Congresso Nazionale Aniarti 2000
Funzioni e rsponsabilita' infermieristiche
Genova (GE), 15 Novembre - November 2000 / 17 Novembre - November 2000
» Indice degli atti del programma
SESSIONE POSTER
17 Novembre - November 2000: 16:30 / 18:00
- UTILIZZO
DELLA PCA NEL PAZIENTE POST-OPERATO, RICOVERATO IN TERAPIA INTENSIVA.
- Barbieri L.°, Greggio R.*, Michieletto E.°,
Rampazzo R.*, Segalina S.*, Zin G.*, Ruzza L.*
- ° Rianimazione Azienda ospedaliera di Padova,
* Rianimazione Ospedale S. Antonio di Padova
-
- Nel 3000 Avanti
Cristo in Mesopotamia l’asu era la figura carismatica alla quale riferirsi
per trovare un rimedio al dolore. Egli era spesso accompagnato da un
prete-medico e da un esorcista. L'asu usava droghe, per esempio oppio
estratto dal papavero, cannabis, ecc., e compiva piccoli interventi
chirurgici. Per gli egiziani il dolore era visto come il risultato
dell’azione di spiriti maligni che entravano nel corpo umano attraverso
orecchie e narici. I papiri di argomento medico indicano un uso prevalente
di hyoscyamus, scopolamina, oppio e cannabis, accompagnanti da procedure
rituali. La farmacologia egiziana influenzò successivamente le pratiche
mediche greche, romane, ebraiche e arabe [1].
- Il dolore fisico
è causa di sofferenza e di inabilità e compromette seriamente la qualità
della vita di diversi milioni di persone nel mondo; nonostante ciò, una
proporzione importante di questi individui non riceve un’adeguata gestione
del loro dolore. Il dolore post-operatorio è conseguenza del danno
tissutale che causa liberazione di ioni potassio, bradichinine,
prostaglandine e istamina con successiva attivazione di recettori specifici
(nocicettori); come risposta alla lesione dei tessuti avviene la liberazione
di catecolamine in grado di alterare la funzionalità cardiovascolare
(aumento della FC, della PAO, della Gittata Cardiaca e delle resistenze
sistemiche) e alla richiesta miocardia di ossigeno. Tutte queste variazioni
risultano pericolose nel paziente cardiopatico, ipossico o defedato poiché
possono provocare ischemia miocardica e aritmie. Esistono marcate differenze
riguardanti il livello di dolore postoperatorio in rapporto alla sede
dell’intervento, alla traumaticità intraoperatoria, al tipo di incisione,
alla manipolazione dei visceri ecc. Inoltre studi recenti hanno dimostrato
che livelli elevati di ansia sono correlati a maggior dolore; anche le
informazioni pre-operatorie ricevute dal paziente influiscono sul grado di
dolore poiché diversa è l’ansia, l’aspettativa di dolore e quindi la
percezione dello stesso [2][3].
- Il reparto dove
maggiormente viene sperimentato un altissimo livello di sofferenza, non solo
da parte del paziente ma anche dei familiari, è la Terapia Intensiva (TI).
Stevens e coll. nel 1990 hanno rilevato che il 30-70% dei pazienti in TI
prova dolore per lo più di grado moderato, severo o addirittura
intollerabile [4]. In un recente studio di Bone [5], analizzando i dati
ottenuti dai questionari consegnati ai pazienti dimessi dalla rianimazione e
trasferiti in altri reparti, viene spesso ribadito il concetto che il 50% di
questi pazienti ha citato il dolore come peggior ricordo della degenza in
TI. Il problema è dovuto all’inadeguato controllo del dolore? Ad errate
valutazioni della sofferenza manifestata dal paziente?
- Varie sono le
possibilità nel trattamento del dolore post-operatorio:
- × Analgesici somministrati per os, ev, im;
- × Anestetici locali od oppiacei per via perdurale o subaracnoidea;
- × Tecnica Patient Controlled Analgesia (PCA).
- Analizzeremo solo
quest’ultima tecnica che consiste nella somministrazione di analgesici
attraverso un’usuale via di somministrazione ma con una nuova modalità di
erogazione “à la demande”, autosomministrata dal paziente stesso. La
PCA, nata nei primi anni 60 e successivamente miglioratasi, si basa sul
principio dell’individualizzazione dell’analgesia [6][7][8][9]. In
pazienti svegli, coscienti e collaboranti, il controllo del dolore può
essere ottenuto attraverso il metodo PCA. Il sistema adottato dalle nostre
rianimazioni è il PCA-Vygon (fig. 1), caratterizzato dall’iniezione
endovenosa di boli intermittenti di un “cocktail farmacologico” adattato
al paziente, al tipo di intervento, alla patologia di base; i boli vengono
infusi quando il paziente attiva il dispositivo. L’intervallo minimo tra
la somministrazione di una dose e della successiva viene impostato
dall’anestesista e definito come “intervallo di serrata”, ossia il
periodo durante il quale il sistema PCA-Vygon non può erogare il farmaco
anche se il paziente lo chiede. Questa metodica a tempo minimo obbligato è
indispensabile per impedire pericolosi accumuli ed evitare depressione
respiratoria e tossicità da sovradosaggio.
- Si tratta di un
dispositivo non elettrico composto da un contenitore, graduato e caricato di
analgesico, che alloggia in un telaio cilindrico munito di camera di
dosaggio prestabilito e di valvola antireflusso; il tutto è chiuso da un
coperchio dotato di una leva che, quando premuta, permette l’infusione
della dose [10].
- Senza dover
negoziare con altri per ricevere il trattamento del suo dolore, il paziente
acquisisce in questo modo anche la tranquillità dell’autonomia, oltre ad
un più immediato sollievo della sofferenza. Gli studi eseguiti in passato
hanno dimostrato che con questo sistema l’analgesia è migliore e la dose
totale di oppiacei consumata è più bassa [11][12][13].
- Il dispositivo
oggi in commercio è utilizzato per la somministrazione endovenosa,
epidurale, sottocutanea, subaracnoidea, intralesionale; la somministrazione
avviene soltanto a richiesta del paziente.
- Il successo della
PCA è in rapporto all’opportuna istruzione del paziente sulla metodica,
così come del medico e dello staff infermieristico implicati nella
programmazione e nel controllo del sistema [6][14]. Studi recenti hanno
affermato che l’età non è un impedimento all’uso dell’analgesia
controllata dal paziente, sia nei bambini [15][16] sia negli anziani
[17][18][19]; in tutti questi studi, giovani e vecchi hanno ottenuto
comparabili e soddisfacenti livelli di analgesia mediante l’autocontrollo
con la tecnica PCA.
- Nell’anno 1999
su 399 pazienti entrati nella nostra TI, 102 sono stati ricoverati per
monitoraggio post-operatorio, dopo interventi chirurgici (11 per cesareo in
gestosi, 10 politraumatismi, 16 per fratture arti inferiori complicate con
embolia polmonare, 22 per colecistectomia in pazienti molto anziani ASA 3-4,
12 per laparotomia e toracotomia in pazienti scoagualti nei quali non era
stato possibile posizionare un catetere perdurale quale via di
somministrazione di anestetici e oppiacei in infusione continua, 31 per
altri tipi di intervento). I risultati emersi dimostrano come i pazienti
post-operati preferiscono senza dubbio la tecnica PCA rispetto alle
somministrazioni convenzionali.
- La gestione del
dolore acuto nei pazienti in TI è un’area che abbisogna di maggiore
attenzione. Esistono tecniche moderne in grado di migliorare l’outcome e
ridurre la durata della degenza in rianimazione; l’applicazione delle
attuali conoscenze anche nel campo dell’analgesia possono essere di
beneficio sia per il paziente sia per il team che opera in tali reparti,
riducendo il carico di lavoro del personale infermieristico.
-
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