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Congresso Nazionale Aniarti 1998

INTENSIVITA’ ASSISTENZIALE RESPONSABILITA’ INFERMIERISTICA

Napoli (NA), 10 Ottobre - October 1998 / 12 Ottobre - October 1998

» Indice degli atti del programma

 

11 Ottobre - October 1998: 14:45 / 15:00

Prima domanda  
Nome e Cognome: Valeria Giaggio 
Professione: infermiere professionale 
Provenienza: Pronto Soccorso-Centrale 118, Azienda Ospedaliera di Padova 
Noi stiamo attuando da circa un anno il triage di bancone, abbiamo delle responsabilità decisionali sui pazienti che arrivano in Pronto Soccorso. Io volevo chiedere, in quanto ho visto l’articolo 9 che tratta il tema delle urgenze, a quanto ho capito sembra che l’infermiere sia abilitato a fare certe pratiche soltanto in assenza del medico. Noi adesso invece prendiamo decisioni su pazienti in presenza del medico in Pronto Soccorso, e volevo capire fino a che punto possiamo essere tutelati in questa nuova attività. Stiamo guardando avanti e cerchiamo di guardare avanti però vogliamo anche capire quanto possiamo essere tutelati.  
  
Risponde A. Silvestro 
Volevo sottolineare alla collega che qui si fa riferimento a situazioni di alta criticità, di urgenza-emergenza, non si parla dell’attività quotidiana, la quale non è più regolamentata sulla base di un insieme di azioni che possono essere o non essere svolte. E comunque credo sia importante precisare anche a tal proposito, in caso di assenza del medico, se ci fosse una situazione di urgenza-emergenza vengono messi in atto dei protocolli. Inoltre c’è la possibilità da parte dell’infermiere, (nel comma successivo), di decidere ed attuare gli interventi ritenuti necessari in attesa dell’intervento medico. Quindi esisterebbe, se vogliamo parlare di copertura giuridica, una copertura molto più ampia di quanto non sia attualmente. Non si discute proprio di quello che l’infermiere fa in maniera quotidiana, sulla base di linee guida o protocolli. Qui si enuncia, nel caso ci fosse un’emergenza, e se non fosse presente il medico, si agisce e si è coperti nell’azione, si prendono decisioni in assenza del medico, ed è possibile svolgere anche, diciamo così, prestazioni che non sarebbero atti infermieristici. Credo sia molto chiaro. 
  
Risponde M. D’Innocenzo 
Se posso aggiungere, avendo partecipato a molti convegni di associazioni o della professione più in generale, ciò che ho colto è l’enorme fatica di far comprendere a tutti la necessità di superare il mansionario come un’istanza degli infermieri. Spesso ho riscontrato, però, che sono gli infermieri stessi che non vogliono superare il mansionario. Ci siamo chiesti, anche con Silvestro: ma perché? Se è indispensabile far capire questa necessità alla Commissione Sanità del Senato, che è costituita tutta da medici, tenendo presente che non ci sono infermieri in Parlamento e buona parte dei Deputati e dei Senatori sono medici, siccome sono costoro che votano le Leggi, io mi sono preoccupata delle volte di andare e spiegare chi siamo e che cosa facciamo. Per essere coerente dovevo partire dal presupposto che anch’io dovevo saper fare l’infermiera e da quella che era la mia esperienza. Mi sono chiesta: perché abbiamo paura di superare il mansionario? In realtà lo superiamo tutti i giorni, l’illegalità diffusa esiste, è reale, noi in pratica non lo rispettiamo mai. Tuttavia tendiamo ad utilizzare spesso il mansionario per fuggire alla presa in carico delle responsabilità. Quando non ci sentiamo competenti, quando c’è un sapere che non ci appartiene completamente, ci nascondiamo dietro il mansionario. Qual è la parte della professione che vale? Vale quella che approfondisce, studia e costruisce delle competenze evolute, riconosciute, accreditate o è quella che invece va avanti sulla base delle cose che sapeva a vent’anni e che nella ripetitività quotidiana incrementa le conoscenze, ma solo perché nell’automatismo acquisisce un modo di lavorare che gli viene dalla realtà che lo circonda? 
Allora è vero, per molti di noi, perché bisogna fare i conti con quelli che siamo, che siamo tutti, e anche con i limiti che ognuno di noi ha, con l’anzianità di servizio, con il tipo di formazione ricevuta, dobbiamo analizzare quello che si sa, con il sapere e la traduzione del sapere in fare, quindi con l’esperienza quotidiana. Questo ci porrà dei problemi, ma non li porrà tanto agli altri, che danno per scontato che se abbiamo il Diploma Universitario, un ordinamento didattico di un certo tipo, determinate cognizioni le dobbiamo avere per forza. Quindi delle aspettative su di noi sono comunque presenti. Dovremo piuttosto fare i conti con quello che ognuno di noi ufficializza, mette sul mercato, anche come mercato interno nel lavoro di pubblico dipendente, e ufficializza nei confronti dell’altro collega, con cui ci si confronta sulla presa in carico del paziente, ovvero delle responsabilità. 
Nel settore dell’emergenza noi abbiamo sempre risposto in maniera qualificata e competente, e si è sempre agito in rapporto a quello che ognuno di noi sapeva, alla capacità di formarsi, allo sviluppo delle conoscenze, come ad esempio il triage da bancone, ma non solo, ma anche il triage in generale. Quindi qual è il problema sull’assunzione di responsabilità? Un problema c’è colleghi, dobbiamo sapere di più, non c’è dubbio, questa è una sfida, noi l’abbiamo non solo lanciata, l’abbiamo accettata anche quando ce l’hanno lanciata gli altri, dobbiamo essere consapevoli di questo, E’ una situazione di non ritorno, noi dovremo essere più esperti, dobbiamo essere più bravi, dobbiamo conoscere di più e meglio, è con questo dobbiamo fare i conti. Ma non è che se non superiamo il mansionario questo non ci venga richiesto, ci verrà richiesto lo stesso, tanto vale farlo in maniera consapevole, con l’assunzione, come dire, del valore che per la professione può avere.  
  
Seconda domanda  
Nome e Cognome: Fiorella Fabrizio 
Professione: Caposala 
Provenienza: Anestesia- S.Cesareo (Lecce) 
Sono ex Caposala di Pronto Soccorso, attualmente Caposala di Anestesia. Vorrei solamente veder chiarito un punto in quanto per molti anni mi sono appellata ad esso. In vent’anni di servizio come Caposala, soprattutto nella strutturazione del Pronto Soccorso, mi sono riferita moltissimo a quanto fin dai tempi del Corso un avvocato, (faccio anche nome, il dott. Montesano), aveva spiegato, e che a noi aveva aperto ampiamente gli orizzonti per quanto riguardava il mansionario. Sosteneva: voi avete un mansionario, ma riconosceva già all’epoca, anno ’77, che il nostro mansionario era qualcosa che ci esponeva all’illegalità quotidiana. Parlo di tempi in cui non c’era neanche la guardia medica interdivisionale, ma c’era solo un medico di guardia al Pronto Soccorso chiamato in notturna, che per telefono dettava l’eventuale terapia. Questo avvocato riteneva che un infermiere in reparto, sempre nel caso di attesa dell’arrivo del medico, o addirittura o meglio ancora, un infermiere per strada, un infermiere su un ambulanza, dovesse applicare le misure indispensabili, anche con atti terapeutici, quando si trovava nel famoso stato di necessità. Pertanto nel 1992, quando fu organizzato il Pronto Soccorso, noi stabilimmo, con il Responsabile, alcuni atti (prendere una vena, somministrare delle infusioni), da fare anche a casa della persona soccorsa, per poi portarlo in ospedale. Per quanto riguarda il mansionario, sono rapidissima. Io mi sono trovata, e la porto solo come esperienza, nella situazione di quando abbiamo dovuto dire: io non sono né minorata né minorenne, per cui la responsabilità è mia qualunque cosa faccia. Questo perché non ho mai tollerato che nessun medico dicesse: mi assumo io la responsabilità. E hanno aderito anche i miei collaboratori. Mentre invece mi sono trovata che il mansionario è stato alzato quando ci si è trovati a fare mansioni ritenute non infermieristiche. Attività che non riguardavano neanche mansioni superiori, bensì ci si rifiutava magari di accompagnare il paziente autosufficiente alla Radiologia, perché si affermava: lo porta l’Ota, lo porta l’ausiliario, io non lo accompagno perché non rientra nel mio mansionario. Questa è la mia esperienza. 
  
Terza domanda  
Nome e Cognome: Raimondi 
Provenienza: Policlinico “S.Orsola-Malpighi” - Bologna 
Volevo un chiarimento sul punto in cui si dice: prescrizione e somministrazione di dispositivi medici o farmaci nell’ambito della propria competenza. Grazie 
  
Risponde M. D’Innocenzo 
Io mi aspettavo solo questo, anche perché è stato un po’ indotto dalla presentazione della Bozza di Regolamento. Qui abbiamo discusso moltissimo, come potete immaginare. Noi ci trovavamo ad un ragionamento. Oggi chiunque di noi può andare in farmacia, i farmaci da banco vengono autoprescritti. Inoltre il più delle volte, negli studi dei medici di famiglia, le ricette vengono rinnovate automaticamente dalle persone perché sanno che vi è la continuità della terapia. Allora la discussione, devo dire di livello alto, è stata amplissima, perché questo documento è stato confrontato con altri dei Paesi europei. E’ stato fatto un lavoro di comparazione, tra le istanze della professione infermieristica e ciò che era già stato fatto negli altri Paesi. Per cui abbiamo confrontato tra gli altri il Regolamento della Norvegia, della Spagna e di Paesi OCSE, per valutare quello che era stato prodotto, sempre per la logica di cominciare mai da zero ma da tre. Quello che si evinceva è che in tutti gli altri Paesi, in realtà questa cosa c’è già, e perché non estenderlo anche agli infermieri italiani. Perché non prevedere che nell’ambito di una codificazione rigorosa, si fa riferimento ad un Decreto che stabilisce quali, e quindi iperregolamentata e una delimitazione chiara degli ambiti entro cui l’infermiere può prescrivere. Si devono fare i conti con la libertà, che prevede la nostra Costituzione, dove rispetto alla società in generale è data la possibilità di scegliersi le cure. Non avevamo nessuna difficoltà in quel momento a seguire lo stesso percorso anche in Italia, definendo un campo, rappresentando il fatto che spesso quando operano da soli, devono ricorrere ai medici che non fanno altro che avvallare un’indicazione da essi data. In questi casi si presentano molti aspetti burocratici che complicano l’efficienza dell’intervento infermieristico. Sono ambiti che possono essere condivisi, che sono il risultato di conoscenza e quindi di scambio con i medici. che sono prescrittori per definizione e nessuno mette in discussione l’ambito della terapia e della diagnosi, per quanto riguarda la cura delle patologie. Abbiamo cercato di introdurre un’innovazione, salvaguardando tutto il contesto e garantendo anche lo spazio di buon senso che questa formulazione del comma prevede. Non era accettabile uno scontro con la classe medica, per questo ne abbiamo discusso con tutti rappresentanti dell’Ufficio di Gabinetto del Ministro, è stato sottoposto al vaglio dell’Ufficio Legislativo, dove ritornerà dopo il passaggio al Consiglio Superiore di Sanità. Perché questa è una proposta che noi facciamo. Al Consiglio superiore di Sanità vi sono i massimi esperti dello scibile della medicina, rappresentanti di tutto il territorio nazionale, persone rappresentative del mondo scientifico, compresa una nostra collega a rappresentare la nostra professione. Questa sarà un terreno di dibattito e di discussione dove ciascuno potrà argomentare la sua posizione. Certamente è un’innovazione, non stiamo lavorando su un terreno di arretrato, stiamo facendo proposte che sono di rinnovamento vero, che però si legano alla realtà: Non si è voluto lavorare su qualcosa che fosse lontano dalla realtà, si è riflettuto sulla realtà per cercare di trasferirla, quella in cui tutti noi lavoriamo tutti i giorni, per un Regolamento che ci deve guidare nella pratica di tutti i giorni. Abbiamo fatto questo tipo di operazione, sana e corretta. E’ chiaro che su questo dobbiamo discutere anche nelle sedi come questa, perché se vanno modificati aspetti di principio devono essere modificati insieme a voi. Il mandato non può essere a senso unico.

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