Abilitazione,
competenze e accreditamento del professionista infermiere: il
contributo della formazione permanente Adriana Dalponte Responsabile
Ufficio di Staff per la Formazione e Sviluppo dell’APSS – Trento - Professore a contratto di
Organizzazione dell’assistenza infermieristica (management infermieristico)
alla Scuola diretta a fini speciali per Dirigenti e Docenti di Scienze
Infermieristiche dell’Università degli Studi di Padova. I
riferimenti legislativi che vanno considerati per una progettazione formativa
orientata allo sviluppo delle competenze e delle carriere Un
punto di riferimento importante è il Contratto Collettivo Nazionale Lavoro
1998 – 2001 Comparto Sanità ed in particolare gli articoli: - art. 12-13-15-16-17-18-19 inerenti il tema “Classificazione del
personale” - art. 20-21 Posizioni organizzative - art. 29 Formazione ed aggiornamento - art. 35 Criteri per la progressione economica orizzontale Altro riferimento normativo che apporta significative novità in tema di formazione e accreditamento è il Decreto Legislativo 19 giugno 1 999
n.229 recante “Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario
nazionale” con gli articoli: - art. 8 bis e quater Accreditamento - art. 9 bis Sperimentazioni gestionali - art. 12 bis Ricerca sanitaria - art. 15 Disciplina della dirigenza medica e delle professioni sanitarie - art. 16 bis Formazione continua - art. 16 ter Commissione nazionale per la formazione continua - art. 16 quinquies Formazione manageriale - art. 16 sexies Strutture
del servizio sanitario nazionale per la formazione - art. 17 Collegio di direzione - art. 17 bis Dipartimenti - art. 19 bis Accreditamento e qualità dei servizi sanitari. Cosa
cambia nel panorama della sanità e quale ruolo può avere la Formazione
Continua L’aspetto
più significativo di cambiamento è che si modificano le carriere definendone
le funzioni piuttosto che i titoli necessari. Oso dire che ad esempio non c’è
più il caposala ma ci sono le funzioni di direzione di servizi –
dipartimenti - uffici e quelle di coordinamento di staff; tutto questo
comporta un cambiamento significativo in quanto chi riveste le funzioni deve
dimostrare di avere un curriculum formativo e tecnico – specialistico affine
ma soprattutto le reali competenze nel raggiungere i risultati attesi
attraverso la verifica dell’idoneità professionale. Un
altro aspetto importante, e che da tempo la professione infermieristica
attendeva, è che vi sono percorsi di carriera che valorizzano le competenze
specialistiche ed altri che richiedono lo svolgimento di funzioni
organizzative con assunzione diretta di decisione di elevata responsabilità. Si
intravedono quindi 2 percorsi di carriera, tecnico specialistica e gestionale
organizzativa. La
formazione deve considerare questo cambiamento offrendo percorsi formativi
differenziati ma integrati e rappresenta una sfida interessante per la promozione di una cultura diffusa delle capacità direzionali e
non solo specialistiche. Il
professionista si può sperimentare già in questi percorsi con quelle che
sono le attitudini individuali potendo cambiare rotta e sperimentare più
percorsi nella ricerca di uno sviluppo professionale il più congruente alle
proprie attese e potenzialità. Le
aree di sviluppo Gli
spazi reali di sviluppo professionale possono essere sintetizzabili in alcune
macro aree che richiedono percorsi culturali ed esperienze lavorative
differenziate, quali: 1. progressione economica orizzontale con passaggio all’interno della
medesima categoria tra profili diversi dello stesso livello specialistico. 2. progressione verticale con passaggio da una categoria all’altra
immediatamente superiore 3. area delle posizioni organizzative che richiedono lo svolgimento di
funzioni con assunzione diretta di elevata responsabilità come ad esempio: - funzioni di direzione di servizi, dipartimenti, uffici o unità
organizzative di particolare complessità che richiedono un elevato grado di
esperienza e autonomia gestionale ed organizzativa e svolgimento di attività
con contenuti ad alta professionalità e specializzazione - svolgimento di attività di ricerca e sviluppo della qualità - coordinamento di attività didattico formativa - attività di staff e di studio e quindi funzioni integranti. Un
altro aspetto di rilievo è che ogni area può avere livelli diversi in base
alla complessità dei sistemi e quindi il concetto di complessità diventa
elemento chiave anche per il riconoscimento economico e non solo di sviluppo. Da
questo panorama complessivo si profila un sistema molto complesso che va a
modificare in modo sostanziale le logiche di gestione del personale come pure
i criteri di programmazione. Le
leve di gestione strategica diventano la formazione, la ricerca e
l’esperienza come laboratorio per le competenze. L’approccio
del mio intervento vuole partire proprio da questo concetto “la
competenza” per poi proporre ipotesi di percorsi formativi ed organizzativi
per implementare competenze per prestazioni eccellenti. Infatti il rapporto
che esiste tra competenze e prestazioni è molto importante in tutte quelle
organizzazioni ad “elevata intensità di conoscenza”(*)[1]. Fare
formazione significa “ Lavorare per le competenze” Concetti
in crisi: · posizione ] · prestazione ] i consueti meccanismi operativi della Direzione Personale · potenziale ] oggi
si assiste ad una forte discussione rispetto al segmentarsi delle attività e
delle competenze. I
nuovi scenari: · tecnologie sempre più avanzate · processi di reingegnerizzazione · più marcato l’orientamento delle organizzazioni al cliente Di
conseguenza c’è la necessità di predisporre forme differenti di
organizzazione dei tempi di lavoro e delle attività. Spencer
’95 L’approccio
alle competenze richiede una programmazione del lavoro proiettato sul futuro
piuttosto che sulla esperienza, non è più il passato ma il futuro il
riferimento per orientare i comportamenti delle persone e i nodi chiave sono
rappresentati da: · Quali competenze in quella organizzazione (non in astratto) · Come comunicare le competenze · Come renderle visibili e certificabili Un'altra
riflessione è rappresentata dal mutamento che la nostra società ha elaborato
rispetto al lavoro. Il
lavoro è ancora un valore?
Ricompare nell’uomo la necessità di esprimersi in ambiti diversi anche
rispetto alle proprie capacità. I confini tra lavoro e non lavoro sono
sfumati e la temporalità è definita dalla convenienza. (Carles Handy ’94).
Come
affrontare il problema delle competenze? La
ricerca ci dice che non esiste un unico modo per affrontare il problema e c’è
la necessità di passare da “competenza
al lavoro” a “lavorare con le
competenze”. Come?
E’ possibile solo se le persone sono in grado di riconoscere le competenze,
capirle, valutarle, sperimentarle, allenarsi ad utilizzarle, applicarle al
lavoro di tutti i giorni. Occorre
non solo la capacità di riconoscersi ed identificarsi, ma anche confrontarsi
con “sfondi” e “contesti” per decifrare gli aspetti sociali ed emotivi
per esprimere l’intelligenza più ardua, quella sociale. La competenza
diventa eccellente quanto più l’individuo ha modelli concettuali di analisi
e classificazioni del contesto sociale e della influenza che esercita tale
contesto sul lavoro da svolgere. Questa capacità è l’intelligenza sociale
ed è così definita: “Intelligenza
sociale è connessa alla capacità di una persona di decodificare il sistema
sociale con cui si trova ad interagire, stabilendo e mettendo in atto
strategie comportamentali adeguati” (*)[2] Il
valore del lavoro e il lavoro come valore sono posti in discussione: è di
notevole importanza sviluppare la “Competenza
di lavorare con le competenze”. La
scuola Storica delle competenze proviene dagli Stati Uniti ed ha come
referente ideale lo psicologo nordamericano David McClelland. Definizione
di competenza: “Una
caratteristica intrinseca individuale, casualmente collegata a un performance
efficace o superiore in una mansione o in una situazione che è misurata sulla
base di un criterio prestabilito” in
altri termini “una
caratteristica non è una competenza se non predice qualcosa di significativo
nella vita reale” D.
McClelland Quando
si parla di competenza solitamente si pensa alla prestazione media, mentre gli
studi e le ricerche la considerano come una prestazione “superiore” in un
determinato ruolo. Un
altro contributo significativo che ha dato la ricerca e gli studi condotti da
McClelland, Boyatzis e dagli Spencer, è che in una organizzazione esistono
“differenze” significative tra le prestazioni medie e quelle eccellenti e
che quest’ultime non sono caratterizzate solo da maggiori conoscenze ma
hanno notevole rilevanza le caratteristiche individuali quali motivazione e
persistenza nel contribuire in modo determinante al successo. Si può quindi dire che se un’organizzazione non propone percorsi di
successo si penalizza l’eccellenza delle prestazioni. La
metafora della ciambella di Handy La
metafora vuole raffigurare l’attuale evoluzione in corso nelle nostre
organizzazioni. Charles Handy sostiene che la descrizione dei compiti è
paragonabile alla ciambella. Nella
programmazione del lavoro si era soliti pensare che i compiti definiti sono la
ciambella, la parte indefinita dei compiti è il buco, mentre la teoria di
Handy ci suggerisce che oggi occorre considerare la parte centrale della
ciambella i compiti definiti, mentre l’anello rappresenta i compiti
indefiniti. Il
mondo del lavoro ha bisogno di persone sempre più competenti per un lavoro
indefinito e quindi creatività, innovazione, sperimentazione, responsabilità
diventano ingredienti eccellenti per le competenze. La
formazione continua Il
contesto organizzativo è il punto di riferimento principale quando ci si
accosta alla programmazione della formazione e come abbiamo visto il sistema
sanitario possiamo definirlo come una realtà ad elevata intensità di conoscenza ed elevata complessità. Il
rapporto quindi tra prestazioni attese e livello di competenza diventa altro
elemento importante nella progettazione della formazione continua; inoltre i
riferimenti legislativi rappresentano i “paletti” entro cui progettare la
“discrezionalità” e la “specificità”. Il
Contratto Collettivo Nazionale (98 – 2001) fornisce indicazioni sulle
finalità, i modi di fare formazione e come valutare l’apprendimento
individuale nonché alcune linee guida rispetto alle aree tematiche.
L’articolo 29 “formazione e aggiornamento professionale” recita: “La
formazione costituisce una leva strategica fondamentale per lo sviluppo
professionale dei dipendenti e per la realizzazione degli obiettivi
programmati” ed ha quale finalità “lo sviluppo del sistema sanitario
attraverso il miglioramento delle competenze del personale e più elevati
livelli di motivazione e di consapevolezza rispetto agli obiettivi generali di rinnovamento e
produttivi da perseguire”. Sempre
l’art. 29 fornisce indicazioni sui modi per la formazione continua e prevede
programmi di: · addestramento · aggiornamento · qualificazione · sviluppo I
programmi prevedono iniziative formative a carattere facoltativo e a carattere
obbligatorio. Si
può interpretare che se le attività formative sono organizzate dell’ente
sono considerate in servizio a tutti gli effetti e se sono svolti fuori dalla
sede di servizio è previsto il trattamento di missione e rimborso spese. La
programmazione delle attività deve privilegiare alcune aree quali: · innovazione tecnologica ed organizzativa · organizzazione del lavoro · programmazione · gestione del personale Per
quanto riguarda l’aggiornamento obbligatorio ed i percorsi formativi
collegati al sistema di classificazione, è previsto l’esame finale ed il
piano della formazione deve prevedere le modalità di valutazione
dell’avvenuto accrescimento professionale del singolo dipendente. Sempre
secondo le indicazioni previste dal Contratto Collettivo Nazionale Lavoro
all’art. 29 l’aggiornamento obbligatorio comprende: · la partecipazione a corsi di formazione ed aggiornamento · l’uso di testi, riviste tecniche ed altro materiale bibliografico · l’uso di tecnologie audiovisive ed informatiche · la ricerca finalizzata rispetto a programmi definiti dalle aziende · il comando presso altre strutture. Se
il quadro generale prevede quindi un sistema formativo molto articolato e con
metodologie di approccio differenziate, per altri aspetti si nota ancora una
enfasi al concetto di aggiornamento piuttosto che di formazione continua. Un
altro aspetto critico è rappresentato dalle metodologie che escono dal
contesto più tradizionale dell’aula. Mi riferisco alla ricerca, l’uso
della bibliografia, le tecnologie audiovisive, la formazione a distanza, che
sono riconosciute dai contratti come aggiornamento obbligatorio ma che trovano
notevole difficoltà ad essere riconosciute ed accreditate. Nei
contratti per la dirigenza sono previste le ore studio, mentre per il comparto
questa attività è segregata nei ritagli di tempo o spesso nel tempo libero. Occorre
sperimentare modalità per l’accreditamento di queste attività sia per
quanto riguarda i tempi ma in particolare gli indicatori di qualità e modalità
di certificazione. Il
pericolo è che vengano certificati solo i corsi d’aula e vengano
penalizzate tutte le attività che concorrono alla sperimentazione e
validazione delle competenze come l’attività di ricerca, l’Audit, la
formazione a distanza e lo studio individuale. Un
proposta concreta per la programmazione della formazione continua E’
importante progettare attività formative differenziate sia nei metodi che nei
contenuti per poter rispondere ai bisogni formativi anche in considerazione
delle attitudini. Inoltre occorre distinguere quali sono i percorsi formativi
orientati alle singole professionalità e quali invece richiedono integrazione
multidisciplinare anche come palestra alla complessità. La formazione
specialistica e di specificità di ruolo richiede la omogeneità disciplinare,
l’approccio al cliente utente spesso richiede metodologie e modalità
organizzative condivise da tutto il team di cura, mentre la formazione
manageriale è tanto più ricca quanto più è interdisciplinare ed oltre i
confini dell’organizzazione. Per
concludere propongo una “linea guida” per la programmazione della
formazione continua, come proposta al confronto e al dibattito. La
Proposta Il
sistema formazione è opportuno che preveda modalità formative ad alta
differenziazione come ad esempio: · programmi di addestramento · corsi di formazione per l’approfondimento di conoscenze –
metodologie e tecniche specialistiche – relazionali e gestionali · corsi di formazione manageriali · corsi di formazione – intervento · programmi di ricerca e sviluppo organizzativo · sperimentazioni organizzative e gestionali · programmi di riqualificazione Come
realizzare tutto questo: Diventa
sempre più importante formalizzare un piano di programmazione delle attività
che definisca quali sono le attività riconosciute come formazione
obbligatoria e facoltativa e negoziare con le parti sociali e gestionali un
tempo studio per le attività meno proceduralizzate (nella negoziazione
decentrata stiamo proponendo 36 ore annue fino alla fascia C e 48 ore annue
per la fascia D). La
realizzazione delle attività Formazione
specialistica: · per singole professionalità · per il Team assistenziale Formazione
manageriale: · corsi integrati con tutte le figure del sistema · oltre i confini delle proprie strutture L’accreditamento · valorizzare la pluralità delle attività · enfasi alle sperimentazioni · esperienza come validazione delle competenze La
formazione specialistica · Privilegia interventi mirati alle specifiche categorie professionali. · E’ orientata più alle logiche ed alle metodologie per
l’aggiornamento continuo delle conoscenze. · Fornisce criteri per valutare la validità delle fonti scientifiche e
la loro trasferibilità. · Ha come riferimento privilegiato il professionista, il cittadino ed i
suoi bisogni. Gli
obiettivi · Fornire conoscenze aggiornate e basaste sull’evidenza scientifica
rispetto a nuove competenze e/o bisogni della collettività. · Creare una cultura della responsabilità ed essere in grado di attivare
interventi congruenti ai livelli di responsabilità richiesti. · Identificare gli effetti significativi di cambiamento di ruolo ed
attivare nuove competenze per prestazioni eccellenti. · Acquisire abilità per fare fronte alle innovazioni tecnologiche ed
acquisire metodologie per lo sviluppo delle competenze. La
formazione manageriale Il
modello delle competenze manageriali di L.M. Spencer Tipo di competenze: · competenze di realizzazione · competenze di assistenza e di servizio · competenze d’influenza e di direzione · competenze cognitive · competenze di efficacia personale. Questo
modello elenca per ogni competenza le capacità da imparare. “Competenze
di realizzazione 1. Orientamento al risultato 2. Accuratezza 3. Iniziativa 4. Ricerca delle informazioni Competenze
di assistenza e servizio 5. Sensibilità interpersonale 6. Ricerca delle informazioni Competenze
d’influenza e di direzione 7. Persuasività e influenza 8. Consapevolezza organizzativa 9. Costruzione delle relazioni 10. Sviluppo degli altri 11. Assertività e uso del potere formale 12. Lavoro di gruppo 13. Leadership del gruppo Competenze
cognitive 14. Pensiero analitico 15. Pensiero concettuale 16. Capacità tecnico/professionale/manageriale Competenze
di efficacia personale 17. Autocontrollo 18. Fiducia in se stesi 19. Flessibilità 20. Impegno verso l’organizzazione”[3] Questa
formazione è per eccellenza integrata. Non
può esserci una formazione manageriale per categorie ma più c’è
interdisciplinarietà e più è ricco il contesto di apprendimento. Gli
Obiettivi ¨ Orientamento a migliorare le prestazioni sia in termini di risorse
investite sia di risultati ottenibili ¨ Capacità di cogliere le relazioni causali esistenti tra più elementi
e proporre interventi mirati assumendone le responsabilità dei risultati. ¨ Capacità di ottenere l’accordo/assenso dalle persone valorizzando i
vantaggi ottenibili dalle soluzioni. ¨ Capacità di programmazione strategica e di reingegnerizzazione dei
sistemi produttivi le
metodologie ¨ aula ¨ laboratorio sperimentale ¨ simulazioni ¨ tirocinio guidato ¨ percorsi e labirinto ¨ Audit ¨ benchmarking. Come
valutare Il
management richiede sempre più conoscenze, ma occorre che sia scienza
applicata, inoltre l’area delle attitudini ha notevole importanza; se non ci sono attitudini al rischio, piacevolezza
nelle relazioni, curiosità e bisogno di innovazione, ma anche carica
leaderistica e capacità persuasiva difficilmente si vive bene nei ruoli di
governo. Le
attitudini sono una specie di DNA del lavoratore e scegliere un lavoro
completamente in contro attitudine significa mettere a rischio il proprio
equilibrio emotivo. La
formazione continua può aiutare l’individuo a riconoscere le proprie aree
attitudinali ed i servizi di gestione delle risorse umane dovranno sempre più
tenerne conto, proprio per sviluppare competenze eccellenti. La
valutazione deve considerare non solo le conoscenze acquisite, ma anche la
reale capacità ad applicarle al contesto organizzativo e le attitudini di
pensiero sistemico e li leadership. Le
competenze manageriali si misurano sul campo ed è molto importante che
l’addestramento sia supportato da “maestri” di gestionalità, attività
che finora ha avuto poca attenzione nei nostri contesti organizzativi. C’è
molta attenzione all’addestramento ed affiancamento tecnico-specialistico
mentre le competenze gestionali spesso si apprendono per tentativo ed errore. Bibliografia
di riferimento Civelli F., Manara D., Lavorare
con le competenze, Guerini e Associati, Milano, 1997. Contratto Collettivo Nazionale di
Lavoro 1998-2001 Eleopra I. –Faverin G., Il nuovo sistema di classificazione del personale del comparto sanità, FIST – CISL Veneto, 1999 Bibliografia
consultata Auteri E., Management
delle risorse umane, Guerini e Associati, Milano, 1998 Pagine
MIDA. Materiali per la direzione del personale,
n.8, 1999. Management
delle risorse umane, a cura
di D. Boldizzoni, supplemento al bimestrale Sviluppo & Organizzazione n.
174 – 1999, ESTE srl, Milano. Decreto Legislativo 19 giugno 1999 n. 229, Norme per la razionalizzazione del Servizi sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419. [1] F. Civelli- D. Manara, Guerini & Associati 1997 (3.4.3 core competencies organizzative pagg. 35 –37)
[2] Lavorare
con le competenze – Guerini & Associati 1997 (pagg. 21 – 23:
2.4 Lavorare con le competenze)
[3] Civelli F. – Manara D. ,
Lavorare con le competenze, Guerini
& Associati, Milano, 1997, pp. 79-80
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