Congresso Nazionale Aniarti 1999
ACCREDITAMENTO E CERTIFICAZIONE IN AREA CRITICA.
Bologna (BO), 10 Novembre - November 1999 / 12 Novembre - November 1999
» Indice degli atti del programma
Paola Di Giulio
10 Novembre - November 1999: 09:45 / 10:15
- Autorizzazione,
certificazione ed accreditamento, quale ricaduta su :
- i
processi assistenziali
infermieristici
-
- Paola
Di Giulio
- Unità
di Ricerca Infermieristica, Istituto Mario Negri, Milano
- Redazione
della Rivista Assistenza Infermieristica e ricerca
-
- L’accreditamento
dei servizi sanitari è nato negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo,
e si è successivamente diffuso in molti paesi, mantenendo nei diversi
contesti elementi costanti e comuni.
- L’accreditamento
è un processo nel quale una organizzazione esterna alle strutture
sanitarie, usualmente non governativa, valuta un’organizzazione
sanitaria per determinare se corrisponda ad un insieme di standard
finalizzati a mantenere e migliorare la qualità dell’assistenza
sanitaria. L’accreditamento è solitamente volontario. Gli standard di
accreditamento sono normalmente considerati ottimali e raggiungibili.
L’accreditamento fornisce all’organizzazione un mandato visibile per
migliorare la qualità delle cure fornite ed assicurare un ambiente di
cura sicuro1.
- Le
diverse agenzie di accreditamento danno definizioni diverse: i programmi
di accreditamento si basano tutti su un processo di autovalutazione e di
revisione tra pari focalizzati sul miglioramento continuo e ad indirizzare
i processi, i risultati e le strutture al miglioramento dei sistemi di
erogazione dell’assistenza sanitaria.
- L’attivazione
dei programmi di accreditamento si può riportare a tre motivazioni:
- 1. Volontà delle strutture sanitarie e dei professionisti di avere
una valutazione oggettiva dei propri livelli qualitativi.
- 2. Interesse delle associazioni professionali e delle Società
Scientifiche ad attivare processi di miglioramento che vedano i
professionisti come parte attiva, favoriscano la crescita culturale degli
operatori, garantiscano i migliori risultati
sui pazienti.
- 3. Richiesta alle strutture sanitarie, da parte dei soggetti pagatori,
di corrispondere a determinati livelli qualitativi per ottenere
l'ammissione ai sistemi di pagamento.
- Le
prime due motivazioni restano alla base dei programmi di accreditamento
professionale, mentre la terza costituisce il fattore determinante la
diffusione dei programmi di accreditamento obbligatorio o istituzionale.
- Da
quando, all’inizio degli anni ‘90, furono pubblicate in Italia alcune
analisi delle esperienze internazionali 2, e nel ‘92 si
realizzò la prima esperienza di accreditamento 3, si sono
fatti notevoli passi in avanti, in parte anche favoriti dalla introduzione
dell’accreditamento obbligatorio con il Decreto Legislativo 502/92.
- In
questo modo, per vie e con motivazioni diverse, l’accreditamento entrava
sulla scena italiana Esperienza
di grande interesse, tra le altre, quella condotta dall’Agenzia
Sanitaria dell’Emilia Romagna, che ha sviluppato un progetto di sintesi
tra le esperienze di accreditamento volontario del mondo anglosassone ed
il modello ISO 9000, ricavandone una chiave di lettura originale molto
strutturata. Uno dei limiti è legato all’uso delle ISO, che richiedono
una grossa chiarezza nella
definizione dei processi e delle responsabilità, ma propongono una
concezione statica della qualità oltre alla grande mole di documentazione
necessaria..
- Le
esperienze od i tentativi in questo campo sono stati vari, in alcuni casi,
peraltro limitati, si sono elaborati solo ‘esercizi di stile’ o
modelli teorici impraticabili, ma in
numerosi casi le esperienze sono state quanto meno occasione di
riflessione dei professionisti sulle loro realtà operative, i fattori
condizionanti i livelli qualitativi, le proposte per il miglioramento.
- Quali
i principi di riferimento che devono guidare il contributo degli
infermieri ai processi di accreditamento, e quale il loro ruolo? Si sente
l’esigenza di modelli di riferimento, che non abbiano solo una valenza
tecnica, ma trasversale, cioé
riconosciuta valida ed appropriata sia dagli operatori che dagli utenti,
verificabile, comparabile, in grado di rassicurare sui livelli qualitativi
dell’organizzazione e del prodotto, ma anche sull’attenzione al
cliente (in senso esteso) e sul miglioramento continuo. E gli infermieri
possono dare il loro contributo critico ed operativo su più fronti.
- Le pratiche ed i
modelli di efficacia documentata
- Si parla ormai da anni della medicina basata sulle evidenze e
sulle prove di efficacia. E questo settore non riguarda solamente
l’efficacia di farmaci o tecniche, ma anche di modelli organizzativi. In
letteratura vengono sempre più frequentemente pubblicati esempi che
dimostrano che è l’atmosfera che si crea intorno al paziente ad essere
rilevante per gli esiti, oltre che, naturalmente, il tipo di cura
ricevuta. Prendere in carico (e creare un ambiente terapeutico) significa,
seguire nel tempo i problemi dei pazienti, garantire la continuità tra
ospedale e territorio, e farsi carico anche dei problemi emotivi, e non
solo di quelli clinici. Ma anche avere la capacità (e possibilità) di
creare e garantire un ambiente di cura in cui il paziente sia seguito,
tutelato, possa esprimere quello che pensa, interagire, e non solo
ricevere trattamenti. Si tratta di strategie finalizzate a far superare
alla persona i problemi funzionali, ma anche quelli psicologici e di
adattamento, con interventi che vanno dall’ascolto alla comprensione dei
motivi di stress, per renderlo più accettabile e tollerabile. Gli
infermieri (assieme ad altri professionisti, ma forse più di altri, per
la continuità e la vicinanza di rapporto con l’utente) associano
interventi fisici ed emotivi, parlano di temi difficili, stabiliscono un
dialogo, spesso su aspetti molto riservati della vita dell’altro. Un
ambiente terapeutico dovrebbe avere tutte queste caratteristiche.
- Prima
queste affermazioni facevano solo parte dei criteri generici di una buona
pratica infermieristica, dei quali si parlava nelle scuole infermieri: si
trattava di aspetti poco praticabili per motivi diversi, nella maggior
parte delle situazioni assistenziali, e trascurati spesso dagli stessi
infermieri. Troppo spesso infatti i contesti di assistenza, dominati dal modello
medico, centrato soprattutto sulla sopravvivenza, al di sopra di
tutto, non favoriscono questa presa in carico e l’espressione del
distress del paziente. Il movimento degli hospices è nato anche dalla consapevolezza dell’impossibilità di poter creare un ambiente di
accompagnamento in ospedale.
- Adesso
sono disponibili ‘evidenze scientifiche’ che ci indicano la strada da
percorrere per garantire un’assistenza più qualificata ed efficace per
il paziente.
- Non
è molto efficace, infatti, trattare una paziente con cancro della
mammella e dimetterla con una forte depressione; nè dimettere un paziente
con scompenso cardiaco, sapendo che la terapia ha continuamente bisogno di
revisioni, che il paziente ha bisogno di rinforzi, consigli, valutazioni,
senza garantirgli personale esperto a ‘portata di telefono’. O
limitarsi a prescrivere farmaci per il controllo della dispnea, senza
garantire un sostegno emotivo che aiuti il paziente a riflettere su quello
che prova, a gestire i suoi problemi. Una gestione integrata del paziente
migliora anche l’efficacia della terapia8.
- Le
numerose esperienze di gestione integrata del paziente, che prevedono
anche una modifica dell’ambiente e dell’organizzazione della cura (in
bibliografia ne vengono riportate solo alcune 4-7) vedono come
protagonisti infermieri, che acquisiscono un ruolo ancora più autonomo
nell’assistenza e vedono nel rapporto di sostegno e solidarietà con il
paziente (unito alle competenze tecniche) il punto centrale
dell’assistenza.
- Avere
evidenze che dimostrano l’efficacia di questi modelli, rischia di
aumentare la frustrazione di professionisti che, conoscendo quello che
dovrebbe essere fatto, non sono messi nelle condizioni di farlo: riduzione
del personale, ritmi di ricovero modulati in base ai DRG (che sono
centrati sulla diagnosi clinica e non sui problemi assistenziali dei
pazienti), logiche di gestione centrate sulla diagnosi-cura e che non
lasciano spazio all’assistenza. Cosa fare perchè questo non continui a
succedere e perchè oltre alle pratiche efficaci, vengano inseriti tra i
criteri di accreditamento anche i modelli di assistenza efficaci, che
vedono magari l’infermiere in un ruolo diverso?
- a.
Innanzitutto conoscere- e far
conoscere il più possibile- questi studi e questi modelli: il cambiamento
non dipende solo dagli infermieri ma anche dai medici, dai direttori
generali, dagli amministratori, ed anche dai pazienti. E questi modelli di
assistenza richiedono una radicale modificazione della cultura, non solo
organizzativa, ma anche medica. Sono cambiamenti sono più lenti e più
difficili degli altri. La consapevolezza che un diverso modello di
assistenza non solo fa stare-sentire meglio il paziente (e già questo
sarebbe sufficiente) ma riduce anche i costi, aumenta la possibilità che
questi modelli diventino sempre più diffusi anche in Italia.
- b.
Provare a sperimentare questo diverso modo di lavorare anche nei nostri
contesti, e dare publicità alle esperienze, in modo che si creino
‘standard’ qualitativi attesi, indipendentemente dal fatto che possano
essere inseriti nei modelli centrati sulle ISO9000.
- c.
Imparare a non cadere in alcune trappole delle misurazioni. Gli indicatori
possono monitorare e valutare un numero limitato di fattori. La definizione di cosa misurare-documentare non é
neutrale ma indica le priorità e le scelte fatte a livello di reparto.
Misurare un fenomeno significa renderlo visibile, e questo può essere
strumentale a confermare (o mettere in discussione) alcune politiche,
comportamenti, interventi. Ad esempio, scegliere di misurare il livello di
informazione, la lunghezza delle liste di attesa, l'appropriatezza di
alcune risposte assistenziali é 'indicatore' delle priorità che quel
reparto o istituzione danno alle scelte gestionali ed assistenziali. E'
profondamente diverso misurare se gli infermieri eseguono o meno i piani
di assistenza e /o se vengono rispettati i protocolli assistenziali dal
misurare quanti pazienti continuano a telefonare in reparto per chiedere
informazioni che dovevano essere fornite alla dimissione; o quanti sono i
pazienti che vengono dimessi con bisogno di assistenza domiciliare.
- La
disarticolazione in singole componenti dell'assistenza non significa non
riconoscerne la integrazione, ma
il modo per poter comprendere-studiare questa realtà é quello di
identificare le singole variabili che la compongono. Affrontare una realtà
complessa estrapolandone singole variabili é infatti un artificio
metodologico indispensabile, per mettere in evidenza i vari fattori che
sono in gioco. L'importante
é non dimenticare che esistono altri fattori che sono in relazione,
spesso di interdipendenza, con quelli estrapolati.
- Questa
osservazione di buon senso viene spesso dimenticata e ci si ferma a volte
all'analisi di una variabile dimenticandone le articolazioni a monte, a
valle e interne. Oppure si pretende di ricondurre ad indicatori generali e
sintetici realtà che hanno bisogno di essere descritte-comprese nelle
loro particolarità, per poterne meglio apprezzare le implicazioni e
metterle a confronto con le altre9.
-
- L’accreditamento
dei professionisti
- Si
sente spesso parlare di accreditamento dei professionisti: i singoli
professionisti possono essere autorizzati
ad eseguire una certa pratica se si dimostrano, rispetto a standard
predefiniti, di essere in grado di eseguirla, cioé di avere capacità e
competenze: ad esempio un
dato curriculum formativo, un certo numero di ore di aggiornamento,
esperienza in un settore. Questa forma di certificazione -accreditamento, diventa un meccanismo (più o meno formale) di autorizzazione ad
esercitare in determinati contesti.
- I
meccanismi di certificazione (credentialing) sono stati ideati per
garantire la qualità nell’assistenza come protezione per il pubblico.
Il pubblico richiede meccanismi
di certificazione per avere evidenze sulla competenza dei professionisti.
- La
certificazione (su questi termini, anche all’estero esiste una
grossa confusione) è il processo grazie al quale un’agenzia o
un’associazione non governativa certifica che una persona, autorizzata
ad esercitare la professione, ha soddisfatto alcuni standard
predeterminati specificati dalla professione per quell’area di pratica.
La certificazione é stata ideata per garantire al pubblico che una professionista ha acquisito un corpo di
conoscenze ed abilità in una determinata specialità (Committee for the
Study of Credentialing in Nursing, 1979).
- La
certificazione è stata introdotta per la prima volta in medicina, negli
USA, nel 1945 dall’Associazione Americana degli Anestesisti e nel 1950 l’American Nurses Association (ANA) cominciò ad esplorare come
riconoscere formalmente il raggiungimento di performance e livelli
formativi 10. Per
cominciare a considerare la performance, si deve aspettare fino al 1974,
quando l’ANA riconosce l’eccellenza nell’assistenza e attiva il
primo esame di certificazione. Il processo era volontario e furono
certificati 191 infermieri. Nel 1978 il processo si è allargato ad
includere la ‘garanzia di qualità’ oltre la formazione di base,
l’identificazione delle infermiere che potevano far chiedere il rimborso
diretto del servizio ed il riconoscimento dei progressi professionali e
della qualità della pratica.
- Nel
1978 l’ANA offriva 13 diversi esami di certificazione e nel 1990 fu
istituito l’American Nurses Credentialing Center (ANCC). Il contenuto
degli esami di certificazione rispecchia la pratica in una particolare
specialità che deve essere riconosciuta dal ANA Congress of Nursing
Practice. La specialità deve avere una finalità riconosciuta e standard di pratica per poter sviluppare l’esame di
certificazione. L’Advanced
practice nurse è responsabile dell’identificazione degli obiettivi
della propria pratica, in base alle leggi statali e federali, il codice
deontologico e gli standard di pratica professionale. La competenza degli
infermieri viene definita dalla formazione, le conoscenze e le abilità
possedute.
- Negli
USA esistono numerose organizzazioni di certificazione, ad esempio le
associazioni specialistiche quali quella di oncologia, di neuroscienze, di
area critica, ostetricia, ginecologia e neonatologia etc.
- Esisteva
una grossa difformità nella formazione ed i professionisti non erano più
sicuri che i corsi garantissero la stessa preparazione e competenze. Per
questo sono stati ideati dei test, originariamente per garantire
l’eccellenza, attualmente per valutare la competenza.
- L’American
Board of Nursing Specialties (ABNS) é la sola organizzazione dedicata
esclusivamente a standardizzare e portare unitarietà nelle
specializzazioni infermieristiche: promuove la protezione degli utenti
stabilendo, mantenendo e valutando gli standard per fare in modo che siano
uniformi.
- Negli USA ormai la
maggior parte degli infermieri oltre ad avere la licenza all’esercizio
deve anche essere certificato. Generalmente si certificano le competenze
avanzate, non quelle di base. Se si definiscono gli standard però,
bisogna anche definire chi è responsabile della loro revisione.
- La
certificazione assicura omogeneità rispetto agli standard nazionali,
aiuta l’utente a capire lo scopo della pratica professionale e esplicita
come devono lavorare i professionisti. Quindi definisce i limiti
dell’autonomia dell’infermiere, ma anche in che cosa é autonomo.
- Il
processo di certificazione deve anche garantire un meccanismo che attesti
il mantenimento delle competenze. La
maggior parte dei programmi di certificazione hanno un meccanismo di
ricertificazione ogni 3-5 anni, o in base a retest o in base alla
dimostrazione di possedere crediti di formazione.
- Queste
brevi note hanno solo superficialmente toccato il tema. Il dibattito sulla
certificazione-accreditamento dei professionisti è molto attivo anche in
Europa (sia per i medici sia per gli inermieri11), e molti dei
problemi sono ancora irrisolti (anche in contesti avanzati in cui i
professionisti vengono accreditati di più di 30 anni). Ad esempio, la difficoltà di accreditare i professionisti rispetto
agli esiti, quando gli esiti non sono determinati dalla sola assistenza
infermieristica; o anche rispetto ai processi, quando ci si deve attenere
agli interventi prescritti da altri professionisti. O la difficoltà ad
accreditare il singolo, che magari singolarmente lavora ‘bene’ ma in
un’equipe che ‘lavora male’. O ancora chi accredita, la frequenza
dell’accreditamento, il ruolo della certificazione esterna o dell’autovalutazione;
la definizione dei contenuti della certificazione; la necessità di
certificare su ogni tecnica o il professionista per alcune abilità
generali etc.
- E’
però urgente ed importante aprire un dibattito su questo tema anche in
Italia.
-
- Bibliografia
-
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-
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Di Giulio P (a cura di). Qualità, accreditamento, indicatori.
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Lewis
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-
- 11.
Si rimanda alla lettura del numero del 30 ottobre 1999 el British medical
Journal, che ha dedicato numerosi contributi a questo tema.
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