Alberto Giannini, Terapia Intensiva Pediatrica Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore
Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena Con il termine di Terapia
Intensiva (TI) “chiusa” ci si riferisce in genere ad un reparto con
accesso limitato e che, pertanto, contiene o interdice la presenza – e talora
anche la sola visita - dei familiari (e degli altri visitatori). Di fatto,
però, questa chiusura non si esaurisce solo sul piano temporale, ma si esprime anche sul piano fisico e,
soprattutto, su quello relazionale. Al piano fisico appartengono tutte
le barriere che, con motivazioni diverse, vengono proposte o imposte al
visitatore (assenza di contatto fisico col paziente, camice, mascherina,
guanti, ecc.). A quello relazionale appartengono invece tutte le
espressioni, sia pure di diversa intensità, di una comunicazione frammentata,
compressa o addirittura negata fra i tre elementi che costituiscono i vertici del
particolare “triangolo relazionale” che si viene a costituire in TI: il
paziente, l’équipe curante e la famiglia. Per analogia, ma in modo quasi antitetico, Un
recente studio ha posto in evidenza come in Italia la quasi totalità delle TI
abbia politiche restrittive in tema di presenza di familiari e visitatori. In
concreto, il tempo di visita a disposizione è molto limitato - in media un’ora
al giorno - e vengono attuate restrizioni sia sul numero dei visitatori (92%
delle TI) sia sul tipo di visitatori (il 17% dei reparti ammette solo familiari
stretti, il 69% non permette che i bambini facciano visite). Parte delle TI,
inoltre, non modifica le sue regole per l’acceso dei visitatori se il paziente
ricoverato è un bambino (9%) né se il paziente sta morendo (21%). I reparti con
elevato numero di ricoveri e quelli appartenenti alle regioni del Sud e delle
Isole hanno orari di visita significativamente più bassi. Un quarto delle TI
non ha una sala d’attesa per i familiari e, infine, il 95% di esse obbliga i
visitatori a indossare indumenti protettivi. La possibilità di stare accanto al proprio caro rappresenta
uno dei cinque bisogni principali (insieme a informazione, rassicurazione,
sostegno e confort) dei familiari di pazienti ricoverati in TI, ma medici e
infermieri speso sottostimano questo aspetto. Il ricovero in TI e la
separazione dal proprio mondo degli affetti rappresentano un motivo di grande
sofferenza sia per il paziente sia per la famiglia, e numerosi dati
suggeriscono che la liberalizzazione dell’accesso alla TI per familiari e
visitatori non solo non è in alcun modo pericolosa per i pazienti ma è anzi
benefica sia per loro sia per le famiglie. In particolare l’”apertura” della TI
non causa un aumento delle infezioni nei pazienti, mentre si riducono in modo
statisticamente significativo tanto le complicanze cardio-vascolari quanto gli
indici di ansia e stress. Un ulteriore effetto positivo è rappresentato poi
dalla netta riduzione dell’ansia nei familiari. La presenza dei familiari di per sé non riduce il livello di
assistenza al paziente, anche se può essere percepita dagli infermieri come un
elemento di interferenza - e di sovraccarico – nella loro attività. In concreto
non esiste alcuna solida base scientifica per limitare l’acceso dei visitatori
in TI. L’”apertura” della TI e la presenza dei familiari accanto al malato
rappresentano una scelta utile e motivata, una risposta efficace ai bisogni del
malato e della sua famiglia.