Alcune
curiosità sulla rianimazione cardiopolmonare
Patrizia
Abis
Infermiera - Azienda USL n° 8 Cagliari -
M.Cristina
Palla
Infermiera - Azienda USL n° 8 Cagliari -
In
questo lavoro non viene affrontato un tema specifico ma alcune curiosità su
aspetti diversi della rianimazione cardiopolmonare, in base a quanto emerge
dalla letteratura più recente. I
temi che proponiamo pertanto non hanno una sequenza logica ma fanno il punto o
pongono riflessioni e domande.
EFFETTO DELLA FATICA SULLA PERFORMANCE
Un
soccorritorre che continua a massaggiare il paziente per 10 minuti esegue
compressioni efficaci? questa è la domanda cui hanno tentato di rispondere
Ochoa e coll. (1998). Lo studio aveva l’obiettivo di evidenziare:
1) L’influenza della fatica del soccorritore sulla qualità delle compressioni toraciche.
2) La capacità del soccorritore di
riconoscere gli effetti della fatica.
3) La possibile influenza di sesso, età, peso, altezza, professione del
soccorritore sulla riduzione della performance.
Sono
stati osservati 38 soccorritori (20 donne e 18 uomini) di età compresa tra i
25 e i 45 anni, precedentemente addestrati alla R:C:P. (rianimazione
cardiopolmonare) con corsi di A.C.L.S. C’erano 15 medici, 15 infermieri e 8
residenti, non appartenenti al settore sanitario. I
soccorritori rianimavano il manichino
Resusci Anne che registrava : il numero di compressioni applicate per minuto;
la profondità della depressione sullo sterno; la localizzazione. Ogni
partecipante doveva effettuare le compressioni toraciche per 5 minuti e doveva
informare il ricercatore nel preciso momento in cui pensava che la fatica stesse condizionando la qualità e il numero
delle compressioni toraciche (Tab.1). Lo
studio ha evidenziato:
· una importante riduzione della percentuale di compressioni toraciche
corrette con il procedere della C.PR
( 79,7% nel primo minuto, 24,9%
nel secondo minuto)
· nessuna riduzione della performance tra professionisti (medici
infermieri) nè tra sessi
· nessuna variazione significativa per la qualità del massaggio in
relazione a peso, altezza, età
Il
76% dei partecipanti non era capace di identificare quando le compressioni
erano inadeguate. Questo studio conferma quanto già affermato nel 1995 da Higtower e
coll. (1995) i quali affermavano che la fatica del soccorritore si verifica
prima dei 6 secondi di compressioni toraciche. Il soccorritore riconosce
l’inizio della fatica 2 minuti
più tardi. Di conseguenza in questa fase di rianimazione le compressioni
toraciche possono essere
inefficaci. The
Royal College of General Practitioners inglese ha suggerito che per un
supporto circolatorio efficace è necessario che almeno il 70% delle
compressioni siano corrette. Nel
corso di una reale RCP ogni soccorritore normalmente, prima di chiedere la
sostituzione, continua ad effettuare le compressioni per diversi minuti. Nonostante
alcuni limiti della sperimentazione (legati al numero esiguo di partecipanti),
i risultati ottenuti suggeriscono ai leaders dei team di CPR di chiedere la sostituzione dopo 1 minuto di
compressioni, indipendentemente dalla percezione di stanchezza.
TAB. 1
Minuti |
Compressioni
corrette |
Compressioni
con insuff. Profondità |
Compressioni
con scorretta localizzazione |
Totale
nr. di compressioni |
1 |
79,7 |
17,2 |
2,9 |
95,2 |
2 |
24,9 |
72,7 |
2,4 |
91,1 |
3 |
18 |
79,2 |
2,8 |
90,7 |
4 |
17,7 |
81,3 |
1,1 |
75,8 |
5 |
18,5 |
81,5 |
1,5 |
68,8 |
SOSPENSIONE
DELLA RIANIMAZIONE SU PAZIENTI IN ARRESTO CARDIACO PERSISTENTE.
Nonostante
i progressi fatti nel campo dell'emergenza, la rianimazione dei pazienti in
arresto cardiaco in ambito extrospedaliero rimane ancora un insuccesso nella
maggior parte dei casi , tanto che spesso l'operatore si trova suo malgrado
nella condizione di dover decidere se sospendere i tentativi senza esito. Un indagine condotta in Germania (Mohor et al, 1997)
attraverso un questionario si è posta i seguenti obiettivi :
1. Valutare per quanto tempo i medici dell'emergenza continuano una RCP
(Rianimazione CardioPolmonare) senza successo in un paziente in arresto
cardiaco non traumatico.
2. Identificare i criteri concernenti la decisione di sospendere la RCP in
ambiente extraospedaliero.
Il
questionario, somministrato ai membri di una associazione di medici di
emergenza della Germania del nord (AGNN), è stato restituito solo da 409
persone (39.6%).
Dopo
quanto tempo interrompi la rianimazione senza successo?
20
minuti 20%
30
minuti 32%
45
minuti 31%
60
minuti 12%
>60
minuti 4%
Il
19% non si assume la responsabilità di smettere
La
maggioranza, il 65%, non prosegue
la rianimazione oltre i 45 minuti. I
medici con esperienza inferiore ad un anno fanno durare la rianimazione da 30
a 45 minuti; quelli con esperienza da uno a cinque anni era favorevole a far
durare la rianimazione al massimo 30 minuti. Ad una maggiore esperienza in
emergenza corrisponde quindi una minore durata di tentativi rianimatori inefficaci.
Gli
sforzi rianimatori dovrebbero essere interrotti quando la RCP è stata
applicata per un tempo appropriato senza il ripristino del circolo spontaneo.
La ERC (Consiglio Europeo di Rianimazione)e la AHA (Associazione Americana di
Cardiologia) non raccomandano nessun limite di tempo.
Da
quali criteri dipende la tua decisione di sospendere la rianimazione?
Tracciato
ECG 90%
Pupille
dilatate 78%
Mancanza
di riflessi cerebrali 31%
Temperatura
corporea 12%
Sospetta
intossicazione da droghe 8%
Per
il 90% la decisione di sospendere la rianimazione è basata sul tipo di
tracciato ECG alla fine della rianimazione: in presenza di asistolia
resistente a terapia, fibrillazione ventricolare persistente e dissociazione
elettromeccanica la riaminazione viene sospesa.
Quale
ulteriore criterio ha effetti sulla decisione di sospendere la rianimazione?
Malattie
preesistenti 92%
Intervallo
tra arresto ed inizio della RCP 90%
Età
del paziente 89%
Volontà
del paziente 1%
La
ERC raccomanda un abbandono precoce di RCP in pazienti con prognosi infausta o
in uno stadio terminale di malattia. Condizioni generali compromesse e
malattie preesistenti sono
associati ad una ridotta probabilità di sopravvivenza dopo arresto cardiaco.
Solo 1% ha indicato che vorrebbe tenere conto della volontà del paziente. Va
riconosciuto che durante l’emergenza è difficile valutare e verificare le
condizioni dei pazienti. La
soluzione ottimale dovrebbe essere quella di eseguire la RCP solo sui pazienti con una potenziale sopravvivenza a lungo termine, ma
anche questa non è sempre un’informazione disponibile, soprattutto negli
arresti extraospedalieri. La
morte cardiaca è il principale
criterio per terminare gli sforzi di una rianimazione senza successo. Questo,
se da una parte è di aiuto dall'altro non protegge l'operatore da decisioni sbagliate .
QUALITA’
DI VITA DEI SOPRAVVISSUTI AD
ARRESTO CARDIACO
Obiettivo
dell’indagine (Eismburger 1998) era di valutare:
1. La qualità della vita del
sopravvissuto ad arresto cardiaco ad un anno dall'evento.
2. La relazione tra qualità
di vita e tipo di trattamento nell'emergenza.
L'indagine
era rivolta a pazienti di età superiore ai 18 anni, sopravvissuti per più di
6 mesi ad arresto cardiaco non traumatico e che avevano subito l’aresto
cardiaco tra luglio 1991 ed aprile 1996. Sono stati valutati:
- il luogo dell'arresto cardiaco
- l'intervallo di tempo tra arresto cardiaco e inizio di BLS, ACLS, prima
defibrillazione e ripristino della circolazione spontanea
- il primo ritmo elettrocardiografico
e la storia clinica del paziente precedente all'arresto.
Sono
stati intervistati solo i pazienti sopravvissuti in condizioni discrete, cioè
coscienti e vigili, con normale funzione cerebrale e solo con lieve e moderata
inabilità, perchè potevano rispondere alle domande e valutare la propria
qualità di vita.
I
pazienti sono stati ulteriormente suddivisi in tre gruppi:
1. Pazienti che avevano subito l'arresto cardiaco fuori dall'ospedale
senza la presenza dell’équipe di emergenza
2. Pazienti con arresto cardiaco in ambiente extraospedaliero in presenza
dell’équipe di emergenza
3. Pazienti con arresto
cardiaco all'interno dell'ospedale.
Nel
periodo preso in esame sono stati ammessi al Dipartimento di Emergenza 778
pazienti:
218
(28%) dopo 6 mesi erano ancora vivi e dimesso al proprio domicilio; 123
(15,7%) rientravano tra i criteri di ammissione (erano cioè vigili e
coscienti).
Il
questionario sulla qualità di vita fu consegnato in occasione di un incontro
di tutti i pazienti, organizzato nel giugno 1996 dal Dipartimento di Emergenza
di Vienna, e spedito per posta a tutti coloro che non avevano partecipato
all’incontro.
Ha
risposto al questionario il 75% del campione (età media 59 anni):
· l’84% dichiarò di essere contento di vivere e di apprezzare la vita
di tutti i giorni;
· il 36% dichiarò di essere depresso;
· l’84% considerava la sopravvivenza come una seconda opportunità;
· il 56% aveva paura che l’evento si potesse ripetere.
Questi
dati giustificano il punteggio di 7 che i pazienti attribuiscono alla loro
qualità di vita. su una scala da 0 (pessima) a 10 (ottima). Non è emersa nessuna relazione tra qualità di vita e tipo di
trattamento durante l’emergenza: la qualità di vita dichiarata dai pazienti
soccorsi in ospedale è simile a quella dei pazienti soccorsi in ambiente
extraospedaliero.
Le domande poste nel questionario
Ha
problemi a cucinare, lavarsi e vestirsi?
Ha
qualcuno che la aiuta in casa?
Abita
in una nursing home?
Si
sente depresso?
Ha
qualcunoper parlare dei suoi problemi?
E’
seguito da uno psicologo?
Ha
paura che l’evento si ripeta?
Considera
la sua sopravvivenza come ‘un nuovo inizio’ o ‘una seconda chance’?
E’
felice di vivere?
Le
è di aiuto incontrare pazienti con la sua stessa storia?
Che
punteggio darebbe alla sua qualità di vita, su una scala da 0 (pessima) a 10
(perfetta)?
REPORT DI INCIDENTI CRITICI
Un’analisi
retrospettiva condotta in Arabia Saudita, in due ospedali universitari (Qadir
et al, 1998), ha descritto gli incidenti verificatisi durante l’anestesia,
la R.C.P. e la degenza in rianimazione. I dati degli incidenti riportati dai
membri del Dipartimento di Anestesia, sono stati raccolti tra gennaio ’91 e
dicembre ’97. Lo scopo dello
studio era quello di diminuire la mortalità e la morbilità legati ad
incidenti clinici, con l'obiettivo di migliorare gli standard assistenziali.
Durante lo studio sono stati riportati 143 incidenti (Tabella...): l’87% non
lasciò esiti negativi sul paziente, mentre il 13% ne causò la morte. Quattro
pazienti sono morti durante l’anestesia, 9 durante la degenza in
rianimazione e 3 per insoddisfacente performance durante l’arresto cardiaco.
Gli
incidenti più comuni (27.7%) erano dovuti a errori umani, la mancanza di
comunicazione a vari livelli era la seconda maggiore causa degli incidenti
riportati. Probabilmente su questo ha inciso la composizione multinazionale (e
quindi con lingue diverse) dell’equipe. Tra
le complicazioni legate alle tecniche anestesiologiche, l'intubazione
difficile è quella più frequente: non esistano test che predicano l'intubazione
difficile.
Gli incidenti potenzialmente prevenibili si sono verificati per estubazioni
accidentali, ipovolemia ed ambolia gassosa ed inalazione di materiale
gastrico. Solo un numero esiguo
di morti è da attribuire all'anestesia, non è però trascurabile la morbilità
legata a essa. Alcuni
autori (Short et al, 1986) hanno osservato che gli incidenti riportare gli
incidenti migliora la capacità di scoprire gli errori umani: correggendo gli
errori, gli incidenti non si ripetono.
Tabella
... Errori commessi durante l’anestesia
1)Errori
umani |
n
= 39 |
27.7% |
a)
Errore nellíetichettare il farmaco |
7 |
17.9% |
b)
Comportamento irresponsabile |
7 |
17.9% |
c)
Inadeguata applicazione delle conoscenze |
5 |
12.8% |
d) non sorveglianza o disattenzione |
5 |
12.8% |
e) trasfusione sanguigna incompatibile |
5 |
12.8% |
f) inesperienza |
4 |
10.2% |
g) insufficiente controllo del respiratore |
4 |
10.2% |
h) altri fattori |
3 |
7.6% |
|
|
|
2)
Errata Comunicazione |
n
= 33 |
23% |
a)
medico ñ medico |
24 |
72.7% |
a)
medico ñ infermiere |
5 |
15% |
b)
medico ñ tecnico di anestesia |
2 |
6% |
c)
medico ñ paziente |
1 |
3% |
d)
medico ñ altri membri staff |
1 |
3% |
|
|
|
3)
Complicazioni legate alle tecniche anestesiologiche |
n
= 24 |
16.7% |
a)
Complicazioni nellíintubazione |
12 |
52% |
b)
Ipersensibilit‡ al farmaco |
4 |
17.3% |
c)
Complicazioni per anestesia loco Regionale |
4 |
17.3% |
d) complicazioni intravascolari |
2 |
8.6% |
f) stato di coscienza durante líanestesia |
1 |
4.3% |
|
|
|
4)
Fattori legati ai pazienti |
n
= 15 |
10% |
a)
Complicazioni medico- chirurgiche |
11 |
73.2% |
b)
Pazienti non collaboranti |
3 |
20% |
c)
Altro |
1 |
6.8% |
|
|
|
5)Mal
funzionamento delle apparecchiature |
9 |
6.29% |
a) anomalie del respiratore |
4 |
44.4% |
b)
danneggiamento del monitoraggio durante il trasporto |
|
|
c) difetto delle pompe di infusione |
2 |
22.2% |
|
|
|
6) Altri problemi |
23 |
16% |
ISTRUZIONI Dl
BLS PER VIA TELEFONICA
ANALISI DELLE
Dal
febbraio 93 all' agosto
95 è stata condotta un'
indagine retrospettiva
su tutte le chiamate
che pervenivano al
Dipartimento di Emergenza
dell’Ospedale Universitario
di Vienna, per pazienti
colpiti da arresto
cardiaco non traumatico
fuori dall’ospedale (Meron et al, 1996). Lo scopo
era di determinare l'esistenza
di comportamenti non
efficaci rispetto alle
istruzioni impartite per via telefonica
a "cittadini soccorritori" che riferivano
al Servizio di Emergenza situazioni
di arresto cardiaco. Sono
state fatte 268 chiamate: 129 sono state escluse
perché effettuate da personale
sanitario e/o vigili
del fuoco; 25 per problemi tecnici
e ne sono state analizzate 114. Per ciascuna
chiamata sono stati raccolti i seguenti dati:
•
malattia principale
del paziente;
•
difficoltà di linguaggio;
•
deficit verbale e/o acustico
del "soccorritore";
•
rapporto parentale tra
vittima e soccorritore;
•
sede dell’arresto
(località in cui si e verificato
l'arresto e distanza tra telefono e paziente).
La
componente emozionale
veniva valutata con una
scala graduata da
I a 5. II valore I esprimeva
una situazione di "
calma/ tranquillità"
mentre il 5 indicava
la situazione di "stravolto".
Il 53% delle chiamate è stato fatto da amici o conoscenti, il 45% da parenti e solo il 2% da passanti. Nonostante la comune convinzione del contrario, la maggior parte dei soccorritori (77%) erano completamente calmi, ed il 15% abbastanza calmi ed in grado di riepilogare la situazione, richiedendo assistenza senza palese stress. Questo rappresento un importante requisito perché i soccorritori devono essere in grado di seguire i consigli degli istruttori In nessuna chiamata si sono avuti problemi di comunicazione per difficoltà di linguaggio o rumori di fondo. Uno degli elementi che possono frenare l’esecuzione della ventilazione bocca a bocca é la paura di contrarre malattie infettive quali: epatite, tubercolosi o SIDA. Tra congiunti questo timore è minore. Più della meta delle vittime (il 52%) si trovava nella propria casa al momento dell'arresto.
Benché
al tempo dell'indagine non esistesse
un protocollo formale, i dati dimostrano che si poteva
ottenere una "corretta
istruzione" in breve tempo (19 >
120 sec.) Grazie ai
risultati di questo studio cominciare a dare istruzioni
di BLS prima dell'arrivo
dell'equipaggio di soccorso è diventata
unaprassi abituale.
RILUTTANZA
AD EFFETTUARE LA VENTILAZIONE BOCCA-BOCCA
In
una RCP la ventilazione
bocca-bocca costituisce
una efficace procedura
salvavita. Diversi studi
hanno documentato
una riluttanza a praticare
ventilazione bocca-bocca da parte
delle diverse figure professionali:
medici, infermieri,
paramedici, vigili del fuoco
e cittadini spettatori
di un arresto
cardiaco sulla strada.
I diversi potenziali soccorritori
hanno giustificato questa
riluttanza col rischio
di contrarre malattie
infettive quali epatiti,
tubercolosi e soprattutto
la SIDA. Nel 1996 in California venne
eseguito uno
studio (Brenner et al, 1996) su questo tema, tramite
questionario, somministrato a tutto il personale del Dipartimento
di Medicina Interna
di un Ospedale suburbano.
Le risposte ottenute
sono state confrontate con quelle
del personale
ospedaliero di una grossa area metropolitana
con alta incidenza
di pazienti HIV positivi.
Tutti erano certificati
in BLS e avevano completato
un corso di ACLS. I pazienti percepiti ad alto rischio per
HIV avevano una piu bassa probabilità di ricevere
ventilazione bocca-bocca rispetto
a quelli con un basso rischio, (vedi
tabella 1,2) Tabella Propensione ad effettuare la ventilazione bocca a bocca per gli arresti
cardiaci
Eseguirebbero
la ventilazione bocca a bocca in ospedale
Tipologia
del paziente Ospedale
suburbano Metropolitano P
Sconosciuto 43% 45% NS
Traumatizzato 12% 16% NS
HIV
positivo 14% 7% <0.01
Anziano 29% 39% NS
Sconosciuto 50% 54% NS
Traumatizzato 33% 36% NS
HIV
positivo 44% 21% NS
Anziano 26% 64% <0.01
Bambini 86% 99% <0.01
Le
resistenze sono simili nei due ospedali. In ospedale meno del 50% delle
persone intervistate eseguirebbero la ventilazione bocca a bocca ad un
paziente non noto. Fuori dall’ospedale solo i bambini non avrebbero alcun
problema ad essere rianimati. Gli operatori sanitari dovrebbero sapere che il
rischio di contrarre l’HIV durante una RCP è minimo se confrontato con la
possibilità di salvare una vita. Negare questa manovra potrebbe indebolire la
catena della sopravvivenza, compromettendo l’intero programma di RCP. Gli
autori suggeriscono
di usare maschere
o barriere portatili
per ridurre i rischi e aurnentare
la disponibilità ad effettuare la ventilazione
bocca-bocca. Senza le fasi A e B del BLS
verrebbero danneggiate non
solo le vittime da arresto
cardiaco ma anche
quelle da trauma, da intossicazione,
da asfissia ecc. Alcuni
autori sostengono che durante la prima fase di
RCP la pressione di perfusione
coronarica è molto più importante
dell'ossigenazione sanguigna. Studi
eseguiti in laboratorio
hanno dimostrato
che una RCP può essere valida attraverso le
sole compressioni toraciche
se eseguite entro
i primi 12 minuti dall'arresto.
Il problema è ancora aperto.
ARRESTO
CARDIACO ED
APPROPRIATEZZA DEL TRASPORTO
IN OSPEDALE
Diversi
studi hanno affermato
che proseguire la Rianimazione
in ospedale su
pazienti con arresto cardiaco
refrattario ad ACLS
eseguita fuori dall'ospedale,
non incrementa la sopravvivenza.
L'aumento dei rischi
per gli equipaggi di
ambulanze e per la
comunità durante il
trasporto veloce, l'aumento dei
costi, stimati in
500 milioni di dollari
all'anno per rianimazioni inutili
hanno costituito motivo
di grande preoccupazione.
L'
EMS (Emergency Medical
System) della città di Minneapolis nel 1996
decise di analizzare
i fattori che determinavano
il trasporto in ospedale di pazienti soccorsi
per arresto cardiaco,
per aumentarne 1'appropriatezza
(Hick et al, 1998). Dal
settembre 96 all'aprile
97 gli operatori dell’EMS
risposero ad un questionario
che indagava
i fattori che avevano contribuito
alla decisione del
trasporto. Vennero incluse
nello studio solo le chiamate
per arresto cardiaco
di natura non traumatica
su pazienti in età superiore a 18 anni.
Se il trasporto in ospedale era ordinato
dal medico non venivano richieste
ulteriori informazioni.
Durante il periodo dello
studio le squadre di operatori arrivarono
sulla scena di 259
arresti cardiaci: di questi 79 furono dichiarati
subito morti, 44 furono rianimati e portati in ospedale, 68 furono dichiarati
morti dopo i tentativi di rianimazione e 68 furonoportati in ospedale con
arresto cardiaco persistente. Questi
ultimi costituirono la popolazione studiata. In 54 casi fu il personale di
ambulanza a decidere il trasporto in ospedale, in 14 casi il medico.
Fattori
che contribuirono alla
decisione del trasporto
Arresto in luogo pubblico | 17 casi |
Arresto in ambulanza durante il trasporto ospedale | 6 casi |
Fattori ambientali | 6 casi |
Disritmie ventricolari | 5 casi |
Impossibilita ad assicurare un accesso venoso | 5 casi |
Problemi
di pervietà delle vie aeree_________________________________ Possibile causa reversibile |
5 casi____ 4 casi |
Famiglia incapace di accettare la morte sulla strada | 3 casi |
Barriere culturali o linguistiche | 1 caso |
Obesita | 1 caso |
Pericolo sulla strada per i paramedici | 1 caso |
In
alcuni di questi casi il paziente
avrebbe potuto essere
dichiarato deceduto,
ma al tempo dello
studio erano presenti
barriere burocratiche
che non prevedevano
l’eventualità del decesso in itinere. Infatti
l'ospedale non avrebbe accettato
il cadavere e non esisteva
una procedura per trasportarlo
direttamente ai locali
del medico necroscopo. Attraverso i
dati di questo
studio venne elaborato un
protocollo che favorì
l'abbattimento di queste
barriere.
NUOVO
PROTOCOLLO DEGLI OPERATORI ISTITUITO DOPO
LO STUDIO
La
RCP deve essere
prontamente iniziata
per tutti i pazienti
trovati in arresto
cardiaco a meno che
esistano affidabili
e sicuri criteri
per la determinazione della
morte. In assenza di
questi deve essere effettuato
il contatto medico
prima del trasporto del paziente in arresto persistente. Quando
un medico ritiene
che gli sforzi rianimatori
sono inutili, un
paziente può essere riconosciuto morto
prima di essere trasportato. Se
il medico necroscopo non
e disponibile, il corpo
va portato al Dipartimento di Emergenza. Le
squadre di soccorso possono tornare così in servizio attivo e la famiglia
deve avere un ambiente dove vegliare il corpo. I
problemi da considerare
prima che un paziente sia dichiarato morto sulla
scena o in ambulanza
includono:
*
Pericolo per il personale di trasporto
*
Disritmia ventricolare persistente
*
Incapacità della famiglia ad accettare la morte
*
Barriere culturali o linguistiche
*
Presenza di parenti nell’ambulanza
In
questo modo vengono limitati i rischi di guida per le squadre di soccorso, si
limitanole spese ospedaliere e l’uso di personale non necessario per
tentativi di rianimazione inutili. Per
la famiglia è previsto un ambiente dove vegliare
il corpo del congiunto. Infatti in 5 casi gli operatori percepirono che la famiglia
sarebbe stata incapace
di accettare la morte sul
luogo dell'intervento.
Proprio questo fattore ha determinato come motivo principale in 3 casi, e
sencondario in 2 il trasporto del corpo. Infatti, la mancanza di formazione
sulla gestione del dolore avrebbe reso particolarmente difficile occuparsi
della famiglia sulla strada.
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