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Congresso Nazionale Aniarti 1998

INTENSIVITA’ ASSISTENZIALE RESPONSABILITA’ INFERMIERISTICA

Napoli (NA), 10 Ottobre - October 1998 / 12 Ottobre - October 1998

» Indice degli atti del programma

SESSIONE SPECIALE La responsabilità professionale e il nuovo codice deontologico degli infermieri A. FEDRIGOTTI D. RODRIGUEZ M. MORI L. D’ADDIO

12 Ottobre - October 1998: 09:00 / 11:30

Prof. Daniele RODRIGUEZ 
Professore ordinario di Medicina legale nell'Università degli Studi di Ancona 
  
 L'argomento proposto riguarda in primo luogo le possibili interconnessioni esistenti fra il codice deontologico da un lato e la responsabilità professionale dall'altro. Conviene sviluppare il discorso con riferimento ad un tema attuale, quale quello delle innovazioni contenute nel ben noto disegno di legge 4216, che reca "Disposizioni in materia di professioni sanitarie" e che è stato approvato il 1° ottobre 1997 dalla XII Commissione permanente (Igiene e Sanità) del Senato. Questo disegno di legge merita considerazione perché è prevedibile che possa avere un rapido iter parlamentare e divenire legge dello Stato col testo attuale. L'aspetto da focalizzare è che in questo disegno di legge vi è un esplicito richiamo ai codici deontologici dei professionisti sanitari proprio in relazione all'ambito della responsabilità professionale. Infatti nell'art. 1, comma 4, è indicato che "il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie" -fra le quali evidentemente rientra quella infermieristica- "è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici deontologici ...". 
 Quest'ultima è, ovviamente, la parte d'interesse, in quanto vi è l'abbinamento del concetto di responsabilità professionale con quello di codice deontologico. 
 Prima di affrontare la questione specifica, è da precisare che il tema della responsabilità professionale non si esaurisce nelle sue, pur indubbie ed indissolubili, connessioni con il codice deontologico. Questa precisazione dovrebbe essere approfondita preliminarmente, ma conviene svolgere più avanti, nel contesto della discussione, le osservazioni del caso, rinviando comunque alla trattazione sistematica di cui alla pertinente bibliografia.[1] Per ora basti rilevare che, per quanto approfondita e corretta, la riflessione sul rapporto intercorrente tra responsabilità professionale da un lato e codice deontologico dall'altro è necessariamente parziale e deve essere svolta tenendo conto che essa si muove necessariamente entro un'ottica ben più vasta, poiché varie sono le norme di riferimento -non solo, quindi, quella della deontologia codificata- dalle quali scaturiscono, a vario titolo, ambiti di responsabilità diversificati. Le norme di possibile riferimento sono quelle riportate nella tabella I. Risulta, in sostanza, che per chi esercita una professione sanitaria esiste la possibilità che norme rispettivamente, etiche, deontologiche e giuridiche, disciplinino una stessa materia di interesse professionale, in modo non necessariamente omogeneo. Ciò può significare che, per una stessa condotta professionale, vi possano essere differenti ricadute in punto di responsabilità a secondo dell'ambito (etico, deontologico, giuridico) di riferimento. 
  
  
Tabella I - Ambiti normativi della responsabilità 
  
Ambito di riferimento 
Fondamentali fonti normative 
Penale 
Codice penale 
Civile 
Codice civile 
Amministrativo-disciplinare 
Varie: ad es. legge 833/78 e 
D.P.R. 761/79 e successive modif.; 
D.P.R. 225/74 e D.M. 739/94 
D.P.R. 13 marzo 1992 
Deontologico-disciplinare 
codice deontologico dell'infermiere 
Etico 
Valori etici 
  
 Nei commenti al disegno di legge citato (per ora solo orali, svolti prevalentemente in occasione di convegni) è data particolare enfasi al fatto che in esso il termine responsabilità sia riportato per caratterizzare tutte le professioni sanitarie. 
 Per quanto attiene la professione infermieristica, la circostanza riveste un interesse solo parziale, dato che non è certo nuova l'indicazione normativa che sulla predetta professione incomba una specifica responsabilità. Anche dal punto di vista meramente lessicale non sono rilevabili novità significative; in particolare, il concetto di responsabilità, con riferimento alla professione infermieristica, ricorre anche all'interno di altre norme dello Stato. Si tratta delle seguenti. 
 Il primo riferimento normativo, in ordine cronologico, è il D.P.R. 13 marzo 1992 "Atto di indirizzo e di coordinamento alle Regioni ... in materia di emergenza sanitaria", che testualmente, all'art. 4 ("Competenze e responsabilità nelle centrali operative"), secondo comma, prevede che "la responsabilità operativa è affidata a personale infermieristico professionale." Pur se riferita alla dimensione operativa, è la prima volta che compare esplicitamente la parola "responsabilità" in rapporto alla professione infermieristica. 
 Il concetto di responsabilità è ripreso nel Decreto del Ministero Sanità 14 settembre 1994 "Regolamento concernente l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'infermiere"; l'art. 1 del D.M. recita "l'infermiere è l'operatore sanitario ... responsabile dell'assistenza generale infermieristica". Qui la responsabilità è contemplata di portata più ampia, investendo globalmente tutto il piano assistenziale. 
 Nel citato disegno di legge 4216 del 1997 il concetto di responsabilità compare ormai per la terza volta in una norma dello Stato (ammesso che il disegno diventi legge nel testo attuale), il che rappresenta quindi più una conferma che una novità. Sta comunque di fatto che detta "conferma", vissuta come una novità, ha sollecitato una grande attenzione sul significato da dare al richiamo alla responsabilità dell'infermiere operato da queste norme dello Stato. 
 L'attenzione attualmente dedicata alla responsabilità dell'infermiere è senza dubbio positiva, ma è da ritenere tardiva. Ed è da giudicare tanto più tardiva se si considera che comunque la normativa dello Stato, anche considerando il cit. D.P.R. del 1992, è intervenuta in ritardo, ed in grande ritardo, rispetto alle indicazioni del codice deontologico dell'infermiere, che risale al 1977. Infatti il concetto di responsabilità era presente fin da allora proprio all'interno di tale codice, posto che il punto 6 dello stesso richiama la "responsabilità" dell'infermiere, indicandola come "autonoma", ma correlandola alla collaborazione attiva con i medici e con gli altri operatori socio-sanitari. 
 Pare quindi di poter affermare che è ben documentato uno specifico interesse del codice deontologico dell'infermiere proprio al tema della "responsabilità", quando di questo termine, in merito alle professioni sanitarie non mediche, non risulta traccia nelle leggi dello Stato se non in epoca di quindici anni successiva. 
 Ma quale è il valore che il codice deontologico intendeva dare al concetto di responsabilità? La parola responsabilità ha infatti un duplice significato (vedasi tabella II): non solo quello dell'essere chiamati a rispondere ad una qualche autorità in conseguenza di una condotta professionale riprovevole, ma anche quello di impegnarsi per mantenere un comportamento congruo e corretto. L'aspetto primo indicato della responsabilità corrisponde ad un concetto "negativo" del termine (essere chiamati a rispondere, magari in giudizio penale, dei propri atti), in contrapposizione a quello "positivo" dell'essere responsabili, dell'assumersi cioè le responsabilità che l'attività professionale comporta. 
  
Tabella II - L'ambivalenza del termine responsabilità 
  
Ottica positiva 
Ottica negativa 
Coscienza degli obblighi connessi con lo svolgimento di un incarico 
Essere chiamati a rendere conto del proprio operato; colpevolezza 
Impegno dell'operatore sanitario ex ante  
Valutazione da parte di un giudicante ex post 
  
  
 E' assolutamente pacifico che il codice deontologico, nell'indicare -al punto 6 citato- la responsabilità dell'infermiere, si colloca nella dimensione dell'essere responsabile, dell'impegnarsi attivamente, per scelta e per convincimento; è impensabile che il codice voglia operare un monito richiamando implicitamente la potestà del Collegio professionale di prendere provvedimenti disciplinari nei confronti degli infermieri in caso di condotte scorrette. 
 Ciò puntualizzato sul valore positivo che, nella concezione deontologica, va dato al termine responsabilità, occorre chiedersi come si concretizzi, sempre secondo il codice deontologico, una siffatta responsabilità, quali siano cioè i principi ai quali conviene ispirarsi per raggiungere l'obiettivo dell'essere responsabili nella condotta professionale.  
 In generale, si può dire che la condotta professionalmente responsabile scaturisce dal rispetto di alcuni parametri di riferimento così schematizzabili: 
 1) presupposti scientifici delle attività e delle funzioni proprie della professione;  
 2) valori etici condivisi ed indicazioni che derivano dalla coscienza personale; 
 3) norme di riferimento. 
 Circa i punti 1 e 2, è sufficiente indicare che possono, almeno in parte, corrispondere all'adagio -purtroppo usato anche a sproposito da taluni professionisti sanitari per giustificare comportamenti discutibili- che richiama il comportarsi secondo scienza e coscienza. 
 In merito al punto 3, si rimanda alla tabella I ed al relativo commento svolto nella parte introduttiva di questa relazione. 
 Passando dai lineamenti generali al particolare, cioè all'identificazione del significato del termine "responsabilità" secondo il codice deontologico, è facile rilevare che ad esso sicuramente attiene il principio del riferimento ai principi scientifici, indicati al n. 1 dello schema immediatamente precedente; a titolo d'esempio, si ricorda che nella "Premessa" si parla di "qualificata assistenza infermieristica" ed al punto 9 di "dovere di qualificare ed aggiornare la formazione in rapporto allo sviluppo scientifico-tecnologico ...". 
 Del pari rientrano nel concetto di responsabilità i valori etici, richiamati al n. 2 dell'elenco precedente); esempio emblematico è "il diritto all'obiezione di coscienza di fronte alla richiesta di particolari interventi contrastanti i contenuti etici della sua professione", come contemplato al punto 11. 
 Non è altrettanto pacifico che il significato di responsabilità si fondi necessariamente -sempre nella concezione del codice deontologico dell'infermiere- su indicazioni contenute in norme dello Stato; e così il discorso si sposta sul n. 3 dell'elenco di poco sopra. Per chiarire il punto, è di peculiare interesse l'analisi del rapporto esistente fra norme dello Stato e corrispondenti indicazioni deontologiche codificate. Possono schematicamente indicarsi due punti di vista: uno, per così dire, formale-giuridico ed un altro sostanziale-professionale. In base al primo punto di vista, non è concepibile una legittima conflittualità fra norme e, qualora conflittualità fra norme vi fosse, prevarrebbe quella di rango superiore; di conseguenza, dovendosi attribuire valore di semplice regolamento al codice deontologico, esso verrebbe quindi a qualificarsi come fonte gerarchicamente inferiore rispetto a, per quanto qui interessa, leggi, D.P.R. e decreti legislativi. In base al secondo punto di vista, la prospettiva si ribalta completamente: le norme deontologiche costituiscono infatti indicazioni di comportamento alle quali devono attenersi gli esercenti di una data professione, elaborate dalla stessa categoria professionale nell'interesse di salute dei singoli e della collettività. Abitualmente la norma deontologica descrive, più o meno genericamente, una situazione ed individua la pertinente attività doverosa per il professionista descrivendone le modalità di intervento; essa è caratterizzata cioè da concretezza e specificità, talora in contrapposizione alla genericità di alcune indicazioni di legge. 
 Da tutto ciò discendono i seguenti tre corollari: 
 - vi sono aspetti così peculiarmente inerenti all'attività professionale che sfuggono alla comprensione delle norme generali del diritto e che sono considerati esclusivamente all'interno del codice deontologico; 
 - talora, la codificazione deontologica è più esigente -richiede, cioè, una condotta professionale più qualificata- rispetto ad una corrispondente norma dello Stato; 
 - talora, il codice deontologico reca indicazioni parzialmente in contrasto con norme dello Stato. 
 In sintesi, un codice deontologico reca norme, condivise all'interno della categoria professionale, che corrispondono ad indicazioni comportamentali, che, in genere coincidenti con la norma giuridica, talora la integrano ove mancante, talaltra la perfezionano ove ritenuta blanda, talaltra ancora si pongono in parziale contrasto con essa. 
 Il principio dell'autonomia nella codificazione deontologica, per quanto attiene l'attività professionale dell'infermiere, rispetto ai riferimenti normativi dello Stato è implicitamente indicato in alcuni disposti del codice deontologico: il punto 11, già citato, postula "il diritto all'obiezione di coscienza di fronte alla richiesta di particolari interventi contrastanti i contenuti etici della sua professione" senza limitarlo a circostanze previste da leggi dello Stato; ancor più esplicitamente, il punto 3 indica che "l'infermiere rispetta il segreto professionale non soltanto per l'obbligo giuridico, ma per intima convinzione e come risposta concreta alla fiducia che l'assistito pone in lui". 
 Riassumendo, dunque, il codice deontologico dell'infermiere ha preceduto le leggi dello Stato nel porre enfasi sul concetto di responsabilità, che ha identificato nel rispetto delle acquisizioni scientifiche e delle indicazioni etiche condivise, ma non necessariamente nella accettazione indiscriminata di tutte le norme dello Stato. 
  
 Occorre ora considerare se, divenendo legge il disegno 4216, i rapporti intercorrenti fra codice deontologico e leggi dello Stato e/o la concezione del codice deontologico stesso subiranno modificazioni rispetto a quanto precedentemente indicato, e se questo avrà ricadute soprattutto in punto di responsabilità dei professionisti. Che queste ipotesi non siano remote è dimostrato dalle osservazioni che seguono. 
 Come preliminarmente indicato, il disegno di legge 4216 (art. 1, comma 4) fa un esplicito richiamo ai codici deontologici dei professionisti sanitari proprio in relazione all'ambito della responsabilità professionale. Ma, oltre all'abbinamento del concetto di responsabilità con quello di codice deontologico, è da considerare che, qualora il disegno di legge venisse approvato, si tratterebbe della seconda volta (dopo la legge 31 dicembre 1996, n. 675 "Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali"; cfr. art. 31) in cui una norma dello Stato cita esplicitamente, con riferimento alle professioni sanitarie, il codice deontologico conferendogli valore. Questo da un lato significa finalmente il riconoscimento da parte dello Stato del ruolo dei codici deontologici, ma dall'altro può costituire strumento di limitazione dell'autonomia dei Collegi e degli Ordini professionali, se il richiamo al codice deontologico dovesse essere interpretato come una sorta di mandato ad indicare e disciplinare, nel codice deontologico stesso, alcune parti "obbligatorie" in punto, per fare esempi conformi ai riferimenti normativi citati (la legge 675 ed il disegno di legge 4216) di riservatezza di dati e di esercizio professionale. 
 Più in dettaglio, si ricorda che nell'art. 1 del disegno di legge è indicato che "il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici deontologici ...". Non è del tutto chiaro come questo disposto vada inteso rispetto al codice deontologico. In particolare: occorre prendere atto dei codici deontologici in vigore e delle indicazioni lì riportate attinenti il "campo proprio di attività e di responsabilità" della rispettiva professione sanitaria oppure le Federazioni nazionali dei Collegi professionali dovranno attivarsi per riscrivere il loro codice deontologico, tenendo presente che esso dovrà delineare il predetto "campo proprio"? E la definizione del "campo proprio" da parte del codice deontologico potrà discostarsi dalle indicazioni desumibili dai relativi profili professionali e dagli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario? Oppure, nella definizione del "campo proprio", il codice deontologico dovrà limitarsi a ratificare quanto riportato nei profili professionali e negli ordinamenti didattici? In sostanza, i Collegi sono chiamati ad esercitare un ruolo vicario rispetto a quello che dovrebbe svolgere il legislatore od una più contenuta integrazione? Allora, ancor più in particolare, il nuovo codice deontologico attualmente (1998) allo studio da parte della Federazione nazionale dei Collegi IPASVI deve essere concepito in funzione di questo mandato e, in caso di risposta affermativa, come risolverà i numerosi problemi ora prospettati? 
 Gli interrogativi non sono di poco conto: e non solo per quanto attiene il condizionamento alla sfera di autonomia nell'elaborazione del codice deontologico, autonomia che non sarebbe più tale in quanto condizionata, in misura maggiore o minore, da quella sorta di mandato di cui sopra si è detto e dalla facoltà, per i Collegi, di discostarsi dalle indicazioni desumibili dai relativi profili professionali e dagli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario; anzi, circa quest'aspetto, potrebbe sostenersi anche la tesi contraria, che cioè il legislatore è stato ampiamente rispettoso della sfera di autonomia, tant'è che ha affidato proprio ai rappresentanti delle singole professioni la valutazione e la definizione del "campo proprio di attività e di responsabilità"; tuttavia, anche secondo quest'ultimo punto di vista, resta fermo che è individuabile un mandato di carattere generale, quello cioè di dover comunque contemplare, nel codice deontologico, la disciplina dell'attività e della responsabilità professionale. 
 Gli interrogativi non sono di poco conto anche per un altro motivo. Infatti, il ruolo -sia esso vicario o di integrazione- che il codice deontologico assumerà -dopo l'approvazione parlamentare del disegno di legge- rispetto alla produzione legislativa induce a ritenere che debba essere ripensata la struttura stessa del codice deontologico; ad esso, per delineare il campo di attività e responsabilità, dovrà essere data cioè un'impostazione sistematica facendogli assumere un'organicità complessiva ed onnicomprensiva. Vi è pertanto il rischio che tutto questo faccia assomigliare il codice deontologico ad un testo di legge. Il che priverebbe gli esercenti quella professione sanitaria di un punto di riferimento, di uno strumento di lavoro specifico, idoneo -anche nel suo linguaggio- a favorire il processo di maturazione professionale ed elaborazione critica dell'esperienza che contribuisce all'acquisizione della capacità di assumere condotte responsabili. Con queste osservazioni non si vuole sostenere che un testo rigoroso sviluppato con linguaggio giuridico impeccabile non sia privo di vantaggi. Si intende solo difendere il significato peculiare, aggiuntivo e non sostitutivo, di un codice deontologico rispetto ad una norma di legge. 
 Infatti, per quanto un codice deontologico sia specificamente dedicato alla professione, i suoi contenuti di non sono mai esaustivi di tutte le circostanze possibili e di tutte le corrispondenti condotte doverose, per cui chi a quel codice deontologico si riferisce (per categoria professionale di appartenenza) dovrà comunque, nelle circostanze non contemplate da alcun articolo, ispirarsi a principi generali che siano enunciati nel codice stesso oppure che siano condivisi, dal punto di vista etico, all'interno della professione. Di conseguenza è radicata, fra le professioni sanitarie, la cultura che un codice di deontologia non sia un freddo elenco di problemi e delle relative soluzioni, bensì uno strumento di consultazione, verifica e riflessione per il professionista. In altre parole, il codice deontologico non è un insieme infinito di chiavi che consentono di aprire un numero infinito di serrature, ma è una sorta di grimaldello, che è innanzi tutto necessario conoscere in modo approfondito perché possa costituire utile strumento per aprire qualsiasi porta. 
 Orbene, se, grazie alla legge derivata dall'attuale disegno 4216 in un testo che resti immutato, il codice deontologico diventerà, almeno in parte, una sorta di disciplina regolamentare del campo di attività e competenza della professione infermieristica, allora appare consistente il rischio che esso si trasformi in un'arida enunciazione di precetti, magari rigorosa ed ineccepibile, ma assolutamente banale, in quanto verrebbe ad essere tolto spazio al confronto del professionista -e della sua dimensione etica- con le indicazioni del codice di deontologia. 
 Ad una siffatta modificazione logico-strutturale potrà corrispondere anche una diversa concezione di responsabilità: quanto più nel codice di deontologia verrà tolto spazio, con l'elencazione esclusiva di prescrizioni, alla riflessione autonoma (ovviamente se e quando opportuna) fondata su principi etici condivisi (fermo restando quanto sopra detto circa il fatto che il codice è il punto di riferimento ineludibile dal quale muove la predetta riflessione), tanto più il concetto di responsabilità si identificherà tassativamente solo e soltanto con il rispetto di quanto elencato; verrà in pratica tolto spazio ad un'area della responsabilità che, oggi, dal punto di vista deontologico, esiste pur se non è testualmente riconducibile ad alcuna indicazione codificata. E' infatti pacifico che il codice deontologico è un mezzo volto a favorire nel professionista una condotta eticamente responsabile. Ed in quanto mezzo, non può avere l'obiettivo di essere esaustivo nei contenuti, ma piuttosto quello di favorire l'acquisizione di un metodo di approccio ai problemi. Più concretamente, è principio accettato, anche se non esplicitato nel codice dell'infermiere, che la condotta deontologicamente responsabile comprende tutte le attività opportune per garantire il corretto esercizio della professione, ancorché non testualmente corrispondenti a specifici precetti del codice deontologico. 
 In sintesi, secondo il tipo di accettazione che il mandato dell'attuale disegno di legge avrà presso i Collegi professionali, lo scenario futuro potrà diversificarsi dalla situazione attuale. Se, oggi, responsabilità è dare risposte meditate ad un bisogno espresso (anche tacitamente) dall'assistito avvalendosi delle indicazioni del codice deontologico, domani responsabilità potrebbe essere attenersi agli automatismi dettati da un codice deontologico di nuova concezione che potrebbe essere tanto più ambiguo quanto più somigliante ad un assemblaggio di linee-guida. 
  
 Il riconoscimento da parte di leggi dello Stato del valore da attribuire, in fatto di attività professionale in ambito sanitario e relativa responsabilità, al codice deontologico potrà poi favorire una svolta decisiva nell'interpretazione di una questione, attualmente dibattuta, che riguarda il tema generale del rapporto fra norma giuridica e codificazione deontologica. Per la precisione, l'ambito di riferimento è quello della responsabilità professionale penale per colpa: si ricorda, in breve, che tale responsabilità sussiste quando si verifica un danno a carico dell'assistito a causa di condotta colposa dell'esercente la professione sanitaria. La condotta (azione od omissione) dell'esercente la professione sanitaria deve dunque essere caratterizzata da colpa.  Il concetto di colpa coincide, alternativamente o cumulativamente, con quelli di negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art. 43 del codice penale). Orbene la questione è se la violazione del codice di deontologia configuri violazione di regolamento e quindi presupposto della colpa per inosservanza. Affrontata sinora solo con riferimento al codice di deontologia medica, la questione è attualmente -come già accennato- dibattuta in dottrina. E' facile immaginare che con il peculiare valore oggi attribuito nella definizione del campo di attività e responsabilità delle professioni sanitarie non mediche al codice deontologico, esso verrà sempre più riconosciuto come irrinunciabile punto di riferimento regolamentare -anche se non unico ed esclusivo, visto il ruolo dei profili professionali e dell'ordinamento didattico universitario- disciplinante l'esercizio professionale.  
  


[1] Per maggiori dettagli, cfr.: RODRIGUEZ D., Relazione in Tavola rotonda, XIV Congresso nazionale ANIARTI "Area critica: presente e futuro con i cittadini. Urgenza ed emergenza; ospedale e territorio; responsabilità e risultato". In: Atti, Genova 15-17 novembre 1995, pp. 269-276 e 292-324. Per un approfondimento, v.: BENCIOLINI P., APRILE A., Responsabilità dell'infermiere in pronto soccorso, in MENON C., RUPOLO G., Pronto soccorso per l'infermiere professionale, Ambrosiana ed., Milano 1995, pp. 281-288.

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