E. Drigo D. Rodriguez M. Zanello M. D'Innocenzo
Daniele
Rodriguez ·
Professore
ordinario di Medicina legale
nell'Università
degli Studi di Ancona
L'art. 1 della legge 26 febbraio 1999 n. 42 ed il codice deontologico
degli infermieri approvato nel febbraio 1999 mostrano una straordinaria
convergenza di carattere lessicale per quanto riguarda il tema generale della
"responsabilità dell'infermiere"; i due testi si avvalgono,
infatti, di alcune parole particolarmente significative, che sono esattamente
le stesse.
Visto
il rilievo che proprio queste parole rivestono, è da chiedersi se si tratti
di mera coincidenza oppure se l'uso degli stessi termini sia frutto di una
scelta meditata; l'interrogativo fondamentale è comunque se vi sia una
convergenza, oltre che formale, anche sostanziale, sui concetti che queste
parole esprimono.
Le tre parole sono: responsabilità,
attività e competenza.
Conviene analizzare per primo il termine responsabilità
definendone il concetto in generale. La parola responsabilità ha, infatti, un duplice significato (cfr. tabella
I): non solo quello di essere chiamati a rispondere ad una qualche autorità
di una condotta professionale riprovevole, ma anche quello di impegnarsi per
mantenere un comportamento congruo e corretto.[1]
[2]L'aspetto
primo indicato della responsabilità corrisponde ad un concetto
"negativo" del termine (essere chiamati a rispondere, magari in
giudizio penale, quando ormai l'errore o l'omissione è stato commesso), in
contrapposizione a quello "positivo" dell'essere responsabili,
dell'assumersi cioè le responsabilità che l'esercizio professionale
comporta.
Tabella I - L'ambivalenza del termine responsabilità
Ottica positiva |
Ottica
negativa |
Coscienza
degli obblighi connessi con lo svolgimento di un incarico |
Essere
chiamati a rendere conto del proprio operato; colpevolezza |
Impegno
dell'operatore sanitario ex ante |
Valutazione
da parte di un giudicante ex post |
Considerato il peculiare significato che assume in relazione
all'esercizio della professione il termine responsabilità
inteso in senso positivo, occorre
indicare come si concretizzi una siffatta responsabilità, quali siano cioè i
principi ai quali conviene ispirarsi per raggiungere l'obiettivo dell'essere
responsabili nella condotta professionale. In generale, si può affermare che
la condotta professionalmente responsabile discende dal rispetto di quanto
indicato nei tre punti seguenti:
1) presupposti scientifici delle attività e delle funzioni proprie
della professione;
2) valori etici condivisi ed indicazioni che derivano dalla coscienza
personale;
3) norme di riferimento.
Circa 1) e 2), è sufficiente indicare che i principi lì richiamati
possono, almeno in parte, corrispondere all'adagio -spesso usato a sproposito,
per giustificare i loro comportamenti discutibili, da taluni professionisti
sanitari, come se fosse una formula magica alla quale non è possibile
contrapporre alcuna obiezione- del comportarsi
secondo scienza e coscienza.
In merito al punto 3, si rimanda alla tabella II che fornisce
indicazioni, necessariamente generiche, sulle norme di riferimento dalle quali
scaturiscono, a vario titolo, ambiti di responsabilità diversificati.
Risulta, in sostanza, che per l'infermiere (e per gli altri esercenti una
professione sanitaria) esiste la possibilità che norme, rispettivamente,
etiche, deontologiche e giuridiche, riguardino una stessa materia
d’interesse professionale. Poiché la disciplina risultante può non essere
sempre omogenea, può accadere che, per una stessa condotta professionale, vi
siano differenti ricadute in tema di responsabilità secondo l’ambito
(etico, deontologico, giuridico) di riferimento.
Tabella
II - Ambiti normativi della
responsabilità
Ambito
di riferimento |
Fondamentali
fonti normative |
Penale |
Codice penale |
Civile |
Codice civile |
Amministrativo-disciplinare |
Varie: ad es. legge 833/78,
D.P.R. 761/79, D.L.vo
502/92, D.L.vo 29/93 e rispettive modificazioni e/o integrazioni D.P.R. 13 marzo 1992 D.M. 739/94 |
Deontologico-disciplinare |
Codice deontologico degli
infermieri |
Etico |
Valori etici |
Della
responsabilità in relazione alla
professione infermieristica si discute in modo sistematico a partire dalla
pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 2 marzo 1999, della legge 26
febbraio 1999 n. 42 "Disposizioni in materia di professioni
sanitarie"; in realtà, la discussione, in convegni, congressi, riunioni
di studio era già stata avviata da quando, con testo molto simile a quello
ora definitivo, il corrispondente disegno di legge (che recava il n. 4216) era
stato approvato (in data 1° ottobre 1997) dalla Commissione permanente
(Igiene e Sanità) del Senato della Repubblica. Nel secondo comma dell'art. 1
della legge (e nel corrispondente disegno), infatti, compare (e,
rispettivamente, compariva) proprio il sostantivo responsabilità.
Il testo del predetto art. 1 è integralmente riportato in tabella III.
Tabella
III - Legge 26 febbraio 1999, n. 42 (G.U. n. 50 del 2 marzo 1999) -
Disposizioni in materia di professioni sanitarie
Art.
1 Definizione
delle professioni sanitarie. 1. La denominazione "professione sanitaria ausiliaria"
nel testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27
luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni nonché in ogni altra disposizione di legge, è sostituita dalla
denominazione "professione sanitaria". |
2. Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono
abrogati il regolamento approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 14 marzo 1974, n. 225, ad eccezione delle disposizioni
previste dal titolo V, il decreto del Presidente della Repubblica 7
marzo 1975, n. 163 e l'articolo 24 del regolamento approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 6 marzo 1968, n. 680 e successive
modificazioni. Il campo proprio di attività e di responsabilità delle
professioni sanitarie di cui all'art. 6, comma 3, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e
integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali
istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti
didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione
post-base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le
competenze previste per le professioni mediche e per le altre
professioni del ruolo sanitario per l'accesso alle quali è richiesto il
possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche
competenze professionali. |
Il comma 2 richiama dunque "il campo proprio di attività e di
responsabilità delle professioni sanitarie", fra le quali vi è
evidentemente anche quella infermieristica.
Una
siffatta indicazione circa l'esistenza di una responsabilità anche
dell'infermiere ha indotto taluno a porsi domande: nasce la responsabilità
professionale dell'infermiere che prima non esisteva? Oppure vi è ora una
diversa connotazione della responsabilità dell'infermiere rispetto a prima?
In realtà questo richiamo alla responsabilità operato dalla legge 42
non può considerarsi, in relazione alla professione infermieristica, come
un’indicazione normativa nuova.
A
prescindere dalle avvenute, per quanto infrequenti, pronunce giurisprudenziali
in punto di responsabilità, colposa e dolosa, dell'infermiere, ed a
prescindere da provvedimenti e sanzioni deontologiche ed amministrative in
genere -fatti che stanno, tutti, a dimostrare l'esistenza di una responsabilità
dell'infermiere nell'esercizio della professione-, non sono rilevabili, anche
dal punto di vista meramente lessicale, in questa legge 42 del 1999, novità
significative. Proprio il concetto di responsabilità,
con riferimento alla professione infermieristica, ricorreva, infatti, anche
all'interno di altre norme dello Stato. Si tratta delle seguenti.
La prima fonte normativa, in ordine cronologico, è il D.P.R. 13 marzo
1992 "Atto di indirizzo e di coordinamento alle Regioni ... in materia di
emergenza sanitaria", che testualmente, all'art. 4 ("Competenze e responsabilità
nelle centrali operative"), secondo comma, prevede che "la responsabilità operativa è affidata a personale infermieristico professionale."
Pur se riferita alla dimensione operativa,
è la prima volta che compare esplicitamente la parola "responsabilità"
in rapporto alla professione infermieristica.
Il concetto di responsabilità è ripreso nel Decreto del Ministero
Sanità 14 settembre 1994 "Regolamento concernente l'individuazione della
figura e del relativo profilo professionale dell'infermiere"; l'art. 1
del D.M. recita "l'infermiere è l'operatore sanitario ... responsabile dell'assistenza generale infermieristica". Qui la
responsabilità è contemplata di portata più ampia, investendo globalmente
tutto il piano assistenziale.
Nella legge 42, quindi, il concetto di responsabilità
compare ormai per la terza volta in una norma dello Stato, il che rappresenta
quindi più una conferma che una novità.
Sta
comunque, di fatto, che detta "conferma", vissuta come una novità,
ha sollecitato una grande attenzione sul significato da dare al richiamo alla
responsabilità dell'infermiere operato da queste norme dello Stato.
Tuttavia la normativa dello Stato, anche considerando il sopra
menzionato D.P.R. del 1992, non è stata particolarmente tempestiva nel citare
esplicitamente la responsabilità dell'infermiere, essendo stata preceduta,
nel 1977, dalle indicazioni del codice deontologico degli infermieri, il cui
punto 6 richiamava la "responsabilità"
dell'infermiere, indicandola come "autonoma", ma correlandola alla
collaborazione attiva con i medici e con gli altri operatori socio-sanitari.
Storicamente, è dunque ben documentato uno specifico interesse del codice deontologico degli infermieri proprio al tema
della "responsabilità", quando di questo termine, in rapporto alle
professioni sanitarie non mediche, non risulta traccia nelle leggi dello Stato
se non in epoca di quindici anni successiva.
Quanto al nuovo codice deontologico degli infermieri, quello approvato
cioè nel febbraio del 1999, i termini responsabilità
o responsabile ricorrono
-complessivamente- per otto volte, come riportato in tabella IV.
Va
da sé che questa osservazione vuole essere un semplice indicatore dell'enfasi
posta dal codice deontologico nel richiamare la responsabilità
dell'infermiere; i dati sono quindi proposti più a titolo di curiosità che
come elemento probatorio a supporto dell'esistenza della responsabilità: è
pacifico, infatti, che vi può ben essere responsabilità anche senza che sia
testualmente riportato il sostantivo corrispondente.
Tabella
IV - Il codice deontologico degli infermieri del 1999: passi nei quali è
esplicitamente richiamato il concetto di responsabilità.
1.1.
L'infermiere è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma
abilitante e dell'iscrizione all'Albo professionale, è responsabile
dell'assistenza infermieristica. |
1.3.
La responsabilità dell'infermiere consiste nel curare e prendersi cura
della persona, nel rispetto della vita, della salute, della libertà e
della dignità dell'individuo. |
1.4.
Il Codice deontologico guida l'infermiere nello sviluppo della identità
professionale e nell'assunzione di un comportamento eticamente
responsabile. E' uno strumento che informa il cittadino sui
comportamenti che può attendersi dall'infermiere. |
2.1.
Il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e dei principi etici
della professione è condizione essenziale per l'assunzione della
responsabilità delle cure infermieristiche. |
3.2.
L'infermiere assume responsabilità in base al livello di competenza
raggiunto e ricorre, se necessario, all'intervento o alla consulenza di
esperti. Riconosce che l'integrazione è la migliore possibilità per
far fronte ai problemi dell'assistito; riconosce altresì l'importanza
di prestare consulenza, ponendo le proprie conoscenze ed abilità a
disposizione della comunità professionale. |
3.3.
L'infermiere riconosce i limiti delle proprie conoscenze e competenze e
declina la responsabilità quando ritenga di non poter agire con
sicurezza. Ha il diritto ed il dovere di richiedere formazione e/o
supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha esperienza; si
astiene dal ricorrere a sperimentazioni prive di guida che possono
costituire rischio per la persona. |
6.1.
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad
orientare le politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di
garantire il rispetto dei diritti degli assistiti, l'equo utilizzo delle
risorse e la valorizzazione del ruolo professionale. |
6.3.
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze
o disservizi provvede a darne comunicazione e per quanto possibile, a
ricreare la situazione più favorevole. |
L'elenco di cui alla tabella IV è utile per un altro motivo. Infatti,
esso permette di identificare il significato del termine "responsabilità"
secondo il codice deontologico.
Dalla lettura degli articoli riportati, emerge pacificamente che il concetto
è usato sempre nella sua accezione positiva, quella cioè dell'assumere,
anche con le pertinenti iniziative, una condotta congrua rispetto ai bisogni
della persona assistita.
Anche
la legge 42 del 1999 si esprime testualmente in modo da far risaltare il
valore positivo da conferire al termine responsabilità. Ecco il ragionamento
che permette di giungere a quest'ultima affermazione.
L'art.
1 della legge 42 ha una prima parte, per così dire, abrogativa,
quella abitualmente enfatizzata in congressi ed in autorevoli contributi
dottrinali [3]
[4]
sulla legge stessa; questa prima parte consiste nella duplice
abolizione:
a)
dell'attributo "ausiliario" dalla locuzione "professioni
sanitarie" (cfr. comma 1: la formulazione testuale è differente, ma il
risultato è la predetta abrogazione);
b)
del mansionario delle professioni infermieristica, ostetrica e di tecnico
sanitario di radiologia medica (cfr. comma 2, prima frase).
A
queste abrogazioni, sul significato delle quali è qui impensabile soffermarsi
[5],
corrispondono le indicazioni in senso prescrittivo-positivo
che riguardano la definizione del campo proprio di attività e di
responsabilità delle professioni sanitarie rientranti, rispettivamente, in
una delle tre aree -infermieristica, tecnica o della riabilitazione- indicate
nel comma 3, dell'art. 6 del D. L.vo 30 dicembre 1992 n. 502 (cfr.
l'indicazione in tal senso del comma 2, parte iniziale della seconda frase,
dell'art. 1 in commento).
Per
le citate professioni sanitarie, l'art. 1 della legge 42 colma il vuoto (reale
o presunto che sia: è infatti aperta la discussione se la legge 42 testimoni
il riconoscimento di funzioni già di fatto svolte da taluni/molti
professionisti, almeno negli ultimi anni, nonostante le prescrizioni
limitative del mansionario) lasciato dall'abrogazione del mansionario e della
concezione del ruolo ausiliario di talune professioni sanitarie, indicando che "il campo proprio di attività
e di responsabilità" è
determinato dai contenuti:
-
dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali;
-
degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario;
-
degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di formazione post-base;
-
degli specifici codici deontologici.
E'
soprattutto da notare che, nell'indicare come colmare il vuoto,
la legge 42 si esprime con modalità particolarmente appropriata ed attenta.
In altre parole, la legge 42 oltre a fornire le precisazioni necessarie sui
riferimenti normativi dai quali ricavare i contenuti dell'esercizio delle
professioni, ha mostrato, quale
atteggiamento tenere nel momento in cui si assumono queste funzioni.
In
particolare, l'art. 1 della legge 42 associa i sostantivi attività
e responsabilità; un siffatto
accostamento non è casuale ed induce ad approfondire la riflessione. E'
chiarissimo che responsabilità non
è qui considerata solo come attitudine ad essere chiamati a rispondere per
errori od omissioni nell'esercizio della professione, ma anche come capacità
di rispondere ai bisogni dell'assistito, mantenendo un comportamento congruo e
corretto. Analogamente attività non
va intesa come semplice esecuzione di atti, bensì come stimolo ad attivarsi,
cioè ad assumere una condotta attiva, a prendere le iniziative necessarie.
L'associazione
dei due termini rafforza quindi concetti analoghi e sta in definitiva a
sollecitare l'impegno che il professionista sanitario deve spontaneamente
assumere di fronte ad una situazione di bisogno, al di là delle richieste
esplicite dell'assistito.
L'aver
connesso "il campo proprio" (che è ciò che colmerà il vuoto
lasciato dalle abrogazioni) all'associazione dei due termini attività e responsabilità,
piuttosto che a qualche altra parola o locuzione più generica -quale avrebbe
potuto ad esempio essere "esercizio della professione"- ha dunque un
valore ben preciso: quello di caratterizzare le professioni sanitarie nel
senso dell'impegno ad assumere il
comportamento adeguato, sia pure all'interno di un campo costituito dalle
citate fonti normative. In altre parole, il legislatore ha scelto di non
enfatizzare il significato di limite -che, comunque, profili, ordinamenti
didattici e codici deontologici (ove esistenti) hanno- ma ha voluto
puntualizzare che -pur nei limiti indicati- l'esercizio professionale deve
essere volto a realizzare l'obiettivo doveroso quanto più e quanto meglio
possibile nell'interesse di salute dell'assistito. Questo corrisponde, secondo
i punti di vista: o all'introduzione di una nuova filosofia nello svolgimento
delle professioni sanitarie; o al riconoscimento della nuova filosofia della
prestazione d'opera e d'assistenza già raggiunta dalle professioni sanitarie
(non mediche), o quanto meno da alcune di esse, o quanto meno ancora dalla
parte più matura e consapevole dei loro componenti. Si tratta di una
concezione che non mette più al primo posto -come avveniva in passato- il
timore di trovarsi a fare ciò che invece non è strettamente consentito, ma
che è caratterizzata dalla consapevolezza del dover fare, ovviamente
nell'ambito di intervento della singola professione, compiutamente tutto il
necessario.
E'
pacifico che il richiamo ai campi delinea proprio l'ambito entro cui il professionista sanitario
è chiamato a svolgere le sue funzioni, e che l'impegno ad attivarsi, prima
sottolineato, non deve essere
inteso come uno scriteriato (imprudente) avventurarsi a fare (in modo
imperito) anche ciò che non solo non si sa fare, omettendo di avvertire (per
negligenza) chi, se fosse intervenuto, avrebbe potuto compiere l'atto
necessario in modo congruo: resta fermo infatti che è proprio il senso di responsabilità che deve dare un limite, impedendo di porre in
essere condotte improprie.
Anche
il codice deontologico è molto attento a richiamare il fatto che l'infermiere
deve mantenere un comportamento attivo, che passa attraverso non solo le
risposte alle domande di salute esplicitamente formulate dagli assistiti, ma
anche quelle inespresse, ma percepibili (e da sapere e dovere percepire);
ovviamente le risposte devono consistere nelle opportune scelte e/o
iniziative, in ambito sia operativo che organizzativo.
A
riprova di ciò, si rimanda alle tabelle V e VI, che mettono in evidenza la
frequenza con cui nel codice deontologico figura non solo il concetto
dell'attivarsi, ma anche quelli analoghi dell'adoperarsi
e dell'impegnarsi.
Tabella
V - Il codice deontologico degli infermieri del 1999: passi nei quali è
espresso il concetto di attività-attivarsi.
2.2.
L'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale dell'individuo e
interesse della collettività e si impegna a tutelarlo con attività di
prevenzione, cura e riabilitazione. |
2.6.
Nell'agire professionale, l'infermiere si impegna a non nuocere, orienta
la sua azione all'autonomia e al bene dell'assistito, di cui attiva le
risorse anche quando questi si trova in condizioni di disabilità o
svantaggio. |
3.1.
L'infermiere aggiorna le proprie conoscenze attraverso la formazione
permanente, la riflessione critica sull'esperienza e la ricerca, al fine
di migliorare la sua competenza. L'infermiere
fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiornate, così da
garantire alla persona le cure e l'assistenza più efficaci. L'infermiere
partecipa alla formazione professionale, promuove ed attiva la ricerca,
cura la diffusione dei risultati, al fine di migliorare l'assistenza
infermieristica. |
3.4.
L'infermiere si attiva per l'analisi dei dilemmi etici vissuti
nell'operatività quotidiana e ricorre, se necessario, alla consulenza
professionale e istituzionale, contribuendo così al continuo divenire
della riflessione etica. |
3.6.
L'infermiere, in situazioni di emergenza, è tenuto a prestare soccorso
e ad attivarsi tempestivamente per garantire l'assistenza necessaria. In
caso di calamità si mette a disposizione dell'autorità competente. |
4.1.
L'infermiere promuove, attraverso l'educazione, stili di vita sani e la
diffusione di una cultura della salute; a tal fine attiva e mantiene la
rete di rapporti tra servizi e operatori. |
4.14.
L'infermiere si attiva per alleviare i sintomi, in particolare quelli
prevenibili. Si impegna a ricorrere all'uso di placebo solo per casi
attentamente valutati e su specifica indicazione medica. |
Tabella
VI - Il codice deontologico degli infermieri del 1999: elenco dei passi nei
quali sono richiamati due sinonimi del concetto di attivarsi; si tratta di
"adoperarsi" ed "impegnarsi".
Adoperarsi |
Impegnarsi |
4.5.
L'infermiere, nell'aiutare e sostenere la persona nelle scelte
terapeutiche, garantisce le informazioni relative al piano di assistenza
ed adegua il livello di comunicazione alla capacità del paziente di
comprendere. Si adopera affinché la persona disponga di informazioni
globali e non solo cliniche e ne riconosce il diritto alla scelta di non
essere informato. 4.10.
L'infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione fisica e
farmacologica sia evento straordinario e motivato, e non metodica
abituale di accudimento. Considera la contenzione una scelta
condivisibile quando vi si configuri l'interesse della persona e
inaccettabile quando sia una implicita risposta alle necessità
istituzionali. 4.11.
L'infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l'opinione
del minore rispetto alle scelte terapeutiche, in relazione all'età ed
al suo grado di maturità. 4.18.
L'infermiere considera la donazione di sangue, tessuti ed organi
un'espressione di solidarietà. Si adopera per favorire informazione e
sostegno alle persone coinvolte nel donare e nel ricevere. 5.2.
L'infermiere tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso
comportamenti ispirati al rispetto e alla solidarietà. Si adopera
affinché la diversità di opinione non ostacoli il progetto di cura. |
1.5.
L'infermiere, con la partecipazione ai propri organismi di
rappresentanza, manifesta la appartenenza al gruppo professionale,
l'accettazione dei valori contenuti nel Codice deontologico e l'impegno
a viverli nel quotidiano. 2.2.
L'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale dell'individuo e
interesse della collettività e si impegna a tutelarlo con attività di
prevenzione, cura e riabilitazione. 2.5.
Nel caso di conflitti determinati da profonde diversità etiche,
l'infermiere si impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. In
presenza di volontà profondamente in contrasto con i principi etici
della professione e con la coscienza personale, si avvale del diritto
all'obiezione di coscienza. 2.6.
Nell'agire professionale, l'infermiere si impegna a non nuocere, orienta
la sua azione all'autonomia e al bene dell'assistito, di cui attiva le
risorse anche quando questi si trova in condizioni di disabilità o
svantaggio. 4.12.
L'infermiere si impegna a promuovere la tutela delle persone in
condizioni che ne limitano lo sviluppo o l'espressione di sé, quando la
famiglia e il contesto non siano adeguati ai loro bisogni. 4.14.
L'infermiere si attiva per alleviare i sintomi, in particolare quelli
prevenibili. Si impegna a ricorrere all'uso di placebo solo per casi
attentamente valutati e su specifica indicazione medica. |
Resta
da chiarire il concetto del terzo sostantivo di interesse richiamato dall'art.
1 della legge 42, alla fine del comma 2, nel passo che riguarda la
salvaguardia riconosciuta alle "competenze previste per le professioni mediche e per le altre
professioni del ruolo sanitario per l'accesso alle quali è richiesto il
possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze
professionali". In realtà la frase è sibillina, perché il
sostantivo "competenze" si presta ad una duplice interpretazione e
le due interpretazioni non sono fra loro neanche parzialmente concordi.
Scegliendo l'una o l'altra di queste interpretazioni cambia totalmente il
senso del disposto.
Per
competenza potrebbe intendersi
"ciò che compete", "ciò che è di pertinenza"; ma anche,
in senso difforme, "ciò di cui si è competenti", "ciò che si
ha capacità di fare". In sintesi, alternativamente, competenza potrebbe
essere sinonimo di "pertinenza" oppure di "capacità".
Se
si intendesse competenza come pertinenza, non avrebbe molto senso la frase "competenze
previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo
sanitario per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di
laurea". Infatti non esistono norme di legge che prevedano organicamente
le funzioni di pertinenza del
medico. Vi è solo qualche disposto che disciplina
alcuni aspetti dell'esercizio di quest'ultima professione; si tratta, in
sostanza, delle norme in materia di accertamento della morte, di trapianti di
organo, di trasfusione di sangue e di trattamenti sanitari obbligatori.
Per
quanto riguarda le altre professioni sanitarie per le quali è prevista la
laurea, le indicazioni normative sono scarse. In relazione all'odontoiatra è
contemplato (art. 2 della legge 24 luglio 1985 n. 409) che "formano
oggetto della professione di odontoiatra le attività inerenti alla diagnosi
ed alla terapia delle malattie ed anomalie congenite ed acquisite dei denti,
della bocca, della mascella e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione
ed alla riabilitazione odontoiatriche".
La
professione di psicologo comprende (art. 1 della legge 18 febbraio 1989 n. 56)
"l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la
diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito
psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle
comunità".
Oggetto
della professione di biologo sono, tra le altre, (art. 3 della legge 24 maggio 1967 n. 396), i seguenti funzioni:
"... valutazione dei bisogni nutritivi ed energetici dell'uomo ...
problemi di genetica dell'uomo ... identificazione di agenti patogeni
dell'uomo ... controllo e studi di attività, sterilità, innocuità di
insetticidi, anticrittogamici, antibiotici, vitamine, ormoni, enzimi, sieri,
vaccini, medicamenti in genere, radioisotopi ... analisi biologiche (urine,
essudati, escrementi, sangue; sierologiche, immunologiche, istologiche, di
gravidanza, metaboliche) ..." E' comunque precisato (sempre con
riferimento ai biologi, poco oltre nell'art. 3 cit.) che la predetta
"elencazione ... non limita l'esercizio di ogni altra attività
professionale consentita ai biologi iscritti all'albo ..."
Se
invece si intendesse competenza come capacità,
la frase in discussione continuerebbe a non avere un particolare significato,
ma almeno non sarebbe più contraddittoria, come invece risulta seguendo la
precedente interpretazione. Piuttosto, in quest'ipotesi, assumerebbe un senso
ben preciso il richiamo conclusivo al "rispetto reciproco delle
specifiche competenze professionali"; la frase rappresenterebbe quindi il
riconoscimento delle capacità di fatto acquisite in ambito professionale da
chi è concretamente in grado di padroneggiare o gestire atti, tecnologie o
procedure. Il che significa che il campo di esercizio professionale è da
intendere in continuo divenire ed in continua ridefinizione in rapporto al
progressivo abbandono dei modelli tradizionali di medicina e di assistenza
sanitaria.
Una
siffatta concezione dinamica delle funzioni è consona alla logica ed allo
sviluppo culturale che ha portato all'attuale situazione di progressiva
valorizzazione delle professioni sanitarie, le quali sono state chiamate a
garantire alcune funzioni correlate, tra l'altro, con la riorganizzazione del
servizio sanitario, con l'evoluzione rapidissima delle tecnologie in ambito
sanitario e con l'impulso in senso ultraspecialistico della medicina.
Di fronte a quest'incertezza interpretativa, il codice deontologico
degli infermieri offre un suggerimento, che può essere utile per sciogliere
il dubbio, orientando nel senso dell'interpretazione del sostantivo competenza
come capacità. Dalla tabella VII si
ricava infatti che tutte le volte (in totale cinque) in cui
"competenza" compare nel codice deontologico, il termine ha
sostanzialmente quel significato.
Non
è certo ammissibile interpretare una norma di legge ricorrendo ad indicazioni
-oltre tutto inerenti circostanze non perfettamente corrispondenti- di un
codice deontologico, che è rappresentativo solo di una delle molte
professioni vincolate alla legge 42.
Tuttavia
il fatto che legge 42 e codice deontologico degli infermieri siano
sostanzialmente coevi, il fatto che entrambe le norme rappresentino il
riconoscimento e la testimonianza di un processo di crescita culturale e
tecnico-scientifica delle professioni sanitarie ex
ausiliarie (legge 42) o di almeno una di esse (codice degli infermieri),
il fatto cioè che esse siano tese ad esprimere concezioni analoghe -anche se
non sempre del tutto sovrapponibili- che dovranno guidare l'esercizio
professionale nei prossimi anni, fanno sì che sia ragionevole utilizzare,
quando vi sia qualche dubbio interpretativo in relazione ad una delle due
norme in discussione (legge 42 e codice deontologico), lo stesso modello
interpretativo di riferimento adottato per l'altra delle due norme. Non si
trascuri inoltre una peculiarità che vincola le due norme. Infatti poche
righe prima, il comma 2 dell'art. 1 della legge 42 fa un esplicito richiamo ai
codici deontologici dei professionisti sanitari proprio in relazione allo
stesso ambito, quello della responsabilità professionale, in cui rientra il
tema, ora in esame, della "competenza".
E'
questa la seconda volta (dopo l'art. 31 della legge 31 dicembre 1996, n. 675
"Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei
dati personali") in cui una norma dello Stato cita esplicitamente, con
riferimento alle professioni sanitarie, il codice deontologico conferendogli
valore.
Questo,
in generale, significa il riconoscimento da parte dello Stato del ruolo dei
codici deontologici, e, in particolare, consente di dare, anche formalmente,
adeguato credito ad un'interpretazione del testo di legge in base ai concetti
espressi da uno di quei codici deontologici (in realtà ne esistono solo altri
due: quello dei tecnici di radiologia medica e quello dei logopedisti) ai
quali quello stesso testo di legge attribuisce specifico valore e proprio
nello specifico campo di interesse.
Né
è ragionevole pensare ad un uso strumentale (univocamente finalizzato, cioè,
ad una determinata interpretazione, conforme ad un obiettivo corporativo della
professione infermieristica) del sostantivo da parte degli estensori del
codice deontologico degli infermieri. Essendo il disegno di legge 4216 (come
già detto del tutto corrispondente, per ciò di cui ora si discute,
all'attuale legge 42) di fatto anteriore anche alle bozze di questo codice
deontologico, può infatti sorgere il sospetto che alcune parti del codice
deontologico stesso siano state stese in modo da orientare l'interpretazione
della legge 42.
Un
siffatto sospetto può essere facilmente smentito: infatti, nel "patto
infermiere-cittadino", che è premesso al codice stesso e ne costituisce
parte integrante, è indicato espressamente l'impegno a "garantirti competenza,
abilità e umanità nello svolgimento delle tue prestazioni
assistenziali". Come noto, il "patto infermiere-cittadino" è
stato approvato il 12 maggio 1996; ciò significa che, nella concezione della
professione infermieristica, il sostantivo competenza
aveva almeno fin da allora il significato, sostanziale e dinamico, di capacità, che ora il codice deontologico gli attribuisce.
Tabella
VII - Il codice deontologico degli infermieri del 1999: elenco dei passi in
cui è esplicitamente richiamato il termine competenza
3.1.
L'infermiere aggiorna le proprie conoscenze attraverso la formazione
permanente, la riflessione critica sull'esperienza e la ricerca, al fine
di migliorare la sua competenza. L'infermiere
fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiornate, così da
garantire alla persona le cure e l'assistenza più efficaci. L'infermiere
partecipa alla formazione professionale, promuove ed attiva la ricerca,
cura la diffusione dei risultati, al fine di migliorare l'assistenza
infermieristica. |
3.2.
L'infermiere assume responsabilità in base al livello di competenza
raggiunto e ricorre, se necessario, all'intervento o alla consulenza di
esperti. Riconosce che l'integrazione è la migliore possibilità per
far fronte ai problemi dell'assistito; riconosce altresì l'importanza
di prestare consulenza, ponendo le proprie conoscenze ed abilità a
disposizione della comunità professionale. |
3.3.
L'infermiere riconosce i limiti delle proprie conoscenze e competenze e
declina la responsabilità quando ritenga di non poter agire con
sicurezza. Ha il diritto ed il dovere di richiedere formazione e/o
supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha esperienza; si
astiene dal ricorrere a sperimentazioni prive di guida che possono
costituire rischio per la persona. |
5.1.
L'infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori, di cui
riconosce e rispetta lo specifico apporto all'interno dell'équipe. Nell'ambito
delle proprie conoscenze, esperienze e ruolo professionale contribuisce
allo sviluppo delle competenze assistenziali. |
7.2.
I Collegi Ipasvi si rendono garanti, nei confronti della persona e della
collettività della qualificazione dei singoli professionisti e della
competenza acquisita e mantenuta. |
Va
detto per inciso che se questa è l'interpretazione corretta, si apre uno
scenario che potrebbe essere, alternativamente, molto stimolante o decisamente
inquietante, in funzione del grado di maturazione culturale prima che
scientifico delle varie professioni sanitarie (sia quelle con laurea che
quelle con diploma universitario): stimolante se, come già auspicato[6],
tutte le professioni sapranno coinvolgersi in un processo di rielaborazione
della propria specificità professionale, inquietante se ogni professione -o
anche solo parte di esse- si arroccherà, chiudendosi in posizioni
intransigenti e corporative.
[5]
RODRIGUEZ D., Professioni sanitarie ex ausiliarie: dal mansionario al riconoscimento giuridico della
competenza. Lettere dalla Facoltà-Bollettino della Facoltà di medicina e
Chirurgia dell'Università di Ancona 2 (9), 2, 1999.