativi.
 
Proposte per misure di controllo.
 
-         puntualizzazione degli standard di gestione per le manovre invasive,in particolare quelle  maggiormente gravate da infezioni da ceppi resistenti ed emergenti (CVC,N.P.T.).
-         rivalutazione della politica degli antibiotici con: reale profilassi perioperatoria short term (sole cefalosporine I o II gen. senza  aminoglucosidi); terapia d’attacco ragionata senza glicopeptidi e amikacina (es netilmicina + penicillina con inattivatore beta-lattamasi); uso solo mirato delle cefalosporine di III generazione; uso di standard di gestione e non di copertura antibiotica prolungata per manovre invasive prolungate come CVC, CV e ventilazione meccanica.
-         Isolamento di contatto dei pazienti con ceppi batterici resistenti
-         Sorveglianza microbiologica continuativa
-         Impiego di markers sensibili di infezione e in particolare di sepsi neonatale (dosaggio procalcitonina sierica, impiego dello score NOSEP per sepsi neonatale).
 
 
                                            Conclusioni
 
Obiettivi:
 
·        Analizzare le pratiche assistenziali esistenti
·        Studiare la letteratura inerente gli argomenti di maggiore interesse
·        Costruire e verificare gli strumenti operativi
·        Stabilire gli obiettivi assistenziali
·        Definire le fasi operative
·        Definire gli indicatori di qualità
 
È fondamentale creare un gruppo di lavoro cui partecipano infermieri addetti al controllo e medici.
Gli operatori devono essere coinvolti affinchè gli interventi si dimostrino efficaci. La riunione di reparto è un momento fondamentale dal quale devono emergere tutti i problemi relativi alle pratiche assistenziali, di base o specialistiche, che il personale adotta quotidianamente. È necessario concordare sempre le decisioni che non devono mai configurarsi come direttive esterne.
 
Uno dei primi obiettivi di un programma di controllo ha lo scopo di :
-         eliminare tutte le misure di inefficacia dimostrata
-         fare emergere e valutare le misure efficaci.
 
È necessario quindi porsi il problema di come continuare a rinforzare e stimolare l’adozione di pratiche assistenziali corrette, per migliorare sempre la nostra professione.
 
 
 
 
“Di tutti i mali è il nutrimento il rimedio migliore”
(Ippocrate)
 
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