Atti dei congressi nazionali

1998

Sessione 1 - dibattito 1
Prima domanda
Nome e Cognome: Pallotta
Professione: infermiere professionale
Provenienza: USL 8 - Marche
Io vorrei intervenire rispetto alle ultime tre relazioni. Soprattutto quando la collega affermava che i nostri nuovi colleghi, e sottolineo colleghi, con Diploma Universitario, sono critici verso una parte di noi, diciamo, “vecchi infermieri”. Io ricordo a questi colleghi che, come diceva Silvestro,  finché noi saremo infermieri il paziente va ancora toccato, dico toccato con tutto quello che vuol dire. Questo lo rimando ai nuovi colleghi, rispetto al fatto di essere critici verso di noi.
Quando si discute della nuova professionalità, dei nuovi diplomi, mi trovo d’accordissimo con la linea adottata; però io ho dei dubbi, ho delle perplessità riguardo tutti quegli infermieri che hanno seguito, dico parole testuali “corsi e corsetti”. Questi che fine faranno? Questi corsi e corsetti, questa professionalità, che non è l’ottimale però esiste, esiste come corsi, esiste come professionalità presa sul campo.
La terza riflessione. Mi trovo d’accordissimo che non ci deve essere l’appiattimento, l’errore che ha fatto il sindacato negli ultimi vent’anni. Però voi mi dovete convincere, mi dovete allettare, del perché  io infermiere devo essere stimolato a fare tutti questi percorsi giusti che ci sono. Qualcuno di voi mi ha detto: il nuovo contratto. Io conosco il nuovo contratto, ma sinceramente questo nuovo contratto che andremo, speriamo quanto prima, a siglare, parla di diverse classificazioni. Però facendo queste classificazioni, ho visto che la maggior parte di esse sono per gli infermieri di vecchia data, perché il primo inquadramento è questo. Noi rimaniamo sempre ingabbiati, anche se in minor misura, in questa classificazione, spero che venerdì mattina ci sia qualcuno che ci dimostrerà il contrario. Io debbo dire che sono un iscritto ad una sigla, per cui non sono contro questo contratto, tuttavia io vedo che non abbiamo motivi o non veniamo pagati per quello che facciamo. Questo volevo toccare, perché qui si discute giustamente della nostra professionalità, ma di pari passo non c’è un riscontro economico, se anche è brutto a dirsi.
 
Seconda domanda
Nome e Cognome: Vincenzo Scotto
Professione: infermiere professionale
Provenienza: Rianimazione - Savona
Volevo fare alcune domande che non sono assolutamente polemiche, esprimono uno stato di fatto.
Innanzitutto la conoscenza scientifica e l’affermazione della validità della conoscenza scientifica. Ci avete dimostrato concretamente, e qui tutti lo potrebbero dire, come molte volte si fa un lavoro, si fa uno studio, si raccoglie il lavoro e lo studio di altri, lo si porta nel reparto e comunque non si riesce a far passare la validità di quello studio. Come fare??
Secondo, rispetto a quella che è l’accessibilità alla formazione. Io ho provato ad iscrivermi ad una Facoltà a Genova, perché sono di lì. Mi è stata richiesta la partecipazione e la frequenza ai corsi, con l’obbligo della frequenza, se pure con un certo margine sulle assenze. Rispetto all’Università di Torino, invece, dove esiste un metodo di lavoro completamente diverso; qui viene quasi affidato a dei gruppi di studio, con un metodo abbastanza competitivo tra i vari gruppi, per cercare di raggiungere degli obiettivi. Quindi rispetto ai due ambienti, ci sono delle possibilità di accesso completamente diverse.
Terzo, io mi trovo in difficoltà a riconoscere le linee guida della mia amministrazione. Lavoro in una realtà molto fortunata, abbiamo applicato i protocolli fin da principio, abbiamo seguito la loro  valutazione, perfino su 2200 pazienti vi sappiamo dire statisticamente i periodi di prevalenza di determinate patologie, con dei piani di assistenza abbastanza precisi. Rispetto a quella che è l’autonomia e il senso di responsabilità, l’ultima affermazione: “nessuno di noi si potrebbe definire serenamente irresponsabile”, secondo me individua quella che potrebbe essere la conflittualità del domani, là dove una figura responsabile, e magari più competente in alcuni campi, si dovrebbe proporre, e non so bene neanche quanto imporre, su alcune tematiche, limitando quello che era il desiderio di autonomia professionale. Grazie.
 
Terza domanda
Nome e Cognome: Alessandra Cendac
Provenienza: Trieste
Mi sorge una perplessità nel sentire le proposte e le riflessioni dei relatori. C’è una grossissima velocità nel cambiamento della nostra professione. Questo è positivo, senz’altro, però non permette un efficace adeguamento al sistema sanitario e sociale che ci circonda e nel quale siamo inseriti. Questo cosa significa? Intanto l’utenza è sì più informata di una volta, ma non ancora abbastanza da star al passo o di capire che sempre di più l’infermiere può diventare un consulente della salute, più che una balia, come era stato visto forse in passato. Esiste un’inadeguatezza di altre professioni, che non riescono ancora ad accettare e a cogliere la nostra maggiore preparazione, la nostra capacità professionale; primi fra tutti i medici, ma anche altri. Si viene a creare sempre di più una carenza nel sistema di gestione delle grandi Aziende Ospedaliere, come anche, abbiamo visto ultimamente, nell’ambito territoriale. Cioè le funzioni, a partire da quella alberghiera, in Azienda Ospedaliera  e in altre strutture extraospedaliere cominciano veramente a farsi sentire come lacunose, e sempre più pressanti. Quindi una mia visione di questo momento potrebbe essere: evitare invece di correre molto avanti e così in fretta, non si ha nemmeno il tempo di “assimilare” un tipo di formazione. Fino a qualche anno fa c’erano delle proposte e quest’oggi ce ne sono altre, mi chiedo fra due anni quale altro tipo di formazione verrà proposta.  Non sarebbe il caso forse di solidificare di più certe acquisizioni, certe conquiste che sono già state fatte senza correre tanto avanti? Con il rischio poi di non venire riconosciuti, di non essere presi troppo sul serio o non vedere, appunto, solidificate delle posizioni comunque già acquisite. Quindi di dare un po’ più tempo forse alla maturazione del mondo che ci circonda, cioè noi siamo “bravi e buoni” e lungimiranti, sicuramente vince chi è lungimirante in queste cose; però sicuramente il mondo è più lento. Grazie.
 
Quarta domanda
Nome e Cognome: Tonia De Crescenzo
Provenienza: Rianimazione, Azienda Ospedaliera “Cardarelli”- Napoli
Innanzitutto mi voglio complimentare con i colleghi, perché sono stati molto chiari e precisi su argomenti che sono molto ostici, perché troppo nuovi, e noi siamo troppo non abituati a questi argomenti. Però, secondo proprio a quella che è la logica assistenziale, io volevo chiedere alla Signora Di Giulio se esistono in Italia, e, se esistono, quali sono questi percorsi assistenziali basati su evidenze cliniche. Cioè vorrei sapere se in Italia esiste qualcuno, oltre Lei, che faccia questo, chi sono questi  “nascosti”, dove noi possiamo anche cercarli.
Inoltre una domanda legata a quella che è la nostra dipendenza e la nostra autonomia. Oggi come oggi, nella realtà in cui viviamo, dove tutto questo è ancora molto molto lontano, io spero che venga quanto prima vicino a noi, ma è lontano. La nostra autonomia, del singolo, del gruppo, che non deve diventare sovranità: chi è oggi che giudica, chi è l’organo, la figura preposta al giudizio di questo team operativo, chi si mette a voler cercar di fare, voler trovare i metodi idonei, secondo quelle che sono le direttive date da voi, che io ampiamente accetto, ma che comunque trovo utopico in questo momento.
 
Risponde  P. Di Giulio
Inizio con il rispondere all’ultima domanda di Tonia De Crescenzo: esistono questi percorsi assistenziali basati sulle evidenze cliniche? Un po’ sì e un po’ no. Come sempre non c’è mai una risposta è tutto bianco o nero. Esistono numerose realtà dove i colleghi che lavorano in un determinato settore, dall’area critica ad esempio con i pazienti con ictus, hanno cominciato a vedere la letteratura per valutare quello che viene fatto, e rispetto a quello che viene fatto quanto è documentato, fondato, e quanto no. Dopo di che, non esiste nessuno contesto dove il cento per cento degli interventi, né medici né infermieristici, erogati al paziente siano di documentata efficacia, primo perché non esistono evidenze su tutto, secondo perché il cambiamento molto spesso è lento, e occorre che ci sia il consenso del medico, del primario, della caposala. Quindi vengono fatte delle scelte, ovviamente, affermando quali sono le cose più nuove, più efficaci che si devono introdurre; per le altre è inutile fare le battaglie contro i mulini a vento, se il proprio collega vuole continuare a fare l’impacco per eseguire un’emocoltura, che lo faccia pure, è una precauzione in più, tempo speso in più, ma poi tutto sommato non cambia niente.
Quindi è molto importante partire dall’osservazione della realtà e porsi una serie di domande, ma poi dove vado a trovare le risposte? Infatti non è così semplice. Esistono numerosi strumenti a disposizione, vedrete anche nelle relazioni esposte domani, che i libri di testo sono un punto di partenza, ma i libri di testo non sono il massimo dell’aggiornamento, molti libri di testo continuano a dare informazioni vecchie, già superate. Questa è una considerazione importante. Esistono le riviste, una di queste esiste anche in edizione italiana, è l’Evidence Based Nursing o Assistenza basata sulle evidenze, dove vengono presentati e commentati gli studi più rilevanti, poi c’è la Rivista dell’Infermiere, e anche la rivista della Federazione nell’ultimo periodo ha cominciato a pubblicare linee guida, che essendo generalmente disponibili in inglese, consente di renderle accessibili a chi non conosce l’inglese. Esistono altre riviste, ma su questo si entrerà nel merito domani, che pubblicano raccomandazioni e linee guida, e per chi ha accesso alla stampa medica, succede sempre più frequentemente che sulle riviste mediche vengano pubblicati articoli che sono di estrema rilevanza per gli infermieri. Questo proprio perché si sta perdendo questa connotazione medica o infermieristica; si cerca di documentare quello che è efficace per il paziente.
Occorre un po’ di fatica, ora, a mettere insieme tutte queste pedine, l’importante è che si parta; e non si può avare la pretesa di essere tuttologi, e anche se si legge la letteratura ci possono sempre essere argomenti sui quali non si hanno gli elementi per capire, e di trovarsi nelle condizioni della gente comune. Quindi è molto importante che ciascuno, nel proprio settore di competenza, avendo conoscenze, avendo esperienze, cominci a valutare un settore, e poi, come vedrete nel lavoro a mosaico che verrà presentato domani, se ciascuno si pone una domanda e cerca la risposta a questa domanda, e quindi le risposte vengono messe insieme, si comincia a costruire un percorso basato sulle evidenze. Il collega, Vincenzo Scotto, diceva: dopo di che io lo porto in reparto, e in reparto mi dicono “bravo, hai fatto un bel lavoro,... adesso lo mettiamo lì ... e continuiamo a lavorare così come già facciamo”, che è quello che succede nell’80% dei casi, e non solamente a noi, succede anche ai medici. Esistono linee guida molto articolate per i medici, e uno dei problemi che si stanno ponendo è come riuscire a trasformarle in interventi operativi, come fare in modo che quello che è scritto non rimanga solamente scritto nel testo ma diventi pratica. Ci sono in corso numerose sperimentazioni di strategie per fare in modo che le conoscenze vengano applicate, non ne esiste una sola. Le strategie vanno modulate rispetto alle esperienze. Se c’è chi ha una posizione forte in reparto e riesce ad imporle, tanto meglio; dove ci si trova in una situazione di minoranza vanno adottati degli altri tipi di percorso, di pressioni dall’esterno. Ad esempio in un reparto dove il primario impone di eseguire le emocolture alle 7, alle 12 e alle 18, a tutti i pazienti che hanno febbre, come se fosse un antibiotico, lì si può contattare il microbiologo, visto che noi non abbiamo voce in capitolo in quel reparto, per mettere in discussione il primario, e chiedergli ragione di quello che fa. Quindi le strategie sono tante, vanno valutate rispetto alla situazione. Identico problema, forse ancora peggiore del nostro, investe i medici, perché lì ci sono delle gerarchie di potere che sono più difficili da scalzare. E’ vero che ho detto che la conoscenza e le evidenze tolgono le gerarchie, ma non sempre è così vero in pratica. Le gerarchie, purtroppo in alcuni contesti, continuano ad esserci indipendentemente da fatto che gli ordini o le indicazioni date siano alla fine di documentata efficacia.
 
Risponde  A. Silvestro
Pare di cogliere che, al di là di qualche specifica domanda, ci fosse, da parte dei colleghi intervenuti, l’esigenza di fare alcune affermazioni e di confrontarsi, proprio nella logica che abbiamo voluto sperimentare quest’anno.
Il primo collega intervenuto evidenziava la necessità che i “nuovi”, chiamiamoli così, infermieri, o comunque gli infermieri che si formeranno da adesso in poi, rimangano sempre collegati alla fisicità, che è una componente tipica del nostro lavoro, fra l’altro quella con più alta complessità gestionale e relazionale; ma certamente sarà così, deve essere così. Se ci rifacciamo alla relazione della collega Saiani, pare evidente che c’è la linea di continuità da questo punto di vista, che non significa che i tirocini debbano essere svolti come venivano svolti anni fa, quando magari per far passare i concetti di igiene si pensava che si dovessero pulire i comodini. Per cui alcuni aspetti vanno senz’altro rivisti, speriamo in termini migliorativi.
Il collega faceva anche delle affermazioni: “corsi e corsetti” frequentati precedentemente. Siamo nella logica, come colleghi a questo tavolo, ma anche come Associazione, anche come Federazione degli Infermieri, che corsi di maggiore o minore durata, o con determinati contenuti servano a ridefinire e valorizzare competenze e conoscenze, servono nell’esercizio professionale. Quindi comunque benvenuti, e di grosso utilizzo nella prosecuzione dell’esercizio professionale. Se poi parliamo di corsi di specializzazione strutturati, che sono stati frequentati nei periodi precedenti, qui ci si chiede cosa succederà di chi aveva comunque conseguito un attestato o un certificato di specializzazione. La Federazione si è già inserita nella prospettiva di definire, attraverso i responsabili dei corsi modulari e di specializzazione, come accreditare i percorsi formativi che hanno avuto una conclusione di tipo specialistico, svolti precedentemente. Questo dal momento in cui dovesse passare, speriamo, il nostro progetto di formazione complementare. Per cui comunque, al di là dell’utilizzo e della valorizzazione delle competenze, si cercherà di trovare il sistema di riconoscere dal punto di vista propriamente certificativo quello che è stato fatto nei percorsi precedenti. Ricordo anche che il nuovo sistema classificatorio, e la nuova logica contrattuale, che potrà anche presentare, secondo la valutazione di alcuni di noi e di voi, dei momenti di criticità e di debolezza, però indubbiamente va verso il riconoscimento della diversità di competenza e di professionalità, e va anche nella logica del riconoscimento di una diversa connotazione economica collegata alla competenza e alla professionalità. Caso mai il punto che andrà presidiato sarà quello di fare attenzione che i criteri che dovranno venir utilizzati per definire il livello di competenza, a cui collegare un riconoscimento economico, siano criteri oggettivi, trasparenti e condivisi dalla rappresentanza professionale infermieristica. Ecco qui un invito, che io personalmente farò come penso anche voi farete, quando ci sarà il rappresentante delle organizzazioni sindacali, un invito ad una collaborazione corretta, nel riconoscimento della pari dignità, tra organizzazioni sindacali e rappresentanze professionali. Questo per fare in modo che gli obiettivi degli uni e degli altri possano compenetrarsi nell’andare a definire i criteri di riconoscimento e valorizzazione della professionalità che abbiano anche un corrispettivo corretto dal un punto di vista economico. Teniamo conto del fatto che con questa nuova logica di sistema classificatorio, è data la possibilità all’infermiere che ha acquisisce importanti competenze cliniche di fare una progressione di carriera, non solo orizzontale, ma anche verticale. Quindi noi potremo vedere, nel prossimo futuro, degli infermieri con delle riconosciute competenze cliniche, che proprio perché le possiedono, acquisiscono delle posizioni in ambito organizzativo ed economico di un certo peso e rilievo, senza, come succedeva fino adesso, dover per forza fare dei percorsi organizzativi o gestionali, perché al di là di questo non c’era possibilità di prosecuzione di carriera da un punto di vista verticale. Quindi lo sbinamento delle carriere, competenza clinica e competenza gestionale, dovrebbe potersi verificare con il nuovo sistema classificatorio, e quindi dare una risposta anche a questo tipo di sollecitazione che proviene.
Altro quesito, è stato posto un po’ dal collega di Savona, un po’ dalla collega di Trieste, e anche dalla collega di Napoli, è: ma dove le vediamo poi noi queste cose? E poi, così, non c’è il dubbio, la paura di andare un po’ troppo avanti rispetto alle cose che poi noi vediamo ci circondano?
Sì, potrebbe anche esserci questo rischio, tenete conto del fatto però che (e mi rifaccio a quello che diceva precedentemente Di Giulio), quando noi andiamo a leggere dei testi, ci troviamo dei contenuti che sono già vecchi. Noi ora stiamo analizzando una serie di cose, e ben venga che noi le analizziamo, che però sono già vecchie, quel cambiamento di cui noi adesso stiamo affrontando i risvolti, è già avvenuto, perché i Decreti Legislativi 502 e 517 sono già di quattro anni fa. La legge di riforma del pubblico impiego, i rapporti nell’ambito del pubblico impiego e la posizione di chi ci sta dentro, sono eventi già in evoluzione e iniziati con il decreto legislativo 29. C’è la legge 80 del marzo di quest’anno che già pone la eventualità dell’esubero, della posta in mobilità e quindi del licenziamento, perché chi sta nelle organizzazioni pubbliche avrà dei rapporti di lavoro di tipo privato, come avremo anche noi. Quindi questi sono cambiamenti, di cui adesso noi discutiamo, ma che si sono già verificati. Come la formazione in ambito universitario, che potrà essere migliorata, rivista, ma si è già verificata. Un settore che possiamo cercare di presidiare ora è la formazione specialistica, che si sta per realizzare; il decreto ministeriale 739/94 la prevedeva già nel 1994. Certo sono importanti novità, ma sono già avvenute, dobbiamo cercare di gestirle correttamente, cercando di strutturarci in modo tale da poterle governare. D’altra parte è tutta la società che si ritrova in un movimento così repentino, che non so quanto ci si possa permettere di fermarci, per darci il tempo di consolidaci. Io credo che nell’ambito del gruppo professionale dovremo definire e distribuire responsabilità, in modo da poter gestire al meglio questo periodo, ma non possiamo fermarci, perché rischiamo di essere travolti da tutto ciò che ci sta succedendo attorno. Io credo anche, per l’esperienza che sto facendo nella mia Azienda come responsabile del Servizio Infermieristico, che gli spazi e le opportunità per gli infermieri ci siano e siano molte Forse non sempre abbiamo la forza, la competenza e anche la disponibilità di tempo di farli propri; tuttavia proprio nella logica di andare verso obiettivi e risultati, di confrontarci sui risultati conseguiti, proprio in questa logica si aprono spazi. Anche se non è così automatico, come diceva prima giustamente Di Giulio, in effetti in molte situazioni le gerarchie si stanno sbriciolando, le logiche corporative cominciano ad avere difficoltà di esistenza.
Per chiudere e lasciare la parola agli altri; credo che tanto più si diventa resistenti al cambiamento e si gestisce in maniera direttiva e gerarchica quel piccolo spazio di potere che si ha, tanto più ci si comporta in modo rigido, tanto più è significativo il fatto che quel potere è estremamente vacillante. Si verifica che non c’è altro sistema per tenerlo in vigore, se non questa posizione, che porta poi a definire gli spazi di autonomia come sovranità degli altri, perché non si è grado di gestire i propri. Quindi in queste situazioni come è possibile individuare gli elementi di definizione, di delimitazione dell’autonomia. Secondo me attraverso il confronto delle conoscenze e delle competenze, e proprio grazie agli spazi di responsabilità che ciascuno si assume, per cui anche questa problematica non possiamo risolverla in maniera rigida, ma dobbiamo analizzarla dinamicamente nel tempo. Indubbiamente essere infermieri da adesso e nel futuro significherà veramente fare tanto approfondimento di contenuti, di conoscenze e di competenze. Significherà porsi davvero, sia come insieme di infermieri che come singolo operatore, come soggetto politico, in grado di definire e determinare le scelte che si fanno nell’Azienda, nel reparto, nell’unità operativa, e a livello nazionale. Non è così difficile, basta cominciare ad entrare in quella logica, e pensare che abbiamo sempre la possibilità di individuare dei rappresentanti, associativi, professionali, ecc. che, su mandato nostro, possano svolgere in maniera puntuale ed efficace questa funzione.
 
 
Risponde  L. Saiani
Io vorrei reagire in particolare su due punti del dibattito. Primo: come mai se si confrontano due Scuole Universitarie per Dirigenti, trovo due proposte completamente diverse? E l’altro: ma perché dovrei fare tutti questi corsi?
Credo che i contributi a questi due nodi, che pongono colleghi, si trovino in quello che sta avvenendo nella riforma degli studi in Italia, che sta avvenendo per portarci a livello degli standard europei, che riguarda principalmente la riforma universitaria, in gran parte già avvenuta e già realtà. Due grandi cambiamenti: primo l’autonomia di ogni Ateneo, secondo la perdita del valore legale dei titoli rilasciati.
L’autonomia di ogni Ateneo vuole proporsi, come esiste in moltissimi altri Paesi, come una possibilità che crea competizione tra le diverse Università, quindi sarà la norma per il futuro. Se in Italia ci sono oggi otto scuole per Dirigenti Infermieri, domani speriamo otto corsi di Laurea in scienze infermieristiche, ciascun corso, stante un obiettivo mirato che forma laureati in scienze infermieristiche e non qualcosa d’altro, avrà piena autonomia nel modo di interpretare frequenze, piano di studi, numero di esami, e strutturazione, non possono essere stabiliti se non limiti generali di quadro. Si sceglie in base a cosa? In base alla proposta che è più congeniale, quella che si condivide di più. Quindi questa sarà la norma, questa sarà la norma anche sui diplomi universitari. Questa competizione vuole anche essere una competizione spinta alla qualità. Certo si sa che tutti questi progetti possono avere dei nobili intenti, ma far delle pessime cadute, può diventare anarchia più che autonomia, tuttavia l’indirizzo del futuro è questo e non si tornerà indietro.
La perdita del valore legale di titoli, è l’altro grande cambiamento. Stiamo parlando anche del valore della Laurea, nel senso di disgiungere la stretta finalizzazione del conseguimento del titolo al poter ricoprire dei posti, e questo sta coinvolgendo tutti, non solo gli infermieri; ma di questo bisogna esserne consapevoli velocemente. Perché fare corsi allora? Prima di tutto per acquisire competenze. Per acquisire un pezzo di carta? Anche. Sarà il requisito più importante per certificare le proprie competenze? No, e vale per noi, per i laureati e per i futuri specializzati. I titoli conseguiti certificano un avvenuto percorso formativo, ma ciascuno poi dovrà dimostrare sul campo la competenza agita, e ci può essere chi arriva a quel livello di competenza agita senza il percorso formale di quel titolo. Questa sarà la pluralità e il cambiamento che avverrà nel rapporto Università e mercati del lavoro, e in altri Paesi è già realtà da molti anni.
 
Risponde  P. Taddia
Sono rimasta abbastanza perplessa alla affermazione secondo la quale dovremmo fermarci. Capisco il motivo per cui può essersi innescata una esigenza di questo tipo, però la leggo come espressione di quella che prima chiamavo posizione conservatrice. In questo momento, mi rendo contro, possa essere in parte l’atteggiamento di conservazione tipico delle professioni, la nostra come altre; è un comportamento intrinseco.
In realtà oggi tutti gli elementi che prima si descrivevano sono elementi di cambiamento, e li qualifico proprio elementi di cambiamento, dove non ce ne uno che prevarica l’altro, che sia più importante dell’altro. Oggi sono già innescati, e per i prossimi anni il rischio è che siano questi a diventare prioritari sulle nostre scelte, mentre le nostre scelte devono, a mio parere, piegare questi elementi di cambiamento, devono aiutarci a percorrere una strada che un’altra collega ha chiamato “utopia”. Secondo me oggi, negli ambienti organizzativi-manageriali, qualcuno vende l’utopia e la chiama vision, e la vende a caro prezzo. Oggi possiamo chiamarla utopia, possiamo chiamarla sogno, è comunque il nostro punto d’arrivo, magari non è così vicino e non è così facilmente raggiungibile, forse non è raggiungibile fino in fondo, ma sicuramente è un punto che ci aiuta a fare un certo tipo di strada, ovvero l’immaginario di come dovrebbe essere la nostra professione da qui a cinque o dieci anni. La visione di  come deve essere l’organizzazione sanitaria da qui a cinque o dieci anni; è quello che alcuni possono chiamare utopia, altri chiamano in altro modo, però serve. Tra l’altro quanto oggi noi abbiamo detto, ritengo, che non siano neanche utopie. In realtà se noi vediamo le diverse organizzazioni in maniera differenziata, se si presentano in modo apparentemente disordinato, tutta una serie di situazioni sono applicate, mentre abbiamo poca capacità di diffondere velocemente certi cambiamenti e di confrontarci sui cambiamenti. Quindi ripeto, il cambiamento c’è già, il rischio è che in realtà sia un cambiamento molto veloce, e non va neanche seguito, andrebbe addirittura anticipato. Prevedere determinati elementi, quali tipo di risultato possono dare, quindi anticipare gli eventi. Secondo me oggi noi siamo su una buona strada per fare questo, e tre giornate come queste, organizzate in questo modo ne sono un esempio, forse anni fa erano inimmaginabili congressi organizzati con queste modalità.
 
Secondo giro di domande, prima domanda
Nome e Cognome: Alfio Patané
Provenienza: Rianimazione - Verona
Oggi si è parlato molto di responsabilità, di autonomia, di competenze, si è parlato molto di formazione; e le conoscenze sono il contenuto fondamentale di questi termini. Su un lucido della signora Saiani c’era una domanda oscurata che riguardava la formazione dei caposala; infatti non ne ha parlato. Prima di tutto volevo chiedere come mai, perché non ne ha parlato. Forse trovo da solo la risposta, è stata anche accennata la signora Silvestro. La nuova classificazione prevede una progressione sia in orizzontale che in verticale, però nel momento in cui si parla tanto di competenze, nei limiti delle responsabilità affinché i limiti dell’autonomia non diventino sovranità, occorre porsi questa domanda. Lo ha sottolineato la collega Taddia, e ha accennato tante volte alla figura del caposala nella sua relazione, perché le ritiene inevitabilmente figure indispensabili, in un sistema organizzativo. Come mai la Federazione ha abbandonato la formazione dei caposala già da diversi anni e in una nuova programmazione di formazione ha assolutamente ignorato queste figure, che secondo me sono fondamentali.
 
Secondo giro di domande, seconda domanda
Nome e Cognome: Raimondi
Provenienza: Azienda Ospedaliera “S.Orsola-Malpighi” - Bologna
Il mio intervento riguarda l’ambito della formazione. Intanto per dire il mio assenso a quello che è il percorso formativo pensato dai Collegi, facendo però una piccola riflessione. Gli infermieri specializzati, che devono uscire da questi corsi, secondo me, diventeranno un po’ delle lucciole, nel grande mare che è quello della sanità infermieristica. La professione infermieristica, io credo abbia molto bisogno ancora di formazione, ma proprio di formazione quotidiana, non lasciata solamente a dei momenti importantissimi, come questi, o a Congressi regionali, che vengono organizzati periodicamente. Credo che bisogna stare molto attenti a evitare un pericolo che potrebbe insorgere, quello cioè di creare dei momenti conflittuali nei luoghi dove questi infermieri specializzati vengono inseriti, con gli altri professionisti colleghi. Conflitti che porterebbero inevitabilmente al fallimento dell’obiettivo per il quale questo professionista era stato creato. Tutto questo credo, in un contesto come quello attuale, sia molto possibile che avvenga, perché questi infermieri non sono supportati alla base da altri professionisti. Quest’ultimi infatti non hanno comunque una tale formazione, ma anche solamente vicina; la maggior parte degli infermieri non fa formazione post-base, è una piccola parte che la segue. Io sono diplomata dall’80, quindi credo di poter fare questa affermazione, anche proprio in base a tutti gli anni di lavoro e di attività che ho svolto. I Servizi Infermieristici dovrebbero rifletterci, proprio perché inseriti in un contesto di Azienda, in un contesto di managerialità, dove il principio fondamentale è quello di indirizzare l’attenzione a quello che è il cliente interno. Credo che i Servizi Infermieristici debbano porre più attenzione alla formazione degli infermieri all’interno di ogni singola Azienda, anche perché all’interno di ogni singola Azienda la specificità è ovviamente diversa, rispetto ad altre. Formazione che deve essere anche molto attenta, nel senso che ci si rivolge a dei professionisti che possiedono già dei contenuti non a dei contenitori vuoti. Quindi corsi di aggiornamento che devono essere mirati, dove il tempo deve risultare di effettivo apprendimento. Inoltre  una cosa importante; bisogna trovare un sistema per darci la possibilità di studiare, di poter leggere dei testi, dei libri, delle riviste all’interno comunque di un orario che venga considerato orario di servizio, e questo credo che sia di fondamentale importanza per mantenere un livello culturale più ampio. Grazie.
 
Secondo giro di domande, terza domanda
Nome e Cognome: Angelina Di Nuccio
Provenienza: Area Critica  - Caserta
Volevo porre una domanda riguardo le competenze. Come si diceva poco innanzi la competenza è fondamentale e prioritaria rispetto a titoli di formazione o di aggiornamento. Mi chiedo e lo chiedo, ma una competenza altamente qualificata può essere disgiunta da una formazione permanente, un aggiornamento complementare. E poi volevo porre alla signora Silvestro una domanda riguardo l’autonomia. Noi parliamo di autonomia oggi, dovevamo fare una manifestazione, che poi fu bloccata, riguardo al mansionario, eravamo in attesa e siamo in attesa di qualche notizia dalla Federazione, lei può darci qualche indicazione? Grazie.
 
Secondo giro di domande, quarta domanda
Nome e Cognome: Prichiazzi
Provenienza: Unità Coronarica - Gorizia
Il mio non è un intervento tanto nei confronti dei relatori, quanto forse nei confronti della collega di Bologna. Per quello che può valere, io ho fatto un corso di specializzazione in Area Critica ad Udine, che ha una valenza regionale, e che quindi, diciamo, era un precursore. Non è il titolo che cambierà i nostri rapporti all’interno, tra lo specializzato e il non specializzato, all’interno di un Unità Operativa, ma dipende dal carattere della persona, e fondamentalmente da quello che uno vuole rivendicare. All’interno della nostra Unità Operativa vi sono tre persone specializzate, ma non è cambiato assolutamente niente, se non un discorso di un aggiornamento verso alcuni aspetti, e uno scambiare le idee tra noi e loro. Ma non è cambiato assolutamente niente, non ci sono stati conflitti, e non vedo sinceramente da dove potrebbero nascere, dipende dalla persona come si pone.
 
Secondo giro di domande, quinta domanda
Nome e Cognome: Federico Spiga
Provenienza: Unità Coronarica - Cittadella
Volevo porre un quesito. Il fatto che la formazione post-base venga messa in competizione con la capacità di dimostrare le capacità conseguite in arte, anche se mi sta bene, non pone il rischio di diventare una forma di deregulation, che può favorire le preferenze di chi si trova formalmente poi a giudicare queste persone?
 
Risponde  L. Saiani
Preciso a Patané, che chiedeva come mai non ho trattato il problema dei caposala, che avevo previsto di trattare, perché qui aprire il discorso dei caposala vuol dire affrontare il discorso della laurea, ho verificato che già c’è uno spazio venerdì mattina che prevede di parlare di questo, e quindi ho cercato di contenere il mio intervento. Solamente per questo, non perché qui non credessi nell’importanza di aprire un confronto sulla formazione e sulla necessità, che condivido molto, di mantenere questa figura.
La problematica della competenza, si può acquisire competenza fuori dai canali organizzati di formazione complementare? E’ questa la domanda: fuori  dalla formazione complementare o dalla formazione permanente? Io ringrazio la collega per questa domanda perché mi permette di esprimere una delle preoccupazioni maggiori che ho nei riguardi della nostra professione dopo vent’anni che mi occupo prevalentemente di formazione. Credo che un limite intrinseco della nostra formazione sia quella che non ci mette in grado di autoapprendere da professionisti da soli e di studiare e convertire ciò che studiamo individualmente in competenze. Abbiamo tendenzialmente, generalizzando un po’, un’attesa di imparare solamente in contesti formali organizzati, dai convegni ai corsi, questo non è vero per moltissime altre vere professioni. La maggioranza di altri professionisti, di altri campi, autoapprende, acquisisce la propria formazione continua da soli, leggendo le proprie riviste, facendo ricerche bibliografiche, utilizzando tutti i momenti anche minimi per imparare, confrontandosi con altri colleghi esperti, e mettendo in discussione le proprie convinzioni. E danno importanza minima alla formazione formale, organizzata. Io credo che dobbiamo cercare un maggiore equilibrio tra queste due risorse, è insostituibile lo studio individuale e noi dobbiamo porci il problema di formare professionisti in grado prima di tutto di studiare da soli, ma questo vuol dire che se si lavora in un ospedale, dove nessuno organizza un corso di aggiornamento, si rimane ignoranti per vent’anni? Ma è fuori da qualunque concezione di essere professionista, quindi io credo che la competenza sia la capacità di declinare esperienza e conoscenza aggiornata, che ogni professionista deve essere in grado di coltivare da solo. Certo oggi conosciamo molte più metodologie per sviluppare l’autoapprendimento che in passato, e quindi bisogna essere più attenti a farle apprendere. Io credo in un’acquisizione di competenze anche fuori dai canali istituzionali formali, che poi queste opportunità formali di scolarizzazione possano accelerare e creare conoscenze più organizzate è anche vero, ma credo che sia molto pericoloso se pensiamo che queste siano le fonti uniche di produzione di competenza.
 
Risponde  A. Silvestro   
Credo di dover dare qualche risposta essendo stata chiamata un po’ in causa, non tanto come Vicepresidente Aniarti quanto come Segretaria della Federazione dei Collegi. Per quanto riguarda il collega di Verona, rispetto al discorso che poneva: perché la Federazione ha ignorato i caposala, e perché ha praticamente permesso il blocco della formazione dei caposala. Ci possiamo assumere tutte le responsabilità, come Federazione Infermieri, se non sempre portiamo avanti al meglio i problemi per quanto cerchiamo di farlo. Questa non è propriamente una responsabilità nostra, nel senso che questa decisione è stata presa dal Ministero della Sanità, a seguito della 502/517, il che non significa che la Federazione non abbia in attenta considerazione questa figura, così come più volte espresso e manifestato in sedi diverse, con anche il coinvolgimento del Coordinamento Caposala, che rappresenta molti caposala a livello nazionale. Si sappia, è noto che la Federazione sta chiedendo che per le funzioni di coordinamento/direzione in futuro ci sia l’infermiere laureato. Quindi non è che non si sta pensando a questo tipo di formazione, a questo tipo figura. Rispetto, tra l’altro al discorso di dove sta andando il caposala nell’attuale classificazione del personale del comparto, anche qui la Federazione, e poi ne parleremo venerdì mattina, ha chiesto alle organizzazioni sindacali di fare delle modifiche nel sistema classificatorio, che è stato da loro presentato, proprio perché venisse valorizzato il titolo attuale di caposala, fermo restando il fatto che siamo nella logica che esprimeva Saiani, che i titoli nel prossimo futuro non saranno più un requisito per esercitare determinate funzioni. Tuttavia la Federazione ha chiesto abbiano un valore prevalente nella valutazione dei curricoli per individuare le persone che dovranno occupare determinate posizioni e svolgere determinate funzioni. Spero di essere stata chiara da questo punto di vista.
E quindi mi collego anche al discorso che faceva il collega di Cittadella sulla deregulation, certo questo potrebbe essere un rischio, nel momento in cui però non ci mettiamo nella logica, come gruppo professionale, attraverso i responsabili dei Servizi Infermieristici e le rappresentanze professionali, comunque con tutti gli strumenti e le strutture che abbiamo a disposizione, di voler entrare nella definizione dei criteri attraverso i quali si va a definire chi deve ricoprire determinate posizioni, e svolgere altre funzioni. Vorrei anche qui sottolineare un aspetto. Il fatto che il titolo professionale non sia più un requisito per ricoprire determinate funzioni, non significa assolutamente che quel titolo e quel percorso formativo non abbia rilevanza e validità. Sarebbe come dire o il titolo è un requisito oppure non serve a nulla, non ha nessun significato, affermazione che mi pare assolutamente al di fuori della nostra idea e considerazione. Quindi ritorno al discorso che facevo durante la mia relazione, sarà molto importante entrare nella logica della definizione, insieme ad altri, dei requisiti attraverso i quali individuare le persone che dovranno ricoprire queste posizioni. Qui vi parlo sempre un po’ più come Segretaria della Federazione. Da questo punto di vista abbiamo chiesto ufficialmente alle organizzazioni sindacali, nello specifico a CGIL, CISL, UIL nelle persone dei massimi rappresentanti Bonfanti, Fiordaliso e Armuzzi,  e quest’ultimo sarà qui venerdì mattina, di poter attivare un tavolo di lavoro insieme. Quindi la rappresentanza professionale infermieristica e la rappresentanza sindacale, per cominciare a delineare quali devono essere gli elementi costitutivi dei criteri di valutazione. E qui mi riaggancio anche alla richiesta fatta dalla collega riguardo alla manifestazione del 1° luglio, abbiamo ritenuto di sospendere la manifestazione di luglio per dare credito alle promesse che ci erano state fatte dal Ministro della Sanità Rosy Bindi. Lo abbiamo anche esplicitato in una pagina dei giornali appositamente acquistata per diffondere l’informazione a tutti i colleghi e ai cittadini. In effetti una settimana circa, 10 giorni prima della caduta del Governo, avevamo in mano la Bozza di Regolamento per il superamento del mansionario, di cui comunque vi daremo notizia venerdì. Siamo ottimisti rispetto alla prosecuzione dei lavori, visto che come Ministro della Sanità è stata confermata l’On. Bindi ed è stato anche confermato anche il Sottosegretario alla  Sanità l’On. Bettoni che sono le due persone che più abbiamo contattato e per certi versi ci hanno anche sostenuto nel portare avanti determinati progetti. Ora si tratterà di vedere quanto tempo ci vuole ancora per concretizzare questa Bozza di Regolamento, che comunque nei collegi è già presente, per cui chi lo vuole consultare potrà riferirsi al proprio Collegio provinciale.
L’ultimo aspetto, la formazione permanente rimane fondamentale e importante, non è che si fa solo formazione di base e formazione specialistica. Quanto la formazione permanente sia fondamentale, lo ha già detto la collega Saiani, io vorrei dare solo una sollecitazione. Dobbiamo essere anche noi a chiedere determinate cose, se in una Azienda non viene fatto nulla in termini di formazione permanente, e il gruppo professionale infermieristico non esprime contrarietà e dissenso rispetto a questa carenza organizzativa, forse una qualche responsabilità è da attribuire anche agli infermieri stessi. Non credo sia più il tempo di attendere che qualcuno si prenda briga di approntare determinate iniziative, credo che sia il tempo di andare a dire che ne abbiamo bisogno, e il perché debbono essere fatte. Entrerei in una logica più attiva. Rispetto alla conflittualità fra infermieri, responsabili dell’assistenza generale infermieristica e infermieri specializzati. Credo che la conflittualità sarà minima e comunque quella che è di fisiologico, se ragioniamo nella logica di obiettivi, di processo di lavoro integrato, che serve a raggiungere quegli obiettivi a determinati livelli di risultato. Per cui credo dovrebbe esserci se non una competizione culturale, basata sul differenziale di competenza che può esserci. Rispetto alla possibilità di studiare durante il tempo lavoro, come per i medici, credo che sia una cosa da perseguire, e potremmo eventualmente fare questa affermazione, venerdì al leader sindacale responsabile nazionale della CGIL, che ci verrà a parlare della classificazione e del contratto di lav oro.

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10/03/2001