Congresso Nazionale Aniarti 1998
INTENSIVITA’ ASSISTENZIALE RESPONSABILITA’ INFERMIERISTICA
Napoli (NA), 10 Ottobre - October 1998 / 12 Ottobre - October 1998
» Indice degli atti del programma
dibattito
10 Ottobre - October 1998: 10:00 / 10:15
- Prima
domanda
- Nome
e Cognome: Pallotta
- Professione:
infermiere professionale
- Provenienza:
USL 8 - Marche
- Io
vorrei intervenire rispetto alle ultime tre relazioni. Soprattutto quando
la collega affermava che i nostri nuovi colleghi, e sottolineo colleghi,
con Diploma Universitario, sono critici verso una parte di noi, diciamo,
“vecchi infermieri”. Io ricordo a questi colleghi che, come diceva
Silvestro, finché noi saremo infermieri il paziente va ancora toccato, dico
toccato con tutto quello che vuol dire. Questo lo rimando ai nuovi
colleghi, rispetto al fatto di essere critici verso di noi.
- Quando
si discute della nuova professionalità, dei nuovi diplomi, mi trovo d’accordissimo
con la linea adottata; però io ho dei dubbi, ho delle perplessità
riguardo tutti quegli infermieri che hanno seguito, dico parole testuali
“corsi e corsetti”. Questi che fine faranno? Questi corsi e corsetti,
questa professionalità, che non è l’ottimale però esiste, esiste come
corsi, esiste come professionalità presa sul campo.
- La
terza riflessione. Mi trovo d’accordissimo che non ci deve essere
l’appiattimento, l’errore che ha fatto il sindacato negli ultimi
vent’anni. Però voi mi dovete convincere, mi dovete allettare, del
perché io
infermiere devo essere stimolato a fare tutti questi percorsi giusti che
ci sono. Qualcuno di voi mi ha detto: il nuovo contratto. Io conosco il
nuovo contratto, ma sinceramente questo nuovo contratto che andremo,
speriamo quanto prima, a siglare, parla di diverse classificazioni. Però
facendo queste classificazioni, ho visto che la maggior parte di esse sono
per gli infermieri di vecchia data, perché il primo inquadramento è
questo. Noi rimaniamo sempre ingabbiati, anche se in minor misura, in
questa classificazione, spero che venerdì mattina ci sia qualcuno che ci
dimostrerà il contrario. Io debbo dire che sono un iscritto ad una sigla,
per cui non sono contro questo contratto, tuttavia io vedo che non abbiamo
motivi o non veniamo pagati per quello che facciamo. Questo volevo
toccare, perché qui si discute giustamente della nostra professionalità,
ma di pari passo non c’è un riscontro economico, se anche è brutto a
dirsi.
-
- Seconda
domanda
- Nome
e Cognome: Vincenzo Scotto
- Professione:
infermiere professionale
- Provenienza:
Rianimazione - Savona
- Volevo
fare alcune domande che non sono assolutamente polemiche, esprimono uno
stato di fatto.
- Innanzitutto
la conoscenza scientifica e l’affermazione della validità della
conoscenza scientifica. Ci avete dimostrato concretamente, e qui tutti lo
potrebbero dire, come molte volte si fa un lavoro, si fa uno studio, si
raccoglie il lavoro e lo studio di altri, lo si porta nel reparto e
comunque non si riesce a far passare la validità di quello studio. Come
fare??
- Secondo,
rispetto a quella che è l’accessibilità alla formazione. Io ho provato
ad iscrivermi ad una Facoltà a Genova, perché sono di lì. Mi è stata
richiesta la partecipazione e la frequenza ai corsi, con l’obbligo della
frequenza, se pure con un certo margine sulle assenze. Rispetto
all’Università di Torino, invece, dove esiste un metodo di lavoro
completamente diverso; qui viene quasi affidato a dei gruppi di studio,
con un metodo abbastanza competitivo tra i vari gruppi, per cercare di
raggiungere degli obiettivi. Quindi rispetto ai due ambienti, ci sono
delle possibilità di accesso completamente diverse.
- Terzo,
io mi trovo in difficoltà a riconoscere le linee guida della mia
amministrazione. Lavoro in una realtà molto fortunata, abbiamo applicato
i protocolli fin da principio, abbiamo seguito la loro valutazione, perfino su 2200 pazienti vi sappiamo dire
statisticamente i periodi di prevalenza di determinate patologie, con dei
piani di assistenza abbastanza precisi. Rispetto a quella che è
l’autonomia e il senso di responsabilità, l’ultima affermazione:
“nessuno di noi si potrebbe definire serenamente irresponsabile”,
secondo me individua quella che potrebbe essere la conflittualità del
domani, là dove una figura responsabile, e magari più competente in
alcuni campi, si dovrebbe proporre, e non so bene neanche quanto imporre,
su alcune tematiche, limitando quello che era il desiderio di autonomia
professionale. Grazie.
-
- Terza
domanda
- Nome
e Cognome: Alessandra Cendac
- Provenienza:
Trieste
- Mi
sorge una perplessità nel sentire le proposte e le riflessioni dei
relatori. C’è una grossissima velocità nel cambiamento della nostra
professione. Questo è positivo, senz’altro, però non permette un
efficace adeguamento al sistema sanitario e sociale che ci circonda e nel
quale siamo inseriti. Questo cosa significa? Intanto l’utenza è sì più
informata di una volta, ma non ancora abbastanza da star al passo o di
capire che sempre di più l’infermiere può diventare un consulente
della salute, più che una balia, come era stato visto forse in passato.
Esiste un’inadeguatezza di altre professioni, che non riescono ancora ad
accettare e a cogliere la nostra maggiore preparazione, la nostra capacità
professionale; primi fra tutti i medici, ma anche altri. Si viene a creare
sempre di più una carenza nel sistema di gestione delle grandi Aziende
Ospedaliere, come anche, abbiamo visto ultimamente, nell’ambito
territoriale. Cioè le funzioni, a partire da quella alberghiera, in
Azienda Ospedaliera e in altre strutture extraospedaliere cominciano veramente a farsi
sentire come lacunose, e sempre più pressanti. Quindi una mia visione di
questo momento potrebbe essere: evitare invece di correre molto avanti e
così in fretta, non si ha nemmeno il tempo di “assimilare” un tipo di
formazione. Fino a qualche anno fa c’erano delle proposte e quest’oggi
ce ne sono altre, mi chiedo fra due anni quale altro tipo di formazione
verrà proposta. Non sarebbe il caso forse di solidificare di più certe
acquisizioni, certe conquiste che sono già state fatte senza correre
tanto avanti? Con il rischio poi di non venire riconosciuti, di non essere
presi troppo sul serio o non vedere, appunto, solidificate delle posizioni
comunque già acquisite. Quindi di dare un po’ più tempo forse alla
maturazione del mondo che ci circonda, cioè noi siamo “bravi e buoni”
e lungimiranti, sicuramente vince chi è lungimirante in queste cose; però
sicuramente il mondo è più lento. Grazie.
-
- Quarta
domanda
- Nome
e Cognome: Tonia De Crescenzo
- Provenienza:
Rianimazione, Azienda Ospedaliera “Cardarelli”- Napoli
- Innanzitutto
mi voglio complimentare con i colleghi, perché sono stati molto chiari e
precisi su argomenti che sono molto ostici, perché troppo nuovi, e noi
siamo troppo non abituati a questi argomenti. Però, secondo proprio a
quella che è la logica assistenziale, io volevo chiedere alla Signora Di
Giulio se esistono in Italia, e, se esistono, quali sono questi percorsi
assistenziali basati su evidenze cliniche. Cioè vorrei sapere se in
Italia esiste qualcuno, oltre Lei, che faccia questo, chi sono questi “nascosti”, dove noi possiamo anche cercarli.
- Inoltre
una domanda legata a quella che è la nostra dipendenza e la nostra
autonomia. Oggi come oggi, nella realtà in cui viviamo, dove tutto questo
è ancora molto molto lontano, io spero che venga quanto prima vicino a
noi, ma è lontano. La nostra autonomia, del singolo, del gruppo, che non
deve diventare sovranità: chi è oggi che giudica, chi è l’organo, la
figura preposta al giudizio di questo team operativo, chi si mette a voler
cercar di fare, voler trovare i metodi idonei, secondo quelle che sono le
direttive date da voi, che io ampiamente accetto, ma che comunque trovo
utopico in questo momento.
-
- Risponde P. Di Giulio
- Inizio
con il rispondere all’ultima domanda di Tonia De Crescenzo: esistono
questi percorsi assistenziali basati sulle evidenze cliniche? Un po’ sì
e un po’ no. Come sempre non c’è mai una risposta è tutto bianco o
nero. Esistono numerose realtà dove i colleghi che lavorano in un
determinato settore, dall’area critica ad esempio con i pazienti con
ictus, hanno cominciato a vedere la letteratura per valutare quello che
viene fatto, e rispetto a quello che viene fatto quanto è documentato,
fondato, e quanto no. Dopo di che, non esiste nessuno contesto dove il
cento per cento degli interventi, né medici né infermieristici, erogati
al paziente siano di documentata efficacia, primo perché non esistono
evidenze su tutto, secondo perché il cambiamento molto spesso è lento, e
occorre che ci sia il consenso del medico, del primario, della caposala.
Quindi vengono fatte delle scelte, ovviamente, affermando quali sono le
cose più nuove, più efficaci che si devono introdurre; per le altre è
inutile fare le battaglie contro i mulini a vento, se il proprio collega
vuole continuare a fare l’impacco per eseguire un’emocoltura, che lo
faccia pure, è una precauzione in più, tempo speso in più, ma poi tutto
sommato non cambia niente.
- Quindi
è molto importante partire dall’osservazione della realtà e porsi una
serie di domande, ma poi dove vado a trovare le risposte? Infatti non è
così semplice. Esistono numerosi strumenti a disposizione, vedrete anche
nelle relazioni esposte domani, che i libri di testo sono un punto di
partenza, ma i libri di testo non sono il massimo dell’aggiornamento,
molti libri di testo continuano a dare informazioni vecchie, già
superate. Questa è una considerazione importante. Esistono le riviste,
una di queste esiste anche in edizione italiana, è l’Evidence Based Nursing o Assistenza
basata sulle evidenze, dove vengono presentati e commentati gli studi
più rilevanti, poi c’è la
Rivista dell’Infermiere, e anche la rivista della Federazione
nell’ultimo periodo ha cominciato a pubblicare linee guida, che essendo
generalmente disponibili in inglese, consente di renderle accessibili a
chi non conosce l’inglese. Esistono altre riviste, ma su questo si
entrerà nel merito domani, che pubblicano raccomandazioni e linee guida,
e per chi ha accesso alla stampa medica, succede sempre più
frequentemente che sulle riviste mediche vengano pubblicati articoli che
sono di estrema rilevanza per gli infermieri. Questo proprio perché si
sta perdendo questa connotazione medica o infermieristica; si cerca di
documentare quello che è efficace per il paziente.
- Occorre
un po’ di fatica, ora, a mettere insieme tutte queste pedine,
l’importante è che si parta; e non si può avare la pretesa di essere
tuttologi, e anche se si legge la letteratura ci possono sempre essere
argomenti sui quali non si hanno gli elementi per capire, e di trovarsi
nelle condizioni della gente comune. Quindi è molto importante che
ciascuno, nel proprio settore di competenza, avendo conoscenze, avendo
esperienze, cominci a valutare un settore, e poi, come vedrete nel lavoro
a mosaico che verrà presentato domani, se ciascuno si pone una domanda e
cerca la risposta a questa domanda, e quindi le risposte vengono messe
insieme, si comincia a costruire un percorso basato sulle evidenze. Il
collega, Vincenzo Scotto, diceva: dopo di che io lo porto in reparto, e in
reparto mi dicono “bravo, hai fatto un bel lavoro,... adesso lo mettiamo
lì ... e continuiamo a lavorare così come già facciamo”, che è
quello che succede nell’80% dei casi, e non solamente a noi, succede
anche ai medici. Esistono linee guida molto articolate per i medici, e uno
dei problemi che si stanno ponendo è come riuscire a trasformarle in
interventi operativi, come fare in modo che quello che è scritto non
rimanga solamente scritto nel testo ma diventi pratica. Ci sono in corso
numerose sperimentazioni di strategie per fare in modo che le conoscenze
vengano applicate, non ne esiste una sola. Le strategie vanno modulate
rispetto alle esperienze. Se c’è chi ha una posizione forte in reparto
e riesce ad imporle, tanto meglio; dove ci si trova in una situazione di
minoranza vanno adottati degli altri tipi di percorso, di pressioni
dall’esterno. Ad esempio in un reparto dove il primario impone di
eseguire le emocolture alle 7, alle 12 e alle 18, a tutti i pazienti che
hanno febbre, come se fosse un antibiotico, lì si può contattare il
microbiologo, visto che noi non abbiamo voce in capitolo in quel reparto,
per mettere in discussione il primario, e chiedergli ragione di quello che
fa. Quindi le strategie sono tante, vanno valutate rispetto alla
situazione. Identico problema, forse ancora peggiore del nostro, investe i
medici, perché lì ci sono delle gerarchie di potere che sono più
difficili da scalzare. E’ vero che ho detto che la conoscenza e le
evidenze tolgono le gerarchie, ma non sempre è così vero in pratica. Le
gerarchie, purtroppo in alcuni contesti, continuano ad esserci
indipendentemente da fatto che gli ordini o le indicazioni date siano alla
fine di documentata efficacia.
-
- Risponde A. Silvestro
- Pare
di cogliere che, al di là di qualche specifica domanda, ci fosse, da
parte dei colleghi intervenuti, l’esigenza di fare alcune affermazioni e
di confrontarsi, proprio nella logica che abbiamo voluto sperimentare
quest’anno.
- Il
primo collega intervenuto evidenziava la necessità che i “nuovi”,
chiamiamoli così, infermieri, o comunque gli infermieri che si formeranno
da adesso in poi, rimangano sempre collegati alla fisicità, che è una
componente tipica del nostro lavoro, fra l’altro quella con più alta
complessità gestionale e relazionale; ma certamente sarà così, deve
essere così. Se ci rifacciamo alla relazione della collega Saiani, pare
evidente che c’è la linea di continuità da questo punto di vista, che
non significa che i tirocini debbano essere svolti come venivano svolti
anni fa, quando magari per far passare i concetti di igiene si pensava che
si dovessero pulire i comodini. Per cui alcuni aspetti vanno senz’altro
rivisti, speriamo in termini migliorativi.
- Il
collega faceva anche delle affermazioni: “corsi e corsetti”
frequentati precedentemente. Siamo nella logica, come colleghi a questo
tavolo, ma anche come Associazione, anche come Federazione degli
Infermieri, che corsi di maggiore o minore durata, o con determinati
contenuti servano a ridefinire e valorizzare competenze e conoscenze,
servono nell’esercizio professionale. Quindi comunque benvenuti, e di
grosso utilizzo nella prosecuzione dell’esercizio professionale. Se poi
parliamo di corsi di specializzazione strutturati, che sono stati
frequentati nei periodi precedenti, qui ci si chiede cosa succederà di
chi aveva comunque conseguito un attestato o un certificato di
specializzazione. La Federazione si è già inserita nella prospettiva di
definire, attraverso i responsabili dei corsi modulari e di
specializzazione, come accreditare i percorsi formativi che hanno avuto
una conclusione di tipo specialistico, svolti precedentemente. Questo dal
momento in cui dovesse passare, speriamo, il nostro progetto di formazione
complementare. Per cui comunque, al di là dell’utilizzo e della
valorizzazione delle competenze, si cercherà di trovare il sistema di
riconoscere dal punto di vista propriamente certificativo quello che è
stato fatto nei percorsi precedenti. Ricordo anche che il nuovo sistema
classificatorio, e la nuova logica contrattuale, che potrà anche
presentare, secondo la valutazione di alcuni di noi e di voi, dei momenti
di criticità e di debolezza, però indubbiamente va verso il
riconoscimento della diversità di competenza e di professionalità, e va
anche nella logica del riconoscimento di una diversa connotazione
economica collegata alla competenza e alla professionalità. Caso mai il
punto che andrà presidiato sarà quello di fare attenzione che i criteri
che dovranno venir utilizzati per definire il livello di competenza, a cui
collegare un riconoscimento economico, siano criteri oggettivi,
trasparenti e condivisi dalla rappresentanza professionale
infermieristica. Ecco qui un invito, che io personalmente farò come penso
anche voi farete, quando ci sarà il rappresentante delle organizzazioni
sindacali, un invito ad una collaborazione corretta, nel riconoscimento
della pari dignità, tra organizzazioni sindacali e rappresentanze
professionali. Questo per fare in modo che gli obiettivi degli uni e degli
altri possano compenetrarsi nell’andare a definire i criteri di
riconoscimento e valorizzazione della professionalità che abbiano anche
un corrispettivo corretto dal un punto di vista economico. Teniamo conto
del fatto che con questa nuova logica di sistema classificatorio, è data
la possibilità all’infermiere che ha acquisisce importanti competenze
cliniche di fare una progressione di carriera, non solo orizzontale, ma
anche verticale. Quindi noi potremo vedere, nel prossimo futuro, degli
infermieri con delle riconosciute competenze cliniche, che proprio perché
le possiedono, acquisiscono delle posizioni in ambito organizzativo ed
economico di un certo peso e rilievo, senza, come succedeva fino adesso,
dover per forza fare dei percorsi organizzativi o gestionali, perché al
di là di questo non c’era possibilità di prosecuzione di carriera da
un punto di vista verticale. Quindi lo sbinamento delle carriere,
competenza clinica e competenza gestionale, dovrebbe potersi verificare
con il nuovo sistema classificatorio, e quindi dare una risposta anche a
questo tipo di sollecitazione che proviene.
- Altro
quesito, è stato posto un po’ dal collega di Savona, un po’ dalla
collega di Trieste, e anche dalla collega di Napoli, è: ma dove le
vediamo poi noi queste cose? E poi, così, non c’è il dubbio, la paura
di andare un po’ troppo avanti rispetto alle cose che poi noi vediamo ci
circondano?
- Sì,
potrebbe anche esserci questo rischio, tenete conto del fatto però che (e
mi rifaccio a quello che diceva precedentemente Di Giulio), quando noi
andiamo a leggere dei testi, ci troviamo dei contenuti che sono già
vecchi. Noi ora stiamo analizzando una serie di cose, e ben venga che noi
le analizziamo, che però sono già vecchie, quel cambiamento di cui noi
adesso stiamo affrontando i risvolti, è già avvenuto, perché i Decreti
Legislativi 502 e 517 sono già di quattro anni fa. La legge di riforma
del pubblico impiego, i rapporti nell’ambito del pubblico impiego e la
posizione di chi ci sta dentro, sono eventi già in evoluzione e iniziati
con il decreto legislativo 29. C’è la legge 80 del marzo di
quest’anno che già pone la eventualità dell’esubero, della posta in
mobilità e quindi del licenziamento, perché chi sta nelle organizzazioni
pubbliche avrà dei rapporti di lavoro di tipo privato, come avremo anche
noi. Quindi questi sono cambiamenti, di cui adesso noi discutiamo, ma che
si sono già verificati. Come la formazione in ambito universitario, che
potrà essere migliorata, rivista, ma si è già verificata. Un settore
che possiamo cercare di presidiare ora è la formazione specialistica, che
si sta per realizzare; il decreto ministeriale 739/94 la prevedeva già
nel 1994. Certo sono importanti novità, ma sono già avvenute, dobbiamo
cercare di gestirle correttamente, cercando di strutturarci in modo tale
da poterle governare. D’altra parte è tutta la società che si ritrova
in un movimento così repentino, che non so quanto ci si possa permettere
di fermarci, per darci il tempo di consolidaci. Io credo che nell’ambito
del gruppo professionale dovremo definire e distribuire responsabilità,
in modo da poter gestire al meglio questo periodo, ma non possiamo
fermarci, perché rischiamo di essere travolti da tutto ciò che ci sta
succedendo attorno. Io credo anche, per l’esperienza che sto facendo
nella mia Azienda come responsabile del Servizio Infermieristico, che gli
spazi e le opportunità per gli infermieri ci siano e siano molte Forse
non sempre abbiamo la forza, la competenza e anche la disponibilità di
tempo di farli propri; tuttavia proprio nella logica di andare verso
obiettivi e risultati, di confrontarci sui risultati conseguiti, proprio
in questa logica si aprono spazi. Anche se non è così automatico, come
diceva prima giustamente Di Giulio, in effetti in molte situazioni le
gerarchie si stanno sbriciolando, le logiche corporative cominciano ad
avere difficoltà di esistenza.
- Per
chiudere e lasciare la parola agli altri; credo che tanto più si diventa
resistenti al cambiamento e si gestisce in maniera direttiva e gerarchica
quel piccolo spazio di potere che si ha, tanto più ci si comporta in modo
rigido, tanto più è significativo il fatto che quel potere è
estremamente vacillante. Si verifica che non c’è altro sistema per
tenerlo in vigore, se non questa posizione, che porta poi a definire gli
spazi di autonomia come sovranità degli altri, perché non si è grado di
gestire i propri. Quindi in queste situazioni come è possibile
individuare gli elementi di definizione, di delimitazione
dell’autonomia. Secondo me attraverso il confronto delle conoscenze e
delle competenze, e proprio grazie agli spazi di responsabilità che
ciascuno si assume, per cui anche questa problematica non possiamo
risolverla in maniera rigida, ma dobbiamo analizzarla dinamicamente nel
tempo. Indubbiamente essere infermieri da adesso e nel futuro significherà
veramente fare tanto approfondimento di contenuti, di conoscenze e di
competenze. Significherà porsi davvero, sia come insieme di infermieri
che come singolo operatore, come soggetto politico, in grado di definire e
determinare le scelte che si fanno nell’Azienda, nel reparto,
nell’unità operativa, e a livello nazionale. Non è così difficile,
basta cominciare ad entrare in quella logica, e pensare che abbiamo sempre
la possibilità di individuare dei rappresentanti, associativi,
professionali, ecc. che, su mandato nostro, possano svolgere in maniera
puntuale ed efficace questa funzione.
-
-
- Risponde L. Saiani
- Io
vorrei reagire in particolare su due punti del dibattito. Primo: come mai
se si confrontano due Scuole Universitarie per Dirigenti, trovo due
proposte completamente diverse? E l’altro: ma perché dovrei fare tutti
questi corsi?
- Credo
che i contributi a questi due nodi, che pongono colleghi, si trovino in
quello che sta avvenendo nella riforma degli studi in Italia, che sta
avvenendo per portarci a livello degli standard europei, che riguarda
principalmente la riforma universitaria, in gran parte già avvenuta e già
realtà. Due grandi cambiamenti: primo l’autonomia di ogni Ateneo,
secondo la perdita del valore legale dei titoli rilasciati.
- L’autonomia
di ogni Ateneo vuole proporsi, come esiste in moltissimi altri Paesi, come
una possibilità che crea competizione tra le diverse Università, quindi
sarà la norma per il futuro. Se in Italia ci sono oggi otto scuole per
Dirigenti Infermieri, domani speriamo otto corsi di Laurea in scienze
infermieristiche, ciascun corso, stante un obiettivo mirato che forma
laureati in scienze infermieristiche e non qualcosa d’altro, avrà piena
autonomia nel modo di interpretare frequenze, piano di studi, numero di
esami, e strutturazione, non possono essere stabiliti se non limiti
generali di quadro. Si sceglie in base a cosa? In base alla proposta che
è più congeniale, quella che si condivide di più. Quindi questa sarà
la norma, questa sarà la norma anche sui diplomi universitari. Questa
competizione vuole anche essere una competizione spinta alla qualità.
Certo si sa che tutti questi progetti possono avere dei nobili intenti, ma
far delle pessime cadute, può diventare anarchia più che autonomia,
tuttavia l’indirizzo del futuro è questo e non si tornerà indietro.
- La
perdita del valore legale di titoli, è l’altro grande cambiamento.
Stiamo parlando anche del valore della Laurea, nel senso di disgiungere la
stretta finalizzazione del conseguimento del titolo al poter ricoprire dei
posti, e questo sta coinvolgendo tutti, non solo gli infermieri; ma di
questo bisogna esserne consapevoli velocemente. Perché fare corsi allora?
Prima di tutto per acquisire competenze. Per acquisire un pezzo di carta?
Anche. Sarà il requisito più importante per certificare le proprie
competenze? No, e vale per noi, per i laureati e per i futuri
specializzati. I titoli conseguiti certificano un avvenuto percorso
formativo, ma ciascuno poi dovrà dimostrare sul campo la competenza
agita, e ci può essere chi arriva a quel livello di competenza agita
senza il percorso formale di quel titolo. Questa sarà la pluralità e il
cambiamento che avverrà nel rapporto Università e mercati del lavoro, e
in altri Paesi è già realtà da molti anni.
-
- Risponde P. Taddia
- Sono
rimasta abbastanza perplessa alla affermazione secondo la quale dovremmo
fermarci. Capisco il motivo per cui può essersi innescata una esigenza di
questo tipo, però la leggo come espressione di quella che prima chiamavo
posizione conservatrice. In questo momento, mi rendo contro, possa essere
in parte l’atteggiamento di conservazione tipico delle professioni, la
nostra come altre; è un comportamento intrinseco.
- In
realtà oggi tutti gli elementi che prima si descrivevano sono elementi di
cambiamento, e li qualifico proprio elementi di cambiamento, dove non ce
ne uno che prevarica l’altro, che sia più importante dell’altro. Oggi
sono già innescati, e per i prossimi anni il rischio è che siano questi
a diventare prioritari sulle nostre scelte, mentre le nostre scelte
devono, a mio parere, piegare questi elementi di cambiamento, devono
aiutarci a percorrere una strada che un’altra collega ha chiamato
“utopia”. Secondo me oggi, negli ambienti organizzativi-manageriali,
qualcuno vende l’utopia e la chiama vision,
e la vende a caro prezzo. Oggi possiamo chiamarla utopia, possiamo
chiamarla sogno, è comunque il nostro punto d’arrivo, magari non è così
vicino e non è così facilmente raggiungibile, forse non è raggiungibile
fino in fondo, ma sicuramente è un punto che ci aiuta a fare un certo
tipo di strada, ovvero l’immaginario di come dovrebbe essere la nostra
professione da qui a cinque o dieci anni. La visione di come deve essere l’organizzazione sanitaria da qui a cinque o
dieci anni; è quello che alcuni possono chiamare utopia, altri chiamano
in altro modo, però serve. Tra l’altro quanto oggi noi abbiamo detto,
ritengo, che non siano neanche utopie. In realtà se noi vediamo le
diverse organizzazioni in maniera differenziata, se si presentano in modo
apparentemente disordinato, tutta una serie di situazioni sono applicate,
mentre abbiamo poca capacità di diffondere velocemente certi cambiamenti
e di confrontarci sui cambiamenti. Quindi ripeto, il cambiamento c’è già,
il rischio è che in realtà sia un cambiamento molto veloce, e non va
neanche seguito, andrebbe addirittura anticipato. Prevedere determinati
elementi, quali tipo di risultato possono dare, quindi anticipare gli
eventi. Secondo me oggi noi siamo su una buona strada per fare questo, e
tre giornate come queste, organizzate in questo modo ne sono un esempio,
forse anni fa erano inimmaginabili congressi organizzati con queste
modalità.
-
- Secondo
giro di domande, prima domanda
- Nome
e Cognome: Alfio Patané
- Provenienza:
Rianimazione - Verona
- Oggi
si è parlato molto di responsabilità, di autonomia, di competenze, si è
parlato molto di formazione; e le conoscenze sono il contenuto
fondamentale di questi termini. Su un lucido della signora Saiani c’era
una domanda oscurata che riguardava la formazione dei caposala; infatti
non ne ha parlato. Prima di tutto volevo chiedere come mai, perché non ne
ha parlato. Forse trovo da solo la risposta, è stata anche accennata la
signora Silvestro. La nuova classificazione prevede una progressione sia
in orizzontale che in verticale, però nel momento in cui si parla tanto
di competenze, nei limiti delle responsabilità affinché i limiti
dell’autonomia non diventino sovranità, occorre porsi questa domanda.
Lo ha sottolineato la collega Taddia, e ha accennato tante volte alla
figura del caposala nella sua relazione, perché le ritiene
inevitabilmente figure indispensabili, in un sistema organizzativo. Come
mai la Federazione ha abbandonato la formazione dei caposala già da
diversi anni e in una nuova programmazione di formazione ha assolutamente
ignorato queste figure, che secondo me sono fondamentali.
-
- Secondo
giro di domande, seconda domanda
- Nome
e Cognome: Raimondi
- Provenienza:
Azienda Ospedaliera “S.Orsola-Malpighi” - Bologna
- Il
mio intervento riguarda l’ambito della formazione. Intanto per dire il
mio assenso a quello che è il percorso formativo pensato dai Collegi,
facendo però una piccola riflessione. Gli infermieri specializzati, che
devono uscire da questi corsi, secondo me, diventeranno un po’ delle
lucciole, nel grande mare che è quello della sanità infermieristica. La
professione infermieristica, io credo abbia molto bisogno ancora di
formazione, ma proprio di formazione quotidiana, non lasciata solamente a
dei momenti importantissimi, come questi, o a Congressi regionali, che
vengono organizzati periodicamente. Credo che bisogna stare molto attenti
a evitare un pericolo che potrebbe insorgere, quello cioè di creare dei
momenti conflittuali nei luoghi dove questi infermieri specializzati
vengono inseriti, con gli altri professionisti colleghi. Conflitti che
porterebbero inevitabilmente al fallimento dell’obiettivo per il quale
questo professionista era stato creato. Tutto questo credo, in un contesto
come quello attuale, sia molto possibile che avvenga, perché questi
infermieri non sono supportati alla base da altri professionisti.
Quest’ultimi infatti non hanno comunque una tale formazione, ma anche
solamente vicina; la maggior parte degli infermieri non fa formazione
post-base, è una piccola parte che la segue. Io sono diplomata dall’80,
quindi credo di poter fare questa affermazione, anche proprio in base a
tutti gli anni di lavoro e di attività che ho svolto. I Servizi
Infermieristici dovrebbero rifletterci, proprio perché inseriti in un
contesto di Azienda, in un contesto di managerialità, dove il principio
fondamentale è quello di indirizzare l’attenzione a quello che è il
cliente interno. Credo che i Servizi Infermieristici debbano porre più
attenzione alla formazione degli infermieri all’interno di ogni singola
Azienda, anche perché all’interno di ogni singola Azienda la specificità
è ovviamente diversa, rispetto ad altre. Formazione che deve essere anche
molto attenta, nel senso che ci si rivolge a dei professionisti che
possiedono già dei contenuti non a dei contenitori vuoti. Quindi corsi di
aggiornamento che devono essere mirati, dove il tempo deve risultare di
effettivo apprendimento. Inoltre una cosa importante; bisogna trovare un sistema per darci la
possibilità di studiare, di poter leggere dei testi, dei libri, delle
riviste all’interno comunque di un orario che venga considerato orario
di servizio, e questo credo che sia di fondamentale importanza per
mantenere un livello culturale più ampio. Grazie.
-
- Secondo
giro di domande, terza domanda
- Nome
e Cognome: Angelina Di Nuccio
- Provenienza:
Area Critica - Caserta
- Volevo
porre una domanda riguardo le competenze. Come si diceva poco innanzi la competenza è fondamentale e prioritaria rispetto a titoli di
formazione o di aggiornamento. Mi chiedo e lo chiedo, ma una competenza
altamente qualificata può essere disgiunta da una formazione permanente,
un aggiornamento complementare. E poi volevo porre alla signora Silvestro
una domanda riguardo l’autonomia. Noi parliamo di autonomia oggi,
dovevamo fare una manifestazione, che poi fu bloccata, riguardo al
mansionario, eravamo in attesa e siamo in attesa di qualche notizia dalla
Federazione, lei può darci qualche indicazione? Grazie.
-
- Secondo
giro di domande, quarta domanda
- Nome
e Cognome: Prichiazzi
- Provenienza:
Unità Coronarica - Gorizia
- Il
mio non è un intervento tanto nei confronti dei relatori, quanto forse
nei confronti della collega di Bologna. Per quello che può valere, io ho
fatto un corso di specializzazione in Area Critica ad Udine, che ha una
valenza regionale, e che quindi, diciamo, era un precursore. Non è il
titolo che cambierà i nostri rapporti all’interno, tra lo specializzato
e il non specializzato, all’interno di un Unità Operativa, ma dipende
dal carattere della persona, e fondamentalmente da quello che uno vuole
rivendicare. All’interno della nostra Unità Operativa vi sono tre
persone specializzate, ma non è cambiato assolutamente niente, se non un
discorso di un aggiornamento verso alcuni aspetti, e uno scambiare le idee
tra noi e loro. Ma non è cambiato assolutamente niente, non ci sono stati
conflitti, e non vedo sinceramente da dove potrebbero nascere, dipende
dalla persona come si pone.
-
- Secondo
giro di domande, quinta domanda
- Nome
e Cognome: Federico Spiga
- Provenienza:
Unità Coronarica - Cittadella
- Volevo
porre un quesito. Il fatto che la formazione post-base venga messa in
competizione con la capacità di dimostrare le capacità conseguite in
arte, anche se mi sta bene, non pone il rischio di diventare una forma di
deregulation, che può favorire le preferenze di chi si trova formalmente
poi a giudicare queste persone?
-
- Risponde L. Saiani
- Preciso
a Patané, che chiedeva come mai non ho trattato il problema dei caposala,
che avevo previsto di trattare, perché qui aprire il discorso dei
caposala vuol dire affrontare il discorso della laurea, ho verificato che
già c’è uno spazio venerdì mattina che prevede di parlare di questo,
e quindi ho cercato di contenere il mio intervento. Solamente per questo,
non perché qui non credessi nell’importanza di aprire un confronto
sulla formazione e sulla necessità, che condivido molto, di mantenere
questa figura.
- La
problematica della competenza, si può acquisire competenza fuori dai
canali organizzati di formazione complementare? E’ questa la domanda:
fuori dalla
formazione complementare o dalla formazione permanente? Io ringrazio la
collega per questa domanda perché mi permette di esprimere una delle
preoccupazioni maggiori che ho nei riguardi della nostra professione dopo
vent’anni che mi occupo prevalentemente di formazione. Credo che un
limite intrinseco della nostra formazione sia quella che non ci mette in
grado di autoapprendere da professionisti da soli e di studiare e
convertire ciò che studiamo individualmente in competenze. Abbiamo
tendenzialmente, generalizzando un po’, un’attesa di imparare
solamente in contesti formali organizzati, dai convegni ai corsi, questo
non è vero per moltissime altre vere professioni. La maggioranza di altri
professionisti, di altri campi, autoapprende, acquisisce la propria
formazione continua da soli, leggendo le proprie riviste, facendo ricerche
bibliografiche, utilizzando tutti i momenti anche minimi per imparare,
confrontandosi con altri colleghi esperti, e mettendo in discussione le
proprie convinzioni. E danno importanza minima alla formazione formale,
organizzata. Io credo che dobbiamo cercare un maggiore equilibrio tra
queste due risorse, è insostituibile lo studio individuale e noi dobbiamo
porci il problema di formare professionisti in grado prima di tutto di
studiare da soli, ma questo vuol dire che se si lavora in un ospedale,
dove nessuno organizza un corso di aggiornamento, si rimane ignoranti per
vent’anni? Ma è fuori da qualunque concezione di essere professionista,
quindi io credo che la competenza sia la capacità di declinare esperienza
e conoscenza aggiornata, che ogni professionista deve essere in grado di
coltivare da solo. Certo oggi conosciamo molte più metodologie per
sviluppare l’autoapprendimento che in passato, e quindi bisogna essere
più attenti a farle apprendere. Io credo in un’acquisizione di
competenze anche fuori dai canali istituzionali formali, che poi queste
opportunità formali di scolarizzazione possano accelerare e creare
conoscenze più organizzate è anche vero, ma credo che sia molto
pericoloso se pensiamo che queste siano le fonti uniche di produzione di
competenza.
-
- Risponde A. Silvestro
- Credo
di dover dare qualche risposta essendo stata chiamata un po’ in causa,
non tanto come Vicepresidente Aniarti quanto come Segretaria della
Federazione dei Collegi. Per quanto riguarda il collega di Verona,
rispetto al discorso che poneva: perché la Federazione ha ignorato i
caposala, e perché ha praticamente permesso il blocco della formazione
dei caposala. Ci possiamo assumere tutte le responsabilità, come
Federazione Infermieri, se non sempre portiamo avanti al meglio i problemi
per quanto cerchiamo di farlo. Questa non è propriamente una
responsabilità nostra, nel senso che questa decisione è stata presa dal
Ministero della Sanità, a seguito della 502/517, il che non significa che
la Federazione non abbia in attenta considerazione questa figura, così
come più volte espresso e manifestato in sedi diverse, con anche il
coinvolgimento del Coordinamento Caposala, che rappresenta molti caposala
a livello nazionale. Si sappia, è noto che la Federazione sta chiedendo
che per le funzioni di coordinamento/direzione in futuro ci sia
l’infermiere laureato. Quindi non è che non si sta pensando a questo
tipo di formazione, a questo tipo figura. Rispetto, tra l’altro al
discorso di dove sta andando il caposala nell’attuale classificazione
del personale del comparto, anche qui la Federazione, e poi ne parleremo
venerdì mattina, ha chiesto alle organizzazioni sindacali di fare delle
modifiche nel sistema classificatorio, che è stato da loro presentato,
proprio perché venisse valorizzato il titolo attuale di caposala, fermo
restando il fatto che siamo nella logica che esprimeva Saiani, che i
titoli nel prossimo futuro non saranno più un requisito per esercitare
determinate funzioni. Tuttavia la Federazione ha chiesto abbiano un valore
prevalente nella valutazione dei curricoli per individuare le persone che
dovranno occupare determinate posizioni e svolgere determinate funzioni.
Spero di essere stata chiara da questo punto di vista.
- E
quindi mi collego anche al discorso che faceva il collega di Cittadella
sulla deregulation, certo questo potrebbe essere un rischio, nel momento
in cui però non ci mettiamo nella logica, come gruppo professionale,
attraverso i responsabili dei Servizi Infermieristici e le rappresentanze
professionali, comunque con tutti gli strumenti e le strutture che abbiamo
a disposizione, di voler entrare nella definizione dei criteri attraverso
i quali si va a definire chi deve ricoprire determinate posizioni, e
svolgere altre funzioni. Vorrei anche qui sottolineare un aspetto. Il
fatto che il titolo professionale non sia più un requisito per ricoprire
determinate funzioni, non significa assolutamente che quel titolo e quel
percorso formativo non abbia rilevanza e validità. Sarebbe come dire o il
titolo è un requisito oppure non serve a nulla, non ha nessun
significato, affermazione che mi pare assolutamente al di fuori della
nostra idea e considerazione. Quindi ritorno al discorso che facevo
durante la mia relazione, sarà molto importante entrare nella logica
della definizione, insieme ad altri, dei requisiti attraverso i quali
individuare le persone che dovranno ricoprire queste posizioni. Qui vi
parlo sempre un po’ più come Segretaria della Federazione. Da questo
punto di vista abbiamo chiesto ufficialmente alle organizzazioni
sindacali, nello specifico a CGIL, CISL, UIL nelle persone dei massimi
rappresentanti Bonfanti, Fiordaliso e Armuzzi, e quest’ultimo sarà qui venerdì mattina, di poter attivare un
tavolo di lavoro insieme. Quindi la rappresentanza professionale
infermieristica e la rappresentanza sindacale, per cominciare a delineare
quali devono essere gli elementi costitutivi dei criteri di valutazione. E
qui mi riaggancio anche alla richiesta fatta dalla collega riguardo alla
manifestazione del 1° luglio, abbiamo ritenuto di sospendere la
manifestazione di luglio per dare credito alle promesse che ci erano state
fatte dal Ministro della Sanità Rosy Bindi. Lo abbiamo anche esplicitato
in una pagina dei giornali appositamente acquistata per diffondere
l’informazione a tutti i colleghi e ai cittadini. In effetti una
settimana circa, 10 giorni prima della caduta del Governo, avevamo in mano
la Bozza di Regolamento per il superamento del mansionario, di cui
comunque vi daremo notizia venerdì. Siamo ottimisti rispetto alla
prosecuzione dei lavori, visto che come Ministro della Sanità è stata
confermata l’On. Bindi ed è stato anche confermato anche il
Sottosegretario alla Sanità l’On. Bettoni che sono le due persone che più abbiamo
contattato e per certi versi ci hanno anche sostenuto nel portare avanti
determinati progetti. Ora si tratterà di vedere quanto tempo ci vuole
ancora per concretizzare questa Bozza di Regolamento, che comunque nei
collegi è già presente, per cui chi lo vuole consultare potrà riferirsi
al proprio Collegio provinciale.
- L’ultimo
aspetto, la formazione permanente rimane fondamentale e importante, non è
che si fa solo formazione di base e formazione specialistica. Quanto la
formazione permanente sia fondamentale, lo ha già detto la collega Saiani,
io vorrei dare solo una sollecitazione. Dobbiamo essere anche noi a
chiedere determinate cose, se in una Azienda non viene fatto nulla in
termini di formazione permanente, e il gruppo professionale
infermieristico non esprime contrarietà e dissenso rispetto a questa
carenza organizzativa, forse una qualche responsabilità è da attribuire
anche agli infermieri stessi. Non credo sia più il tempo di attendere che
qualcuno si prenda briga di approntare determinate iniziative, credo che
sia il tempo di andare a dire che ne abbiamo bisogno, e il perché debbono
essere fatte. Entrerei in una logica più attiva. Rispetto alla
conflittualità fra infermieri, responsabili dell’assistenza generale
infermieristica e infermieri specializzati. Credo che la conflittualità
sarà minima e comunque quella che è di fisiologico, se ragioniamo nella
logica di obiettivi, di processo di lavoro integrato, che serve a
raggiungere quegli obiettivi a determinati livelli di risultato. Per cui
credo dovrebbe esserci se non una competizione culturale, basata sul
differenziale di competenza che può esserci. Rispetto alla possibilità
di studiare durante il tempo lavoro, come per i medici, credo che sia una
cosa da perseguire, e potremmo eventualmente fare questa affermazione,
venerdì al leader sindacale responsabile nazionale della CGIL, che ci
verrà a parlare della classificazione e del contratto di lav
oro.
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