Formazione
dei parenti nella rianimazione cardio-polmonare
I.P.
Costagliola Alessandro ASL NA 1 Ospe. S.Paolo rep. Pediatria
I.P.
Marianna Sorrentino AORN e di Alta Specializzazione Osp. Santobono rep. Rianimazione
I.P.
Bencivenga Pasquale ASL NA 3 Osp. S. Giovanni di Dio Frattamaggiore rep. P.S.
I.P.
Costigliola Andrea ASL NA 1 Osp. Pellegrini Vecchio rep. Rianimazione
V.I.
D’Acunto Concetta ASL NA 1 Ospe. S.Paolo rep. Pediatria Del Reg. ANIARTI
V.I.
Romeo Teresa ASL NA 1 Ospe. S.Paolo rep. Pediatria
Uno dei più grandi problemi della sanità pubblica è rappresentato dalle malattie cardiovascolari che costituiscono la più alta incidenza nel mondo della morte improvvisa. Basti pensare che negli USA ogni anno circa 500.000 morti sono da attribuire a questo tipo di patologia (American Heart Assocation, 1993). Ecco perchè l’importanza di addestrare personale qualificato e di educare pazienti e famigliari quando questi sono identificati come soggetti a rischio.
La sopravvivenza all’arresto
cardiaco richiede:
Ø Manovre immediate di RCP.
Ø Supporto farmacologico rianimatorio
Ø Defibrillazione
Ø Adeguata ventilazione (Amey et al, 1976; Weawer et al, 1986).
Visto
che, circa il 70% di arresti cardiaci si verificano fuori da ambienti
ospedalieri (Bossaert L et al, 1989; Sedgwick et al, 1993) ecco l’esigenza di un’adeguata educazione sanitaria. Circa
cinquanta milioni di americani sono stati addestrati alle manovre di RCP
attraverso un programma di addestramento, dando vita ad uno degli eventi di
maggior successo nelle campagne di educazione sanitaria (Em Card Care
Committee 1992). Lo scopo del lavoro è quello di analizzare il vissuto dei
pareti di persone a rischio di rianimazione cardiopolmonare, dopo un corso di
RCP. Vengono per questo presentati e commentati due studi di recente
pubblicazione che hanno affrontato questo aspetto. Nello studio di Dracup et al, (1997) sono state selezionate 337 coppie
di pazienti tra i 25 e gli 80
anni a rischio per arresto cardiaco, con un famigliare, che risiedeva con loro
e non fosse portatore di malattie cardiovascolari problemi psichici.I pazienti reclutati avevano un’età media di 63
anni, il familiare, prevalentemente una donna un’età media di 59. Gli
ammalati erano prevalentemente impiegati, i familiari prevalentemente
casalinghe. Le
coppie sono state randomizzate a 4 gruppi:
Gruppo di addestramento alla RCP con educazione sui fattori di rischi cardiaci
Gruppo di addestramento solo per manovre di RCP.
Il gruppo, quello di controllo completava solo dei questionari, ma i
membri famigliari non partecipavano ad interventi educativi.I gruppi di
addestramento alla RCP ricevevano tutti lo stesso tipo di insegnamento da un infermiere specializzato con diploma in Basic Life Support (BLS), in classi con 2- 6 persone.Pazienti e
familiari visionavano una cassetta con una sequenza di rianimazione
cardiopolmonare: potevano interrompere e fare domande in qualunque momento.
L’istruttore dava dimostrazioni su un manichino, seguito poi dai
partecipanti. Al termine della lezione seguiva un’ulteriore dimostrazione da
parte dell’istruttore e da quattro cicli ininterrotti da parte dei
partecipanti.
Quasi tutte le morti improvvise di bambini a rischio di arresto cardiopolmonare (ACP) avvengono a casa (Hickey et al, 1995; Innes et al, 1993) ed esiste una relazione inversa tra la sopravvivenza e il tempo che intercorre tra ACP e l’inizio della RCP (Eisenberg et al, 1983). Riconoscendo questi dati il personale sanitario che lavora nel NICU (Unità Cardio Intensiva Neonatale) raccomanda fortemente che i genitori imparino a praticare la RCP prima della dimissione del loro bambino (Hameides, 1987) La ricerca è stata condotta in 5 ospedali dell’area metropolitana, su 484 genitori e operatori d’infanzia, di bambini ad alto rischio di ACP considerando come tali i prematuri meno di 38 settimane di gestazione oppure basso peso alla nascita meno di 2500 gr. e che avessero presentato almeno un episodio documentato di apnea o bradicardia, anomalie gastro-intestinali, anomalie cardiache congenite, sindrome da distress respiratorio. I genitori erano informati che la RCP sarebbe stata insegnata come parte di uno studio per valutarne il modo migliore di insegnamento. I genitori reclutati avevano un’età tra 21 ed i 37 anni, 9-15 anni di scolarità, appartenevano a gruppi etnici diversi. Potevano essere assegnati ad uno dei tre corsi:
Su 480 genitori, 301 (63%)
applicarono con successo la RCP subito dopo la formazione, mentre 179 (37%)
non ci riuscirono. I
genitori che avevano imparato più facilmente avevano scolarità e reddito più
elevati e probabilmente avevano già frequentato un corso per RCP; avevano
anche un peggior adattamento psicosociale
alla malattia del loro bambino. Genitori emotivamente stressati per la nascita
di un bambino o prematuro o ad alto rischio sono motivati ad imparare perchè
soggetti ad emergenze potenziali.
Sono risultate più efficaci per l’apprendimento le classi con istruttore,
con una percentuale di successo del 73. mentre nella sezione con mezzi
audio-visivi solo il 38% impara a praticare bene la RCP. Nel 1993 in
scozia il comitato Scottish Heart Service Adrisory ha suggerito di introdurre
istruzione alla RCP come parte integrale di programmi di riabilitazione
Cardio-polmonare. Visto che i precedenti programmi di RCP non avevano avuto
successo, in quanto i familiari dei pazienti affetti da patologie cardiache
probabilmente non tentavano manovre di RCP quando si verificava l’evento,
perché non capaci di riconoscere l’emergenza né di prendere iniziative
alle manovre rianimatorie (Pane et al, 1989). A 45 centri di riabilitazione cardiopolmonare scozzesi è stato inviato
un questionario che aveva come obiettivo descrivere i programmi di
riabilitazione e in che modo essi venivano erogati, come venivano percepiti, e
le ragioni per le quali in alcuni centri non veniva fornita l’istruzione
alla RCP (Richardson e Lie, 1999). Sono
stati restituiti 41 questionari. Hanno risposto
per il 68% (28) infermieri
professionali e per il 32% (13) terapisti
della riabilitazione il 78% (32) dei programmi di riabilitazione sono offerti
da ospedali e il 22% (9) offerti da istituzioni sul territorio, 31 centri
erano gestiti da personale qualificato ad addestrare alla rianimazione
cardiopolmonare (RTO: Resuscitation Training Officer, Responsabile di
Addestramento Rianimazione) figura professionale abilitata a fornire procedure
di BLS e responsabile di procedure rianimatorie e di sorveglianza
all’interno di una struttura ospedaliera.
Conclusioni
e osservazioni:
Nella
realtà i medici non raccomandano l’istruzione alla RCP ai familiari dei
pazienti, per il timore di provocare sia che sia negli uni che negli altri uno
stress emotivo (Dracup et al, 1994; StLouis et al, 1982) I risultati più soddisfacenti si sono avuti invece nell’intervento
rivolto ai genitori di piccoli pazienti, dove la maggioranza ha imparato con
relativa facilità le manovre di RCP. I programmi svolti negli ospedali (Thomson
1996; Jowett e Thompson 1989) sono più efficaci rispetto a quelli affidati ad
istituzioni sul territorio, e l’istruzione alla RCP ha maggior successo
quando affiancata da un supporto sociale, consistente in un aiuto rivolto alle
famiglie e ai genitori, per ridurre i sentimenti e le responsabilità
derivanti dall’esito dell’emergenza. E’ importante quindi integrare le manovre di RCP nei programmi di
riabilitazione. Per
ottenere il miglior risultato possibile, vengono date alcune raccomandazioni:
· coinvolgere nei programmi maggior numero di pazienti a rischio;
· aumentare il numero dei programmi;
· addestrare ed aumentare gli infermieri addetti alle pratiche della RCP
;
· adeguata dotazione delle risorse da destinare ai programmi
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