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Congresso Nazionale Aniarti 1998

INTENSIVITA’ ASSISTENZIALE RESPONSABILITA’ INFERMIERISTICA

Napoli (NA), 10 Ottobre - October 1998 / 12 Ottobre - October 1998

» Indice degli atti del programma

IPAFD A.DI NUCCIO

11 Ottobre - October 1998: 10:45 / 11:00

TRIAGE: RUOLO E FORMAZIONE 
  
IPAFD A.DI NUCCIO (relatrice) (1), IPAFD E.COCCO (2), IPAFD DAI C.ALIZIERI (3), VI DOTT.ssa D.SCHIAVO (4). 
  
(1) U.O. di Rianimazione - Ospedale San Rocco Sessa Aurunca (CE). 
(2) U.O. di Pronto Soccorso -Azienda Ospedaliera Caserta. 
(3) Direzione Sanitaria - Azienda Ospedaliera Caserta. 
(4) U.O. di Terapia Intensiva Neonatale - Azienda Ospedaliera Caserta. 
  
  
La traduzione del termine triage deriva dal francese: scegliere, valutare. Ma in effetti triage è essenzialmente un esercizio nella distribuzione delle risorse per la cura della salute e come tale si avvale dei principi di giustizia.(Aristotele). 
Infatti nel triage si vedono applicati il principio minimale di Aristotele secondo il quale tutti i simili dovrebbero essere trattati egualmente e tutti i dissimili inegualmente, in proporzione relativa alla loro ineguaglianza. 
In effetti il triage rappresenta il sogno utilitaristico di massima programmazione con il raggiungimento del più grande benessere per il maggior numero di persone. In proposito Mezza (1992) pensa “utopisticamente” che il miglior adempimento del triage sia nell’unificazione dei principi utilitaristici, con quelli egalitari di Aristotele basati sull’eguaglianza di opportunità per tutti. Il triage è uno scegliere, e chi sceglie nel triage infermieristico è un professionista che si occupa della cura della salute e in questa scelta rientra sicuramente anche la componente morale, in quanto è moralmente inaccettabile evidenziare comportamenti discriminatori e di pregiudizio verso i pazienti. E’ proprio l’implicazione morale del triage a fare sì che i pazienti con problemi di salute meno grave non debbano essere trattati “come spazzatura” (Eaves, 1987 Il triage, basato sul bisogno medico è un criterio difendibile perché è parte del dovere di cura, che un professionista della cura della salute, deve ai suoi pazienti. Parlare di ruolo dell’infermiere di triage è difficile, la letteratura dimostra una vasta gamma di opinioni su aspetti vari del ruolo e le difficoltà a proporre un modello valido. La diversità di vedute sembra riflettere i bisogni locali e opinioni individuali degli infermieri, alcune delle quali supportate da ricerche. 
In Italia ancora non esiste legalmente la figura dell’infermiere di triage, mentre l’infermiere di triage di ruolo è legalmente riconosciuto solo in alcuni Stati americani. Questa procedura è nata in America, dove però, se già dal 1960 era usata in molti Dipartimenti di Infortuni ed Emergenza - (l’equivalente dei nostri DEA) e negli stessi USA non esiste ancora un formale sistema di triage.  
 L’adozione del triage nel Regno Unito sembra iniziata negli anni ’80, ma attualmente solo pochi Dipartimenti fanno uso del triage infermieristico. Definire il ruolo di triage è complicato perché il professionista che lo svolge deve possedere non solo abilità di valutazione ad alto livello, ma anche capacità di assistenza ottimali. Purnell (1991) sottolinea che l’infermiere di triage è colui che lavora in un area che richiede capacità più complesse rispetto ad un infermiere che lavora in un reparto generale.  
  
Il ruolo dell’infermiere di triage 
  
Il triage si effettua normalmente nell’area dell’emergenza. Chi vi opera è un Infermiere Professionale dell’Emergenza, che nel Regno Unito svolge anche attività generalmente di competenza medica quali la sutura di ferite, l’ingessatura di fratture e la registrazione di ECG. 
Jones (1990) ha affermato che è impossibile stabilire un ruolo preciso per gli infermieri di questo Dipartimento, in quanto differenti sono le qualità richieste, la protezione legale e la formazione. Esistono comunque protocolli a livello di ospedale o dipartimento. Molti autori riportano che gli infermieri di emergenza durante le fasi di triage devono richiedere esami radiografici per i pazienti con sospette fratture e saper eseguire l’intubazione tracheale (McDonald, 1995).  
 Lee et al, 1996), in uno studio durato tre mesi, hanno valutato le richieste, basate su un protocollo prestabilito, di esami radiografici da parte dell’infermiere, a pazienti già visitati. L’appropriatezza delle richieste è stata valutata dal consulente sanitario più anziano. Dopo il controllo delle 833 radiografie effettuate, risultò che solo il 5,44% non erano necessarie; gli infermieri si erano attenuti ai protocolli in 917 casi su 934, e sul tempo totale di servizio c’era stato un risparmio di 18,59 minuti per paziente. Dall’analisi di questo studio si evince chiaramente perché il triage infermieristico è considerato uno dei più importanti progressi avvenuti nei Dipartimenti di Emergenza nell’ultimo decennio; infatti, esso permette misure di salvezza, pronto soccorso e/o l’inizio di interventi di diagnosi.  
Il triage infermieristico è ormai di riconosciuta efficacia per il miglioramento della qualità dell’assistenza ai pazienti, con effetti su diverse variabili, ad esempio i tempi di attesa per la visita ed in particolare per i pazienti più urgenti. Nello studio di Wong et al, (1994), tutti i pazienti che entravano nel reparto di emergenza venivano sottoposti a triage infermieristico secondo linee guida standardizzate; la definizione del livello di triage era basata sui segni vitali e sul problema presentato. Il trattamento di pronto soccorso e le indagini diagnostiche venivano avviate dall’infermiere di triage, adeguatamente formato e con la supervisione degli infermieri e medici più esperti, il quale doveva conoscere tutti i criteri ed in particolare: 
1) le linee guida standard sulla categorizzazione dei pazienti secondo i segni vitali e i sintomi presenti; 
2) gli standard sui dati da richiedere; 
3) i limiti di tempo di attesa stabiliti per tre categorie di pazienti: emergenza (15’), urgenza (30’), non urgenza (45’). 
Per valutare l'accuratezza del triage è stata utilizzata la diagnosi di dimissione. Sono state valutate 560 cartelle su 11.670 pazienti presentatisi nel Dipartimento di Emergenza. Questi i principali risultati: 
1) dei 534 casi solo il 2% apparteneva alla categoria “ in pericolo di vita”; circa il 30% alla categoria dell’urgenza; la maggioranza dei casi, così come ci si aspettava, erano casi non urgenti;  
2) per la maggioranza delle cartelle, la documentazione è stata giudicata completa; in più del 10% insoddisfacente o equivoca; solo 7 casi non avevano documentazione; 
3) la maggioranza degli infermieri sembrava aver seguito le linee guida; per il 9% dei casi c’è stata discordanza nelle valutazioni.  
4) la maggior parte dei casi erano stati assegnati alla corretta categoria di triage; 
5) i pazienti della categoria di emergenza sono stati visti tutti entro 15’; per i casi urgenti 4 su 156 pazienti sono stati visti entro i 30’; e per i casi meno gravi solo 6 su 369 sono stati visti oltre lo standard dei 45’. 
L’introduzione del triage infermieristico si è rivelato un successo sia per la corretta applicazione delle linee guida (e quindi l’effettiva capacità degli infermieri del triage) sia per la riduzione dei tempi di attesa dei pazienti. Questo in passato era considerato uno dei problemi più difficile da risolvere, soprattutto prima dell’impiego del personale infermieristico per risolvere i problemi minori, per lasciare ai medici i casi gravi. Ovviamente questo è possibile solo se l'infermiere di triage può autonomamente fare delle prescrizioni, seguendo protocolli concordati. 
Pardee (1992) nel suo studio sottolinea come un infermiere con più ampie aree d’intervento, che screena i pazienti in base ai protocolli riduca notevolmente i tempi di attesa. Sono state identificate 13 patologie: abrasioni; controllo degli apparecchi gessati; congiuntiviti; lacerazioni che richiedono l’applicazione di bendaggi sterili; pidocchi; elmintiasi; punture; controlli delle suture e loro rimozione: somministrazione della tossina antitetanica; traumi all’alluce; infezioni del tratto urinario e vaginite da candida. Per ciascuna è stato definito un protocollo e organizzato un breve corso di formazione per gli infermieri. I risultati sono stati: riduzione delle attese, aumento della soddisfazione dei pazienti, nessun paziente è ritornato indietro per richiedere altri trattamenti. Il triage dava anche l’occasione agli infermieri di educare i pazienti sul corretto accesso ai Dipartimenti di Emergenza. I protocolli eliminano discrezionalità eccessive e definiscono anche i criteri in base ai quali valutare l’operato degli infermieri. La metà dei Dipartimenti di Emergenza di Inghilterra e Galles praticano forme di triage infermieristico. 
  
Chi può fare il triage? 
  
Parmar e Ewitt (1985) e Purnell (1991) affermano che dovrebbe essere un infermiere esperto a valutare il paziente ferito, ma autosufficiente, mentre i pazienti in barella potrebbero essere visti dagli studenti infermieri, supervisionati da un infermiere esperto. Nuttal (1986) ritiene che gli infermieri esperti possano coprire tutti i ruoli, compreso quello del triage.  
L’importanza di anzianità, esperienza ed anche delle capacità di comunicazione vengono sottolineate da numerosi altri autori, come emerge dalla revisione della letteratura fatta da McDonald et al (1995). Per la selezione del personale addetto al triage, Rock e Pledge (1991) propongono di usare tra gli altri criteri, anche la capacità di comunicazione. Dolan (1993) invece sostiene che debbano contare più la personalità ed il carattere che l’anzianità. 
  
Formazione al triage 
  
Alcuni autori non considerano necessario un tirocinio specifico; altri invece (Gray, 1991) hanno disegnato programmi di formazione ad hoc, della durata di tre giorni. York e Proud (1990) propongono seminari specifici tenuti da infermieri esperti, che hanno il compito di preparare i colleghi al triage.  
La necessità di una formazione formalmente riconosciuta e non lasciata alla libera iniziativa di infermieri e Dipartimenti è sostenuta da Eaves che, già nel 1987 sosteneva come la formazione al triage dovesse prevedere non solo l’acquisizione di aspetti tecnici, ma anche di capacità psicologiche e di interazione sociale. Non è però semplice né c’è uniformità di opinioni sui contenuti da offrire nei corsi. Le capacità richieste sono sia generali che specialistiche. Gli infermieri si rivolgono a pazienti che possono avere bisogno immediato di aiuto, in un contesto di emergenza. Gli operatori sono anche esposti alla pressione dell’ansia, che sommata al fattore tempo va ad aggiungere tensione e pressione alle condizioni di lavoro. La valutazione e le scelte devono essere fatte in un tempo molto limitato. 
Le abilità richieste per il triage possono essere semplificate nei seguenti punti: 
Valutazione del paziente 
* Capacità interpersonali. Poulton (1992) sostiene che non si apprendono perché sono innate; 
* capacità di ricercare informazioni con l’osservazione e l’anamnesi, di sintetizzarle ed interpretarle per inquadrare i bisogni del paziente. 
Buona comunicazione 
* E’ fondamentale che l’infermiere crei un’atmosfera di fiducia e rispetto reciproco con il paziente (Moody, 1992). Il livello di comprensione del problema è fondamentale in ogni relazione di aiuto: bisogna acquisire tecniche specifiche di intervista, imparare ad ascoltare quello che dice il paziente, acquisire capacità per chiarire, consigliare, riflettere. 
Comprensione ed empatia 
Secondo Rogers (1958) la capacità di una persona di aiutare un’altra dipende dalla creazione di una relazione favorita dal calore, dalla sensibilità e dall’empatia. 
  
L’efficacia della formazione 
  
Presentiamo tre esperienze sulla formazione al triage. 
Il programma di formazione per il triage infermieristico adottato nell'ospedale di Frenchay di Bristol (Hankey, ) aveva come obiettivo primario il miglioramento della qualità delle cure erogate ai pazienti che arrivavano nel reparto di emergenza. Avendo stabilito che gli infermieri di triage devono possedere una buona abilità comunicativa, la comunicazione diventa parte integrante del programma. 
Gli infermieri furono intervistati sulle paure e le ansie, sui bisogni di formazione, sulle abilità necessarie per svolgere tale ruolo. Inoltre prima di attuare il triage e sviluppare il programma di formazione sono stati visitati diversi Dipartimenti di Emergenza che lo avevano già adottato. 
Il successo del triage infermieristico sembra essere collegato all'incremento della formazione, ma anche ad un coinvolgimento attivo del personale nella preparazione del contenuto del programma. Tutto il personale, al termine dell'analisi, concordò che il triage infermieristico era stressante e che il livello di stress poteva diminuire con un’adeguata preparazione. Partendo dagli obiettivi del triage infermieristico sono state identificate priorità, qualità, abilità ed attitudini da analizzare e sviluppare nel programma: 
- abilità comunicativa; 
- comunicazione verbale; 
- linguaggio del corpo/abilità di osservazione; 
- abilità di consultazione; 
- rapporti ostili o aggressivi; 
- anamnesi clinica; 
- anatomia e fisiologia; 
- documentazione; 
- assistenza ai bambini malati; 
- riconoscimento dei segni di abuso sui bambini; 
- il dolore nei bambini; 
- accertamento emergenze oculistiche/oftalmiche. 
  
Per la valutazione degli strumenti è stato sviluppato un sistema standard di misurazione per promuovere un’elevata qualità della cura del paziente. Questa struttura era basata sul modello Dreyfus di acquisizione di abilità, che indica come nell'acquisizione e crescita di una capacità si attraversano 5 livelli di competenza: 
I. principiante; 
II. principiante avanzato; 
III. competente; 
IV. efficiente; 
V. esperto. 
  
Un esempio di programma di formazione 
  
Il programma si articola in 14 mezze giornate di studio, più 5 giorni, in gruppi di lavoro multidisciplinare, nei quali vengono affrontati i problemi legati alla comunicazione. Le lezioni sono teorico-pratiche, il gruppo viene coinvolto in modo attivo e le discussioni sono seguite da un periodo di pratica supervisionata per le 16 settimane. Le lezioni teoriche di anatomia, fisiologia e su come raccogliere l’anamnesi vengono tenute dai consulenti dei Dipartimenti di Emergenza. Nel programma sono comprese anche delle lezioni di informatica da parte di personale amministrativo, perché nel locale di triage viene installato il computer che l'infermiere deve saper utilizzare.  
Nei lavori di gruppo si apprende come affrontare i comportamenti ostili, le aggressioni verbali e non, per prevenire incidenti. Vengono trattati anche i rapporti interpersonali di comunicazione tra professionisti, con la partecipazione di uno psicologo, per aumentare la consapevolezza dei partecipanti sulla fragilità delle loro capacità di comunicazione, ponendo l'accento su pressione ed ansia che si vengono a determinare nel momento dell'accettazione del paziente, quando il reparto è molto affollato ed impegnato. 
Con l'ausilio di un video vengono illustrate scene e problemi di triage, per mostrare come sia importante anche il linguaggio del corpo e come ci si pone inconsapevolmente nei confronti degli altri mentre si lavora. Tali sedute aumentano l'autoconsapevolezza dei partecipanti sui propri limiti e dimostrano che la buona comunicazione è fondamentale per chi svolge il triage infermieristico. Al termine delle lezioni vengono dati dei questionari, in cui viene chiesto di indicare, con esempi, come usare ciò che si è imparato. L’impatto del programma viene valutato con un secondo questionario, dato a distanza di otto settimane, in cui si chiede al personale di indicare, su una scala da 0 a 10, il livello percepito delle proprie conoscenze e capacità di comunicazione, e di esprimere opinioni e suggerimenti per migliorare il corso.  
Dalla comparazione dei punteggi pre e post corso è emerso che, per la maggior parte del personale, la percezione della propria conoscenza e capacità erano aumentate. 
Successivamente sono stati introdotti nuovi moduli, ad esempio sulla valutazione delle ferite e sulla modulistica infermieristica. Un’altra ricaduta positiva del corso è stato l’aumento di gratificazione e di soddisfazione da parte degli infermieri, che migliorarono anche nella comunicazione interpersonale con i colleghi all'interno del reparto. 
  
Efficacia dei protocolli 
  
Un altro studio (Van Boxel, 1995) ha esaminato gli effetti della formazione durante il servizio, attraverso l'istituzione di protocolli di triage per pazienti che riferivano sintomatologia cardiaca. Gli infermieri di triage sono stati formati ad usare protocolli di triage. 
Il campione era di 40 pazienti, e sono state riviste 20 cartelle. Dalla analisi delle cartelle è emerso che gli infermieri hanno misurato il dolore e valutato il rischio dei sintomi fisici più frequentemente dopo il corso. I protocolli si sono rivelati efficaci per il trattamento. Infatti il fattore tempo è di notevole importanza nel tempestivo trattamento di questi pazienti e poiché i pazienti vengono trattati dopo il triage, risulta chiara l’importanza di utilizzare dei protocolli.  
  
Strumenti usati 
  
Il PINS (Pain Intensity Number Scale) è una scala numerica che aiuta a valutare il dolore. La scala va da 0 a 10, dove 0 = nessun dolore, 10 = il maggior dolore che il paziente abbia mai provato. 
Il McCorkle-Young SDS (Symptom Distress Scale) include 13 sintomi: nausea, appetito, dolore, insonnia (presenza ed intensità), fatica, intestino, concentrazione, aspetto, respiro, tosse. 
  
Risultati 
  
Dopo il corso l’uso dei protocolli di triage è passato dal 5,8% al 57,5%, ed è anche migliorata la documentazione dei segni e sintomi, quindi il loro riconoscimento e la valutazione del livello di priorità del paziente. 
Si è così dimostrato che gli infermieri traggono vantaggio dall’uso di guide standard che uniformano pertanto la valutazione ed i comportamenti. Lo studio mostra come con un breve corso di formazione si possano fornire agli infermieri gli strumenti di valutazione per un trattamento tempestivo ed efficace di questo tipo di paziente.  
  
Le conoscenze degli infermieri 
  
Il più comune errore nell'immediato trattamento del paziente traumatizzato è la mancanza di identificazione e trattamento dei problemi legati all'alterazione di una o più funzioni vitali. 
Lo scopo di questo studio (O’Sullivan et al, 1996), il terzo da noi considerato, era valutare il grado di conoscenza del trattamento del trauma tra il personale medico ed infermieristico, per valutare gli effetti di un breve corso di formazione sulle abilità del gruppo di triage. 
Il corso durava tre settimane con complessivamente sei lezioni (ognuna della durata di un ora), e dimostrazioni pratiche su vari aspetti dell’assistenza al paziente con trauma. Le lezioni erano impartite da chirurghi. 
La frequenza alle lezione era facoltativa ed era aperta a tutto il personale medico ed infermieristico che assisteva pazienti con trauma. I temi trattati sono stati: valutazione iniziale del paziente con ferite multiple per mettere in evidenza gli errori più frequenti nel trattamento, la gestione delle vie aeree, il trauma toracico, lo shock, le emorragie, il trauma addominale. 
La valutazione è stata fatta con casi ipotetici. Ai partecipanti veniva chiesto di identificale le priorità. Ad essi è stato somministrato lo stesso questionario all’inizio ed alla fine del corso (consegnato a 117, restituito da 113).  
Nel primo questionario i medici avevano il miglior punteggio (66%) sulla corretta identificazione di tre pazienti critici, seguiti dagli infermieri (57%) e dirigenti (53%). Nel secondo questionario sono stati i consulenti e gli studenti di medicina a risultare i migliori. 
In generale era molto bassa la conoscenza dei principi di base per la gestione del paziente traumatizzato e solo il 26% dei partecipanti garantiva un trattamento corretto. I corsi hanno consentito comunque di unificare il trattamento dei pazienti con trauma. I corsi vengono ormai attuati dal 1979 e considerati il motivo del miglioramento della gestione dei pazienti traumatizzati.  
Altre metodiche, ad esempio la ripresa video degli interventi in modo da rivedere criticamente i propri comportamenti consentono di migliorare gli standard di cura del traumatizzato. Questo aspetto è molto importante perché consente di dimostrare le carenze, e motiva pertanto alla partecipazione al corso. Infatti molti di quelli che partecipano spontaneamente a tali corsi sono già fra quelli più abili e preparati. 
  
Conclusioni 
  
Lo scopo del triage è di categorizzare il paziente secondo l'urgenza del problema. E l'efficacia del triage si misura con la capacità di discriminare acuto da non acuto in base alle priorità. Riduzione dei tempi di attesa e miglioramento delle prestazioni, con soddisfazione dell'utenza, restano un binomio indissolubile.  
Che si tratti di conditio sine qua non, oppure che siano effettuate in itinere, con eventuale introduzione di protocolli, la discussione e la ricerca migliorano le conoscenze. La formazione al triage infermieristico trasferisce queste conoscenze alla pratica e ne migliora la qualità. 
  
  
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