SEMPRE L’IMPEGNO TERAPEUTICO CORRISPONDE AL BENE DEL
PAZIENTE?
Paola Paganelli, Lucia Buzzi, Luana Gattafoni
Rianimazione
Cardiochirurgica, Az. Osp. Policlinico Universitario S.Orsola-Malpighi, Bologna paola.p67@virgilio.it
Una buona percentuale dei decessi avviene in terapia
intensiva e in rianimazioni, a seguito di terapie inutili e spropositate. Il
principio di proporzionalità delle cure dovrebbe permettere di distinguere il
limite fra una doverosa insistenza terapeutica e una dannosa e inutile
ostinazione. Il rifiuto dell’accanimento terapeutico non significa abbandono
del malato terminale o comatoso ma un
rifiuto a prolungare con mezzi sproporzionati l’agonia, a tormentare il
paziente con strumentazioni che non coincidono significativamente su un suo
accettabile e minimale benessere, a praticare terapie con poche probabilità di
successo. Nel Codice deontologico dell'infermiere si dice chiaramente no
all'eutanasia art. 38: "l'infermiere non partecipa a interventi
finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene
dall'assistito"), ma arriva anche uno stop all'accanimento terapeutico
art. 36: "L'infermiere tutela la volontà dell'assistito di porre dei
limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica
e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità della vita").