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Intraossea in emergenza: valutazione del consenso da parte degli infermieri

 

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Congresso Nazionale Aniarti 2002

Emergenza, cure intensive e Livelli Minimi di Assitenza

Sorrento (NA), 07 Novembre - November 2002 / 09 Novembre - November 2002

» Indice degli atti del programma

2° Intervento Mirko Margiocco

09 Novembre - November 2002: 10:00 / 10:30

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PROFILI GENERALI DI RESPONSABILITA' PENALE

A CARICO DELL'INFERMIERE PROFESSIONALE

 

Dott. Mirko Margiocco

Procuratore della Repubblica

Modena

* * * * *

 

Nell'affrontare il tema di questa relazione ritengo opportuno formulare una premessa sui contenuti della mia esposizione.

Non è infatti ad un "giurista" che compete l'individuazione precisa degli interventi che un infermiere può correttamente compiere ovvero delle relative modalità di espletamento delle proprie mansioni, essendo queste tematiche legate alla disciplina della medicina legale.

Il contributo che credo invece di poter dare alla preparazione professionale della categoria infermieristica è quello di delineare i metodi con cui i quali pervenire ad una maggiore consapevolezza dell'ambito del proprio intervento attraverso l'applicazione dei principi generali del diritto penale in tema di responsabilità per colpa, con particolare riferimento a due tipologie specifiche di reato, connessi ad eventi lesivi della salute del paziente: le lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) e l'omicidio colposo (art. 589 c.p.).

Per questo, penso sia doveroso fornire in questa sede una panoramica generale sulla consistenza attuale del concetto giuridico di colpa di cui può farsi carico all'infermiere dopo l'approvazione della legge n. 42 del 1999 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie), con attenzione anche al problema del monitoraggio del paziente.

 

L’abolizione del c.d. mansionario (d.p.r. 225/74, d.p.r. 163/75 e d.p.r. n. 680/68) e della definizione di “ausiliario” del ruolo della professione infermieristica, frutto dell'approvazione della legge n. 42 del 1999, hanno certamente accentuato, oltre alla rilevanza del ruolo dell'infermiere professionale, anche i suoi possibili ambiti di responsabilità.

Parimenti, la legge sulla “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica” del 10 agosto 2000 n. 251, ha ribadito l’espansione della dimensione della figura dell’infermiere professionale; in particolare, credo sia di notevole rilievo la previsione del riconoscimento alla categoria infermieristica di un ruolo di “pianificazione per obiettivi di assistenza” (v. art. 1). La circostanza che competa alla stessa categoria interessata, la pianificazione e quindi l’organizzazione delle proprie attività professionali, appare conquista di non scarso rilievo.

 

Connotazioni particolari assume nel nostro ordinamento la colpa (per imperizia) del professionista, dal momento che per questa si è posto nella pratica uno specifico dilemma: il professionista – in sede di giudizio penale - deve essere chiamato a rispondere solo per colpa grave (art. 2236 c.c.) ovvero quest’ultima norma, quale precetto eccezionale, è di stretta interpretazione?

La soluzione a cui pare essere pervenuta la più recente giurisprudenza è nel senso che, per l’affermazione della responsabilità del professionista, valga  la disciplina generale sulla colpa, senza nessuna restrizione particolare, salva la valutazione della speciale difficoltà della prestazione quale indice di un minor grado di colpa, in sede di comminazione della pena (art. 133 c.p.).

Su questo argomento, v.:

ANNO/NUMERO: 9801693                              RIVISTA: 210351

SENT.: 01693       29/09/1997 - 11/02/1998        SEZ.: 4

PRES.: Nappi M                                    EST.: Losapio MD

  P.M.: Galati G

RIC.: Azzini ed altro

(Annulla senza rinvio, App. Venezia, 18 aprile 1996).

609080

REATO - ELEMENTO SOGGETTIVO (PSICOLOGICO) - COLPA - IN GENERE -             Colpa professionale medica - art. 2236 cod. civ. - Applicabilita' -

        Esclusione - Ragione.

589011

PROFESSIONISTI - MEDICI E CHIRURGHI - Colpa professionale  - art. 2236 cod. civ. - Applicabilita' - Esclusione - Ragione.

 

CP 0043

CC 2236

 

In tema di colpa professionale medica l'accertamento va effettuato in base non alle norme civilistiche sull'inadempimento nell'esecuzione del rapporto contrattuale ma a quelle penali; cio' in quanto la condotta colposa, implicante giudizio di responsabilita' penale, incide su beni primari, quali la vita o la salute delle persone, e non gia' su aspetti patrimoniali-economici.

CONFORMITA': 8308784 160826

CONFORMITA': 8402734 163321

CONFORMITA': 9109553 188199

 

ANNO/NUMERO: 9104028                              RIVISTA: 187774

SENT.: 04028       22/02/1991 - 12/04/1991        SEZ.: 4

PRES.: Lo Coco G                                  EST.: Caizzone G

  P.M.: Suriano

RIC.: Lazzeri

(Rigetta, App. Firenze, 19 marzo 1990).

609080

Reato - Elemento soggettivo (psicologico) - Colpa – In genere -           Professionale del sanitario - Valutazione nell'ambito dei criteri

dettati dall'art. 43 Cod.Pen. - Applicabilita' dell'art. 2236 cod.civ. - Esclusione.

 

CP 0043

CC 2236

 

L'accertamento della colpa professionale del sanitario deve essere valutata con larghezza e comprensione per la peculiarita' dell'esercizio dell'arte medica e per la difficolta' dei casi particolari, ma pur sempre nell'ambito dei criteri dettati per l'individuazione della colpa medesima dall'art. 43 del cod.pen..

Tale accertamento non puo' essere effettuato in base al disposto dell'art. 2236 del codice civile, secondo cui il prestatore d'opera e' esonerato dall'obbligo del risarcimento dei danni, quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta', tranne che nell'ipotesi di commissione del fatto con dolo o colpa grave.

L'applicabilita' di tale norma e' esclusa dalla sistematica disciplina del dolo e della colpa in diritto penale per la quale il grado della colpa e' previsto solo come criterio per la determinazionE della pena, o come circostanza aggravante, e mai per determinare la stessa sussistenza dell'elemento psicologico del reato, sicche' il minor grado della colpa non puo' avere in alcun caso efficacia scriminante.

 

Recentemente in questi termini, si è espressa Cass. Pen. Sez. VI, 1/10/99-25/2/2000 n. 2285, Altieri, ove si legge: la colpa professionale del sanitario dev’essere valutata nell’ambito dei criteri generali dettati dal sistema penale e non di quelli, eccezionali e non suscettibili di interpretazione analogica, previsti dall’art. 2236 c.c., i quali attengono alla materia contrattuale (riduzione del compenso ed, eventualmente, risarcimento del danno derivante dall’inadempimento o dal non esatto adempimento dell’obbligazione assunta dal professionista, come si evince dallo stesso art. 2236 c.c. e dall’art. 226 co. III c.c., in relazione al disposto degli artt. 1668 e 2230 dello stesso codice). Tuttavia, la peculiarità delle situazioni che possono presentarsi in un quadro patologico complesso e difficile non può escludere del tutto l’incidenza del criterio previsto dall’art. 2236 c.c. nella valutazione della sussistenza della colpa, sia in relazione alle circostanze in cui l’esercente la professione sanitaria si trova concretamente a operare, sia in considerazione del grado di specializzazione esigibile dall’agente e del livello di conoscenze raggiunto dalla scienza medica nella diagnostica e nella terapia del caso concreto.

 

Del pari assai severo appare l’atteggiamento della giurisprudenza sul tema della affermazione del nesso causale tra la condotta del personale sanitario e le possibili compromissioni della salute del paziente. V. le decisioni che seguono:

ANNO/NUMERO: 9711779                              RIVISTA: 209057

SENT.: 11779       12/11/1997 - 16/12/1997        SEZ.: 4

PRES.: Viola G                                    EST.: Merone A

 P.M.: Frangini B

RIC.: P.M. in proc. Van Custem

(Annulla con rinvio, App. Trieste, 12 marzo 1996).

609004

REATO - CAUSALITA' (RAPPORTO DI) - CONCORSO DI CAUSE - Morte a seguito di lesioni - Colpa del medico - Interruzione del nesso di causalita' con la condotta dell'agente - Esclusione - Ragioni - Con riferimento a comportamento colposo per omissione.

 

CP 0040

CP 0041

 

Nel caso di lesioni personali seguite da decesso della vittima dell'azione delittuosa, l'eventuale negligenza o imperizia dei medici non elide il nesso di causalita' tra la condotta lesiva dell'agente e l'evento morte. La colpa dei medici, infatti, anche se grave, non puo' ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell'agente che, provocando il fatto lesivo, ha reso necessario l'intervento dei sanitari. (Ha precisato la corte che la negligenza od imperizia dei sanitari non costituisce di per se' un fatto imprevedibile ed atipico rispetto alla serie causale precedente di cui costituisce uno sviluppo evolutivo, anche se non immancabile.

Tale conclusione non puo' mai essere messa in discussione allorquando, l'eventuale colpa medica sarebbe di tipo omissivo.

Infatti, mentre e' possibile escludere il nesso di causalita' in ipotesi di colpa commissiva, in quanto il comportamento del medico puo' assumere i caratteri della atipicita', la catena causale resta invece integra allorquando, vi siano state delle omissioni nelle terapie che dovevano essere praticate per prevenire complicanze, anche soltanto probabili, delle lesioni a seguito delle quali era sorta la necessita' di cure mediche. L'errore per omissione non puo'

mai prescindere dall'evento che ha fatto sorgere l'"obbligo" delle prestazioni sanitarie. L'omissione, da sola, non puo' mai essere sufficiente a determinare l'evento proprio perche' presuppone una situazione di necessita' terapeutica che dura finche' durano gli effetti dannosi dell'evento che ha dato origine alla catena causale).

CONFORMITA': 9501815 202686

 

ANNO/NUMERO: 9301594                              RIVISTA: 193052

SENT.: 01594       20/01/1993 - 22/02/1993        SEZ.: 3

PRES.: Cavallari G                                EST.: Giammanco P

                                                  P.M.: Carlucci

RIC.: P.M. in proc. Conte

(Dichiara inammissibile, App. Napoli, 26 maggio 1992).

609003

Reato - Causalita' (rapporto di) - In genere - Colpa medica - Criterio di probabilita' - Sufficienza.

 

CP 0040

 

In tema di responsabilita' per colpa professionale del medico, nella ricerca del nesso di causalita' tra la condotta dell'imputato e l'evento, trova applicazione non il criterio della certezza, ma quellI della probabilita' degli effetti della condotta.

 

SENT.: 07650       27/04/1993 - 06/08/1993        SEZ.: 4

PRES.: Lo Coco G                                  EST.: Losapio MD

  P.M.: Pagliarulo

RIC.: Messina

(Rigetta, App. Venezia, 1 dicembre 1992).

589011

Professionisti - Medici e chirurghi - Colpa professionale - Fatti che rendano evidente l'erroneita' della diagnosi iniziale - Mancata rilevazione - Morte del paziente - Concausa dell'evento - Configurabilita' - Fattispecie.

609080

        Reato - Elemento soggettivo (psicologico) - Colpa - In genere -

        Colpa professionale di un medico - Fatti che rendano evidente

        l'erroneita' della diagnosi iniziale - Mancata rilevazione - Morte

        del paziente - Concausa dell'evento - Configurabilita' -

        Fattispecie.

 

CP 0040

CP 0042

CP 0589

 

Rettamente e' affermata la responsabilita' a titolo di colpa per la morte di un paziente, dovuta a peritonite non curata, di un medico che, pur avendo piu' volte visitato nella stessa giornata (e da ultimo essendo fuori servizio, avendo fatto rientro in ospedale per ragioni personali) detto paziente, le cui condizioni di salute si erano aggravate ed erano tali da non consentire dubbi sull'erroneita' della iniziale diagnosi di pancreatite, invece di dare l'allarme, abbia riferito al collega che aveva preso il suo posto che tutto procedeva secondo le prospettive terapeutiche deducibili dalla (errata) diagnosi iniziale ed abbia creato, quindi, una delle condizioni della condotta imprudente e negligente di quest'ultimo da porsi in nesso causale con il successivo decesso del paziente.

VEDI: 161232

 

ANNO/NUMERO: 9306683                              RIVISTA: 195482

SENT.: 06683       30/04/1993 - 07/07/1993        SEZ.: 4

PRES.: Consoli G                                  EST.: Malagnino F

  P.M.: Aponte

RIC.: De Giovanni

(Rigetta, App. Roma, 16 luglio 1991).

609003

Reato - Causalita' (rapporto di) - In genere - Colpa professionale medica - Seria ed apprezzabile probabilita' di successo dell'opera del sanitario - Rapporto di causalita' tra condotta ed evento - Sussistenza - Fattispecie.

 

CP 0040

CP 0589

 

In tema di responsabilita' per colpa professionale medica, sussiste rapporto di causalita' anche quando l'opera del sanitario, ove correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe solo avuto seria ed apprezzabile probabilita' di successo, potendosi al criterio della certezza degli effetti della condotta sostituire quello della probabilita', anche limitata, e dell'idoneita' della stessa a produrli.

(Fattispecie in tema di omicidio colposo conseguente a mancato tempestivo ricovero di paziente visitato superficialmente nel reparto di pronto soccorso).

 

ANNO/NUMERO: 9810929                              RIVISTA: 211526

SENT.: 10929       01/09/1998 - 20/10/1998        SEZ.: 5

PRES.: Consoli G                                  EST.: Colarusso V

  P.M.: Galati G

RIC.: Casaccio

(Annulla con rinvio, App. Catania, 13 marzo 1998).

609003

REATO - CAUSALITA' (RAPPORTO DI) - IN GENERE - Omissiva -          Ragionamento del giudice - Criteri.

 

CP 0040

 

In tema di causalita' omissiva il giudice e' sempre tenuto ad accertare attraverso un ragionamento adeguato e logicamente coerente, che se l'azione doverosa omessa fosse stata realizzata, si sarebbe impedita la verificazione dell'evento di reato che solo in tal modo puo' essere oggettivamente imputato alla condotta omissiva dell'agente, quando il nesso tra omissione ed evento non sia interrotto da cause estrinseche del tutto anomale ed eccezionali che si collochino al di fuori della normale, ragionevole prevedibilita'.

La causalita' omissiva, in altri termini non puo' essere presunta ne' data per scontata ma va individuata attraverso un giudizio ipotetico che, partendo dall'evento, lo suppone mentalmente cagionato ove si accerti che esso - senza l'omissione colpevole - non si sarebbe verificato, cosi' che, se il processo logico perviene alla conclusione che l'azione doverosa (omessa) sarebbe valsa – secondo una valutazione probabilistica - ad impedire l'evento stesso, si stabilisce il nesso causale in base alla clausola generale di equivalenza.

VEDI: 9205919 191810

VEDI: 9803131 210181

VEDI: 9813077 182184

 

ANNO/NUMERO: 9811444                              RIVISTA: 212140

SENT.: 11444       01/10/1998 - 03/11/1998        SEZ.: 4

PRES.: Fattori P                                  EST.: Savino V

  P.M.: Meloni V

RIC.: Bagnoli ed altro

(Rigetta, App. Milano, 25 settembre 1997).

609005

REATO - CAUSALITA' (RAPPORTO DI) - OBBLIGO GIURIDICO DI IMPEDIRE L'EVENTO - Medico ospedaliero - Colpa - Successione temporale di altro medico - Affidamento sul successore - Esclusione - Responsabilita' penale di entrambi i medici - Sussistenza - Fattispecie.

 

CP 0040

 

In tema di causalita', non puo' parlarsi di affidamento quando colui che si   affida sia in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione; si' che ove, anche per l'omissione del successore, si produca l'evento che una certa azione avrebbe dovuto e potuto impedire, l'evento stesso avra' due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l'evento.

(Fattispecie di omicidio colposo per colpa professionale, in cui la Corte ha  giudicato corretto il giudizio di responsabilita' di entrambi i medici, che, avendone ciascuno autonomamente la possibilita', in successione temporale, non hanno eliminato la fonte di pericolo - emorragia - evolutasi a causa delle loro omissioni nellA morte di una puerpera).

CONFORMITA': 8900790 180245

 

 

Per il vero, bisogna tuttavia dare atto che di recente è dato registrare un diverso atteggiamento nelle decisioni della Cassazione, la quale, riprendendo una decisione del settembre del 2000, ha asserito la necessità di un accertamento rigoroso del nesso eziologico, anche nell’ambito delle fattispecie omissive, come quelle legate alla colpa professionale del personale sanitario, per cui il rapporto causa effetto può dirsi ricorrente “solo qualora risulti che, se fosse stata posta in essere la condotta doverosa omess, l’evento concreto sarebbe stato evitato <<con una probabilità di alto grado, vicina alla certezza, sicchè non sono sufficienti per ritenere quel nesso una semplice probabilità o possibilità, più o meno elevata>> (sic. Cassazione penale, sez. IV, 25 settembre 2001 -. 16 gennaio 2002, n. 1586, Ambrosio).

 

In gran parte degli studi giuridici più recenti ed accreditati, l’essenza della colpa penale (art. 43 c.p.) viene identificata nella prevedibilità ed evitabilità del fatto sulla scorta di regole empiriche di esperienza, che possono essere non scritte (COLPA GENERICA) ovvero codificate da leggi, regolamenti, ordini e discipline (COLPA SPECIFICA) e che possono entrambe articolarsi in:

-  obbligo di informarsi;

-  obbligo di agire con cautela (per evitare o ridurre i pericoli);

-  obbligo di astenersi completamente dall’agire (per evitare rischi incontrollabili);

-  obbligo di idonea scelta dei propri ausiliari e di controllo sugli stessi.

Cercherò nel prosieguo di passare in rassegna la portata di tali obblighi relativamente alle peculiarità del ruolo dell'infermiere professionale.

 

Partendo dalla disamina dell'obbligo di informazione, esso si può articolare su due piani.

Un dovere generale che fa carico a chiunque svolga professionalmente un'attività è quello di curare in via permanente la propria preparazione ed è possibile affermare che per l'infermiere professionale la legge n. 42 del 1999 ha statuito in via esplicita la ricorrenza di questo onere, stabilendo che i confini della professione vanno circoscritti, oltre che dal rispetto delle altrui professioni sanitarie, anche con rinvio al decreto del profilo professionale, ai contenuti dell’ordinamento didattico, al codice deontologico ed alla formazione post-base, grazie alla quale - soprattutto - l'infermiere professionale potrà e dovrà apprendere le regole non scritte della professione la cui elaborazione, grazie al progredire della ricerca scientifica, è in continua evoluzione.

Sempre in via generale, va affermata l'obbligatorietà per l'infermiere professionale di prendere cognizione delle fonti scritte delle regole di esperienza che ne governano l'attività ovunque siano esse sancite, ovvero in leggi, regolamenti, ordini (norme con destinatario individuale, poste da un’autorità pubblica o privata) e discipline (norme generali, diverse da leggi o regolamenti, poste da un’autorità pubblica o privata). E' bene precisare al riguardo di tale dovere che la stessa Corte Costituzionale (sent. n. 360 del 1988) ha espressamente affermato che per colui che eserciti professionalmente una determinata attività esiste un onere qualificato di presa di cognizione di queste regole, per cui la loro mancata conoscenza non potrà mai essere invocata  a difesa del proprio operato.

Nell’ambito delle “discipline” rientrano pacificamente le disposizioni adottate dagli ordini professionali e quindi anche quelle dell’ordine degli infermieri, il cui mancato rispetto potrà costituire strumento di verifica della ricorrenza di un comportamento colposo purchè: a) si tratti di norme di natura “cautelare” ossia di precetti che, oltre a statuire quale sia il comportamento eticamente e deontologicamente corretto, specifichino la condotta da tenere a fronte di una determinata situazione; b) si tratti di norme conformi ai principi generali dell’ordinamento giuridico.

Sempre tra le "discipline" - per trattare di fonti scritte vicine all'esperienza degli infermieri professionali- si possono annoverare i c.d. "protocolli" ossia quegli atti di pianificazione dell'assistenza infermieristica che canonizzano principi scientifici dell'arte medico - assistenziale e che di cui spesso le strutture ospedaliere ritengono di dotarsi.

E' noto a tutti gli operatori del settore sanitario che accanto ad innegabili aspetti positivi che è superfluo ricordare, i protocolli presentano anche difficoltà applicative, in primo luogo legate alla loro rigidità ed alla difficoltà di adeguamento alla dinamica delle scoperte scientifiche.

Si potrà perciò porre all'infermiere professionale il dubbio sull'opportunità di conformarsi a protocolli le cui statuizioni appaiano superate e non aggiornate.

La considerazione che l’intima essenza della colpa penalmente rilevante possa essere ravvisata in estrema sintesi nella prevedibilità ed evitabilità del fatto, può far sì che il rispetto della regola codificata nel protocollo non abbia valenza alcuna ai fini dell’esenzione di responsabilità, ove il precetto sia stato superato da successive regole non scritte,  che all'infermiere professionale sono o dovrebbero essere note ed il cui rispetto avrebbe potuto evitare l’evento.

Rispetto poi alle indicazioni offerte dalle c.d. Società Scientifiche, il mancato adeguamento della condotta del professionista sanitario può essere indice sintomatico di colpa generica, dovendosi sempre tenere nella docuta considerazione che esse costituiscono parametri generali, la cui applicazione concreta va adattata alle caratteristiche del caso concreto e che esse sono intimamente soggette a mutamenti con il decorso del tempo.

Esiste poi un secondo livello dell'obbligo di informarsi, che attiene al singolo caso specifico di cui l'infermiere professionale può essere chiamato ad occuparsi. Non potrà l'infermiere professionale, nel momento in cui è chiamato ad operare scelte sue esclusive, ignorare il quadro clinico dell'assistito .

La legge n. 42 del 1999 ha certamente portato un'innovazione anche su questo versante, poiché saranno frequenti i casi in cui la decisione sulla necessità di procedere ad una tipologia di intervento dovrà essere presa dall’infermiere professionale senza ausilio di altri ed in cui spetterà sempre all’infermiere il compito di dare cognizione al paziente – per il rispetto della sua persona – della tipologia di operazione e di eventuali complicazioni che essa potrà portare. Si tratta - come si vede - di scelte che implicano a carico dell’operatore, un dovere di preventiva presa di cognizione delle pregresse condizioni di salute del paziente e dei suoi dati anamnestici.

Su quest'ultima tematica si innesta la trattazione del problema del c.d. "consenso informato", ben nota al personale medico e paramedico.

La professione sanitaria in generale va annoverata tra quelle attività “rischiose” e pur consentite dalla nostra società,  rispetto alle quali si pongono continuamente questioni di circoscrizione dei limiti tra lecito ed illecito, tanto che sia la dottrina giuridica che la stessa giurisprudenza si sono spesso sforzate di rinvenire addirittura su un piano oggettivo – prima ancora di verificare se la condotta sia stata o meno colposa – la c.d. “causa di giustificazione” di fatti che potenzialmente potrebbero costituire reato.

A tal proposito, si potranno ricordare tra le altre le tesi che sostengono che l’attività sanitaria potrebbe essere esentata da responsabilità penale poiché essa si fonderebbe sull’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.), sullo stato di necessità (art. 54 c.p.), sull’adempimento di un dovere (art. 51 c.p.) o sul consenso dell’avente diritto (artt. 5 c.c. e 50 c.p.).

In effetti, con riferimento ai reati colposi, ove non si pongono questioni di volontà diretta a cagionare lesioni e dove il fine ultimo del medico o dell'infermiere non è quello di uccidere o cagionare lesioni, ma reintegrare la salute del paziente, la presenza del consenso è richiesta per l'affermazione di una piena conformità dell'esercizio dell'attività medico - infermieristica ai canoni della disciplina.  Si tenga presente, rispetto a questa tematica, che stante la circostanza che tra chi svolge professionalmente un’attività sanitaria ed il paziente ricorre un’indubbia asimmetria informativa a favore del primo, tale per cui molto spesso il soggetto passivo del trattamento è assolutamente ignaro dei rischi legati al medesimo, non si può allegare la mancata attivazione del paziente per acquisire le necessarie informazioni, quale fonte di esonero da responsabilità (in questi termini, Tribunale di Firenze, sez. I, 7 gennaio 1999, n. 9).

Di recente, una sentenza (Cass. Pen. Sez. IV 9 marzo – 12 luglio 2001, n. 28132), ha configurato il grave reato di omicidio preterintenzionale a carico del medico che, pur intervenuto con finalità terapeutiche, abbia agito nella consapevolezza che l’intervento avrebbe determinato una non necessaria menomazione al paziente; in questi casi, ha specificato la decisione, il consenso del paziente è irrilevante perché  per un verso, se prestato, potrebbe rilevare solo nei limiti dell’art. 5 c.c., mentre, se non concesso, non sarebbe necessario ove sussistano ragioni di urgenza terapeutica.

Si pone tuttavia in antitesi con la pronuncia da ultimo citata, ridimensionando la rilevanza dell’acquisizione del consenso, la decisione n. 26446 del 2002 della Cassazione, la quale ha statuito l’assenza di responsabilità del medico che abbia rispettato le regole della scienza medica anche in assenza di uno specifico consenso del paziente all’intervento in concreto praticato, sostenendo la decisione che l’assenso rivestirebbe un ruolo decisivo solo quando espresso in forma negativa (nella fattispecie il medico, durante un intervento di ernia aveva asportato un tumore la cui presenza era emersa durante l’operazione).

A prescindere comunque dalla esatta collocazione teorica dell'argomento, è insegnamento consolidato della giurisprudenza, quello per il quale si può ipotizzare una liceità del trattamento sanitario, in base a precise condizioni, ovvero: esercizio da parte di un professionista abilitato, rispetto delle regole tecniche dell’intervento, necessità terapeutica e consenso pieno, reale ed informato del paziente.

L'acquisizione del consenso da parte della persona interessata esige pertanto:

- la verifica della capacità del paziente di comprendere appieno il significato e la portata dell'intervento, per cui nell'eventualità che possa anche solo sorgere il dubbio sul possesso delle piene facoltà mentali nel paziente, è opportuno astenersi dall'intervenire, salvo il caso in cui non vi sia un "pericolo attuale di danno grave alla persona" e quindi sussistano i presupposti dello stato di necessità di cui all'art. 54 c.p.; in alcuni casi il consenso può peraltro essere efficacemente prestato dal legale rappresentante del soggetto incapace (minorenne o interdetto); su questi aspetti è di un certo interesse la lettura della decisione della Cassazione penale, sez. IV, 27 marzo – 10 ottobre 2001 n. 36519 in cui si asserisce che va ripulsa la tesi che i giudici d’appello avevano sostenuto, secondo cui, a fronte della richiesta formulata dal azpiente, di procedere ad un delicato intervento chirurgico con anestesia totale, poi risultata fatale, il medico imputato avrebbe potuto far ricorso a pratiche “ipno-analgesiche”, che potevano vincere le resistenze del paziente ad un’anestesia locale:

- l'illustrazione delle caratteristiche dell'intervento e la prospettazione del bilancio  "rischi/benefici", in assenza della quale la manifestazione del consenso potrebbe ritenersi viziata da errore e quindi non valida;

- una manifestazione inequivoca dell'assenso, che varrebbe sempre la pena che fosse documentato, anche se non necessitano particolari formule di rito;

- il rispetto dell'eventuale contraria volontà manifestata dal paziente in un momento successivo, in ragione della revocabilità del consenso.

      Sul tema del consenso, v.:

SEZ. 5       SENT.  05639  DEL 13/05/92  (UD.21/04/92)            RV.  190113

     PRES. Guasco G                   REL. Pandolfo GV            COD.PAR.333

     IMP. Massimo        PM. (Diff.) Cedrangolo                             

603082  Reati  contro la persona - Delitti contro la vita e l'incolumita' in-

       dividuale  -  Omicidio  preterintenzionale - Atti diretti a commettere

       il  reato di lesioni personali - Trattamento chirurgico - Mancanza del

       consenso  del paziente o dei familiari - Assenza di cause di giustifi-

       cazione - Configurabilita' del reato - Fattispecie.                  

COD.PEN ART. 41                                                              

COD.PEN ART. 43                                                             

COD.PEN ART. 50                                                             

COD.PEN ART. 54                                                             

COD.PEN ART. 582                                                            

COD.PEN ART. 584                                                            

 Il chirurgo che, in assenza di necessita' ed urgenza terapeutiche, sotto-

pone  il  paziente ad un intervento operatorio di piu' grave entita' rispetto

a  quello  meno  cruento  e comunque di piu' lieve entita' del quale lo abbia

informato  preventivamente e che solo sia stato da quegli consentito, commet-

te  il  reato  di  lesioni  volontarie,  irrilevante essendo sotto il profilo

psichico  la  finalita'  pur sempre curativa della sua condotta, sicche' egli

risponde  del reato di omicidio preterintenzionale se da quelle lesioni deri-

vi  la  morte. (Nella fattispecie la parte offesa era stata sottoposta ad in-

tervento  chirurgico  di  amputazione  totale addominoperineale di retto, an-

ziche'  a  quello preventivo di asportazione transanale di un adenoma villoso

benigno  in  completa  assenza  di  necessita'  ed  urgenza  terapeutiche che

giustificassero  un  tale  tipo di intervento e soprattutto senza preventiva-

mente  notiziare la paziente o i suoi familiari che non erano stati interpel-

lati  in  proposito  ne'  minimamente  informati  dell'entita' e dei concreti

rischi  del  piu'  grave atto operatorio eseguito, sul quale non vi era stata

espressa alcuna forma di consenso).                                         

VEDI     155865  180966  141563                                             

 

SEZ.  5      SENT.  07425  DEL 18/06/87  (UD.18/03/87)            RV.  177139

     PRES. MARVASI M                  REL. VENTRELLA W            COD.PAR.314

     IMP. CONCIANI        PM. (DIFF) CUCCO                                  

609015  177139 REATO - CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE - CONSENSO DELL'AVENTE DIRIT-

       TO  - ATTI DISPOSITIVI DEL PROPRIO CORPO - DIMINUZIONE DELL'INTEGRITA'

       FISICA - EFFICACIA SCRIMINANTE DEL CONSENSO - LIMITI.*               

COD.PEN ART. 50                                                             

COD.CIV. ART. 5                                                              

 IL  GENERICO  DIVIETO DI ATTI DISPOSITIVI DEL PROPRIO CORPO CHE IMPORTINO

UNA  DIMINUZIONE  PERMANENTE  DELL'INTEGRITA'  FISICA NON ESCLUDE L'EFFICACIA

SCRIMINANTE  DEL  CONSENSO IN ORDINE A SPECIFICI ATTI DISPOSITIVI DI VOLTA IN

VOLTA  RITENUTI  LECITI DAL LEGISLATORE. (FATTISPECIE IN TEMA DI VASECTOMIA).

( V MASS N 147216; ( V MASS N 108396).*                                     

VEDI     147216                                                              

VEDI     108396                                                             

                                                    VEDI:RIFMP              

SEZ.  2      SENT.  00594  DEL 20/01/89  (UD.22/01/88)            RV.  180209

     PRES. CAPUTI N                   REL. NAPOLITANO G           COD.PAR.314

     IMP. ZANARDI        PM. (CONF) BRACCI                                  

609015  180209 REATO - CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE - CONSENSO DELL'AVENTE DIRIT-

       TO - IN TEMA DI LESIONI - LIMITE ALLA VALIDITA'.*                    

COD.PEN ART. 50                                                             

COD.PEN ART. 582                                                            

COD.PEN ART. 583                                                             

COD.CIV. ART. 5                                                             

 IN  TEMA DI LESIONI PERSONALI, IL CONSENSO DELL'AVENTE DIRITTO HA EFFICA-

CIA,  COME  CAUSA  GIUSTIFICATRICE,  SE  VIENE PRESTATO VOLONTARIAMENTE NELLA

PIENA  CONSAPEVOLEZZA DELLE CONSEGUENZE LESIVE ALL'INTEGRITA' PERSONALE, SEM-

PRE  CHE  QUESTE NON SI RISOLVANO IN UNA MENOMAZIONE PERMANENTE LA QUALE, IN-

CIDENDO  NEGATIVAMENTE  SUL VALORE SOCIALE DELLA PERSONA UMANA, FA PERDERE DI

RILEVANZA  AL  CONSENSO PRESTATO. (FATTISPECIE IN TEMA DI LESIONI CONSEGUENTI

A TERAPIE ODONTOIATRICHE). ( CONF MASS N 147216).*                          

CONF     147216                                                             

 

Quanto al dovere di cautela che può incombere sull'infermiere professionale e con un particolare riferimento alla tematica del monitoraggio, viene in rilievo il dovere di prudenza nell'impiego degli strumenti e degli apparati tecnologici che talvolta vengono utilizzati in questo settore.

Già prima della legislazione del 1999, l'art. 4 del d.p.r. n. 225 del 1974 , applicabile a tutti gli infermieri professionali "di fatto" addetti a mansioni di rianimazione e di sala operatoria, sanciva il compito di sorveglianza della regolarità del funzionamento degli apparecchi di respirazione automatica, di monitoraggio, di emodialisi, dei materassi ipotermici etc., per richiedere al primo segno di anormale funzionamento l'immediato intervento medico.

V. sul punto la decisione di seguito riportata:

SEZ.  4      SENT.  10868  DEL 15/12/83  (UD.04/11/83)            RV.  161762

     PRES. BRONZINI A                 REL. PROTETTI E             COD.PAR.388

     IMP. COSTANZI        PM. (PARZ DIFF) GUASCO                            

589001  161762  PROFESSIONISTI  -  IN GENERE - MEDICI E CHIRURGHI - PERSONALE

       PARAMEDICO  -  INFERMIERI  PROFESSIONALI  SPECIALIZZATI IN ANESTESIA -

       MANSIONI  DI  PREPARAZIONE E CONTROLLO DELLE APPARECCHIATURE EX ART. 4

       D.P.R.  N.  225/74  - APPLICABILITA' DELLA NORMATIVA ANCHE AGLI INFER-

       MIERI  NON  SPECIALIZZATI  MA  DESTINATI  ALLE MANSIONI DI FATTO DEGLI

       SPECIALISTI  IN  ANESTESIA - RESPONSABILITA' PER COLPA IN CASO DI SOM-

       MINISTRAZIONE  DI  PROTOSSIDO  DI  AZOTO ANZICHE' DI OSSIGENO DERIVATA

       DALLA  INVERSIONE  DEI RISPETTIVI TUBI PORTANTI - SUSSISTENZA - INVER-

       SIONE MATERIALMENTE OPERATA DA ALTRI - IRRILEVANZA.*                 

589011 161762*                                                              

COD.PEN ART. 43                                                             

COD.PEN ART. 589                                                            

COD.PEN ART. 590                                                            

D. P. R. DEL 14/3/1974 NUM. 225 ART. 4                                      

    L'ART. 4 D.P.R. 14 MARZO 1974 N. 225 DEMANDA AGLI INFERMIERI PROFESSIONA-

LI  SPECIALIZZATI IN ANESTESIA, TRA L'ALTRO, ANCHE LE MANSIONI DI PREPARAZIO-

NE  E  CONTROLLO  DELLE  APPARECCHIATURE  E DEL MATERIALE NECESSARIO PER L'A-

NESTESIA  GENERALE  E  DI  SORVEGLIANZA  DELLA  REGOLARITA' DEL FUNZIONAMENTO

DEGLI  APPARECCHI  DI RESPIRAZIONE AUTOMATICA E TALI DISPOSIZIONI SONO APPLI-

CABILI  ANCHE AGLI INFERMIERI PROFESSIONALI CHE, BENCHE' NON SPECIALIZZATI IN

ANESTESIA,  SONO  DESTINATI  SPECIFICAMENTE ALLE MANSIONI DI FATTO DEGLI SPE-

CIALIZZATI  IN  ANESTESIA.  SUSSISTE, PERTANTO, LA RESPONSABILITA' DI COSTORO

PER  COLPA NEL CASO DI SOMMINISTRAZIONE NEL CORSO DI INTERVENTO CHIRURGICO DI

PROTOSSIDO  DI  AZOTO ANZICHE' DI OSSIGENO A CAUSA DELL'INVERSIONE DI INNESTO

DI  TUBI  PORTANTI  I DETTI GAS, ANCHE SE L'INVERSIONE E' STATA MATERIALMENTE

EFFETTUATA DA ALTRI.*                                                       

 

Ancor più frequentemente oggi potrà verificarsi che il controllo sul funzionamento di questi macchinari sia compito rimesso esclusivamente all'infermiere professionale, il quale dovrà pertanto dotarsi delle indispensabili conoscenze per l'impiego del mezzo, mentre competerà di massima al personale medico e particolarmente al medico anestesista l’obbligo di verificarne la perfetta funzionalità prima della sua attivazione, esigendo al contempo che l'apparecchiatura venga sottoposta, a cura dei soggetti responsabili, a periodica manutenzione, per garantirne il perfetto stato d'uso.

La  legge n. 42 del 1999 fa carico all'infermiere professionale con compiti di monitoraggio di munirsi di particolare competenza ai fini di assicurarne il corretto funzionamento degli apparati e per la lettura dei segnali provenienti dalle apparecchiature; nell’eventualità in cui, nonostante la carenza di preparazione, l'infermiere professionale abbia utilizzato ugualmente l'apparato, potrebbe essere chiamato a rispondere per eventuali danni arrecati al paziente in quanto titolare, rispetto all'utilizzo di questi strumenti, di una posizione di garanzia della salute del paziente.

Ma doveri di vigilanza  si pongono anche rispetto agli operatori tecnici addetti alla strumentazione, dal momento che i compiti affidati a questi soggetti non vanno oltre questo aspetto specifico e non investono l'area sanitaria, ove invece espleta funzioni anche del tutto autonome l'infermiere professionale, rispetto al quale, peraltro, già l'art. 41 del d.p.r. n. 384 del 1990, nel recepire la contrattazione collettiva del personale delle AUSL per gli anni 1988- 1990, sanciva il principio per cui gli operatori tecnici espletano i loro compiti sotto la diretta responsabilità della capo sala ovvero, in sua assenza, dell'infermiere di turno.

Sempre rispetto al monitoraggio operatorio ritengo che, se pacificamente può essere demandata all’infermiere la misurazione incruenta della pressione arteriosa, competa viceversa al medico la predisposizione dei mezzi di controllo della pressione arteriosa cruenta che spesso s’impone in talune tipologie di intervento chirurgico.

Quanto al monitoraggio post operatorio, esso presuppone a carico del personale infermieristico che ne sia gravato, la perfetta conoscenza delle complicanze potenziali e dei rispettivi segni sia generali (cardiaci, respiratori, digestivi, neurologici e metabolici) che locali, così come la padronanza delle tecniche di rilevamento dei principali parametri vitali. Solo così l’infermiere professionale sarà in grado di padroneggiare questa delicata fase, allertando il medico per l’attivazione dei trattamenti che si impongano necessari.

E’ ovvio come s’imponga in questa fase una particolare necessità di coordinamento delle professionalità sanitarie, con il compito da parte del personale medico di porre a disposizione di quello infermieristico tutte le informazioni necessarie, adeguate al singolo caso clinico ed alle sue peculiarità e parimenti il dovere degli infermieri che si succedano nel controllo di rendersi edotti di questi dati e dell’evoluzione del decorso del caso fino all’istante in cui subentrino nella sua gestione.

v. Sui rapporti medico - infermiere nel monitoraggio post operatorio:

SENT.: 01213             05/02/1993               SEZ.: 4

PRES.: Scorzelli F                                EST.: Golia M

P.M.: Tranfo

RIC.: Aniballi

(Rigetta, App. Bologna, 3 marzo 1992).

609005

        Reato - Causalita' (rapporto di) - Obbligo giuridico di impedire

  l'evento - Anestesista che non intervenga tempestivamente nel caso

        di turba anossica di una paziente - Responsabilita' per la morte di

        questa - Configurabilita'.

609080

        Reato - Elemento soggettivo (psicologico) - Colpa - In genere -

        Anestesista che ometta di sorvegliare adeguatamente una paziente in

        fase di risveglio - Morte della paziente per arresto cardiaco da

        anossia da oblio respiratorio - Responsabilita' del medico -

        Configurabilita'.

589011

        Professionisti - Medici e chirurghi - Anestesista che ometta di  

        sorvegliare adeguatamente una paziente in fase di risveglio - Morte

        della paziente per arresto cardiaco da anossia da oblio 

        respiratorio - Responsabilita' del medico per non essere

        intervenuto tempestivamente - Configurabilita'.

CP 0043

CP 0589

Rettamente e' affermata la responsabilita' di un anestesista per la morte di una paziente dovuta ad arresto cardiaco per anossia acuta da oblio respiratorio conseguente all'effetto deprimente dei farmaci utilizzati per la narcosi, nel caso in cui costui, dopo l'intervento operatorio, abbia omesso di sorvegliare adeguatamente la paziente in fase di risveglio, affidando intempestivamente il relativo compito ad un'infermiera professionale non specializzata in anestesia, e conseguentemente, di intervenire con efficacia ai primi sintomi della turba anossica, poi divenuta irreversibile.

 

La ricorrenza di un dovere dello’peratore sanitario nei confronti del paziente è stata ribadita anche di recente nelle sent. Cass. Pen. Sez. IV 7.12.000, n. 12796 e Cass. Pen. Sez. IV 13.9.2000, n. 9638, decisone - quest’ultima -  ove si esplicita come debba farsi carico all’infermiere professionale della vigilanza sul paziente non solo in prima persona  ma anche mediante la segnalazione a chi lo segua nella gestione del caso, di tutte le complicanze che egli teme possano manifestarsi.

SEZ. 4       SENT.  09638  DEL 13/09/2000  (UD.02/03/2000)        RV.  217478

     PRES. Frangini B                 REL. Battisti M             COD.PAR.314

     IMP. Troiano M e altri        PM. (Diff.) Veneziano G                  

609004  REATO  -  CAUSALITA'  (RAPPORTO  DI) - CONCORSO DI CAUSE - - Identici

       comportamenti  omissivi da parte di due soggetti - Automatica rilevan-

       za esclusiva del secondo - Esclusione - Requisiti.                    

COD.PEN ART. 41                                                             

  In  tema  di nesso di causalita' ed in presenza di due soggetti obbligati

al  medesimo  comportamento, l'omissione del secondo non vale ad escludere la

rilevanza  causale  della  precedente  omissione  laddove non sia ravvisabile

nel  comportamento successivo una eccezionalita' atta ad interrompere la con-

catenazione  causale. (Fattispecie in cui e' stato escluso che la mancata os-

servanza  da parte dell'infermiere per ultimo subentrato dell'ordine imparti-

to  dal medico di chiamare un altro medico interrompesse il nesso di causali-

ta'  relativamente  al comportamento dell'infermiere del turno precedente che

parimenti non aveva eseguito l'ordine in questione).                         

 

SEZ. 4       SENT.  09638  DEL 13/09/2000  (UD.02/03/2000)        RV.  217477

     PRES. Frangini B                 REL. Battisti M             COD.PAR.314

     IMP. Troiano M e altri        PM. (Diff.) Veneziano G                   

609005  REATO - CAUSALITA' (RAPPORTO DI) - OBBLIGO GIURIDICO DI IMPEDIRE L'E-

       VENTO  -  Personale  di  un ospedale - Posizione di "garante" nei con-

       fronti  dei malati - Specificita' - Obbligo di protezione - Estensione

       temporale - Delegabilita' - Limiti - Fattispecie.                    

COD.PEN ART. 40                                                             

  Gli operatori di una struttura sanitaria, medici e paramedici, sono tutti

ex  lege  portatori di una posizione di garanzia, espressione dell'obbligo di

solidarieta'  costituzionalmente  imposto ex artt. 2 e 32 Cost., nei confron-

ti  dei  pazienti, la cui salute devono tutelare contro qualsivoglia pericolo

che  ne  minacci  l'integrita'; l' obbligo di protezione perdura per l'intero

tempo  del turno di lavoro e, laddove si tratti di un compito facilmente ese-

guibile  nel  giro di pochi secondi, non e' delegabile ad altri. (Fattispecie

in  cui e' stato escluso che fosse giustificato il comportamento di un infer-

miere  che, in prossimita' della fine del turno di lavoro, delegava un colle-

ga  per  eseguire l'ordine impartitogli da un medico di chiamare un altro me-

dico, ordine facilmente e rapidamente eseguibile attraverso un citofono).   

 

SEZ. 4       SENT.  09638  DEL 13/09/2000  (UD.02/03/2000)        RV.  217476

     PRES. Frangini B                 REL. Battisti M             COD.PAR.388

     IMP. Troiano M e altri        PM. (Diff.) Veneziano G                  

589011  PROFESSIONISTI  -  MEDICI  E CHIRURGHI - Medico del pronto soccorso -

       Intervento  a favore di piu' pazienti - Obbligo - Condizioni e limiti.

609080  REATO  -  ELEMENTO  SOGGETTIVO  (PSICOLOGICO)  -  COLPA - IN GENERE -

       Responsabilita'  medica - Pronto soccorso - Sopraggiungere di piu' pa-

       zienti  -  Intervento del medico gia' impegnato - Obbligo - Condizioni

       e limiti.                                                            

COD.PEN ART. 43                                                             

    In  tema  di responsabilita' medica, il medico del pronto soccorso, occu-

pato  a prestare la propria opera per un paziente, non e' tenuto ad occuparsi

anche  di  un  altro paziente sopraggiunto che necessiti di assistenza e cura

rinviabili,  ma  puo'  chiedere  che ad occuparsene sia un collega presente e

non  altrettanto  impegnato.  Sotto  un tal profilo, una volta che egli abbia

impartito,  in  termini inequivoci, al personale infermieristico, l'ordine di

chiamare  l'altro  medico, puo' fare legittimo affidamento sull'esecuzione di

tale  ordine,  a  meno  che particolari contingenze temporali in cui l'ordine

venga  impartito  (ad  es.  un  fine turno degli infermieri) e prassi ad esse

connesse  (quale quella di trasferire l'ordine ai subentranti),dal medico co-

nosciute, impongano il controllo sull'esecuzione dell'ordine dato.

 

  Particolarmene interessante, nella pronuncia da ultimo citata, è l’affermazione del principio in forza del quale la posizione di garanzia che l’infermiere assume verso il paziente perdura per tuto l’arco temporale del servizio e non è suscettibile di essere demandata ad altri.      

 

E' legato strettamente all'obbligo di agire con prudenza quello di astenersi dall'affrontare situazione che l'infermiere professionale non fosse in grado di gestire.

Rispetto a questi specifici doveri può collocarsi la problematica del rapporto tra l'infermiere professionale ed il personale medico, con particolare attenzione alle istruzioni ed alle direttive impartite sul "se" e sul "come" di determinati atti.

Sulla dinamica dei rapporti tra personale medico e personale infermieristico è opportuno spendere qualche ulteriore parola. In effetti - in special modo tra "professionisti" di settore - è perfettamente lecito a ciascun soggetto fare affidamento su un corretto comportamento altrui, in modo che, così come il medico (in linea generale) avrà titolo per reputare diligente l'adempimento delle proprie mansioni da parte dell'infermiere professionale, altrettanto varrà in senso inverso (si parla, a tal riguardo, di principio di "autoresponsabilità"). Non sarà  pertanto compito dell'infermiere professionale quello di verificare se un intervento di esclusiva competenza medica possegga tutti  i crismi della legalità nonché di accertarsi se il medico abbia ottenuto dal paziente il preventivo consenso ad un certo tipo di cura.

V. su questo argomento le sent. che seguono:

SEZ.  4      SENT.  07082  DEL 27/07/83  (UD.14/04/83)            RV.  160049

     PRES. ARIENZO A                  REL. SURIANO S              COD.PAR.333

     IMP. PRELONG        PM. (CONF) LOMBARDI                                

603046  160049 REATI CONTRO LA PERSONA - DELITTI CONTRO LA VITA E L'INCOLUMI-

       TA'  INDIVIDUALE - LESIONI PERSONALI COLPOSE - IN GENERE - MEDICO-CHI-

       RURGO  -  COLPA  PROFESSIONALE - POSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE SUL LETTO

       OPERATORIO  -  OBBLIGO DI VIGILANZA - INDIVIDUAZIONE DEI SOGGETTI GRA-

       VATI - FATTISPECIE: LESIONE AL NERVO ULNARE DA ERRATO POSIZIONAMENTO.*

609080  160049  REATO - ELEMENTO SOGGETTIVO (PSICOLOGICO) - COLPA - IN GENERE

       -  MEDICO CHIRURGO - COLPA PROFESSIONALE - POSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE

       SUL  LETTO OPERATORIO - OBBLIGO DI VIGILANZA - INDIVIDUAZIONE DEI SOG-

       GETTI  GRAVATI  - FATTISPECIE: LESIONE AL NERVO ULNARE DA ERRATO POSI-

       ZIONAMENTO.*                                                         

589011  160049  PROFESSIONISTI  -  MEDICI E CHIRURGHI - COLPA PROFESSIONALE -

       POSIZIONAMENTO  DEL  PAZIENTE  SUL LETTO OPERATORIO - OBBLIGO DI VIGI-

       LANZA  - INDIVIDUAZIONE DEI SOGGETTI GRAVATI - FATTISPECIE: LESIONE AL

       NERVO ULNARE DA ERRATO POSIZIONAMENTO.*                              

COD.PEN ART. 43                                                             

COD.PEN ART. 590                                                             

 IL POSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE SUL LETTO OPERATORIO COSTITUISCE PER L'IN-

FERMIERE  PROFESSIONALE  ATTIVITA'  AUSILIARIA  O DI ASSISTENZA AL MEDICO, DI

TALCHE'  DETTA ATTIVITA' DEVE ESSERE SEMPRE SVOLTA SOTTO IL CONTROLLO DEL SA-

NITARIO,  E  PIU' PRECISAMENTE, SOTTO IL CONTROLLO DEL MEDICO ANESTESISTA, IL

QUALE  E' PRESENTE IN PRE-SALA E DEVE VIGILARE AL REGOLARE POSIZIONAMENTO DEL

PAZIENTE  NEL  MOMENTO  STESSO IN CUI QUESTO AVVIENE. SOLO IN SALA OPERATORIA

IL  CHIRURGO  PUO'  VERIFICARE SE IL POSIZIONAMENTO CORRISPONDA ALLE ESIGENZE

OPERATORIE  EFFETTUANDO  UN CONTROLLO CHE TROVA - TUTTAVIA - IL LIMITE OGGET-

TIVO  NELLA  GIA' AVVENUTA COPERTURA DEL PAZIENTE. (IN BASE A TALE PRINCIPIO,

LA  CASSAZIONE  HA ESCLUSO LA RESPONSABILITA' DEL CHIRURGO IN CASO DI LESIONI

COLPOSE  CAUSATE,  AD  UN  OPERATO COLECISTECTOMIA, DA COMPRESSIONE DEL NERVO

ULNARE PER ERRATO POSIZIONAMENTO SUL LETTO OPERATORIO).*

 

SEZ.  4      SENT.  10868  DEL 15/12/83  (UD.04/11/83)            RV.  161761

     PRES. BRONZINI A                 REL. PROTETTI E             COD.PAR.388

     IMP. COSTANZI        PM. (PARZ DIFF) GUASCO                            

589011  161761  PROFESSIONISTI - MEDICI E CHIRURGHI - COLPA PROFESSIONALE DEL

       MEDICO  ANESTESISTA  -  CONTROLLO  PREVENTIVO  DELLE APPARECCHIATURE -

       SUCCESSIVO  TENTATIVO  DI  ELISIONE  DELLE  CONSEGUENZE DELL'OMISSIONE

       COLPOSA  DEL CONTROLLO - IRRILEVANZA SCRIMINANTE - FATTISPECIE: SOMMI-

       NISTRAZIONE  DI PROTOSSIDO DI AZOTO ANZICHE' OSSIGENO A CAUSA DELL'ER-

       RATO INNESTO DEI RISPETTIVI TUBI.*                                   

COD.PEN ART. 43                                                             

COD.PEN ART. 589                                                             

COD.PEN ART. 590                                                            

L. DEL 9/8/1954 NUM. 653 ART. 1                                             

    IL MEDICO ANESTESISTA HA L'OBBLIGO DI SORVEGLIARE E CONTROLLARE CHE TUTTE

LE  APPARECCHIATURE  SIANO IN REGOLA E NON SUSSISTANO DIFETTI DI FUNZIONAMEN-

TO.  TALE  AZIONE  DEVE ESSERE EFFETTUATA PRIMA DELL'INTERVENTO E DEL TRATTA-

MENTO.  PERTANTO  L'ESSERSI  IL  PREDETTO SANITARIO ADOPERATO SUCCESSIVAMENTE

PER  ELIDERE, SENZA PERALTRO RIUSCIRVI, LE CONSEGUENZE DEL PROPRIO FATTO COL-

POSO  NON  ELIMINA LA SUA RESPONSABILITA'. (FATTISPECIE: SOMMINISTRAZIONE NEL

CORSO  DI  INTERVENTO CHIRURGICO DI PROTOSSIDO DI AZOTO ANZICHE' OSSIGENO, IN

CONSEGUENZA  DI  ERRATO INNESTO DEI RISPETTIVI TUBI, PORTANTI I PREDETTI GAS,

DAGLI  IMPIANTI CENTRALIZZATI A QUELLI DELL'APPARATO PER ANESTESIA, COLLEGATI

AI  RISPETTIVI FLUSSOMETRI, SENZA CHE I MEDICI ANESTESISTI AVESSERO IN PRECE-

DENZA  EFFETTUATO  IL CONTROLLO DELL'ESATTEZZA O MENO DI SIFFATTI INNESTI EF-

FETTUATI DAGLI INFERMIERI).* 

 

V. anche la sent. già citata in tema di rapporto di causalità, ovvero:

 

ANNO/NUMERO: 9811444                              RIVISTA: 212140

SENT.: 11444       01/10/1998 - 03/11/1998        SEZ.: 4

PRES.: Fattori P                                  EST.: Savino V

  P.M.: Meloni V

RIC.: Bagnoli ed altro

(Rigetta, App. Milano, 25 settembre 1997).

 

 

Utili spunti sulla disamina del principio di affidamento possono ricavarsi nella lettura delle decisioni emesse rispetto all’individuazione dei responsabili di eventi lesivi in occasione di interventi chirurgici eseguite in “equipe”. Tra queste, v.:

SEZ.  4      SENT.  09525  DEL 30/10/1984  (UD.09/04/1984)        RV.  166435

     PRES. LERRO A                    REL. DE FRANCO V            COD.PAR.388

     IMP. PASSARELLI        PM. (CONF) SAVINA                               

589011  166435 PROFESSIONISTI - MEDICI E CHIRURGHI - EQUIPE CHIRURGICA - COM-

       PITO  -  OPERAZIONE  CHIRURGICA SULL'ADDOME - ABBANDONO, NELLA CAVITA'

       OPERATA,  DI UNA GARZA - PROCESSO INFIAMMATORIO - REATO COLPOSO DI LE-

       SIONI - RESPONSABILITA' DELL'ANESTESISTA - ESCLUSIONE.*              

603046  166435 REATI CONTRO LA PERSONA - DELITTI CONTRO LA VITA E L'INCOLUMI-

       TA'  INDIVIDUALE  -  LESIONI  PERSONALI  COLPOSE - IN GENERE - LESIONI

       PRODOTTE  IN SEGUITO AD INTERVENTO CHIRURGICO - ABBANDONO, NELLA CAVI-

       TA'  OPERATA,  DI  UNA  GARZA - LESIONI - RESPONSABILITA' DELL'ANESTE-

       SISTA - ESCLUSIONE.*                                                 

COD.PEN ART. 590                                                            

    IN  UNA EQUIPE MEDICA, CHE SVOLGE UN'OPERAZIONE CHIRURGICA, L'ANESTESISTA

E'  DEPUTATO A CONTROLLARE LO STATO DI INSENSIBILITA' DEL PAZIENTE ALL'AZIONE

CHIRURGICA,  LA  SUA  REAZIONE  E  MAGARI LA SUA SICUREZZA DAL PUNTO DI VISTA

CIRCOLATORIO,  MENTRE NON HA NESSUNA COMPETENZA E, QUINDI, NESSUN INCARICO DI

PORRE  O  ESTRARRE TAMPONI DALLA CAVITA' SOGGETTA ALL'OPERAZIONE. NE CONSEGUE

CHE  L'ANESTESISTA  NON  RISPONDE DEL FATTO CHE VENGA DIMENTICATO NELL'ADDOME

DEL  PAZIENTE  UNA GARZA LAPARATOMICA, CHE DIA LUOGO AD UN PROCESSO INFIAMMA-

TORIO  ENDOPERITONEALE,  CON  FORMAZIONE DI UNA SACCA PURULENTA INGLOBANTE IL

CORPO ESTRANEO E PRODUCENTE LESIONI COLPOSE GRAVI.*                         

 

SEZ. 4       SENT.  07601  DEL 15/07/1991  (UD.16/11/1990)        RV.  187989

     PRES. Mastrocinque R             REL. Casiroli A             COD.PAR.388

     IMP. Rappazzo ed altro        PM. (Conf) Ormanni                       

(Rigetta, App. Firenze, 3 novembre 1989).                                   

589011  Professionisti - Medici e chirurghi - Medico anestesista - Trasfusio-

       ne  di  sangue  al paziente - Collaboratore che effettua materialmente

       la  sostituzione  del  flacone esauritosi - Obbligo dell'anestesista -

       Fattispecie: omicidio colposo.                                       

COD.PEN ART. 43                                                              

COD.PEN ART. 589                                                            

 Quando, come nel caso di interventi operatori, il lavoro si svolga in "e-

quipe",  ciascun  componente  e'  tenuto  ad eseguire col massimo scrupolo le

funzioni  proprie  della  specializzazione di appartenenza. Il medico aneste-

sista  e'  tenuto  ad  adempiere  una serie di mansioni che rientrano nel suo

preciso  ambito  di  competenza, tra le quali la trasfusione di sangue al pa-

ziente.  Pertanto,  quando  l'anestesista  si  avvalga di un collaboratore in

funzione  di  ausiliario,  sicche'  sia  costui che materialmente effettua la

sostituzione  di  un  precedente flacone esauritosi con altro pieno di sangue

nuovo  da  trasfondere,  sussiste per l'anestesista l'obbligo di assicurarsi,

prima  che  l'operazione trasfusionale riprenda con l'immissione di ulteriore

liquido  ematico,  che il tipo di sangue sia esattamente quello che e' desti-

nato al paziente. (Fattispecie in tema di omicidio colposo).                

 

SEZ. 4       SENT.  03456  DEL 08/04/1993  (UD.24/11/1992)        RV.  198445

     PRES. Scorzelli F                REL. Battisti M             COD.PAR.314

     IMP. Gallo ed altro        PM. (Conf.) Suraci                           

(Rigetta, App. Salerno, 27 aprile 1992).                                    

609080  Reato  -  Elemento  soggettivo  (psicologico)  -  Colpa - In genere -

       Responsabilita'  dei soggetti che lavorano in equipe - Dovere del chi-

       rurgo  capo  equipe di fare conoscere ai singoli operatori cio' che e'

       venuto a sapere sulle patologie del paziente - Fattispecie.          

COD.PEN ART. 689                                                            

 Il chirurgo capo equipe, fatta salva l'autonomia professionale dei singo-

li  operatori,  ha  il  dovere di portare a conoscenza di questi ultimi tutto

cio'  che e' venuto a sapere sulle patologie del paziente e che, se comunica-

to,  potrebbe incidere sull'orientamento degli altri. (Fattispecie in tema di

omicidio  colposo  di  cui  e'  stato ritenuto responsabile, insieme con l'a-

nestesista,  il  chirurgo  per  non  essersi egli premurato di informare l'a-

nestesista stesso delle condizioni cardiologiche del paziente).             

 

SEZ.  4      SENT.  00790  DEL 23/01/1989  (UD.07/11/1988)        RV.  180245

     PRES. NIGRO R                    REL. TRONCELLITI V          COD.PAR.314

     IMP. SERVADIO        PM. (CONF) CARLUCCI                               

609005  180245  REATO - CAUSALITA' (RAPPORTO DI) - OBBLIGO GIURIDICO DI IMPE-

       DIRE  L'EVENTO  - CHIRURGO CAPO-EQUIPE - ANORMALE EVOLUZIONE POST-OPE-

       RATORIA  -  AFFIDAMENTO SUI COLLABORATORI - INSUFFICIENZA - OBBLIGO DI

       SEGUIRNE  LO  SVILUPPO  E  DI  INTERVENIRE - SUSSISTENZA - OMISSIONE -

       MORTE  DEL  PAZIENTE  PER  INSUFFICIENZA  O  INADEGUATEZZA  DI  CURE -

       RESPONSABILITA'  PENALE DEL CHIRURGO - RAVVISABILITA' - RAGIONI - FAT-

       TISPECIE.*                                                            

COD.PEN ART. 40                                                             

    IN TEMA DI CAUSALITA', IL CHIRURGO CAPO-EQUIPE, UNA VOLTA CONCLUSO L'ATTO

OPERATORIO  IN  SENSO STRETTO, QUALORA SI MANIFESTINO CIRCOSTANZE DENUNZIANTI

POSSIBILI  COMPLICANZE,  TALI  DA ESCLUDERE L'ASSOLUTA NORMALITA' DEL DECORSO

POST-OPERATORIO,  NON  PUO'  DISINTERESSARSENE, ABBANDONANDO IL PAZIENTE ALLE

SOLE  CURE DEI SUOI COLLABORATORI, MA HA OBBLIGO DI NON ALLONTANARSI DAL LUO-

GO  DI  CURA,  ONDE  PREVENIRE TALI COMPLICANZE E TEMPESTIVAMENTE AVVERTIRLE,

ATTUARE  QUELLE  CURE E QUEGLI INTERVENTI CHE UN'ATTENTA DIAGNOSI CONSIGLIANO

E,  ALTRESI',  VIGILARE  SULL'OPERATO  DEI  COLLABORATORI. NE CONSEGUE CHE IL

CHIRURGO  PREDETTO,  IL QUALE TALE DOVEROSA CONDOTTA NON ABBIA TENUTO, QUALO-

RA,  PER  COMPLICANZE  INSORTE  NEL PERIODO POST- OPERATORIO E PER CARENZE DI

TEMPESTIVE,  ADEGUATE,  PRODUCENTI  CURE  DA PARTE DEI SUOI COLLABORATORI, UN

PAZIENTE  VENGA A MORTE, IN FORZA DELLA REGOLA DI CUI AL CAPOVERSO DELL'ARTI-

COLO  40 DEL CODICE PENALE, RISPONDE, A TITOLO DI COLPA (ED IN CONCORSO CON I

DETTI  COLLABORATORI),  DELLA  MORTE  DELLO  STESSO. (FATTISPECIE DI PAZIENTE

SOTTOPOSTA  A COLECISTECTOMIA E VENUTA A MORTE ALCUNE ORE DOPO LA CONCLUSIONE

DELL'INTERVENTO,  SENZA  CHE  FOSSE  AVVENUTO IL RISVEGLIO POST-OPERATORIO, A

CAUSA  DI  IPOSSIA CEREBRALE CONSEGUITA ALLA INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ISTI-

TUITASI  NELLA  FASE DI TARDIVA DECURARIZZAZIONE, ED INSUFFICIENTE ASSISTENZA

RESPIRATORIA.  NONOSTANTE SEGNI DI RITARDO NEL RISVEGLIO, IL CHIRURGO OPERAN-

TE  SI  ERA  ALLONTANATO DALLA CLINICA, DOPO LA CONCLUSIONE DELLO INTERVENTO,

DISINTERESSANDOSI,  BENCHE' A CONOSCENZA, DELLA CRISI NELLA QUALE LA PAZIENTE

VERTEVA  E  DELLE DIFFICOLTA' NELLE QUALI IL MEDICO ANESTESISTA SI DIBATTEVA,

AVENDO  FALLITO NEI TENTATIVI DI RIANIMAZIONE E NON ESSENDO RIUSCITO A PRATI-

CARE  INTUBAZIONE  TRACHEALE NE' AD ATTIVARE ALTRE CURE E INTERVENTI IDONEI E

PRODUCENTI,  TECNICAMENTE POSSIBILI). ( V MASS N 167080; ( V MASS N 177967).*

VEDI     167080                                                             

VEDI     177967                                                             

 

Sempre nell’ambito della definzione delle responsabilità nelle attività d’équipe, appare corretto affermare che ad ogni singolo partecipante competa la constatazione di dati di fatto da cui desumere le negligenze altrui, con coseguente dovere di segnalare quanto percepito all’eventuale responsabile dell’équipe medesima.

Per definzione, un obbligo di vigilianza sull’attività altrui spetta sicuramente a colui che gerarchicamente diriga e coordini le attività degli altri componenti, che potrà cirsi adempiuto non solo allorchè egli verifichi nel momento iniziale dell’attività l’eventuale presenza di dati di fatto che possano far prevedere l’altrui comportamento negligente, ma quando egli rinnovi questa disamina durante lo svolgimento dell’attività, con particolare cura durante i passaggi reputati più delicati. Per quanto poi concerne il dovere di coordinamento, esso può considerarsi adempiuto ove si sia provveduto ad una previa e opportuna divisione dei compiti tra i membri dell’équipe.

Un problema che spesso viene alla luce tra le problematiche del lavoro d’éequipe è quello dei limiti del potere gerarchico del responsabile ed in particolare, se sia lecito criticarne e contestarne le decisioni.

In linea di principio la risposta dovrebbe essere negativa, poiché ciò significherebbe svilire l’utilità e la necessità della presenza di un responsabile dell’attività di gruppo (può essere utile ricordare in questa sede le disposisioni di legge che conferiscono poteri di coordinamento e controllo al primario - art. 7 d.p.r. n. 128 del 1969 – ed al medico appartenente alla posizione apicale – art. 63 d.p.r. n. 761 del 1979 – con espresa e correlata previsione della vincolatività delle diposizioni impartite.

Ricorre tuttavia un limite anche a questo “dovere di ubbidienza”, rappresentato dalla palese illegittimità o illiceità dell’ordine; ove la disposizione del superiore gerarchico contrastasse con le più comuni ed elementari cognizioni sanitarie, patrimonio comune ad ogni operatore di settore, deve poter operare un diritto-dovere di dissenso, pena l’insorgenza di responsabilità per concorso o cooperazione nell’evento lesivo della salute.

 

Nell’attuale quadro normativo, la definizione esatta dei compiti del personale medico e di quello infermieristico non è certamente agevole, anche in conseguenza dell’abolizione del mansionario.

Non costituisce infatti una sicura guida di lettura il riferimento alle leggi istitutive degli ordini professionali, ove si pensi che anche per l’ordine dei medici, come per molti altri in Italia, l’elencazione delle attività di competenza spesso comprende compiti che non possono essere considerati “tipici”  e le cui possibilità di svolgimento appaiono condivisibili con altri professionisti.

Un metro maggiormente rassicurante nella determinazione delle mansioni che possono essere svolte dai medici e dagli infermieri e rispondente ad una classificazione “dinamica” delle mansioni, come esige l’attuale legislazione, risulta quello che prende le mosse dall’analisi critica di ciò che ogni singolo operatore sanitario è effettivamente in grado di eseguire, nel rispetto del fondamentale diritto all’integrità fisica dell’utilizzatore dei servizi e nell’ovvia premessa che ormai si deve parlare – nel settore sanitario – di un “concorso” di professioni completamente autonome;  è di tutta evidenza l’importanza che, anche in questi termini, assume l’esatta autocoscienza delle proprie conoscenza.

Le premesse che potevano una volta valere come parametri generali di condotta per cui al personale medico competevano le attività di diagnosi e cura (peraltro delegabili entro certi limiti al personale infermieristico) appaiono nel momento attuale messe in discussione, dal momento che l'attività dell'infermiere non è più collocata in funzione di esclusivo ausilio di quella medica, dopo l'abolizione del mansionario.

L'atto medico delegato, già introdotto nel nostro ordinamento dal DPR 27/03/92 deve essere adottato ogni qual volta ve ne sia la necessità ed è opportuno che venga documentato.

Il personale infermieristico tuttavia può operare anche sulla base di linee guida predefinite (cioè di "raccomandazioni fondate sull'evidenza scientifica, applicabili e con descrizioni dettagliate della pratica professionale desiderata, che formano la base per prendere delle decisioni nel lavoro quotidiano e per aiutare i processi di revisione della qualità, di educazione permanente e di tirocinio professionale") e di protocolli.

Dell'applicazione e del risultato di tali protocolli è responsabile il medico firmatario, salvo la responsabilità personale di chi non agisse secondo le generiche regole di prudenza.

Un importante spunto proprio su queste tematiche è stato offerto da una recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (sez. IV 17 novembre 1999 - 18 gennaio 2000 n. 556, SEZ. iv 4 MAGGIO – 30 LUGLIO 2001, N. 30023)), la quale - rispetto alla posizione di un assistente ospedaliero - in considerazione della loro "autonomia vincolata alle direttive ricevute" dal primario, ha statuito che, nell'eventualità che egli non le condivida, è tenuto ad esprimere il proprio dissenso; in difetto egli potrà essere ritenuto responsabile di eventi lesivi, per non aver compiuto quanto in suo potere per impedire l'evento (art. 40 co. II c.p..).

L’insegnamento espresso dalla decisione menzionata può essere applicato anche nei rapporti tra infermieri professionali e medici, proprio alla luce della autonomia che la legge n.  42 del 1999 ha aperto alla categoria. Colui che non può essere qualificato come "mero esecutore di ordini" (così letteralmente la decisione ricordata)  acquisisce nell'ambito sanitario proprie posizioni di garanzia della salute del paziente con la conseguenza che potrà - se del caso - interloquire con le altre figure professionali, nell'affermazione delle sue competenze e delle sue cognizioni, per non veder "svilita" (così sempre la sentenza di cui sopra) la propria.

Un'altra esimente codificata, lo stato di necessità (art. 54 c.p.), potrebbe essere invocata dall'infermiere professionale che abbia svolto mansioni di competenza di un medico, oltrepassando il relativo limite negativo della sua professionalità, per venire in soccorso di una persona che si trovi in pericolo per la sua salute, quando sia impossibile ottenere l'intervento in tempi ragionevolmente utili di un medico; l'eventuale atto di esercizio abusivo della professione medica (art. 348 c.p.) meriterebbe certamente - in simili frangenti - la piena non punibilità.

Come già ricordato nella premessa a questo lavoro, la relazione tra le due professioni è in larga misura governata dalla scienza medico legale e tracciare una separazione insormontabile tra attribuzioni del medico e dell'infermiere, è spesso arduo.

Non si può, p. es., escludere che l’infermiere professionale possa “predisporre” di sua iniziativa il materiale sulla scorta del quale il medico prenderà le proprie determinazioni e pertanto, sempre in via meramente esemplificativa, di fronte ad un’emergenza, l’infermiere professionale, avvertito tempestivamente il medico, potrebbe dar corso all’esecuzione di un Ecg, anche se esso non è stato richiesto o specificamente autorizzato dal medico, del quale resta compito l'attività di controllo, consistente nel valutare l'attendibilità del tracciato elettrocardiografico fornito dall'infermiera senza una sua contestuale presenza.

 

Si è già fatto un cenno, nel corso di questo scritto, al tema del controllo che compete agli infermieri professionali sull’operato di altre figure professionali e tra queste sugli o.t.a.; tale il dovere sull'attività dei collaboratori ed ausiliari è profondamente radicato nei compiti generali dell'infermiere in quanto – come ho avuto modo di sottolineare – questi è assimilabile al prestatore d'opera intellettuale (v. sul punto gli artt. 1228 e 2232 del Cc.).

E’ fuori di dubbio che nella dinamica delle relazioni tra l’infermiere professionale ed il personale tecnico – ausiliario possano sorgere profili di responsabilità dell’operato di questi ultimi a carico dell’infermiere e precisamente: 1) nell’eventualità che l’infermiere professionale abbia dato istruzioni errate, nel qual caso la responsabilità è del professionista che le ha impartite (cfr. a riferimento l'articolo 1717 Cc.); 2) dal dovere in vigilando, che incombe sull’infermiere professionale, il quale avrà allora il dovere di segnalare gli errori commessi ed eventualmente di attivarsi per ovviare ai medesimi.

 

         Proprio il settore della medicina d’urgenza rappresenta – a mio giudizio – uno dei settori in cui il processo di espansione della responsabilità della categoria infermieristica e della rilevanza dell’attività di triage, ha conosciuto un importante stadio di  sviluppo che è passato dapprima attraverso l’adozione del documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione civile, pubblicato nella G.U n. 116 del 12 maggio 2001 e denominato “Criteri di massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi”.

         Con questo documento si è voluto offrire ai sistemi sanitari regionali un possibile modello organizzativo degli interventi da attuare in occasione di eventi catastrofici, anche con finalità di coordinamento delle varie realtà competenti nel settore del soccorso, sia a livello pubblico che a livello privato.

         Le disposizioni contenute nell’atto non sono pertanto dotate di immediata efficacia precettiva, proprio per la loro finalità programmatica e non sono idonee a far sorgere immediata responsabilità a carico degli operatori sanitari per la loro inosservanza; tuttavia essere potrebbero costituire il paramentro di valutazione della capacità organizzativa dei soggetti competenti agli interventi in occasione di calamità e quindi di fondamento di un ipotetico giudizio di colpa per fatti verificatisi in danno delle vittime degli eventi.

         Il documento del maggio 2001 articola le proprie disposizioni contemplando nella prima parte l’eventualità di fatti catastrofici con effetto locale e nella seconda  quella di eventi che travalichino le capacità organizzative delle strutture presenti sul posto.

         Per la trattazione del tema del Convegno ed ai fiini della disamina delle problematiche che maggiormente possono rilevare, risulta certamente più interessante la prima sezione dell’atto (le cui previsioni si attagliano anche alle emergenze di livello superiore) e nello specifico è opportuno prendere in esame le linee guida dell’attivazione dei soccorsi in sede di immediato intervento sul luogo ove si sia verificata la catastrofe.

         Nei “Criteri di massima” viene affidata al D.S.S. (Direttore dei soccorsi sanitari) la responsabilità di ogni dispositivo di intervento sanitario in zona, in contatto con il medico del 118; il ruolo di DSS viene affidato dal documento ad un medico con formazione specifica che potrà essere lo stesso responsabile del 118 ovvero del DEA o un medico espressamente delegato.

         In posizione immediatamente infraordinata rispetto al DSS viene collocato il Direttore del Triage, ruolo che può essere demandato sia ad un medico che ad un infermiere professionale. I “Criteri” del maggio 2001 ribadiscono più volte al loro interno la fondamentalità del triage nei fatti calamitosi, essendo basilare per la miglior riuscita dei soccorsi il miglior sfruttamento possbile delle risorse umane e materiali presenti sul posto, che può essere innanzi tutto garantita dalla selezione dei livelli di priorità dell’intervento sanitario.

         Lo scritto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, tra l’altro, riporta in allegato due possibili schemi di triage utilizzabili in questi frangenti, lo S.T.A.R.T . ed il C.E.S.I.R.A., senza peraltro che ciò precluda l’adozione di diversi e parimenti efficaci metodi di giudizio.

         Al DSS si affianca inoltre il Direttore al Trasporto, infermiere od operatore tecnico, deputato alla gestione dei mezzi di trasporto in funzione con le priorità appurate in sede di triage.

         E’ interessante notare che nel documento in esame viene espressamente affermata, a fronte di fatti calamitosi che abbiano provocato un notevole numero di feriti, la priorità del triage rispetto all’assistenza immediata, con il chiaro intento dell’ottimizzazione del risultato assistenziale che realisticamente è realizzabile e che in questi casi non può che essere rappresentato dalla circoscrizione del danno.

          La fondamentalità dell’attività di triage è stata di seguito ribadita, per quanto concerne lo svolgimento in sede, nell’accordo del 25 ottobre 2001 stipulato in sede di Conferenza Permanente Stato Regioni tra il Ministro della Salute, le Regioni e la Province Autonome di Trento e Bolzano, avente ad oggetto la definizione di criteri ed indirizzi uniformi su alcuni aspetti specifici del sistema di risposta all’emergenza-urgenza sanitaria.

         L’allegato all’accordo denominato “Linee guida sul triage ospedaliero per gli utenti che accedono direttamente al pronto soccorso”, dopo averlo definito quale sistema di scelta, classificazione, valutazione e selezione immediata per l’assegnazione del grado di priorità per il trattamento sanitario, fornisce criteri generali organizzativi per l’attivazione del servizio nell’ambito ospedaliero.

         In termini espressi, l’accordo conferisce la competenza del triage al personale infermieristico, purchè dotato di esperienza e formazione specifica ed in grado di prendere in considerazione segni e sintomi del paziente e formulare quindi un giudizio (ovvero una prima diagnosi) prodromico all’assegnazione del relativo codice di gravità.

         Il documento tuttavia, in termini non perfettamente coerenti, dopo aver assegnato un ruolo tanto delicato agli infermieri professionali, svilisce in parte le precendeti affermazioni di principio subordinando l’attività di triage alla supervisione di un medico; in effetti, l’affermazione pare andare anche contro lo spirito della legge …… del 1999. Se è vero che quella del medico e dell’infermiere sono due professioni che concorrono, senza vincolo di sovra o subordinazione, alla gestione della sanità, l’affidamento del triage agli infermieri, in quanto parte del loro bagaglio professionale, non può che avvenire in via esclusiva ed in piena autonomia, sia decisionale che organizzativa. Si badi tuttavia che la natura dell’Accordo, che è quello di una mera convenzione, non può, a mio parere, rappresentare un vincolo ineludibile all’affidamento del triage in via esclusiva alla categoria infermieristica, ben potendo questo documento essere disapplicato la dove si ponga in contrasto con precetti sanciti a livello legislativo, all’atto della concreta organizzazione del servizio di triage da parte della singole realtà regionali.

         L’Accordo 25 ottobre 2001 infine esplicita il contenuto del triage, individuandone tre fasi distinte:

         - l’accoglienza: destinata all’acquisizione in via diretta ed indiretta di tutte le informazioni possibili ed utili ai fini della fase successiva;

         - l’assegnazione del codice di gravità: momento diagnostico, da articolarsi secondo quelli forniti dal DM Sanità del 15.5.1992 (in via decrescente di gravità, codice rosso, codice giallo, codice verbe, codice bianco);

         - gestione dell’attesa: consistente nella vigilanza sul paziente diretta ad appurare eventuali variazioni delle condizioni, con assegnazione di un diverso codice di gravità.

         A ribadire la fondamentalità del triage nella cultura della professione infermieristica è infine l’affermazione per la quale, ove possibile, deve essere assicurata la rotazione del personale assegnato al dipartimento di emergenza nell’espletamento delle relative mansioni.

 

Penso sia doveroso spendere qualche parola su un argomento che purtroppo frequentemente ricorre nell’attività degli operatori sanitari, ossia sulle disfunzioni che vengono riscontrare nell’organizzazione delle varie strutture e nell’applicazione dei relativi provvedimenti; personalmente ritengo che possa dirsi doveroso per tutti gli infermieri professionali, ancor più oggi, in seguito all’esaltazione delle loro professionalità, anche a livello legislativo, non prestare passiva osservanza a queste disposizioni, specie ove possano mettere in pericolo la salute pubblica o il buon andamento e l'efficienza del servizio. Ritengo che sia possibile sostenere che sussista un dovere “professionale” di segnalazione di queste disfunzioni, ampliato dalla legge n. 251 del 2000 nella parte in cui attribuiscono alla categoria degli infermieri un ruolo diretto e paritario, rispetto alla categoria medica, nella programmazione delle attività sanitarie; tale segnalazione dovrà peraltro essere che deve essere adeguatamente motivata per fugare eventuali addebiti di attività ostruzionistica e dovrà essere indirizzata con opportuno formalismo (protocollo interno o raccomandata con ricevuta di ritorno) al responsabile dell'Unità operativa e successivamente, in caso di perdurante difetto di riscontro, alla direzione sanitaria.

Questa considerazione appare ancor più giustificata ove si abbia presente la “personalità” della responsabilità penale (art. 27 Cost.), che si traduce nel principio per cui delle conseguenze dell’operato, in sede penale, risponde sempre e soltanto l’individuo e non la persona giuridica che abbia predisposto una determinata organizzazione del lavoro.

 

Vorrei anche fare un cenno alla peculiare posizione che, tra gli appartenenti alla classe infermieristica, riveste il “caposala”. A questa figura professionale, infatti, competono, oltre che mansioni di assistenza diretta, anche oneri di coordinamento del personale infermieristico subordinato e, in veste di preposto, ossia di soggetto in posizione intermedia tra i dirigenti ed i lavoratori, anche compiti in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai sensi del d.l.vo n. 616 del 1994, quali:

- l’aggiornamento delle misure di prevenzione;

- la dotazione ai lavoratori dei mezzi di protezione;

- la verifica del rispetto da parte dei lavoratori delle prescrizioni antinfortunistiche;

- la verifica della formazione e della preparazione dei lavoratori in tema di sicurezza e salute sul lavoro.

 

Assai delicato è anche il dovere che al caposala incombe, relativamente alla tenuta dei medicinali all’interno del proprio reparto, anche se questo incombente può ritenersi condivisibile con gli infermieri professionali, come insegnato da una delle decisione che qui di seguito vengono citate.

SEZ. 4       SENT.  05359  DEL 06/05/1992  (UD.26/03/1992)        RV.  190284

     PRES. Severino C                 REL. Caizzone G             COD.PAR.392

     IMP. Vallara        PM. (Conf) Iannelli                                

614004  Sanita'  pubblica  -  Veleni  -  Stato  giuridico del personale delle

       U.S.L.  - Primario - Funzioni - Compito della custodia dei veleni - E-

       sula dai compiti assegnati al Primario.                              

589011  Professionisti  -  Medici e chirurghi - Stato giuridico del personale

       delle  U.S.L. - Primario - Funzioni - Compito della custodia dei vele-

       ni - Esula dai compiti assegnati al primario.                        

D. P. R. DEL 20/12/1979 NUM. 761 ART. 63  COMMA 5       *COST.              

    L'art.  63,  quinto  comma,  d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, sullo stato

giuridico  del  personale  delle  U.S.L., specifica che al Primario competono

esclusivamente  "funzioni  di  indirizzo  e  di verifica sulle prestazioni di

diagnosi  e  cura" ed e', dunque, esclusivamente in relazione a tali funzioni

che  egli deve impartire "istruzioni direttive" ed esercitare "la verifica i-

nerente  all'attuazione  di  esse". Esulano, dunque, dai compiti assegnati al

Primario,  quelli  manageriali  e di organizzazione aziendale che spettano ai

vertici  amministrativi  delle U.S.L. (nella specie, dotazione di contenitore

di  sostanze  venefiche  immediatamente distinguibili esteriormente da quelli

destinati  alla conservazione di medicamenti), cosi' come, in particolare, e-

sula  quello della custodia dei veleni, che spetta ad altri soggetti (caposa-

la, infermiere professionale).                                               

 

SEZ. 4       SENT.  05359  DEL 06/05/1992  (UD.26/03/1992)        RV.  190285

     PRES. Severino C                 REL. Caizzone G             COD.PAR.392

     IMP. Vallara        PM. (Conf) Iannelli                                 

614004  Sanita' pubblica - Veleni Servizi ospedalieri - Caposala - Compiti di

       controllo  del prelevamento e della distribuzione delle sostanze vene-

       fiche  -  Sussistenza  -  Art.  1 d.P.R. n. 1310 del 1974 - Compito di

       custodia  dei veleni affidati all'infermiere professionale - Esclusio-

       ne del compito del caposala - Insussistenza.                         

D. P. R. DEL 27/3/1969 NUM. 128 ART. 41  COMMA 1                            

D. P. R. DEL 14/3/1974 NUM. 225 ART. 1  COMMA  LETT. F                      

    Secondo l'art. 41, primo comma, d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 - che regola

l'ordinamento  interno dei servizi ospedalieri - il caposala"... controlla il

prelevamento  e  la distribuzione dei medicinali, del materiale di medicazio-

ne,  e  di  tutti gli altri materiali in dotazione"... tra i quali devono ri-

comprendersi  le  sostanze  venefiche.  Vero  e' che l'art. 1 d.P.R. 14 marzo

1974,  n.  225 alla lettera f) affida all'infermiere professionale il compito

di  custodia  dei  veleni, ma, non avendo tale disposizione abrogato, la gia'

citata  precedente  disposizione  di legge, e' da intendere che il compito di

custodia  dell'infermiere  professionale  concorra con l'identico compito del

caposala senza, ovviamente, escluderlo.                                     

 

Mi preme in questa sede trattare anche di un ulteriore argomento, la cui problematica emerge spesso nell'indagine giudiziaria in tema di responsabilità professionale del personale sanitario, ovvero la documentazione delle scelte operate e dei trattamenti praticati sul paziente; troppo frequentemente, infatti, accade di dover esaminare cartelle cliniche redatte con vistose carenze e lacune o, nella migliore delle occasioni, con linguaggio eccessivamente sintetico.

Non di rado, le stesso strutture sanitarie disciplinano le forme di documentazione dell’attività sanitaria, anche con riferimento alla tenuta della cartella infermierisitca, anche se le prassi riscontrabili appaiono assai variegate.

Si può affermare senza timore di smentita che, là dove venga previsto in termini espressi l’obbligo di redazione della cartella infermieristica, l’omesso rispetto delle relative prescrizioni possa far derivare a carico dell’infermiere professionale una responsabilità quanto meno a livello disciplinare, per violazione dell’obbligo di diligente adempimento delle proprie obbligazioni che è sancito già a livello civilistico dagli artt. 1218 e 1176 c.c..

 

Bisogna premettere che la giurisprudenza ha riconosciuto in termini pacifici alla cartella clinica il carattere di atto pubblico con tutte le conseguenza che ne derivano per l'ipotesi di falsificazione e di alterazione del suo contenuto; tuttavia, analoga valenza può essere conferita anche al diario infermieristico, giacchè gli infermieri professionali rientrano tra i soggetti incaricati di un pubblico servizio, ai sensi dell’art. 358 c.p. e l’art. 493 c.p. estende la disciplina delle falsità documentali, ivi compresa quella che attiene agli atti pubblici ed alle certificazioni, ai documenti redatti dagli incaricati di pubblico servizio, nell’esercizio delle loro mansioni; ne discende che, specialmente quando la compilazione del diario infermieristico venga prevista dall’ente sanitario, le falsificazioni ideologiche e le alterazioni di questi atti costituiscono reato e comportanto l’applicazione di sanzioni penali.

Ritengo estremamente opportuno che gli infermieri professionali acquisiscano nel proprio patrimonio culturale l'abitudine alla compilazione del diario infermieristico e di procedere a questo incombente nel modo il più possibile esaustivo e comprensibile; se è vero che vi sono ormai ambiti di esclusiva competenza e responsabilità per la categoria, è sicuramente opportuno che rimanga traccia di queste opzioni in aggiunta a quanto possa risultare dalla cartella clinica, onde consentire - nel caso in cui se ne prospetti la necessità - di apprendere appieno le ragioni delle decisioni assunte, anche in rapporto con le altre figure professionali, in primis con il personale medico. Si aggiunga poi che la documentazione della propria attività si presenta opportuna - quale momento di corretto esercizio della professione - nell'ipotesi in cui più soggetti siano chiamati ad occuparsi di un medesimo caso, in modo che a colui che succeda ad altri nel trattamento sia noto il quadro della situazione e quali decisioni siano state assunte fino a qual momento.

 

L’onere qualificato di conoscenza delle regole dell’arte a carico del professionista (affermato a livello di lettura Costituzionale delle norme sulla responsabilità penale), siano questi precetti  generici o specifici, renderà ardua inoltre l’invocabilità da parte degli infermieri professionali, dell’ignoranza delle regole che disciplinano la loro attività. Chi svolge professionalmente una determinata attività “rischiosa” nel giudizio corrente così come in quello giudiziario, non può non essere a conoscenza delle regole (scritte e non scritte) sotto l’egida delle quali le relative mansioni devono essere esercitate; ciò lo esige il rispetto che degli altri ciascuno deve avere quotidianamente ed in special modo dove siano in gioco interessi primari e tutelati fin dal livello Costituzionale della nostra legislazione, come il diritto alla salute (art. 32 Cost.) che è passibile di compromissioni definitive e non riparabili per equivalente.

Mirko Margiocco

Sostituto Procuratore della Repubblica

presso il Tribunale di Modena

 

 

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