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29' Congresso Nazionale

Dall'assistenza in area critica all'assistenza primaria

Rimini (RN), 10 Novembre - November 2010 / 12 Novembre - November 2010

» Indice degli atti del programma

Gli elementi propri dell'assistenza infermieristica nelle situazioni di criticita' dentro al sistema: dall'acuzie alla cronicita' complessa sul territorio Maria Benetton, Treviso; Silvia Scelsi, Roma

10 Novembre - November 2010: 14:50 / 15:10

Gli elementi propri dell’assistenza infermieristica nelle situazioni di criticità dentro al sistema: dall’acuzie alla cronicità complessa sul territorio.

 

Sin dal primo giorno in cui un futuro infermiere si approccia alla professione, la frase che lo orienterà è “identificare i bisogni di salute”.

Semplice, ma impegnativa e aperta ad innumerevoli possibilità di interpretazione.

L’assistenza prende origine dalla necessità di leggere ed interpretare tutti i bisogni per il recupero di una vita “normale” di una persona che si trova in situazione di criticità vitale e successivamente in rapporto alle situazioni di cronicità nella prospettiva di garantire la continuità della cura e dell'’assistenza.

L’ambito specifico della competenza e della responsabilità dell’infermieristica consiste nella capacità di individuazione di tutto lo spettro delle necessità di vita.

L’ interpretazione delle necessità globali delle persone nella specifica situazione (criticità/ cronicità) è l’imperativo che contraddistingue la professione infermieristica..

Questo diventa particolarmente complesso nell’alterazione, dovuta allo stato patologico, delle capacità di esprimere i propri bisogni da parte della persona; alterazione talvolta radicale che può sopprimere la capacità di espressione..

Se nell’acuzie si risponde ai bisogni prioritari per la sopravvivenza e l’infermiere si sostituisce nel rispondere al bisogno, nella cronicità si dovrà interpretare la necessità del singolo e della famiglia, che spesso non è riconducibile a una sola ed unica risposta di assistenza, ma a necessità più complesse e articolate di natura sanitaria, sociale, culturale, di accompagnamento.

L’interpretazione del bisogno in fase di acuzie e di cronicità significa cogliere segni, analizzare dati cercare una spiegazione e soprattutto attribuire un significato.

Interpretare un bisogno inespresso o non comunicato richiede lo sviluppo di competenze ad alto valore professionale.

Su questo si innesta un secondo elemento proprio dell'’assistenza: l’unicità della persona nell’acuzie (rapporto diretto infermiere-paziente) che si trasforma obbligatoriamente in unicità della famiglia nella cronicità (rapporto circolare infermiere-paziente-caregiver).

La situazione di criticità di vita attribuisce priorità nel garantire innanzitutto la sopravvivenza, ma questo aspetto rappresenta comunque una fase relativamente breve nel percorso assistenziale complessivo. 

Una volta raggiunta una relativa stabilizzazione delle condizioni vitali, è indispensabile provvedere anche a tutte le necessità di vita. 

Non c’è più il bisogno di alta tecnologia o interventi e trattamenti appariscenti, ma diventa invece importante prevenire le molte complicanze, prendersi cura delle funzioni alterate, recuperare/riabilitare le facoltà di risposta autonoma, il tutto in una consapevolezza che potrebbe non esserci guarigione o miglioramenti significativi.

Per gli infermieri, la guarigione non è il “totem” assoluto, ma la centralità è sull’uomo, su quello malato e su colui (più spesso colei) che lo aiuta nella quotidianità.

Una cronicità che nei pazienti che sono stati in area critica, diventa un’assistenza complessa per il malato che ancora ha supporti esterni come ventilatore, protesi respiratoria, cateteri tunnellizzati, ecc, ma anche per il caregiver che va altrettanto assistito nel sopportare l’impegno di cura.

La complessità assistenziale è anche di tipo relazionale, perchè la condizione di questi malati è dirompente per lo stile di vita della famiglia, portano a sintomi di depressione, ad isolamento sociale, a impoverimento economico ed emotivo.[i]

Non c’è senso di fallimento nell’infermieristica, come invece c’è se basiamo la sanità sulla medicina, perché nell’infermieristica lo scopo è il recupero della maggiore autonomia possibile o il compensare le capacità della persona.

La cura infermieristica si trasforma ma continua con una competenza diversa.

 

Terzo elemento proprio dell'’assistenza infermieristica è la consapevolezza di competenza propria, specifica ed esperta.  L’infermiere non è un attore passivo calato in un determinato ruolo, cui corrispondono determinate mansioni e un certo numero di attività standardizzate, ma deve essere fautore attivo e proattivo del suo "mettersi in campo", del suo porsi e del suo interagire in situazioni e in diversi contesti organizzativi, ma anche sociali e culturali.

Bisogna attrezzarsi, certo, non solo per possedere determinate conoscenze e/o competenze, ma per attivarli opportunamente e correttamente nel proprio lavoro, attraverso la scelta oculata delle strategie e degli strumenti adatti, con la capacità di dare senso e "valore economico e valore aggiunto" al proprio lavoro. [ii]

Bisogna comprendere le logiche dei contesti in cui si è inseriti.

Siamo in una società in cui non è gradita la malattia prolungata o lo stato cronico, le famiglie sono sempre più sole ed isolate, lo stato sociale non è equo nelle prestazioni e negli aiuti, la famiglia con un malato in casa si impoverisce economicamente e si logora nell’assistenza, e spesso è lasciata senza risposte.

Talvolta ci sono i servizi, ma manca la capacità o la conoscenza di come accedervi. In tutto questo l’infermiere deve esporre la propria consapevolezza di competenza, nel dimostrarsi la figura di riferimento per le persone.

La competenza va orientata all’accertamento dei bisogni sanitari della persona, della famiglia e della comunità, particolarmente nella condizione della disabilità che, purtroppo, contraddistingue i successi dell'’area critica.

 

Quarto elemento proprio è l’integrazione, l’essere in “rete” in un sistema di estrema complessità, in quanto erogatore di servizi in costante evoluzione.[iii]

La consapevolezza della competenza propria deve dispiegarsi all’interno di un sistema complessivo in cui tutte le funzioni e le competenze devono “rendersi disponibili”.

Ogni intervento assistenziale pertanto deve svolgersi in armonia e secondo le priorità che vengono stabilite in funzione degli obiettivi di volta in volta stabiliti, che sono variabili nel tempo e determinati dall’evoluzione delle situazioni e condizioni cliniche dell’assistito.

Integrazione e “far rete” significa:

1. assicurare maggior cooperazione tra professionisti e interdisciplinarietà per il miglior interesse per il paziente,

2. capacità di interagire organizzativamente in modo più complesso, 

3. capacità di comunicare efficacemente facendo “girare” le informazioni,

4. capacità di leggere e di interagire con differenti sfondi sociali di confronto,

5. saper lavorare con stili valoriali e professionali ulteriori rispetto ai propri,

6. saper interpretare in modo versatile più ruoli 

Nell’attuale momento storico, sempre di meno i professionisti si attengono al copione e alla prescrizione di ruoli definiti dall'autorità centrale, e sempre di più si sperimentano come nodi di connessione fra reti di relazioni spesso eterogenee ed anche conflittuali. La stabilità tradizionale dei ruoli viene messa alla prova dai difficili problemi di compatibilità fra le diverse appartenenze, ma questo deve passare in secondo piano rispetto al valore etico-deontologico e alla posizione di garanzia che abbiamo nei confronti della persona malata.

 

Questa posizione di garante (advocacy) che da sempre ha caratterizzato la nostra professione, deve spingerci a partire da questo nuovo contesto per rivedere il ruolo tradizionalmente attribuitoci, sfidando noi stessi e la nostra comunità professionale, al fine di rendere visibile ciò che sta cambiando e le relative richieste che arrivano ai professionisti al fine di governare il cambiamento piuttosto che esserne travolti.

Tutta l’organizzazione sanitaria in Italia (che è il nostro contesto) sta passando da una visione ospedalo-centrica ad una territorio-centrica, per tante ragioni di ordine economico, ma anche di efficacia della risposta ai bisogni di salute del cittadino.

Le reti sono qualcosa che addirittura va di moda, sono comprese nelle delibere regionali, nelle leggi, ma per noi cosa può significare “ rete”?

Sicuramente non si può più pensare di agire per il trattamento, la cura e l’assistenza in splendida solitudine.

Spesso ospedale da una parte, territorio dall’altro, professionisti che si avvicendano accanto alla persona, agiscono in modo “slegato”.

Appaiono discorsi sentiti tante e tante volte.

Quando parliamo di equipe, piuttosto che di valutazione multidisciplinare, allora riprendiamo un concetto caro agli infermieri, quello della persona al centro in una visione olistica della sua salute, intesa come stato di equilibrio e non assenza di malattia. 

Partendo da qui, si può e si deve ridisegnare il ruolo avuto , legato alla separatezza e alla rigidità dei compiti, e comprendere le aree di grigio che da sempre hanno caratterizzato e caratterizzano ancora oggi la realtà delle cose.

Nella realtà i nostri stereotipi culturali e mentali non rappresentano affatto ciò che accade nel prendersi cura della persona e ciò non corrisponde a quel che ci viene richiesto come professionisti.

Modernamente la rete è un concetto che sembra scontato . In realtà è la metafora di qualcosa che ci sorregge e nella quale trovare le risposte ai bisogni di salute come cittadini.

Questo favorisce una visione di insieme e non di separatezza, favorisce il “to care” piuttosto che il “to cure” .

Il concetto del prendersi cura ci deve guidare verso il concetto di presa in carico che non è solo dello stato patologico, in quanto percorso diagnostico terapeutico, ma che è della capacità della persona e del suo nucleo famigliare di adattarsi alla nuova condizione, di viverla in equilibrio, di poter tornare verso una normalità che non è sempre definibile con lo stato di “guarigione” ma spesso con il ripristinarsi di un equilibrio importante e di una autonomia nella gestione di se stessi e delle proprie risorse, che permettono di proseguire con dignità umana la propria esistenza.

La persona è il luogo della cura”

Ci si può riferire ai tanti pazienti ospedalizzati a casa per patologie terminali o croniche che vivono con l’ausilio di strumenti complessi (ventilatori, pompe infusionali etc) , i quali devono recuperare un equilibrio con i nuovi strumenti per essere di nuovo decisori del proprio destino.

Queste considerazioni, che ad un lettore distratto possono sembrare ovvie, sono invece il filo conduttore per un professionista che guarda alle competenze specifiche, in quanto parte di una competenza più ampia e complessa, in grado di considerare e trovare risposte a bisogni complessi legati alla capacità di vivere in modo autonomo la nuova condizione.

Inoltre riconosce i bisogni della famiglia e dei nuclei parentali che, trovandosi a gestire la cronicità post terapia intensiva sul territorio, necessitano di interventi mirati non solo all’apprendimento della gestione della eventuale PEG, ma anche alla capacità di gestire tutto ciò che accade recuperando il loro ruolo di famigliari, senza fargli assumere prevalentemente quello di infermieri.

Queste competenze professionali di ordine più assistenziale si legano a quelle di ordine prevalentemente organizzativo.

Mantenere attiva e attivata la rete di assistenza, significa non solo mantenere in rete i singoli professionisti che si avvicendano, ma anche permettere al sistema sanitario di rispondere con strumenti, strutture e tutti i mezzi a disposizione, alle esigenze del paziente e del suo nucleo sociale.

Questo significa sviluppare delle capacità organizzative di alto profilo e la capacità di gestione dei casi (case management) che consenta una visione d’insieme del processo /percorso verso il nuovo equilibrio.

Spesso le capacità specifiche possedute dai singoli professionisti devono essere integrate e solo chi ha la visione del percorso può sapere quando è più utile ed adeguato che si integrino i contributi specifici.

Prende corpo la possibilità per gli infermieri in modo più netto, di esercitare il ruolo della consulenza, inteso come contributo di alta specificità nella gestione di un percorso complessivo.

Tale ruolo deve essere vissuto come riconoscimento ai colleghi dell’essere esperti di un particolare campo di competenze, ma nello stesso tempo come riconoscimento all’intera professione delle proprie specificità acquisite nei vari ambiti, e della capacità di metterle al servizio della persona assistita.

Il passaggio da una situazione assistenziale ospedaliera di area critica ad una situazione territoriale di cronicità trova la sua garanzia di supporto nella competenza e ancora di più nella consapevolezza degli infermieri, che l’assistenza è la rete che accompagna l’iter di “guarigione” della persona.

Le competenze professionali sono al servizio e a garanzia della salute del cittadino, prima che essere un riconoscimento di settori specifici della professione o di altre professioni.

Se finalmente si compie il passaggio di uscita dell’assistenza dai reparti ospedalieri, permettendole di entrare a pieno titolo sul territorio, questo in parte è legato alla spinta economica.

Gli infermieri dovrebbero seriamente riflettere sull’importanza di essere presenti nella comunità, per rispondere ai suoi bisogni di salute, sia prima che questi si manifestino, sia dopo che si sono presentati e si rende necessario accompagnare la persona verso il recupero di un nuovo equilibrio.

Sarebbe ora il momento, non solo per la congiuntura storica ed economica ma per la maturità che la professione ha raggiunto, di vivere in modo completo il ruolo che la legge ci attribuisce, slegando finalmente la nostra idea di professione dalle “mura ospedaliere” e conquistando la libertà di assistere in modo completo le persone.

Oggi la complessità dei sistemi non ci permette più di dare risposte semplicistiche, ma ci richiede la capacità di fornire risposte complesse che solo un professionista consapevole del proprio ruolo può fornire.



[i]Van Pelt Dc, Milbrandt EC, Qin L, Weissfeld LA, Rotondi AJ, Schulz R, Chelluri L, Angus DC, Pinsky MR. Informal Caregiver Burden among Survivors of Prolonged Mechanical Ventilation. Am J Respir Crit Care Med. 2007 January 15; 175(2): 167–173.

[ii] Lyle M. Spencer - Signe M. Spencer, Competenza nel lavoro, Franco Angeli Editore, Milano 1993, pag. 30.

[iii] WHO. Nurses and Midwives. A force for health. Survay on the situation of nursing and midwifery in the Member States of the European Region of the World Health Organization. 2009 

 

 

 

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